Dopo il successo della prima edizione, il formato vincente di “Something À La Mode” trunk show creato dalla Fashion Curator Veronica Sheynina, è tornato a Milano durante la MFW con due nuovi stilisti.
Presentando una collezione eco-sostenibile realizzata completamente in lino il brand made in Russia VOLTRY.
E la stilista Italiana SOFIA ALEMANI che dopo la Montecarlo FW e Alta Roma ha scelto l’evento “Something À La Mode” per presentare le sue nuove eclettiche creazioni.
VOLTRY è un brand Russo eco-sostenibile specializzato da più di 50 anni nella lavorazione del filato di lino ecologico, trasformando i capi in veri trend. Il brand è stato il primo in Russia a utilizzare il filato di lino ecologico per la produzione di maglieria ed è diventata il leader assoluto del settore in Russia.
La produzione è focalizzata sui capi in tessuto di lino con l’uso dei vari metodi di lavorazione a mano che rendono ogni capo VOLTRY unico ed esclusivo.
La visionaria Designer SOFIA ALEMANI presenta la sua collezione “XXL vs XXS Capsule”, dove il concetto curvy esplode finalmente nella gioia di mille colori e luci di paillettes esibite nel segno del massimalismo.
SOFIA ALEMANI presenta un approccio spontaneo e curioso al tessuto, dove nulla è scontato. Così il diritto lascia il posto al rovescio, creando inedite percezioni e suggestioni tattili inesplorate.
“Con questa speciale capsule di capi prêt a couture ad ispirazione sport chic – spiega Sofia Alemani – desidero ringraziare le mie clienti che sono tutte donne vere e di tante età e taglie diverse. Le ringrazio perché credono ancora nella qualità e nella creatività dei capi sartoriali, fatti su misura e immaginati per valorizzare al massimo la bellezza di ciascuna”.
Rani Zakhem torna a sfilare sulle passerelle di AltaRoma all’insegna delloStudio 54, dei colori, dei ricami e della audacia. La palette è una costante mutazione di colori, dal giallo al bluette, che si susseguono negli abiti in organza di seta, chiffon, tulle o raso prezioso.
La donna di Rani Zakhem è una donna coraggiosa che si mette in mostra senza mai essere volgare.
Dopo le sfilate di alta moda autunno-inverno 2017 /2018 della Haute Couture di Parigi, Antonio Grimaldi apre le porte del suo nuovo atelier, presentando la sua collezione nella suggestiva scenografia di Palazzo Besso a Largo di Torre Argentina. la sua proposta è quella di sottolineare forme e pregi della donna.
“Vivo e lavoro a Roma, Palazzo Besso è la mia seconda casa e sono felice di festeggiare l’apertura del nuovo atelier nella Capitale. In questa città sono nato professionalmente e qui ho imparato l’arte della Couture e i segreti dell’alta moda” dichiaraAntonio Grimaldi.
L’Accademia Koefia ha presentato una collezione realizzata dai 46 studenti del terzo anno ispirata alla “STRADA”: ai suoi stili, ai suoi ritmi e i suoi artisti circensi di Felliniana memoria. Tema dominante è il Denim che, personalizzato, ricamato, dipinto e mixato con altri materiali, crea un filo conduttore tra le storie raccontate in passerella.
I blue jeans vengono contaminati da preziosi dettagli, accostamenti di tessuti come il tulle, la seta oltre a molteplici trattamenti.
La strada narra, anche oggi, il grande circo della vita e del quotidiano, come quello di Roma: città eterna, amata e maledetta. Un racconto che parla di lei, dei suoi usi e costumi perché, in fondo si sa, tutte le strade portano a Roma.
Se il collezionismo di moda avesse un volto, sarebbe certamente il suo: il guardaroba di Cecilia Matteucci Lavarini, icona di stile contemporanea e protagonista del jet-set milanese e non solo, vanta oltre 3000 pezzi, tra haute couture e prêt-à-porter.
Donna di raro charme, nel mondo patinato della collezionista sembra quasi di trovarsi in una dimensione onirica, sospesa nel tempo, in bilico tra echi Art Déco e suggestioni barocche, nelle sete preziose dei suoi kimono o ancora nelle piume e nei copricapi istrionici spesso sfoggiati durante eventi ufficiali e gala. Nata in Toscana, ma bolognese di adozione, Donna Cecilia già da bambina mostra una naturale inclinazione per la moda, negli immensi pomeriggi trascorsi nei Grandi Magazzini Lavarini, di proprietà dei genitori. Dopo il matrimonio si trasferisce a Bologna.
