Chi non ha mai sognato di conoscere Banjo di Daitarn Tre o di salire sull’astronave di Capitan Harlock alzi la mano. Il mondo dei robot ha definito il nostro immaginario collettivo attraverso forme, fogge e colori che hanno affascinato i ragazzi e gli adulti di mezzo mondo, partendo dal Giappone. Ed è appunto dal Sol Levante, dove ha vissuto per cinque mesi a Nagoya, che Stefano Dominella, patron di Gattinoni Couture e studioso di comunicazione, ha tratto spunto per la sua ultima, suggestiva mostra romana: ‘Robotizzati. Esperimenti di moda’ promossa da Regione Lazio, ideata da Laziocrea e patrocinata da Unindustria con la direzione artistica dello stilista Guillermo Mariotto.
L’esposizione, di scena fino al 24 gennaio 2021 nelle sale dell’arioso spazio capitolino Wegil ristrutturato recentemente grazie alla giunta Zingaretti, esplora l’impatto estetico dell’iconografia dei cyborg come Goldrake e Mazinga ma anche Jeeg Robot, sulla moda degli ultimi cinquant’anni. I robot o mecha, pilotati da una cabina interna, sono una fusione di uomo e macchina. L’intelligenza artificiale è un tema che ha sempre ispirato registi, scrittori e artisti: già negli anni’20 il cineasta tedesco Fritz Lang ha ipotizzato scenari futuribili in cui i robot diventano protagonisti, un mondo al quale si ispirò anche Stanley Kubrick per il suo ‘2001 Odissea nello spazio’. Un film all’avanguardia che ha indubbiamente esercitato un ascendente enorme sul fotografo Peter Lindbergh.
Il mago dell’obbiettivo, nel 1990 per un redazionale pubblicato da Vogue Italia, allora diretto dalla mitica Franca Sozzani, immaginò una bellissima top model (Helena Christensen) che si aggirava nel deserto in compagnia di un piccolo marziano. Spesso nei suoi scatti improntati a un ‘realismo da backstage’, gli abiti di alta moda sono accostati ad algide ma seducenti scenografie fatte di lamiere metalliche e di piramidi di acciaio.
Nel frattempo Isaac Asimov e Philip Dick nella loro produzione letteraria di science fiction hanno raccontato universi paralleli ai nostri appartenenti alla fantascienza e all’utopia tecnocratica, mentre George Orwell si spinse più in là nel terreno della fantapolitica con il romanzo corrosivo ‘1984’, opera estremamente profetica e molto attuale. Agli inizi degli anni’80 poi Ridley Scott con ‘Blade Runner’ e i sequel di ‘Alien’ ha immaginato il destino dell’umanità all’epoca dei replicanti. Ma facciamo un passo indietro: già nel 1969 in occasione del primo sbarco sulla luna con l’astronauta Neil Armstrong il mondo intero immaginò come sarebbe stata la vita su altri pianeti. Molti couturier come André Courrèges e Pierre Cardin cominciarono a sperimentare materiali insoliti come il pvc, il lurex e il rodoid per mise avveniristiche ‘stregate dalla luna’ e dal design decisamente inconsueto, mentre lo spagnolo Paco Rabanne, il ‘Nostradamus della haute couture’, già assistente di Balenciaga, elaborò le prime collezioni di ‘moda profetica’ basandosi su materiali hi-tech come maglie metalliche, plexiglass e trame di alluminio assemblate con strumenti degni di un ferramenta e forgiate sul corpo femminile, tanto che Coco Chanel, invidiosa del suo successo, lo definì in tono sprezzante ‘il metallurgico’.
A lui dichiararono eterno amore molte star dello spettacolo come Françoise Hardy, Amanda Lear, Audrey Hepburn e Jane Fonda che sfoggiò i suoi modelli space age nel film ‘Barbarella’ (1968) di Roger Vadim. Negli anni’70 Emilio Pucci pensò all’era spaziale nella collezione ‘Apollo 15’ mentre la sarta milanese Germana Marucelli intrecciò una feconda collaborazione con l’artista OP Getulio Alviani per una serie di tuniche illuminate da dischi di alluminio simili a navicelle spaziali. Fino ad arrivare alla rivoluzione tecnologica introdotta da Gianni Versace, re del tecno-glamour, a partire dal marzo 1982 con il suo oroton con il quale modellò sensuali pepli di maglia metallica simili alle corazze di Giovanna D’Arco, molto apprezzati da Milva, Fanny Ardant, Ornella Vanoni e Candice Bergen. Era l’epoca di Excalibur e di Star Wars e il geniale stilista prefigurò il futuro usando il laser per eliminare le cuciture, e la gomma al posto della pelle ricorrendo al computer per tracciare i pattern jacquard della sua maglieria ‘archeologica’. E fu subito avanguardia. In epoche recenti anche Alexander McQueen e Gareth Pugh hanno plasmato silhouette palesemente ispirate al mondo cyber, con spalle imponenti e vita sottile.
Ma sono soprattutto le linee e le forme dei robot dei cartoni animati giapponesi, che hanno tenuto incollati al tubo catodico intere generazioni (compresa quella di chi scrive), ad aver influenzato le creazioni dei più famosi fashion designer internazionali presenti nell’esposizione: da Thierry Mugler a Jean Paul Gaultier, da Prada ad Antonio Marras, da Giorgio Armani a Paco Rabanne, da André Courrèges a Yohji Yamamoto. E ancora Gianfranco Ferré, Martin Margiela, Alexander McQueen, Enrico Coveri e Mila Schӧn, Philipp Plein e Max Mara fino a Raniero Gattinoni, Gucci, Kansai Yamamoto, estroso costumista di David Bowie negli anni’70, e Guillermo Mariotto, direttore creativo di Gattinoni Couture e irriverente personaggio televisivo che ha ideato vari abiti nati per la mostra. Come la tunica nera rivestita di cubi di gomma piuma o le mise siderali ricoperte di maglia metallica che sembrano uscite dal film ‘ex machina’ con Alicia Vikander.
Accanto alle creazioni dei big in mostra trovano spazio anche le sperimentali invenzioni dei giovani talenti della moda selezionati da Dominella e Mariotto: fra gli altri Antonio Martino, Francesca Nori e Andrea Lambiase, assistente di Iris van Herpen, stilista olandese all’avanguardia nel gotha della moda. Lo spazio Wegil ospita anche una vera e propria mastodontica scultura realizzata da Silvio Tassinari con una stampante 3D e una serie di 50 chogokin, robot in metallo destinati agli adulti, nonché le opere del brillante e talentuoso artista pluripremiato Federico Paris che presenta nell’esposizione la sua originale versione della donna robot. Il futuro è già qui con ‘Robotizzati’.