La perversione raffinata di Gucci
Di Enrico Maria Albamonte
Da Gucci per Alessandro Michele, sublime pifferaio magico dalle lunghe chiome corvine, sottrazione fa rima con sovversione e il neocon diventa fetish e un po’ sadochic come in ‘Bella di giorno’ di Luis Bunuel. La moda è un gioco sottilmente perverso ed è questo in fondo che la rende attraente, seducente, anche se a tratti surreale. Mentre Madonna intona il suo peana orgasmico, il brano musicale ‘Justify my love’ che appartiene all’album ‘Sex’ abbinato a un volume X-rated realizzato nel 1992 in collaborazione con Steven Meisel, scorrono le immagini dell’ultima collezione primavera-estate dello stilista più osannato e incensato del momento. Uomo e donna flirtano idealmente e algidamente sul tapis roulant allestito nel mega spazio di via Mecenate a Milano. Il talento carismatico dello stilista romano-che nel 2020 festeggia 5 anni di direzione creativa di Gucci-si nutre di glamour anni’90 ma anche di trovate eclatanti. Come l’incipit del fashion show affidato a una parata di ragazzi e ragazze imbrigliati in camicie di forza che non vogliono esprimere, come i maligni potrebbero pensare superficialmente, una beffa sulle malattie mentali strumentale alla mercificazione della moda, bensì sono una provocatoria sfida a chi vorrebbe imbavagliare i creativi di oggi, in un mondo neo-puritano e machista. Si sgretolano le certezze dell’establishment borghese e allora tutto diventa molto più portabile rispetto al solito. Un glamour irriverente pervade la lussuosa lingerie femminile nelle tuniche scollate, gli occhiali dalle maxi lenti sono ornati da catenelle ingigantite, i lunghi guanti si portano oltre il gomito, frustini da virago e choker aristocratici formano la panoplia dei look più audaci e peccaminosi della collezione. I modelli efebici more solito hanno un flair un po’ nerd, le ragazze abbinano tinte flashy a colori pastello. Come recita l’illuminata release della collezione la moda “definisce uno spazio di autoaffermazione poetica in cui far brillare il desiderio di sé”. Che tradotto in abiti, scarpe e borse significa: trench e loden in velluto, tuxedo in satin in colori saturi, coat sartoriali decorati da stringhe bondage, stivali rosa e verdi con tacco sagomato, zainetti di pelle lucida con morsetto, mules sfilate e a punta, alte cinture in vita con dettagli in oro, borsette neo-bourgeois, Dyonisus gialle e nere, sahariane molto esuberanti, abiti nude look in tinte vivaci su scarpine argentate, le lunghe tuniche dalle maniche ampie hanno dei cutout sul petto, pannelli di piallettes dorate campeggiano solcandole sulle tuniche azzurrate. I print sono anni’70 (arredamento) o anche a maxi arabeschi ricamati in mille colori. La sua lezione di tolleranza e inclusione Michele la dà in termini di emancipazione stilistica e autodeterminazione estetica. Senza tabù o stereotipi, alla ricerca di ciò che può essere desiderabile oggi.