Dior, Chanel, Saint Laurent sono solo alcuni dei brand che figurano nell’archivio immenso dell’iconica collezionista, sublime incarnazione di uno stile che unisce citazioni erudite, un senso spiccato per la storia del costume ed una personalità esplosiva.
Algida e sottile, eccentrica e fieramente sopra le righe, Cecilia Matteucci Lavarini predilige nel suo archivio un gusto fine e ricercato, che l’ha portata negli anni a scovare vere e proprie perle, come gli amati kimono giapponesi risalenti all’Ottocento, i capi firmati da Biki ed appartenuti a Maria Callas, accanto a tailleur Chanel, capi Dior, Balenciaga, Saint Laurent, che spaziano dagli anni Venti agli anni Novanta.
Una collezione iniziata negli anni Ottanta, la sua, quando l’icona fashion acquistò il primo capo vintage in un mercatino di Forte dei Marmi. Il resto è storia: da allora la passione per il collezionismo di moda non è mai finita e Donna Cecilia è presenza fissa nelle aste più importanti del mondo, da Sotheby’s a Christie’s.
Lei, che asserisce che il vestirsi bene è paragonabile ad una forma di cultura, ama definirsi eclettica. Tra i capi indossati anche uno smoking maschile, appartenuto al marito: un secco no invece per quanto concerne piumini o infradito, che l’icona aborre.
Tra i designer contemporanei più amati spicca in assoluto Alessandro Michele, considerato enfant prodige della moda italiana. Inoltre la collezionista adora anche il genio di Lagerfeld e l’estro di Galliano. Il suo smisurato archivio è già destinato alla galleria del Costume di Palazzo Pitti, realtà affermata a cui la collezionista ha già ammesso di aver fatto testamento: a loro spetteranno gli spettacolari capi della sua collezione, un patrimonio unico da salvaguardare con cura.
Poche donne al mondo possono vantare una vita degna di un romanzo d’appendice: Rosamond Bernier, icona di stile tra le più longeve al mondo, ha vissuto in modo a dir poco avventuroso, forte di uno spirito indomito e di una personalità poliedrica e versatile. Donna dalla smisurata levatura culturale, l’esperta d’arte più glamour del mondo nel corso della sua rocambolesca esistenza ha pilotato aeroplani, domato animali selvatici e rivoluzionato più volte la propria vita, reinventandola secondo il proprio gusto personale, grazie ad una innata capacità di gestire in modo a lei favorevole gli eventi storici e le vicende personali. F. Scott Fitzgerald l’avrebbe adorata, per la proverbiale nonchalance con cui affrontò anche i momenti più difficili, sempre impeccabile, tra fili di perle e capi haute couture. Tra le intellettuali più amate del Dopoguerra, Rosamond Bernier, oggi centenaria, vanta una lunga e sfavillante carriera in perenne bilico tra moda e arte. Tre matrimoni alle spalle e tanti viaggi per l’icona di stile, che ha vissuto ad Acapulco, Parigi e New York.
Rosamond Margaret Rosenbaum è nata a Philadelphia il primo ottobre 1916. Suo padre, il facoltoso avvocato ed ex colonnello dell’esercito Samuel R. Rosenbaum, è figlio di immigrati ebrei ungheresi. La madre, l’inglese Rosamond May Rawlins, muore quando Rosamond ha appena 8 anni. Rosenbaum tiene molto alla formazione della figlia e assume per lei una governante francese che le insegnerà anche la lingua. Rosamond cresce di bell’aspetto, con una figura elegante e uno charme innato. Il glamour fa già parte del suo DNA quando la vediamo suonare come arpista alla Philadelphia Orchestra Association, di cui il padre è vice presidente nonché membro del consiglio di amministrazione dal 1928 al 1967. Qui Rosamond, di indole timida, si trova davanti a personalità illustri, tra cui Leopold Stokowski, Otto Klemperer, Aaron Copland e Leonard Bernstein, che resteranno suoi amici per la vita. Rosamond studia in Francia, in Inghilterra e al Sarah Lawrence College di New York. Ma abbandona ben presto il college per convolare a nozze con Lewis A. Riley Jr., con cui si trasferisce ad Acapulco, in Messico, Paese in cui vivrà per ben dieci anni.
