La giostra della moda secondo Gucci

La giostra della moda secondo Gucci

Il gusto per la performance teatrale e per la messinscena abilmente orchestrata per ‘épater les bourgeois’ è, da Cecil Beaton in poi, il fattore trainante del successo ecumenico di alcuni marchi della moda, artefici della nuova architettura lessicale del contemporaneo. Si pensi alla sofisticata operazione culturale e anche lato sensu ‘politica’ realizzata da Alessandro Michele per Gucci: il ragazzo romano dalle chiome fluenti corvine che sembra uscito da ‘Hair’ e che sussurra e parla ai cervelli ma ‘urla’ messaggi di libertà perentoria con i suoi abiti dalla passerella, ci sa fare. E lo conferma con una trovata davvero speciale che elide i confini fra pubblico e privato, fra passerella e backstage. Se sfilata deve essere, che sia spettacolare, mastodontica, spiazzante. L’archeologo della moda, come lui stesso ama definirsi per via del suo citazionismo spinto e talora esasperato, (ma mai gratuito), guida gli spettatori attraverso un ‘Truman show’ in chiave fashion, in una rappresentazione epicamente felliniana di un pastiche estetico che solo lui riesce ormai ad assemblare così bene, come nemmeno un deejay pop saprebbe fare. Per Michele nulla è ciò che appare. Quello che conta, qui (e questo è palese) non sono tanto gli abiti (e gli accessori che pure sono studiatissimi e si vendono come panini nelle boutique ai quattro angoli del pianeta) quanto la narrazione che si trova dietro di loro: il profeta dell’inclusione racconta un’estetica che è fuori dal tempo e che entra a gamba tesa nel dibattito culturale e ideologico.

La moda esprime e spesso anticipa lo zeitgeist, e così è per Michele: come negli anni’90 che segnarono l’affermazione di Peter Lindbergh che fotografava le top senza veli nei backstage dei servizi fotografici, anche qui Michele ricostruisce quel ‘bordello senza mura’ di cui parla McLuhann con toni però non duri o aggressivi ma assolutamente elegiaci, nel segno di un realismo favolistico che per una volta non si esaurisce in un ossimoro. In sostanza gli invitati alla sfilata venivano guidato al loro seat attraverso un percorso che rivelava loro il dietro le quinte dello show, e quindi l’essenza dell’affabulazione fashion, in una logica paragonabile alla paradossale esperienza del ‘metateatro’ che da Plauto in poi è parte integrante della storia della drammaturgia. Così lo stilista, il creativo, dialoga direttamente con il suo pubblico senza però sottrarre un grammo di verve a uno show che resta come sempre faraonico, graffiante e assolutamente imprevedibile.

Quello di Michele è un manierismo in salsa pop che colpisce anche chi non è avvezzo ai paradossi della moda. E che risponde all’esigenza insopprimibile di senso che sempre di più soprattutto i giovani chiedono alla moda, alimentando l’immaginario degli artisti e dei loro proseliti. Per maggiormente disorientare i suoi invitati lo stilista li ha convocati al défilé con un messaggio whatsapp, una trovata bizzarra e molto singolare, coerente però con la originale ed estrosa comunicazione del marchio. Sulle note del Bolero di Ravel che già di per sé ha qualcosa di ieratico, Alessandro Michele squarcia il velo di Maya svelando i segreti e la mistica del rituale profano della moda che diventa parte integrante della mitologia contemporanea nell’era postdigitale. Dalla pedana circolare a forma di carillon scendono una alla volta officiando appunto il rituale dello spettacolo della moda, le modelle che esibiscono toilette complicate ma in realtà semplicissime dove il collage degli stili stavolta propende per un viaggio attraverso le età della donna dall’infanzia fino alla maturità, dal settecento ai giorni nostri.

Alla crinolina subentra il robemanteau da collegiale, al cappottino da scolaretta cede il passo la blusa virginale di pizzo da portare sui jeans lacerati, alla scenografica crinolina da signora delle camelie si sostituisce gradualmente l’abitino con il corpetto imbrigliato da harness sadomaso, la maxi gonna kilt e così via. Pezzi facili e di gusto vintage anni’70, che paiono usciti dai bauli di un costumista cinematografico. Grandi protagonisti della collezione, oltre gli accessori come it-bags soprattutto piccole e medie, scarpe mary jane e mocassini, cappelli morbidi come colbacchi e sciarpone tricottate, il velluto, liscio o a coste, l’eco-fur, i print botanici in stile Laura Ashley, il camoscio e soprattutto tinte smaglianti per allietare l’inverno: giallo sole, verde bosco e smeraldo, rosso carminio. Tutti a bordo della giostra della moda allora e che il rituale si compia.