Anthony Vaccarello firma la sua seconda collezione per Saint Laurent: abiti sexy, luccichii e monospalla sono stati i capisaldi della sfilata alla settimana della moda di Parigi. Il giovane stilista italo-belga deve confrontarsi con il mito di Yves Saint Laurent e l’appeal del suo predecessore Hedi Slimane, e lo fa con grande rispetto ma senza snaturare il suo stile personale. «Quando penso a Yves Saint Laurent penso ai party, alla sera – dichiara Vaccarello nel backstage – Non posso fare una sfilata senza ricordare gli anni d’oro della griffe, ma voglio anche andare oltre». Così alle sfilate di Parigi presenta una collezione che omaggia rispettosamente Yves Saint Laurent ma che porta la maison francese nel futuro.
In passerella sfilano look da giorno in versione iper-luxury: pantaloni di pelle e pullover total black si indossano con lunghissimi guanti, la minigonna diventa una scultura e perfino la biker jacket assume un tocco sexy. Gli abiti Saint Laurent sono ridottissimi, in pelle con maxy ruches e fiori tridimensionali, oppure lunghi e dritti con profondi spacchi. Ruches e trasparenze regalano un romanticismo in chiave rock a look audaci, ma il focus della collezione è sulle spalle, quasi tutti gli abiti Saint Laurent ne scoprono una o entrambe. Il finale della sfilata a Parigi inaugura una formula nuova: le modelle indossano tutta la linea da sera. Ancora minidress, profonde scollature a V e stivali in pelle al ginocchio. In questa seconda parte della sfilata, però, compaiono cristalli e velluto per look ancora più sexy e ancora più luccicanti. Brillano i minidress a maniche lunghe e gli stivali, i dettagli dei lunghi abiti da sera e le ruches che creano effetti tridimensionali. Brillano anche i look della moda uomo, che in questa sfilata hanno accompagnato la collezione donna autunno inverno 2017-18. Anthony Vaccarello dimostra di saper omaggiare il passato illustre della maison imprimendo al contempo un twist contemporaneo. Alle sfilate di Parigi, Monsieur Bergé non può che applaudire questo nuovo corso della griffe di cui è stato co-fondatore.
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Betty Catroux: la scandalosa musa di Yves Saint Laurent
Gambe chilometriche su una figura sottile, il viso scarno incorniciato da lunghi capelli biondo platino e uno charme unico: Betty Catroux, valchiria dall’allure androgina, ha incarnato alla perfezione lo Zeitgest degli anni Settanta. Figura di spicco della coterie di monsieur Yves Saint Laurent, la modella dal fascino ambiguo e dallo sguardo enigmatico è stata una it girl ante litteram.
La sua infanzia è avvolta da un’aura di mistero che sembra accrescere ulteriormente il fascino di una delle più amate icone di stile degli anni Sessanta/Settanta. All’anagrafe Elizabeth Saint, detta Betty, la giovane nasce a Rio de Janeiro il primo gennaio 1945, figlia unica di Carmen Saint, socialite di origine brasiliana, ed Elim O’Shaughnessy, diplomatico americano che lei stessa definirà “il sosia di Peter O’Toole”. Trasferitasi con la famiglia a Parigi quando ha appena 4 anni, Betty frequenterà poi la scuola in Inghilterra.
Altezza svettante e fisico esile, la giovane sembra nata per le passerelle: è la baronessa Maggie Van Zuylen ad informare la madre della ragazza che Chanel è in cerca di mannequins. Corre l’anno 1967 e Betty, appena diciassettenne, ottiene subito il lavoro per la celebre maison, salvo poi definire mademoiselle Coco “la vipera più geniale di tutti i tempi”. Ma appare ben presto evidente che sfilare -e lavorare, in generale- non fa per lei, spirito libero amante dell’ozio e dell’edonismo più sfrenato. Eccentrica e ribelle, Betty rifiuta puntualmente i diktat che le vengono imposti dall’esterno, fashion trend compresi: lei, che incarna perfettamente lo stile degli Swinging Sixties, non segue la moda ma la detta. Eppure quell’altissima e dinoccolata ragazza (sembra che superi il metro e ottantatré centimetri di altezza), sotto i cuissardes dall’aria aggressiva nasconde un’indole timida ed introversa. Amante del lusso, vive in modo bohémien e, misteriosa come un angelo azzurro, illumina le notti parigine.
Il 1967 è anche l’anno che cambia irrimediabilmente il suo destino: al Regine’s, fulcro della movida gay parigina, avviene l’incontro con Yves Saint Laurent. Tra i due è amore a prima vista: trattasi di una vera e propria affinità elettiva, un intimo riconoscersi per le loro anime, assolutamente complementari. Entrambi aborrono la quotidianità, entrambi ambiscono a rivoluzionare i codici estetici vigenti. Scandalosi e timidi, sono come due corpi in un’anima e si amano di un amore fraterno e puro. Lui la definisce “la sua gemella” e la considera quasi la sua incarnazione femminile. La loro amicizia durerà per tutta la vita, fino alla morte del couturier, avvenuta nel 2008.
“La prima volta che vidi Betty”- raccontò Yves Saint Laurent, “era al New Jimmy’s, la discoteca del Régine, credo fosse il 1967. Lei indossava una gonna in plastica di Prisunic. Quel che mi impressionò fu il suo stile, l’androginia, il corpo, il viso, i capelli…”
All’epoca lo stilista aveva appena lanciato Rive Gauche, la sua linea di prêt-à-porter, e Betty incarnava fedelmente il suo ideale di donna, con un tocco sulfureo e infinite contraddizioni.
Lei ricorderà quell’incontro così: “Yves era biondo platino, in total look in pelle nera. Ci assomigliavamo. Era così timido che dovette mandare qualcuno al mio tavolo. Poi mi chiede se volessi sfilare per lui. Io dissi di no. Avevo fatto delle foto di moda all’epoca ma non era per me. Era solo un guadagno facile per andare a bere e fare casino”. Betty, che sarà all’unanimità considerata l’alterego femminile di Yves Saint Laurent, lei che ne divenne la musa prediletta, si rifiuterà sempre di lavorare per lo stilista ma lo ispirerà per tutta la vita, ergendosi ad arbiter elegantiae e devota confidente.