Sono gli anni Quaranta e il Messico è ancora uno scenario incorrotto, tra le baie mozzafiato e la natura lussureggiante. Rosamond possiede uno zoo privato in cui figurano leopardi, scimmie e uccelli tropicali; si ha perfino notizia di un pinguino da lei salvato sulla costa. Numerose sono le foto che la ritraggono in costume da bagno, accanto ai suoi amati animali. Il marito Riley possiede un piccolo aeroplano che le insegna anche a pilotare. Tuttavia l’indomita curiosità di Rosamond non riesce a farle apprezzare pienamente la sua nuova vita da americana espatriata e le atmosfere esotiche non sono sufficienti a placare il suo spirito, alla costante ricerca di novità. Ben presto la giovane inizia ad organizzare mostre ed esposizioni d’arte insieme al marito. Nel suo circolo di amicizie spiccano Malcolm Lowry, Frida Kahlo e Diego Rivera, solo per citarne alcuni.
Di Frida Kahlo dirà: “Il suo vocabolario, sia in inglese che in spagnolo, avrebbe fatto arrossire un camionista”. Fu proprio Rosamond Bernier a notare per prima la bellezza dell’artista, il suo stile iconico e, non ultima, la sofferenza derivante dalle tante infedeltà di Diego Rivera. Nelle sue memorie l’icona ricorderà che un giorno la celebre pittrice la prese da parte e le disse: “Vieni, ti sistemo io”. In pochi minuti Rosamond Bernier si ritrovò truccata e pettinata come la Kahlo, che la vestì secondo il suo stile, con le tipiche gonnellone a stampa patchwork e i gioielli in stile precolombiano.
Ricordando il periodo della sua vita trascorso in Messico, Bernier dirà: “Era un posto in cui sentivi che tutto doveva ancora essere inventato”. Lei ne amò l’architettura, l’arte popolare, i colori, la natura e il fermento culturale che proprio in quegli anni stava sbocciando.
Il matrimonio tra Rosamond e Riley giunge presto al capolinea. I due si lasciano senza serbare alcun rancore: lui si risposa con l’avvenente attrice Dolores Del Rio mentre Rosamond prende in affitto una casa di proprietà di Nada Patcevitch, moglie di uno dei capi di Condé Nast, Iva Patcevitch. Nel 1946 Rosamond si traferisce a New York. La sua formazione classica e l’interesse per le arti costituiscono quasi un unicum nel panorama intellettuale dell’epoca: Rosamond parla correntemente inglese, francese e spagnolo e possiede un amplissimo bagaglio culturale. Un nuovo prestigioso incarico non tarda ad arrivare: ad assumerla è Vogue America, la Bibbia della moda. Ed è proprio Patcevitch a notare per primo le sue qualità, insieme alla editor-in-chief Edna Chase e alla editor Allene Talmey. Dapprima Rosamond diviene fashion editor ma ben presto allarga la sua cerchia di indagine all’arte.
Nel 1947 Vogue la manda a Parigi per documentare la rinascita artistica e culturale della Capitale francese nel Dopoguerra. Qui la vita è difficile: Rosamond soffre il freddo e per la prima volta in vita sua si trova smarrita. “Non avevo idea di cosa dovessi fare”, dichiarerà anni dopo nelle sue memorie. Ma alla giovane non manca lo spirito di iniziativa: mette a punto una linea editoriale ben precisa e decide di partire da Marcel Proust, intervistando luoghi e persone associati al grande scrittore. Ad immortalare i suoi reportage il fotografo Erwin Blumenfeld. Il primo personaggio che intervista è Jean Cocteau. In breve l’editor stringe amicizia con Pablo Picasso, che ne adora l’accento messicano, Henri Matisse, Georges Braque, Fernand Léger, Joan Miró, David Hockney, Jerome Robbins, Max Ernst e Alberto Giacometti. Bernier risiede all’Hôtel de Crillon, dove può usufruire di molti privilegi, a partire dall’acqua calda. Perfettamente a proprio agio nei circoli bohémien, si diletta tra le stravaganze della baronessa Pauline de Rothschild, sua grande amica, che la ospita spesso a Château Mouton Rothschild.
