Il sonno della ragione genera i mostri? Un approccio letterario

Il fiume di Virginia Woolf


Virginia Woolf chiuse i suoi giorni terreni con un suicidio: era il 28 marzo 1941. La scrittrice inglese era nata a Londra nel 1882. Fin dall’infanzia, essendo figlia del critico sir Leslie Stephen, aveva respirato in famiglia un’atmosfera culturalmente elevata. In età adolescenziale, dopo la morte della madre, iniziò a manifestare atteggiamenti di ribellione nei confronti del padre e, nello stesso tempo, della mentalità dominante che voleva la donna sottomessa all’uomo e relegata tra le pareti domestiche. Sposò Leonard Woolf, un editore, con il quale andò a vivere a Bloomsbury: presso la loro abitazione si raccolse un gruppo d’intellettuali fortemente critico nei confronti della morale borghese della cosiddetta «società vittoriana». La Woolf scrisse romanzi e racconti, anche come forma di rimedio ad alcuni problemi mentali che la stavano progressivamente interessando. Sotto l’aspetto stilistico, se i suoi primi scritti sono ancora in una linea tradizionale, con Monday or Tuesday e Jacob’s room iniziano ad evidenziarsi i motivi e i ritmi autobiografici che caratterizzeranno le sue opere maggiori.


Virginia Woolf fu una delle prime scrittrici femministe sia in senso politico (tra l’altro, sostenne il movimento per il voto alle donne) sia soprattutto in senso culturale. Mrs Dalloway, Orlando e To the lighthouse sono i testi della sua maturità: pur riecheggiando l’influsso di James Joyce, essi presentano un’impronta personale, che si esprime in un’ampia struttura, un impianto classico, un linguaggio musicale. Fin dai titoli, estremamente semplici, la Woolf manifesta la consapevolezza di voler mostrare la potenza simbolica in cose e persone apparentemente «quotidiane». Gli eventi più semplici fanno parte del ritmo universale della vita.


La scrittrice era afflitta da turbe psichiche, ansie e paure. Tra una crisi e l’altra, nonostante forti debilitazioni, riuscì a comporre molti testi. Anzi, a una sua amica scrisse: «La pazzia è una cosa terrificante, da scongiurare, ma nella sua tempesta di lava io trovo la maggior parte delle cose che scrivo». Questi suoi smarrimenti aumentarono con lo scoppio della seconda guerra mondiale e i bombardamenti tedeschi su Londra. Virginia avvertì che un intero mondo stava per scomparire e ne stava nascendo uno nuovo, fatto di cattiveria e di violenza, e di fronte al quale si sentì impotente. Questa consapevolezza costituì l’ultima spinta verso il suicidio.


Tra le sue opere principali, emerge Mrs Dalloway, libro che vide la luce nel 1925.


La protagonista è Clarissa, una donna della società londinese, moglie di un conservatore, che sostiene i principi tradizionali della politica e ha una sua visione dei diritti della donna. In Clarissa sorgono sentimenti opposti a quelli del marito: infatti avverte un bisogno di libertà e di indipendenza e diventa sempre più cosciente di quanto la condizione femminile abbia bisogno di riscatto e di dignità. Perseverando, tuttavia, nel suo stile di vita fatto di rapporti sociali superficiali e vuoti, Clarissa entra in conflitto con se stessa. Apparentemente felice e perfetta, in realtà si addentra in un tunnel di tristezza e d’insoddisfazione, che si esprime anche nella sfera affettiva ed emozionale. La donna si sente soffocare in questa situazione di ambiguità e di frustrazione e prende sempre più coscienza di vivere una vita diversa da quella che vorrebbe.


Tutta la vicenda del romanzo è racchiusa in un giorno di giugno del 1923. La signora Dalloway si reca a comprare dei fiori per un ricevimento che ha intenzione di dare la stessa sera. All’improvviso, distratta da un’auto che passa rumorosamente per la strada, vede Septimus, un veterano della prima guerra mondiale, che sta passeggiando con la moglie Lucrezia. L’uomo, essendo afflitto da turbe mentali, è costretto a frequentare uno psicologo. Dopo aver comprato i fiori, la protagonista torna a casa, dove riceve la visita inaspettata di un amico d’infanzia; questi, a sua volta, incontrerà la coppia precedente dallo psicologo. Septimus, in seguito alla visita medica, dovrà essere rinchiuso in una clinica; ma egli preferisce suicidarsi sotto gli occhi della moglie. Poco più tardi, ha inizio il party di Clarissa, al quale partecipa anche lo psicologo, in ritardo a causa del suicidio di Septimus. Appresa la notizia della morte di lui, la protagonista del romanzo, pur non conoscendolo personalmente, prova una forte inquietudine e si riconosce nella vicenda del suicida. È questo decesso a svegliarla dal delirio onirico nel quale stava precipitando in modo permanente e suscita in lei una profonda meditazione sulla morte.