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Tra i fumi dell’oppio e le illusioni dell’alcol, Betty e Yves si abbandonano a voli pindarici per evadere dalla mediocrità della vita, in un esistenzialismo decadente che non lesina in eccessi di ogni sorta. I due sono soliti ritrovarsi nell’appartamento di lei, sito nel VII arrondissement, e bere vino bianco; sullo sfondo gli echi di un Sessantotto ancora in fermento, tra la incalzante ribellione giovanile e un tripudio di edonismo declinato in chiave bohémien.
“Tutto il mondo ha bevuto vino bianco con Betty”, dichiarerà lo stilista. “Lei mi rende felice, il suo stile eclissa quello delle altre donne”: secondo Saint Laurent lo stile di Betty Catroux è precursore della modernità. “Nel suo modo di essere, di muoversi, di vestirsi, penso che Betty abbia inventato la modernità”.
La bionda Betty ama bere e trasuda sex appeal, come nelle foto di Jeanloup Sieff, che la ritraggono nuda sul divano, intenta a sorseggiare una coppa di champagne. Dopo la sua ascesa nell’olimpo della moda sarà immortalata dai più grandi, in primis Helmut Newton e Jean-Jacques Bugat. Non mancano gli aneddoti in cui la sua ribellione ebbe la meglio, come quando venne fischiata all’Opéra perché osò mostrare il petto di un giovane musulmano. Inoltre a Betty Catroux si deve la coniazione del termine “rotten chic”.
La venerazione che Yves Saint Laurent nutre per lei la renderà personaggio assai temuto da Pierre Bergé, storico compagno di vita dello stilista. Lei dichiarerà più volte di aver avuto con Yves una vita da favola. Lo stilista sarà anche la prima persona della sua cerchia di amicizie che Betty vedrà morire. Ad investigare il rapporto tra i due anche il film “Saint Laurent” (2014), per la regia di Bertrand Bonello: qui Betty Catroux è interpretata dalla modella Aymeline Valade.
Il ruolo di Betty al fianco del re della moda francese è principalmente quello di ispirarlo: sarà grazie al suo stile che lui creerà alcuni dei suoi capi più iconici. “Pensavo a lei quando ho immaginato il completo pantalone, poi la pelle. Tutti i codici maschili che ho applicato alla donna. Se Paloma Picasso e Loulou de la Falaise ispirano la mia fantasia, Betty ispira il mio fisico rigoroso”, disse Yves Saint Laurent. Betty appare semplicemente perfetta in sahariana e cuissardes, come anche nello smoking indossato sulla pelle nuda.
Grazie ad un innato senso per lo stile, Betty Catroux viene ben presto consacrata ad icona internazionale d’eleganza: ma dimenticate overdressing e coup de théâtre, Betty è un’amante sfegatata del minimal-chic. Incarnazione dello stile parisien per eccellenza, anticonformista ed eccentrica, Betty ama i jeans, i capi in pelle, il colore nero ed i capelli sporchi e ostenta una naturalezza quasi grunge. Disdegnando apertamente lo stile iperfemminile, l’icona, che si è sempre professata per niente interessata alla moda, sfoggia un’intrinseca nonchalance ed un’irresistibile personalità, dichiarando più volte di vestire allo stesso modo da quando è nata.
Fedele per tutta la vita ad un’estetica personalissima e rigorosa, Betty Catroux ha adottato una sorta di uniforme che non ha mai più abbandonato: nel suo guardaroba solo maglie a collo alto, pantaloni a sigaretta neri, blazer neri, raramente abiti da sera. Immancabili gli occhiali da sole neri. Perché per essere chic basta veramente poco, ça va sans dire. Come ammesso più volte dalla stessa Catroux, questa sorta di divisa rappresenta l’emblema del suo stile.
Nel 1968 la modella convola a nozze con l’interior designer francese François Catroux, nipote del generale Georges Catroux. L’icona di stile non si smentisce neanche il giorno delle nozze, sfoggiando per l’occasione shorts e stivali di vernice al ginocchio, sotto ad una pelliccia bianca e nera dalle suggestioni optical. La coppia ha avuto due figlie, Maxime, editor della casa editrice Flammarion, e Daphné, sposata al conte Charles-Antoine Morand.
Grande amante del jazz, oggi Betty Catroux vive tra Parigi e la Provenza. Considerata da più parti la quintessenza della passività, Betty non ha mai lavorato nella sua vita, salvo danzare ogni giorno per quindici anni di fila. “Mi ritengo straordinariamente fortunata perché sono stata regolarmente presa sotto l’ala protettrice delle persone giuste”, ha dichiarato a tal proposito. Il suo stile iconico continua ad ispirare diversi stilisti, da Marc Jacobs ad Hedi Slimane per Saint Laurent, mentre Tom Ford le dedicò la sua sfilata di debutto alla direzione creativa di YSL Rive Gauche.
Yves Saint Laurent in mostra a Seattle
Un’importante retrospettiva a Seattle celebra il genio della moda Yves Saint Laurent.
La mostra”Yves Saint Laurent: the perfection of style” rende omaggio alla creatività sensibile del noto stilista algerino che dimostrò a partire dall’apporto creativo a maison Dior, tutta la sua maestria sartoriale.
Yves Saint Laurent era uno stilista generoso, con un senso estetico elevato.
Soffrì l’allontanamento dalla moda quando fu costretto ad arruolarsi in esercito. Non riuscendo a sopportare lo stress e la fatica sul fronte, fu ricoverato in un ospedale psichiatrico.
Diede la colpa a Dior per non aver rispettato i termini contrattuali e lo citò in tribunale. Vinta la causa poté finalmente ritornare in sartoria: nasce così la storia di una grande casa di moda.
Il visionario della moda, introdusse nel guardaroba femminile, capi tipici maschili: il blazer, il trench, la sahariana e lo smoking.
Fu il primo stilista vivente ad aver l’onore di vedersi dedicare una retrospettiva al Metropolitan Museum di New York.
Oggi tocca a Seattle dedicargli una mostra che resterà aperta fino al prossimo 8 gennaio 2017.
L’evento verrà replicato al Virginia Museum of Fine Arts di Richmond dal 6 maggio al 27 agosto 2017.
Fonte cover artslife.com
Dior, settant’anni di gloriosa storia
Settant’anni fa nasceva maison Dior.
Era l’8 ottobre del 1946, nelle mura di un appartamento collocato nell’8° arrondissement di Parigi. Qui inizia la storia di un’azienda unica, regale, che pone la donna al centro del suo universo.