Il secondo conflitto mondiale aveva lasciato cicatrici profonde in seno all’economia francese e l’haute couture stava lentamente riprendendosi. Come dichiarerà la stessa Bernier nella sua autobiografia, “Uno stipendio di Vogue all’epoca poteva nutrire un topolino ma i couturier erano straordinariamente carini con me”. Tra i suoi stilisti prediletti dell’epoca spicca Elsa Schiaparelli. Alexander Liberman, celebre art director di Vogue, si disse stupito, parlando di Rosamond Bernier, di come a volte proprio le persone più timide riescano ad osare di più. “Affascinò mia madre, il che non era impresa facile”, disse l’autrice Francine du Plessix Gray, figlia di Tatiana du Plessix Liberman e figliastra di Alexander Liberman. “Alex notò tutte le qualità che lei possedeva: carisma, intelligenza, sex appeal, preparazione artistica”. Rosamond aveva una grazia naturale ed era gentile con tutti, specie coi bambini, sebbene non divenne mai madre.
SFOGLIA LA GALLERY:
A 16 anni alla Philadelphia Orchestra
A sei anni col pony Teddy, Philadelphia 1922
Ad Acapulco nel 1938, dove Rosamond si trasferì col primo marito Lewis Riley
Col marito John Russell, critico d’arte del New York Times, sposato nel 1975
Il matrimonio fotografato da Richard Avedon
Con Mirò nel sud della Francia, 1979
Rosamond Bernier in abito Schiaparelli con Mirò, Barcelona, 1954
Rosamond Bernier in Oscar de la Renta
In Chanel, 1996
Rosamond Bernier con Karl Lagerfeld, intervistato da lei per Vogue nel 1996
L’icona nel suo appartamento di Manhattan
Tanti furono gli scoop collezionati dalla giovane, come quello sull’opera di Matisse alla Chapelle du Saint-Marie du Rosaire di Vence e i dipinti di Picasso al Castello dei Grimaldi ad Antibes, oggi divenuto il Musée Picasso. Intervistò Miró nella sua nativa Barcelona, con foto realizzate da Brassaï. Tra gli altri artisti intervistati Henry Moore e Fernand Léger. Quest’ultimo, notando la predilezione della Bernier per le sue opere più controverse, le disse: “Sei una brava ragazza, hai uno stomaco forte”. Durante un’intervista ad Henri Matisse, questi le consigliò di indossare una sciarpa gialla sul suo cappotto arancione Balenciaga. Inoltre riuscì anche ad intervistare Gertrude Stein, immortalata in una celebre foto realizzata da Horst P. Horst nel salone di Pierre Balmain. Non era semplice ritagliarsi una fetta di pubblico sullo sfondo del Dopoguerra, periodo storico in cui gli intellettuali europei erano dichiaratamente anti-americani. Eppure lei ci riuscì e la sua nazionalità americana non smetteva di destare sorpresa data anche la sua perfetta padronanza delle lingue europee.
Nella capitale francese Rosamond trovò un nuovo amore nel giornalista Georges Bernier. La loro storia d’amore durerà vent’anni ma il nome di Bernier nelle sue memorie viene menzionato raramente. Resasi conto che Vogue non dava alle sue interviste lo spazio dovuto, nel 1950 maturò la decisione di lasciare il magazine. Con il nuovo marito nel 1955 diede vita a L’Œil, mensile dedicato all’arte, il cui motto era “Tous les arts, tous les pays, tous les temps.” Bernier diresse il magazine dal 1955 al 1970. La sua massima ambizione era vedere leggere la sua nuova creatura sulla metropolitana e vederne la diffusione, dato anche il prezzo, pari ai 50 centesimi di oggi. Intanto lei era diventata a tutti gli effetti un’icona di stile. Dopo la fondazione di L’OEIL, Madame Grès confezionò per lei ben nove outfit. Presenza fissa dell’International Best Dressed List, Rosamond Bernier sfoggiava abiti da diva. Tra le firme del suo leggendario guardaroba spiccano Chanel, Yves Saint Laurent, Bill Blass, Zandra Rhodes e i gioielli di Kenneth Jay Lane.
