La archetipica semplificazione di Prada
Di Enrico Maria Albamonte
Come scriveva Paul Valéry ‘la semplicità è un’arte’. E di questa nuova ricercata semplicità, che poi se guardiamo con attenzione è tutto fuorché semplice, Miuccia Prada sembra essere una maestra indiscussa. Con la sua visione dadaista della moda e della società la stilista milanese, espressione di un’intellighenzia anticonformista e antiborghese, ha saputo catturare il senso della contemporaneità, rileggendola nel prisma di idee audaci e di combinazioni insolite, alla luce delle contaminazioni sempre più appariscenti e smart con le arti visive e con le altre arti applicate. Amante della sperimentazione e protettrice di artisti e cineasti, la stilista sensibile e poliedrica, affranca la preziosità da ogni sussiego lasciando parlare le sue creazioni che sembrano citare lo ‘chic senza fronzoli’ con cui Vogue nel 1929 descrisse l’avvento del modernismo. Le geometrie e i verticalismi netti e formalistici degli scatti di Edward Steichen (il primo fotografo di moda a sperimentare il colore) e lo spirito disinvolto e noncurante della sua musa, la modella Marion Morehouse, allergica ai cliché della moda, ebbene tutto questo sembra rivivere in una collezione molto riuscita che inneggia a un nuovo modernismo, come sempre consapevole e colto. Anche se, come tiene a precisare la signora della moda, questa collezione non intende essere né minimale né tantomeno citazionista.
“E’ venuto il momento di fare il punto” -ha spiegato la stilista pochi minuti prima della sfilata- “c’è troppo di tutto e si punta spesso a torto sul sensazionalismo e sul coté bling, in fondo è anche una questione etica che dobbiamo porci, ma questo non vuol dire smettere di inventare, perché c’è una via di mezzo fra lo strafare e il non fare nulla. E poi penso che la moda debba concentrarsi sulla personalità delle donne che sono poi le destinatarie finali di ciò che realizziamo. Il focus deve rimanere sull’individualità perché chi recepisce il nostro messaggio deve appropriarsi di ciò che facciamo in modo originale e ragionato”.
L’impressione è quella di una riduzione all’essenza come antidoto al caos dilagante e ipertrofico che ci attanaglia, alla ricerca di un nuovo classico che si sottragga agli estetismi posticci e che bandisca gli eccessi di un compiacimento retrospettivo e anodino, in nome dello stile che nell’intento della fashion designer deve prevalere sulla volatilità della moda. Il flair che percorre la collezione, non a caso presentata quasi en plein air, con la luce del giorno che sembra inondare la scenografia della grande sala di via Lorenzini, è un nuovo naturalismo frutto di un elaborato processo di realizzazione artigianale. Un processo che affida il compito di definire una nuova accezione del lusso ‘quotidiano’ al carattere apparentemente rustico e naif di certi materiali e lavorazioni. Facciano alcuni esempi: la rafia intrecciata, le conchiglie utilizzate per divertenti collane, le borse shopping fatte di una ‘cage’ di perline di legno, o la nappa che per le gonne a portafoglio asimmetriche è stata tagliata a vivo, trattata come seta e cosparsa di piume stilizzate come in un’illustrazione di Erté (ma riprodotte con un ricamo certosino di microperline).
Ogni dettaglio è studiato con meticolosità: dai cappelli di morbida pelle che simulano una cloche e sono chiusi da nastri, ai bavaglini di velluto sfumato che completano gli abiti lineari dalla silhouette geometrica, fino alla modulazione sartoriale dei completi animati da stampe foulard, dei soprabiti in punto stoffa caratterizzati da tessuti compatti jacquard a disegni stilizzati o monocromatici e in tinte squillanti come l’arancio e il verde petrolio.
Non mancano, per assemblare un guardaroba oculato ma sempre elegante, i tailleur da mattino dalle nuove calibrate proporzioni virati in antracite o fumo di Londra con la giacca dagli ampi revers sagomati; una mise perfetta per un consiglio di amministrazione come anche per un appuntamento galante. Le borse hanno forme tondeggianti e diventano secchielli oppure si tingono di un rosa acceso quasi pop, e un filo civettuolo, o sono perforate. I sandali sono in pelle intrecciata in turchese, bianco e nero, il tacco è abolito salvo poi a fare capolino (ma si tratta di una struttura decisamente più funzionale) come base solida su cui poggiare i mocassini in spazzolato fumé. E’ già un must il verde lime della tunica sharp longuette di velluto di cotone a coste.
Sembrano un omaggio ai pepli di Antigone e Medea gli abiti in garza di seta tagliati a fazzoletto o a semicerchio, e ricamati di perline da assortire a scarpe flat ma appuntite o ai sandali laminati d’oro ornati da volute come nella saga di Giasone, mente gli occhiali sono decorati da riccioli neobarocchi. Per la sera tocchi d’oro e outfit in broccato.
Applaudono in prima fila Nicole Kidman avvolta in un abito dalla stampa astratta su fondo bianco, e Wes Anderson, il talentuoso regista visionario dalla vena surreale che ha inaugurato con un grande evento durante la fashion week di Milano Moda Donna la sua nuova mostra, resa possibile grazie al prezioso contributo dell’illustratrice Juman Malouf e intitolata ‘il sarcofago di Spitzmaus e altri tesori’, un omaggio al collezionismo e alla curiosità che investiamo nella ricerca.
L’esposizione è aperta presso gli spazi della Fondazione Prada in Largo Isarco fino al 13 gennaio 2020, in un complesso museale evoluto e polifunzionale, un autentico tributo alla capitale della moda italiana oltre che centro propulsore di una nuova vitalità creativa da cui parte il rilancio del capoluogo lombardo a livello internazionale.