Monsieur Christian Dior, dopo aver preso accordi con il magnate del tessile Marcel Boussac, costituisce giuridicamente l’omonima maison. L’apporto del ricco industriale francese era di tipo economico, Christian Dior aveva il completo comando della casa di moda.
Il couturier, affrontò la nuova sfida con destrezza, scontrandosi con le prime difficoltà da debuttante.
Raduna a sé 85 persone (sessanta erano le operarie) e inizia a lavorare sulla collezione primavera/estate che presenterà il 12 febbraio del 1947.
Delinea la silhouette dei capi; saranno due le linee che comporranno il défilé: En 8 e Corolle.
Nell’appartamento decorato in stile neo-Luigi XVI da Victor Grandpierre, nell’avenue Montaigne, presenta la primissima collezione dinanzi ad un pubblico ristretto. A sedere sulle poltrone c’è anche Carmel Snow, capo-redattrice di Harper’s Bazaar.
L’esclamazione pronunciata da Snow: “Mio caro Christian, i suoi abiti hanno un tale New Look“, ha decretato la nascita di un nuovo stile.
Icona del New Look è l’iconico tailleur Bar, ottenuta da monsieur Dior modellando la stoffa su un manichino che lui stesso aveva martellato per ottenere la linea desiderata. Il modello “numéro un, numbero one” indossato da Marie-Thérèse, annuncia l’inizio di un successo senza fine.
Alla sua morte, avvenuta a Montecatini Terme, il 24 ottobre 1957, fu Yves Saint Laurent, a soli 24 anni, a prendere le redini della direzione creativa di Dior.
Debuttò con la primissima linea, chiamata Trapezio, nel 1958. Dopo solo due anni, chiamato al servizio militare, Yves cedette il suo incarico a Marc Bohan stilista per la maison per ben 26 anni.
Gli ultimi anni del suo comando sono imperversati da problemi economici. Occasione ghiotta per l’imprenditore francese Bernard Arnault che acquisisce il gruppo Boussac di cui fa parte. Al posto di Marc Bohan viene chiamato al comando Gianfranco Ferrè, il primo italiano alla direzione creativa di Dior. Restato in carica fino al 1997, riportò opulenza al marchio, andata perduta con Bohan.
A Ferrè fa seguito l’eclettico John Galliano. Il “Pirata della moda” per quattro anni ha esaltato la fisionomia della maison con collezioni teatrali. La sua collaborazione in Dior viene bruscamente interrotta a causa del licenziamento del designer sopravvenuto come conseguenza di insulti antisemiti che lo stilista aveva mosso contro un gruppo di ebrei.
Dal 2012 al 2015, subentra Raf Simons: uno stilista garbato che ha riportato in auge le linee En 8 e Corolle della maison, esaltando l’iconica Giacca Bar.
La sua creatività forse troppo controllata, non è stata apprezzata completamente dai vertici e dagli estimatori del marchio così nel 2015 viene allontanato da Dior.
Il 2016 segna un’importante novità in Dior. Per la prima volta, una donna prende le redini della maison. Lei è l’italiana Maria Grazia Chiuri che segna un nuovo ed importante passo nella storia dell’azienda.
La collezione primavera/estate 2017 appena presentata a Parigi (qui l’articolo) conferma la donna al centro dell’universo di Dior. E’ un ritorno alle origini in chiave moderna. Finalmente una donna veste le donne Dior.
Fonte cover bloor-yorkville.com
Nasceva 80 anni fa Yves Saint Laurent, genio della moda
Avrebbe compiuto oggi 80 anni Yves Saint Laurent, indimenticabile genio della moda. Innumerevoli le sue rivoluzioni, dal nude look al tuxedo per le donne fino dalla sahariana. Avanti anni luce rispetto alla moda dei suoi tempi, la sua carriera iniziò da Christian Dior. Enfant prodige della moda internazionale dalla sensibilità rara e delicata e dall’aspetto etereo, quasi da elfo, con gli occhiali un po’ nerd, l’indole trasgressiva e nevrotica lo contraddistinse: in perenne bilico tra provocazione e genialità, Yves Saint Laurent ha regnato per quasi mezzo secolo, lasciando impresso un segno indelebile nella storia del costume e non trovando ancora oggi erede valido.
Yves Henri Donat Matthieu-Saint-Laurent nacque ad Orano, nell’Algeria francese, il primo agosto 1936 da Charles e Lucienne Andrée Mathieu-Saint-Laurent. Cresciuto insieme alle sorelle Michelle e Brigitte in una villa che si affacciava sul Mediterraneo, fin da piccolo Yves mostra un talento naturale per la moda: crea bambole di carta e disegna vestiti per la madre e le sorelle. Appena diciottenne si trasferisce a Parigi e viene ammesso alla Chambre Syndicale de la Haute Couture (Camera Sindacale dell’Alta Moda), dove i suoi disegni attirano l’attenzione dei docenti. Michel De Brunhoff, editor di Vogue Paris, sarà deus ex machina dell’incontro che segnerà il debutto di Saint Laurent nella moda: egli infatti lo presenta al celebre couturier Christian Dior. Dior sarà suo mentore e inciderà profondamente nel suo stile.
Yves sotto la sua guida maturò notevolmente e alla morte dello stilista, nel 1957, sarà lui a prendere le redini della maison, sebbene a causa di un esaurimento nervoso sarà sostituito qualche anno dopo da Marc Bohan. Sotto di lui la storica casa di moda vive uno dei periodi più fulgidi della sua storia: indimenticabile l’abito indossato da Dovima nella foto che la ritrae accanto agli elefanti. Nel 1958 la prima collezione, denominata “Trapezio” e presentata nei sontuosi saloni di Avenue Montaigne, è accolta con incredibile entusiasmo: una rottura netta col passato per lo stilista, che fin da subito appare eclettico, rivoluzionario ed irriverente. Le linee sono moderne e il piglio è apertamente politically incorrect. Si intravede già la portata rivoluzionaria del suo stile, che come pochi ha trasformato e modernizzato la moda femminile.