Come si vede, dunque, la trama del racconto è estremamente ridotta. In una prima parte del libro, Clarissa è presentata mentre passeggia per le vie di Londra, tutta presa dai ricordi di parenti e amici. L’autrice si concentra sui monologhi interiori della protagonista, i moments of being: qualsiasi oggetto contiene in sé la chiave per avviare le nostre memorie. Così anche una foglia che cade dall’albero suscita in Clarissa il ricordo della sua passione per la danza o per le cavalcate in campagna. È un flusso continuo, il cosiddetto «flusso di coscienza», profondamente introspettivo: tutto ciò che, come un fiume, passa nella mente della protagonista in questo breve segmento di tempo è il vero soggetto del racconto. Continuità e discontinuità, memoria e progetto, coscienza del tempo, fissità e divenire, volontà di potenza e consapevolezza di fragilità, i «no» accumulati e la perdita delle speranze, …


Man mano che ci si addentra nel racconto, appaiono i vari personaggi che, nell’insieme, formano quella società borghese della quale la Woolf era parte integrante ma dalla quale cercava di prendere le distanze. Clarissa «è» Virginia. Ella incarna quella società inglese di inizio Novecento, con i pregi e i difetti; è un prodotto tipico di quella cultura, ma lei vive questa appartenenza con un senso di angoscia. Avverte la frustrazione di un ruolo sociale che non riesce più a condividere. Avverte un conflitto lacerante con se stessa e con il mondo di valori che è stata costretta a rappresentare.


Coprotagonista è Septimus. Anzi, potremmo considerarlo un alter-ego della protagonista. In lui Clarissa-Virginia trova lo sfogo da se stessa e dal proprio «mostro» interiore: Septimus, una figura degna di Shakespeare, è sull’orlo della follia e precipita in una solitudine sempre più oscura.


Altro personaggio è Sally, una donna verso la quale Clarissa sente attrazione. Il suo carattere ribelle e privo di regole esercita un fascino misterioso e potente su di lei. Eppure Sally ha sposato un uomo di umili condizioni; perciò Clarissa non la va a visitare. Contraddizioni che si accumulano e s’intrecciano nella straordinaria partitura della narrazione.


Altri personaggi, altre contraddizioni: Clarissa è stata innamorata di Peter Walsh, ma ha sposato Richard Dalloway. Il primo è uno spirito libero, il secondo è ricco, nobile e ben inserito nella società. Ancora: la signora Kilman, insegnante della figlia, con la sua cieca fiducia in Dio, rappresentante di una religione esteriore e dispotica. E potremmo continuare, proprio come il fiume di ricordi e di sensazioni che fanno pressione nella coscienza di Clarissa.


Ebbene, proprio in questo «carcere» nel quale Clarissa vive e agisce, irrompe il mondo reale con la notizia della morte di Septimus, «uno sconosciuto, forse un folle, morto gettandosi dalla finestra». Ecco, un folle! È grazie alla follia del suicida che Clarissa prende coscienza della follia dorata e contraddittoria nella quale lei è immersa.


Il sonno della ragione ha generato, sì, il mostro del suicidio, ma anche la presa di coscienza di un’universale vulnerabilità, il punto terminale di un percorso.


Identificandosi con le sue creature letterarie, qualche giorno prima della morte Virginia Woolf scrisse al marito: «Carissimo, sento proprio che sto per impazzire di nuovo. So che non possiamo assolutamente affrontare di nuovo quei momenti terribili. E questa volta non guarirò».


Le acque del fiume Ouse, nel Sussex, accolsero il corpo di Virginia Woolf. Alle 11,30 del mattino, all’età di 59 anni, la grande scrittrice prese il bastone da passeggio e, dopo essersi messa una pesante pietra nella tasca del vestito, si immerse nel corso d’acqua e si lasciò annegare.