Ma ben presto anche la vita che si era creata a Parigi con tanto sudore va in frantumi e Rosamond è costretta ancora una volta a reinventarsi una nuova esistenza, quasi come un gatto dalle nove vite. Un bel giorno del 1970, dopo vent’anni di matrimonio, Georges Bernier le comunica che tra loro è tutto finito. Rosamond si ritrova improvvisamente divorziata e senza lavoro. Ma, granitica com’è, non si perde d’animo e decide di trasferirsi a New York. Qui si apre la terza fase della sua vita. La Grande Mela ha in serbo tante belle sorprese per lei: un nuovo lavoro e un nuovo amore. Rosamond diviene docente di arte al Metropolitan Museum of Art. Qui inizia a tenere lezioni su Matisse, Picasso, Léger, Max Ernst. È la nascita di un mito: le sue eccezionali doti oratorie sono chiare fin da subito e ottengono proseliti da tutto il mondo. Leonard Bernstein scrive di lei: “Madame Bernier ha il dono di una comunicazione di una spontaneità tale come raramente mi è capitato di incontrare”. Rosamond Bernier impartisce più di 250 lezioni di arte al Met dal 1971 al 2008. Inoltre tiene conferenze in numerosi musei di Parigi, come il Grand Palais, il Louvre e il Pompidou Center. Invitata a tenere lezioni di arte anche in India ed Israele, ha condotto interviste per la CBS e Canale Thirteen.
A New York Rosamond incontra anche l’amore della sua vita: è il critico d’arte John Russell, che aveva collaborato saltuariamente per L’OEil e che era da tempo innamorato di lei. Non si era perso una sua lezione al Met ed era solito mandarle fiori. Russell, pur di stare al suo fianco, lascia il suo lavoro al Sunday Times di Londra. Trasferitosi a New York, viene assunto dal New York Times. I due convolano a nozze nel 1975 con una cerimonia organizzata a casa del comune amico Philip Johnson. Tra gli invitati Pierre Matisse, Leo Castelli, John Ashbery, Virgil Thomson, Helen Frankethaler, Stephen Spender, Copland e Andy Warhol. Nel 2008 Russell muore e per lei arriva il ritiro dalle scene, dopo oltre 70 anni di carriera. Il 13 marzo 2008 tiene la sua ultima lezione al Met, dedicata alla sua vita nell’haute couture francese.
L’oratrice è anche autrice di libri di successo: numerosi sono gli aneddoti raccontati nelle sue autobiografie. In “Some of My Lives: A Scrapbook Memoir” (edito da Farrar, Straus and Giroux) ricorda Alberto Giacometti e Karl Lagerfeld. A renderla così amata sono state anche doti quali la sua umiltà e la sua eccezionale umanità, l’ironia, la disciplina e l’ottimismo. “Non mi considero in alcun modo eccezionale. Penso di avere avuto una fortuna eccezionale”, ha detto di sé.
Numerose anche le onorificenze ricevute per il suo contributo alla cultura: nel 1999 ottiene la Legion d’Onore; nel 1980 le viene conferito il premio Chevalier de L’Ordre des Arts et des Lettres; nel 1999 il re Juan Carlos di Spagna le consegna il Cross of Order di Isabel La Catolica. Nel 1999 viene posizionata nella Hall of Fame dell’International Best Dressed List, grazie al suo stile iconico. Tra le sue pubblicazioni “Matisse, Picasso, Miró — As I Knew Them”, uno splendido volume illustrato edito da Alfred A Knopf, testo tradotto poi in francese, tedesco, spagnolo e italiano.
L’icona di stile, che ha da poco festeggiato il traguardo dei cento anni, abita ancora nell’appartamento sull’Upper East Side che ha condiviso per tanti anni con Russell, impreziosito dall’arredamento francese e dai moltissimi oggetti d’arte, come la scultura della coppia realizzata da Louise Bourgeois.
Una parte del suo guardaroba è stata inoltre da lei donata al Costume Institute del Met: trattasi di 19 outfit vintage dal valore inestimabile. Durante la sua ultima lezione, intitolata -neanche a farlo apposta- “Some of My Lives” (Alcune delle mie vite), sei mannequin indossavano alcuni dei capi a lei appartenuti. “Attraverso i vestiti”, disse l’icona in quell’occasione, “puoi raccontare la storia delle persone e dei tempi”.