Nel 1960, nel pieno del suo successo, Yves Saint Laurent è costretto ad arruolarsi nell’esercito francese a causa della guerra d’indipendenza in Algeria. Ma dopo appena 20 giorni viene ricoverato nell’ospedale militare, dove riceve la notizia del suo licenziamento da casa Dior. La notizia gli causa un fortissimo shock e viene ricoverato pertanto nell’ospedale militare di Val-de-Grâce, dove viene sottoposto a cure psichiatriche e persino all’elettroshock. Tale dolorosa esperienza verrà sempre ricordata dallo stilista come l’origine dei suoi problemi nervosi e della sua dipendenza da sostanze stupefacenti. Dimesso dall’ospedale nel novembre 1960 cita in giudizio Dior per non aver rispettato i termini contrattuali. Saint Laurent vince la causa e dopo un periodo di convalescenza apre la casa di moda che porta il suo nome, insieme al compagno e socio Pierre Bergé.
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Gli anni Sessanta e Settanta sono quelli della fama mondiale: innumerevoli i successi, dalla sahariana, sdoganata da Veruschka in foto storiche firmate Franco Rubartelli, allo smoking, dal trench al tailleur pantalone, fino agli omaggi all’arte e alla pittura del Novevento, dall’abito Mondrian alle stampe che ricordano la Pop Art di Andy Warhol, fino ai quadri di Matisse, Braque e molti altri, inaugurando il filone moda-arte. Venerato come il nuovo genio della moda, nessuno come lui è riuscito ad imprimere un segno così forte nella moda del Novecento: i suoi tailleur vengono giudicati i migliori dai tempi di Chanel, mentre anche le sue fragranze ottengono successo, come il celebre Opium.
Dopo aver inaugurato la sua boutique sulla Rive Gauche e aver ottenuto tutti i riconoscimenti possibili, nel 1966 firma i costumi del celebre film “Bella di giorno”, dove veste colei che sarà sua musa storica, Catherine Deneuve. Intanto nel 1971 posa nudo per Jeanloup Sieff per il lancio della sua fragranza maschile e si innamora perdutamente di Marrakech, dove trascorrerà numerosi anni nel suo buen retiro tra i giardini di Majorelle.
Nel 1980 Yves Saint Laurent sarà il primo creatore di moda vivente a godere di una grande retrospettiva del suo lavoro al Metropolitan Museum di New York. Tante le collezioni ispirate dai suoi viaggi, in un tripudio di suggestioni etniche e omaggi al folclore di terre e popoli lontani: ad ispirarlo l’Africa, la Spagna, l’India, il Marocco e la Russia. Tante le sue muse, da Betty Catroux a Loulou de la Falaise fino a Laetitia Casta.
Nel 2002 il ritiro dalle scene: “Mi dico che ho creato il guardaroba della donna contemporanea, che ho partecipato alla trasformazione della mia epoca. Mi si perdonerà di farmene un vanto, perché ho creduto da sempre che la moda non servisse solo a rendere più belle le donne, ma anche a rassicurarle, a dar loro fiducia, a permettere loro di essere consapevoli”, queste le parole che accompagnano il suo commiato.
Il 1º giugno 2008 lo stilista muore nella sua casa parigina, all’età di 72 anni, a causa di un tumore al cervello. Il suo corpo è stato cremato e le sue ceneri sono conservate nei giardini Majorelle di Marrakech, in Marocco, nella villa appartenuta al celebre artista francese Jacques Majorelle e in seguito acquistata e ristrutturata da Saint Laurent e Bergé. Tanti i riconoscimenti al re di Parigi, che ci ha lasciato innumerevoli lezioni di stile. “Non dobbiamo mai confondere l’eleganza con l’essere snob”, diceva monsieur Yves, genio ancora oggi insuperato.
(Foto cover: Yves Saint Laurent in uno scatto di Jeanloup Sieff, 1971)
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Bianca Jagger, icona dal fascino intramontabile
Ci sono icone il cui fascino resta indelebilmente scolpito nell’immaginario collettivo di intere generazioni. Modella, attrice, icona di stile, socialite e attivista politica, Bianca Jagger è riuscita come poche a sfatare il vecchio ma sempreverde tabù che guarda con sospetto al connubio di bellezza e intelligenza.
Sopravvissuta brillantemente agli eccessi della New York anni Settanta, la sua bellezza da copertina ha ammaliato fotografi del calibro di Cecil Beaton, Richard Avedon, Patrick Lichfield, solo per citarne alcuni; ma spenti i riflettori sul suo matrimonio celebre con il divo per antonomasia, Mick Jagger, anche dopo essere uscita da anni dalle luci della ribalta, la ritroviamo, senza un briciolo di botox, ancora bella alla veneranda età di 71 anni, in prima linea nella lotta per i diritti umani.
All’anagrafe Bianca Pérez-Mora Macias, la futura icona di stile nasce a Managua, Nicaragua, il 2 maggio 1945. Suo padre era un mercante e la madre una casalinga. I due divorziarono quando Bianca aveva dieci anni e lei e i suoi due fratelli vennero affidati alla madre. Non ancora ventenne, la giovane Bianca ottenne una borsa di studio per andare a Parigi, dove frequentò con profitto il prestigioso Istituto di studi politici di Parigi, conosciuto come Sciences Po. Erano gli anni della Beat Generation e della contestazione giovanile; anni impegnati, anni divisi tra lotte studentesche e vita notturna. Influenzata da Gandhi e dalla filosofia orientale, Bianca si recò diverse volte in India.
Nel settembre 1970 l’incontro della vita: a Parigi, ad un party dopo un concerto dei Rolling Stones, Bianca incontra Mick Jagger. Lei, procace bellezza esotica, sembrava fatta apposta per lui, strampalato e ribelle. Opposti eppure complementari, come accade spesso in amore: e fu certamente amore a prima vista per i due, che convolarono a nozze il 12 maggio 1971 a Saint-Tropez, con rito cattolico. Un matrimonio entrato nella storia: incinta di quattro mesi, il décolleté sembrava sul punto di esploderle sotto al tailleur maschile bianco disegnato per lei da monsieur Yves Saint Laurent. Le foto iconiche degli sposi che lasciano la chiesa a bordo della macchina sono entrate nella storia. Lui, alticcio, perso nei fumi della sua fama, e lei, compagna fidata e fedele, sempre pronta a riportarlo a terra con il suo amore. La loro unica figlia, Jade, nacque a Parigi il 21 ottobre 1971.
