Milano, Fabbrica del Vapore. Un percorso attorno alla vita di Frida Kahlo, uno dei personaggi femminili più emblematici del ‘900, regina dell’arte messicana, raccontata dai curatori Arèvalo, Matiz, Ancheita e Rosso, nei suoi demoni, le sue ossessioni, i suoi flussi mentali che, nero su bianco, attraverso le lettere e il suo diario o attraverso i colori dei suoi quadri, sono arrivati fino a noi, in cui descrive il rapporto tormentato col marito Diego Rivera e l’agonia che, nell’ irrefrenabile attaccamento alla vita e alla mexicanidad, muta in colori vivaci, arabeschi, motivi floreali e animali della giungla, elementi ripresi dall’artigianato indigeno.
Casa Azul, la sua magione a Coyoacán, riprodotta fedelmente con il grande letto a baldacchino, con lo specchio utilizzato per potersi ritrarre anche quando era costretta a letto dalla malattia e dove morì il 13 luglio del 1954. Con quadri e fotografie, libri, mobili e le stampelle personali. Il suo studio con lo scrittoio e la scrivania con tutte le boccette usate, piene dei colori e di pennelli, il diario di Frida, la sedia rossa impagliata, la sedia a rotelle e il grande cavalletto.
La sua arte a cui fa da sfondo la rivoluzione messicana, un periodo storico che la fa entrare in contatto con figure intellettuali dell’epoca legati al partito comunista come il rivoluzionario russo Lev Trotsky e il poeta André Breton.
I suoi quadri, per dirlo con le parole di Diego “Comunicavano una vitale sensualità a cui si aggiungeva uno spirito d’osservazione spietato, ma sensibile… Era chiaro che quella ragazza era una vera artista”. Dentro quelle immagini i temi a lei più cari, tra cui la musica, la morte, l’iconografia cristiana e il martirio.
Una sezione che ci attrae profondamente alla sua magnetica personalità, ben rappresentata nei ritratti realizzati dal celebre fotografo colombiano Leonet Matiz Espinoza, che con la sua inseparabile Rolleiflex, ha creato immagini iconiche di Frida, con una prospettiva esclusiva e ravvicinata, non a molti concessa, atta a cogliere con spontaneità le sfumature espressive dell’amica.
Una vita a cui è rimasta così attaccata da pensare che in realtà non abbia mai lasciato questa terra, ogni qualvolta si entra a contatto con la sua opera.
Foto e produzione di Miriam De Nicolo’ @miriam_denicolo
Fashion Editor e produzione Rosamaria Coniglio @rosamaria_coniglio Artwork Maria Angela Lombardi @_mariaalombardi_
Hairstyling Angelo Rosauliana @angelorosauliana
MakeUp Valeria Iovino @valeriaiovino_pro using Armani Beauty
Model Giorgia Cappellotto @calamarata Agency Pop Models @pop_models_milano
Si ringraziano Navigare Srl e la Fabbrica del Vapore
Citazioni tratte dal libro di Pino Cacucci “Viva la Vida!” edito da Feltrinelli
Frida era “Una bomba avvolta in nastri di seta”. Così la definì Andrè Breton. Ribelle in ogni gesto e sovversiva in ogni pensiero, convulsamente bella di una bellezza a molti incomprensibile. Frida, dalla voce profonda e la risata dirompente, Frida dagli occhi perforanti, eternamente vivi, che non si sono mai chiusi, che sono rimasti fissi su di noi che la guardiamo negli autoritratti.
Diego Rivera aveva 36 anni e Frida Kahlo solo 15 quando si incontrarono per la prima volta, mentre lui lavorava nell’anfiteatro Bolivar. Di quel primo incontro con Frida, Diego ricorda: «…aveva una dignità e una sicurezza di sé del tutto inusuali e negli occhi le brillava uno strano fuoco».
In una delle lettere a Diego (1935) in cui Frida parla della loro relazione, si può leggere: «Perché dovrei essere così sciocca e permalosa da non capire che tutte queste lettere, avventure con donne, insegnanti di “inglese”, modelle gitane, assistenti di “buona volontà”, le allieve interessate “all’arte della pittura” e le inviate plenipotenziarie da luoghi lontani, sono soltanto avventure? In fondo tu ed io ci amiamo profondamente e per questo siamo in grado di sopportare innumerevoli avventure, porte sbattute, imprecazioni, insulti, reclami internazionali – eppure ci ameremo sempre». Diego confessò che il suo amore per Frida era stata la cosa migliore che gli fosse mai capitata.
La spina dorsale spezzata in tre, due costole, la spalla e la gamba sinistra frantumate, una devastazione eccessiva e indecente. Eppure, con l’ostinazione di cui soltanto lei era capace, Frida afferrò la vita e se la tenne dentro, ritrovando di lì a poco persino la forza per ridere in faccia alla Pelona, con quelle sue carcajadas, gli scrosci di risate che le dirompevano dal petto e la illuminavano come un fuoco d’artificio messicano.
La sensualità di Frida è leggendaria in mille testimonianze di uomini e donne, una sensualità impulsiva e mai studiata. Fatta di puro istinto e immune da pose e finzioni calcolate, ma ad affascinare chi la frequentava era anche la sua ironia solare. Ironia che poteva essere caustica, a volte spietata come la natura messicana.
Frida non voleva vivere, bensì viveva a dispetto della sorte, con la quotidiana coscienza di consumarsi in fretta, come una fiammata che arde più splendente della brace lenta.
Eppure era tutto così intenso, così convolgente! Ci portavamo dentro un mondo nuovo, un nuovo concetto di società, un modo diverso di concepire le politica! L’arte era politica! I muralisti lottavano contro il concetto di opera da relegare nelle collezioni private o nei musei. Affrescavano muri dei palazzi pubblici perché tutti potessero fruirne. Io, io non lo so. Io dipingo me stessa, il mio dolore. Il mio lottare e sconfiggere la Pelona ogni giorno, ogni ora, ogni istante.