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Il matrimonio tenne banco su tutti i tabloid: Bianca e Mick erano la coppia più paparazzata, protagonisti indiscussi del jet set internazionale. Ma le nozze durarono solo otto anni. Nel maggio 1978 arrivò inesorabile il divorzio: Bianca, personalità e grinta da vendere, non poteva certo accettare lo scotto del tradimento di Mick, che ormai faceva quasi coppia fissa con la modella Jerry Hall, biondissima e algida, così diversa da lei. Bianca ricorderà il matrimonio dicendo che si concluse lo stesso giorno in cui venne celebrato.
Intanto lei era entrata di diritto nell’Olimpo dello stile: nessuna riusciva ad unire la sua naturale carica erotica, potenzialmente esplosiva, impressa nel DNA sudamericano, ad una sofisticata eleganza di stampo europeo. Pelle ambrata, labbra carnose e occhi profondi, la vediamo fare un ingresso trionfale allo Studio 54 -di cui era presenza fissa- in sella ad un cavallo bianco, nel giorno del suo compleanno, o in una delle innumerevoli uscite ufficiali al fianco di Mick: belli e dannati, ma anche iconici nel loro stile inimitabile. Musa di designer del calibro di Halston e Yves Saint Laurent, trendsetter ante litteram, il suo era uno stile tipicamente Seventies: tra turbanti e dettagli glam, dai lunghi abiti costellati da profondi drappeggi e scollature mozzafiato, fino all’iconico tuxedo maschile, che non ne offuscava mai la linea sinuosa. Presenza fissa della International Best Dressed List, il suo stile è entrato nella storia del costume, divenendo emblema degli anni Settanta.
Bianca Jagger è stata fotografata dai più grandi, dall’intimo amico Andy Warhol a Cecil Beaton, da Francesco Scavullo a Patrick Demarchelier. Innumerevoli le cover, a partire da Vogue UK del 1974. Inoltre prese parte anche a diverse pellicole come attrice.
Non solo mondanità ma anche impegno sociale per la bella Bianca. Dopo aver cominciato, ancora giovanissima, ad interessarsi di cause sociali e di diritti umani, si espresse più volte su temi come il genocidio, la guerra in Iraq, i crimini contro l’umanità e i cambiamenti climatici. Inoltre si schierò apertamente a favore dei diritti delle donne e contro la pena di morte. Nel 1972, dopo il terremoto che distrusse il Nicaragua, organizzò il primo concerto a scopo benefico della storia. Dopo aver istituito la Bianca Jagger Human Rights Foundation, di cui è a capo, dal 2003 è ambasciatrice del Consiglio d’Europa e membro del consiglio esecutivo di Amnesty International. Tra le maggiori attiviste politiche, vanta collaborazioni con diverse organizzazioni umanitarie, tra cui Human Rights Watch. Nonna felice di Assisi Lola (nata nel 1992) e Amba Isis (nata nel 1996), nel 2014 è diventata bisnonna.
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Saint Laurent: Hedi Slimane lascia la direzione artistica della maison
Con l’uscita di Hedi Slimane dalla direzione creativa di Saint Laurent, oggi potremmo confermare che nel mondo della moda ci sia in atto una vera e propria rivoluzione o, per essere più coincisi, una ribellione nei confronti del sistema.
È una news che forse in tanti attendevano ma che non lasciava conferma fino a ieri, quando l’imprenditore francese François-Henri Pinault, fondatore della holding multinazionale francese Kering, in una nota ha dichiarato che il contratto dello stilista francese che lo ha visto legato alla maison francese durante gli ultimi quattro anni, non verrà rinnovato.
Francesca Bellettini Presidente e Direttrice generale del marchio, attraverso un breve comunicato, ha così congedato Slimane: “Voglio ringraziare Hedi Slimane di aver dato la sua visione per rilanciare emblematicamente la maison Yves Saint Laurent”.
Alla luce dei fatti, pare che sia prossimo alla nomina di direttore creativo di Saint Laurent, Anthony Vaccarello che dovrà seguire le orme del suo predecessore, proponendo un progetto creativo rock-chic, al pari di Slimane, che qualcuno vorrebbe alla direzione di Dior.
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Manuela Pavesi: l’addio ad una grande icona della moda italiana
Icona fashion ed esteta. Eclettica ed estrosa. Il volto unanime del fashion system e della fotografia di genere.
Manuela Pavesi, con la sua dipartita a soli 65 anni e dopo una dolorosa malattia, ha lasciato un vuoto enorme e difficile da colmare nel mondo della moda italiana ed internazionale.
Redattrice di moda per Vogue Italia, braccio destro di Miuccia Prada (le due donne s’incontrarono per la prima volta nel 1968 durante un corteo studentesco vestite elegantemente in Yves Saint Laurent), ossessionata dagli abiti vintage tanto da divenire collezionista di quest’ultimi.
Sobria nel suo chignon biondo, Manuela si scagliava contro la sciatteria definendo lo stile una “costruzione e modo di essere”.
Era ossessionata dalla moda fin dai primi anni della sua vita, definendola una “perversione, deviazione e patologia”.
Idolatrava il maestro couturier Yves Saint Laurent come raccontò in un’intervista “L’incontro che mi ha cambiato è stato quello, simbolico, con Yves Saint-Laurent, il primo a portare la sensibilità della strada nella moda. Mi sono vestita quasi solo Yves Saint Laurent per almeno tutti gli anni ’70. Abiti incedibili, che conservo ancora gelosamente tutti. Come il famoso vestito “Belle de jour”, nero con il colletto bianco, a cui sono legatissima e che mi ha sempre affascinato per l’interpretazione alla Buñuel dell’eleganza femminile, che lo ha ispirato […]Vestirmi YSL e condividere così il suo stesso punto di vista è stato per me più che frequentare un’università della moda. Ha influenzato profondamente la mia estetica.”
Ribelle, severa nel suo essere donna e lavoratrice. Colta e raffinata, indubbiamente pioniera delle nuove tendenze.
Il suo sorriso, sempre splendente e i suoi abbinamenti sopra le righe, mancheranno al sistema, come ai suoi estimatori e agli amanti in genere della moda.
Per la copertina fonte Vanity Fair
Yves Saint Laurent: Parigi e Marrakech dedicano due musei al genio della moda
Secondo il New York Herald Tribune, la sua prima collezione era stata la “Più grande orgia dei sensi della storia della moda”. Era il 30 gennaio 1958 e il genio della moda, Yves Saint Laurent, a soli 21 anni e dopo la morte di monsieur Christian Dior, divenne direttore creativo di una fra le maison di lusso più osannate del sistema.
Saint Laurent, l’algerino approdato a Parigi, conquistò i mercati grazie alla linea trapezoidale, sua chiave di espressione. Il suo motto era “Abbasso il Ritz, viva la strada”, portando la moda a subire il fascino della cultura giovanile. La rivoluzione estetica in casa Dior, fu netta: gonne strette, giubbotti di pelle, maglioni a collo alto, capi tipici del vestiario giovanile e in contrasto con l’eleganza atemporale voluta dal couturier scomparso.
Il successo come stilista per Dior fu bruscamente interrotto: con Yves, l’immagine dell’azienda parigina andava controcorrente rispetto alla femminilità imposta dal fondatore del marchio, per questo fu ritenuto non idoneo a restare al comando della maison.
Tornato ad essere ai margini del sistema, Yves fu richiamato al servizio militare: furono settimane davvero difficili per lo stilista, sofferte e allo stremo delle sue forze. Fu grazie al sostegno dell’amico Pierre Bergé che Saint Laurent ebbe modo di rinascere guarendo dalle ferite fisiche e psichiche e trovando un investitore americano per lanciare sul mercato la sua omonima maison.
Nel gennaio 1962 l’inaugurazione del marchio Yves Saint Laurent lo consacra genio della moda: una popolarità troppo rumorosa per Yves che si nasconde all’interno di un armadio per arginare la forte emozione sorta come conseguenza al tanto clamore di una folla felice di averlo ritrovato.
Sicuro che l’Alta Moda era ormai agli sgoccioli, nel 1966 inizia a confezionare prêt-à-porter portando a quattro le collezioni presentate durante l’anno.
L’estro creativo di Yves strabordava attraverso inaspettate visioni estetiche introducendo nuovi capi sulle passerelle: tailleur pantalone, capi trasparenti, sahariane e, soprattutto, lo smoking femminile.
Di lui, Catherine Deneuve disse: “Saint Laurent disegna per donne che hanno una doppia vita. I vestiti del giorno aiutano la donna a stare in mezzo agli estranei, le permettono di andare dappertutto senza attirare un’attenzione non desiderata: grazie alla loro naturalezza un po’ mascolina, le conferiscono una certa forza, la equipaggiano per incontri che potrebbero dar luogo a conflitti. Però per la sera, quando la donna può scegliere con chi stare, Yves la rende seduttrice.”
Negli anni 1983-84, fu il primo stilista vivente cui veniva dedicata una retrospettiva al Metropolitan Museum of Art di New York.
Ed è proprio notizia degli ultimi giorni, che nell’autunno del 2017 a Parigi e Marrakech verranno aperti due musei dedicati al lavoro del designer. Cinquemila abiti di alta moda che racconteranno la storia della maison, diverse migliaia di schizzi disegnati durante la carriera del couturier, oltre quindicimila accessori e immagini recuperate dall’archivio della maison.
Il museo parigino sarà ospitato al civico 5 di Vanue Marceau, sede storica sartoria della maison ed attuale dimora della formazione di Pierre Bergé. Il museo di Marrakech sorgerà in rue Yves Saint Laurent, non distante dai giardini Majorelle.
Dalle parole di Diana Vreeland, direttrice all’epoca di Vogue America: “ Coco Chanel e Christian Dior erano giganti, ma Saint Laurent è un genio.”
Addio a Robert Goossens, disegnò i gioielli per Chanel
Il suo nome ai più dirà poco, ma le sue creazioni sono entrate nella storia: monili preziosi e raffinati, collane realizzate con cristalli di rocca, bangles dalle suggestioni antiche, e, ancora, spille a forma di croci bizantine. Preziose, sofisticate, dall’inestimabile valore e dal gusto inimitabile, le creazioni realizzate da Robert Goossens hanno impreziosito per oltre mezzo secolo le collezioni di moda di nomi del calibro di Chanel, Madame Grès, Schiaparelli, Yves Saint Laurent, Rochas, Balenciaga, Dior. Il grande creatore di gioielli è scomparso a Parigi lo scorso 7 gennaio, all’età di 88 anni.
Nato nel 1927 in una famiglia modesta, suo padre lavorava in una fonderia. Fin da giovanissimo, Robert sviluppò un amore viscerale per le pietre preziose. La sua carriera iniziò a soli 15 anni come apprendista orafo, creando piccoli oggetti per le grandi gioiellerie di Parigi.
Questa familiarità con le pietre preziose sarà più avanti il motore della sua carriera: la sua particolare attitudine lo spingerà infatti a mixare con gusto ed un’eleganza senza pari pietre preziose a pezzi di bigiotteria, pietre artificiali a gemme preziose. Raffinato artigiano dall’incommensurabile sensibilità estetica, Robert Goossens è stato uno dei nomi più importanti nel design di gioielli del XX secolo.
Un’estetica ricercata che traeva ispirazione dai dipinti che Robert aveva visto nei musei parigini, ma anche da opere del Rinascimento e da altre culture, in primis Bisanzio e i suoi mosaici preziosi. Pioniere iconoclasta, viaggiò moltissimo nel corso della sua vita, portando con sé ametisti, zaffiri, rubini, coralli, cristalli di roccia e quarzo, che poi modellò in pezzi di alta gioielleria, insieme al bronzo, alle perle e persino alle conchiglie. Orecchini pendenti, bracciali rigidi, bangles, ma anche collane e girocolli, spille e piccoli dettagli forgiati con una classe rara, che attingeva a culture e popoli lontani. Le creazioni di Goossens fanno sognare e ci trasportano in una dimensione onirica, in cui il lusso è solo una delle numerose sfaccettature di un’arte unica.
Dall’età di 25 anni il suo lavoro iniziò ad essere apprezzato dalle case di moda, e Cristóbal Balenciaga fu il primo a commissionargli un lavoro, ossia la realizzazione di una croce di cristallo di ispirazione bizantina, per una sfilata di haute couture. Nel 1953 inizia il sodalizio con Chanel. Mademoiselle Coco adorava l’arte del maestro orafo, a cui chiese di realizzare i gioielli per molte delle sue collezioni, oltre che mobili e pezzi di antiquariato per la sua casa. Spiccano gli smeraldi e le croci bizantine, oltre ai celebri bangles, nel curioso mix tra pietre preziose e bigiotteria adorato da Gabrielle. Goossens collaborò con la maison fino alla scomparsa della sua creatrice, per poi lavorare con Karl Lagerfeld nel corso degli anni Ottanta e Novanta, sia per le collezione di prêt-à-porter che per quelle di haute couture. Il marchio Chanel acquistò la compagnia di Gossens lo scorso 2005.
Definito “Monsieur Bijou”, dagli anni Settanta iniziò un nuovo prolifico sodalizio artistico con monsieur Yves Saint Laurent, per cui, su consiglio di Loulou de la Falaise, creò collezioni di ispirazione africana. Per la maison francese Goossens realizzò di tutto, dalle trousse per la linea di make up fino alle boccette di profumo in edizione limitata. La collaborazione con Saint Laurent durò fino al 2002, quando la maison chiuse con l’alta moda. Lo showroom Goossens è ubicato in Avenue George V, una delle vie più eleganti di Parigi. Alcune delle creazioni del maestro fanno oggi parte delle collezioni del Muséè des Arts Décoratifs di Parigi. Il maestro lascia due figli e una lunga tradizione nel design di gioielli.
Nan Kempner: icona dello stile newyorkese
Ci sono donne che nobilitano la moda, conferendole quel tocco di magia che è da sempre prerogativa assoluta del glamour più autentico. Nan Kempner ha fatto della propria vita una parabola vissuta all’insegna dell’eleganza: socialite, protagonista indiscussa del jet set, avida collezionista di capi haute couture ed insuperata icona di stile, Nan Kempner nacque a San Francisco il 24 luglio del 1930.
All’anagrafe Nan Field Schlesinger, la futura icona di eleganza nasce in una famiglia benestante: il padre Albert “Speed” Schlesinger possiede la più grande concessionaria di automobili della California. Esile fin da giovanissima, Nan non possiede una bellezza da copertina, nonostante sia atletica e tonica. È lo stesso padre a consigliarle di puntare su altro, dicendole testualmente: “Con quel viso non ce la farai mai, faresti bene ad essere interessante”. Ed infatti è proprio sul carisma che la giovane punta lungo tutto il corso della propria vita.
Figlia unica, fu sua madre ad iniziarla alle meraviglie della moda. A suo dire la madre vestiva divinamente: fu da quest’ultima che la ragazzina apprese le regole fondamentali che diedero vita a quel suo stile che sarebbe in seguito divenuto iconico. Sua madre le insegnò che vi erano solo tre colori —il rosso, il nero e il grigio— e che i tacchi alti sarebbero dovuti divenire i suoi migliori amici. Contemporaneamente all’amore per la moda nacque nella giovane l’ossessione per la linea: Nan iniziò a stare in dieta all’età di 12 anni senza smettere mai nel corso della sua vita, ed iniziò a fumare all’età di 14. Dopo aver frequentato la Hamlin School di San Francisco, Nan Kempner si iscrisse al Connecticut College for Women dove studiò per un anno storia dell’arte, ma senza conseguire il diploma. Poi si trasferì per un anno a Parigi, dove frequentò la Sorbona e un corso di pittura tenuto dal maestro Fernand Léger. Ma quest’ultimo, resosi conto di quanto la giovane fosse negata, le restituì indietro il denaro.
Dopo aver lavorato come volontaria presso il Museo delle arti di San Francisco, nel 1952 convolò a nozze con Thomas Lenox Kempner. Dall’unione nacquero tre figli. Galeotto fu il primo incontro tra i due, con il marito che notò come prima cosa la minigonna Dior indossata dalla giovane. Un primo appuntamento al Monkey Bar di New York City in cui i due non smisero di scambiarsi insulti per una notte intera, come la stessa socialite raccontò più volte, diede vita ad una grande passione. Dopo aver vissuto a Londra per un breve periodo, i Kempner si trasferiscono nella Grande Mela: qui Nan sfodera doti imprenditoriali notevoli: in trent’anni la sua attività riesce ad incrementare i fondi del Memorial Sloan-Kettering Cancer Center fino ai 75.000.000 di dollari.
Nel privato la Kempner colleziona capi di alta moda: la sua è una passione iniziata quando era ancora una ragazzina. Il suo archivio privato si arricchisce nel tempo di capi preziosi ed esclusivi, fino a divenire per proporzioni una delle più ricche collezioni private del Paese, con pezzi tra i più iconici e rappresentativi del 20esimo secolo. Spiccano capi di designer del calibro di Valentino, Karl Lagerfeld per Chanel, Mainbocher, Christian Dior, oltre agli stilisti prediletti dall’icona di stile, Bill Blass e Yves Saint Laurent, di cui si contano oltre 300 pezzi. Considerata una vera e propria autorità tra le più preparate nel settore moda, Nan Kempner era una habitué delle sfilate: si dice che in 55 anni abbia perso solo una settimana della moda, a seguito della scomparsa di suo padre. In un’intervista rilasciata al The Independent of London nel 1994 dichiarò di essersi persa solo una delle ultime 63 sfilate di Yves Saint Laurent, di cui fu musa storica ed amica.
Durante il corso della sua vita, letteralmente dedicata alla moda e allo stile declinato in ogni sua forma, Nan Kempner lavorò come contributing editor per Vogue Paris, fashion editor per Harper’s Bazaar, designer consultant per Tiffany & Co. nonché come rappresentante internazionale della celebre casa d’aste Christie’s. Inoltre l’icona di stile impartì occasionalmente lezioni di moda presso il Metropolitan Museum of Art e la New York University. Ritratta da Andy Warhol nel 1973, immortalata sulle riviste patinate con i suoi outfit sempre eccentrici e sofisticati, Nan Kempner è stata anche autrice del volume “R.S.V.P.: Menus for Entertaining From People Who Really Know How”, edito da Clarkson Potter, i cui proventi furono interamente devoluti in beneficenza. Si, perché Nan Kempner è stata anche una grande filantropa, generosa come poche e sempre in prima linea nelle opere di charity. Incarnazione dello chic newyorkese, regina dei party e degli eventi più esclusivi, illuminò la scena della Grande Mela per oltre quarant’anni con il suo stile inimitabile. Celebri le parole con cui si espresse un monolite della moda del calibro di Diana Vreeland, secondo la quale “In America non ci sono donne chic. L’unica eccezione è Nan Kempner”. Valentino Garavani ne ammirava l’eleganza con cui riusciva ad indossare i suoi capi, con quel fisico tonico e scolpito. L’icona di stile ispirò la coniazione del termine “social X-ray” utilizzato all’interno del romanzo Il falò delle vanità di Tom Wolfe.
Fashionista ante litteram, Nan Kempner comprò il suo primo abito Dior quando la madre la portò nella sede della storica maison a Parigi, nel 1958. Si tramanda l’aneddoto secondo cui la ragazzina, sprovvista del denaro sufficiente per acquistare quel capo —un abito bianco con cappotto coordinato— scoppiò in un pianto disperato e continuò a singhiozzare finché non attirò l’attenzione d un giovane dai grandi occhiali. Trattavasi di Yves Saint Laurent, giovane assistente di monsieur Christian Dior. La ragazzina continuò a piangere finché l’addetto alle vendite non abbassò il prezzo del capo per renderlo più vicino al suo budget. Avida collezionista di moda, Nan Kempner sviluppò in seguito una vera e propria ossessione per i capi di Yves Saint Laurent, Valentino ed Oscar de la Renta. Cominciata nel corso degli anni Sessanta, la sua passione per lo shopping non trovò mai fine nei successivi cinquant’anni. Frizzante, deliziosamente frivola, Nan Kempner conquistava chiunque con la propria personalità, emblema di quella fetta della popolazione femminile che attraverso la moda riesce a sognare e ad emozionarsi. “Dico sempre a tutti che voglio essere seppellita nuda perché deve senza dubbio esserci un negozio nel luogo in cui andrò”, dichiarava nel 1972 al magazine Women’s Wear Daily. Socialite tra le più apprezzate, protagonista indiscussa dei party più esclusivi, dichiarò che “non si sarebbe persa per niente al mondo neanche l’opening di una porta”. Autoironica come poche, raccontò che non sapendo che occupazione dichiarare nei documenti, non sentendosi abbastanza ricca da considerarsi una vera filantropa e non amando definirsi una socialite, scrisse semplicemente “casalinga”.
Definita da Yves Saint Laurent ‘la plus chic du monde’, lo stile di Nan Kempner era improntato ad una grande ricercatezza e ad una certosina cura del dettaglio. Amante del mix & match, l’icona di stile si dilettava nel creare outfit bizzarri ed eccentrici, mixando tra loro pezzi variegati. Lo stile secondo Nan Kempner consisteva nel riuscire ad esprimere la propria individualità e nell’abilità di mixare i capi. Celebre la sua propensione allo styling e alle sovrapposizioni, anche le più audaci, come quando riusciva ad indossare mirabilmente il più classico dei tailleur Yves Saint Laurent con un paio di jeans boyfriend.
Nan Kempner fu tra le prime donne ad abbracciare il trend del menswear. Non particolarmente amante dei vezzi femminili, cercava sempre di aggiungere un tocco maschile anche alla mise più sexy. Emblema vivente della massima “less is more”, non era raro vederla indossare la domenica la sua uniforme tipica, composta da un paio di Levi’s 501, una camicia bianca e una maglia indossata sulle spalle. Presenza fissa della Hall of Fame dell’International Best-Dressed List ideata nel 1940 da Eleanor Lambert, in un’intervista a Town & Country del 1999, alla domanda postale da Annette Tapert su come avrebbe descritto il proprio stile, Nan Kempner rispose senza esitazioni “artificiosamente rilassato”. Lo shopping rimase sempre la sua passione più grande: fino alla veneranda età di 72 anni la socialite era solita acquistare delle minigonne, che indossava in spiaggia con bikini Etro e poncho. Casual e minimal-chic, l’icona fu tra le prime a sdoganare la chirurgia plastica. Vanitosa e primadonna nell’animo, adorava fare le sue entrate ad effetto, attirare l’attenzione ed essere fotografata. Perennemente in viaggio tra Londra, Parigi, Gstaad, Venezia, San Francisco e Los Angeles, non si perdeva una sfilata né un party, e adorava sciare e prendere il sole.
Spendeva in abiti “più di quanto avrebbe dovuto e meno di quanto avrebbe voluto”, perfettamente a suo agio nel suo fisico atletico, frutto di duri allenamenti che avevano luogo quotidianamente nella palestra che fece costruire all’interno del suo appartamento e che le permettevano di entrare perfettamente nei capi di sfilata, indossati dalle mannequin. Amante della bellezza in ogni sua forma, nel suo appartamento il lusso era la parola d’ordine: la vediamo indugiare dinanzi alla sua incredibile cabina armadio, che farebbe impallidire la fashion victim più sfegatata, oppure nei fasti dei saloni, impreziositi da una deliziosa carta da parati francese dipinta a mano, tra preziosissimi quadri di René Magritte, antichi bric-à-brac provenienti dalla Cina, collezioni di libri d’arte e bassorilievi in bronzo realizzati da Robert Graham.
Nan Kempner si è spenta il 3 luglio del 2005 all’età di 74 anni, per enfisema polmonare. Fumatrice incallita, trascorse gli ultimi anni della propria vita in condizioni critiche, respirando con l’aiuto di una bombola di ossigeno. Due mesi dopo la sua scomparsa la sua famiglia ha organizzato una commemorazione in suo onore presso la sede di Christie’s, a cui presero parte oltre 500 suoi amici. Nel dicembre 2006 il Costume Institute del Metropolitan Museum of Art ha inaugurato una mostra dedicata alla smisurata collezione di capi haute couture dell’icona di stile. Nan Kempner: American Chic era composta da oltre 75 outfit, tra cui capi Galliano per Dior, Lagerfeld per Fendi, Ungaro, Jean Paul Gaultier e Lanvin. La mostra si è poi spostata al Fine Arts Museums di San Francisco.
Tantissimi sono gli aneddoti che ci svelano una donna ironica e dalla personalità scoppiettante; a partire da quella volta in cui, nel corso degli anni Sessanta, Nan Kempner decise di indossare una tuta pantaloni per una cena al ristorante La Côte Basque, in barba al dresscode della serata, che vietava espressamente alle donne l’uso dei pantaloni. Quando le fu negato l’ingresso, lei tolse i pantaloni e disse sprezzante a Madame Henriette, “Spero che questo le piaccia di più”. Indossò quindi il top come un vestito e sfoderò una adorabile nonchalance. Audace e sofisticata, sfoggiava savoir faire e self-confidence, convinta com’era che “Non è cosa indossi, ma come lo indossi”. Una grande lezione di stile. Meditate.