Sissetta Sinclair è un progetto nato alla fine del 2015. L’alter ego della misteriosa designer (di cui non riveleremo il nome) è preso in prestito dal fumettista statunitense Matt Groening.
Nel DNA del brand si intrecciano il vintage ad un’immaginario esoterico a tratti surrealista. Alessandro Tedesco collabora con la designer come illustratore e traduce le sue visioni in stampe dipinte a mano su pregiate jackets in denim.
Dietro la scelta di intervenire su capi di seconda mano (ovviamente selezionati con cura) si trova, oltre alla precisa volontà di definire uno stile che identifichi il marchio, una scelta etica.
“Credo nel riuso – afferma la designer- e credo anche che possa aiutarci a riappropriarci di quella emotività che il consumismo sta spazzando via”.
I capi sono pezzi unici (non è mai stata ripetuta una grafica uguale all’altra) e personalizzati all’interno con una dedica, spesso presa in prestito da testi musicali; infatti la musica è un’altra grande passione delle due menti creative del progetto.
Noi di D-Art abbiamo rivolto alcune domande alla designer.
1) Una musa che ti perseguita da sempre?
Siouxsie Sioux
2) Ti senti più pop o punk?
Beh, in linea con la mia musa risponderei punk, a costo di sembrare nostalgica.
3) Un posto che sogni di visitare?
Islanda
4) Una canzone che ti ricorda un bel momento… Nightcall nella versione dei London Grammar
5) Il tuo libro preferito e uno che non sei riuscita a finire di leggere. Foglie d’erba di Walt Whitman è il mio preferito, Lacrime e santi di Cioran mai finito.
6) Se fossi una super eroina (buona o malvagia), quale saresti?
La mia idea di eroina si avvicina a Marion di Happy days, look sempre impeccabile sorridente e gentile con tutti.
7) Fashion designer preferito?
Non ho un preferito, però in questo momento sono molto affascinata dal lavoro di Alessandro Michele.
8) L’attore del cuore?
Viggo Mortensen, ma anche Giovanni Ribisi.
La Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia è da sempre luogo privilegiato per il glamour internazionale, crocevia di divi ed esponenti del jet set internazionale. Ad animare il red carpet del Lido nelle edizioni precedenti nomi di attori celebri, da Sophia Loren a Brigitte Bardot.
Il Festival di Venezia, giunto quest’anno alla 73esima edizione, ha visto passare personalità di spicco: come dimenticare la splendida Brigitte Bardot, sbarcata al Lido nel 1958 insieme al cantante Sacha Distel? E ancora, la splendida Sophia Loren, presenza fissa del Festival, immortalata in scatti celebri che ne evidenziano l’intramontabile bellezza.
Da Maria Callas a Wallis Simpson, da Catherine Deneuve a Gene Tierney, fino a Paul Newman: tantissimi sono i divi che hanno incantato la croisette, dal 1932, anno della prima edizione del Festival, ad oggi. Di quel glamour restano oggi le foto, tante, raccolte nell’archivio di Getty Images: immagini splendide che testimoniano un’epoca forse finita, intrisa di un’eleganza vintage difficile da imitare.
SFOGLIA LA GALLERY:
Gina Lollobrigida al Festival del Cinema di Venezia, 1949 (Foto Getty Images)
Lucia Bosé, Venezia, 1950 (Foto Getty Images)
Sophia Loren, 1955 (Foto Getty Images)
Sophia Loren e Machiko Kyo, 1955 (Foto Getty Images)
Anna Magnani al Festival del 1956
Gina Lollobrigida, 1956
Elsa Maxwell e Maria Callas al Festival di Venezia, 1958
Maria Callas a Venezia, 1957
La Bardot con Sacha Distel, 1958
Brigitte Bardot a Venezia, 1958
Brigitte Bardot approda al Lido, 1958
Sophia Loren, 1958 (Foto Getty Images)
Jayne Mansfield ed Enrico Bomba, 1962
(Foto Getty Images)
Monica Vitti al Festival del Cinema di Venezia, 1962 (Foto Archivio Camperaphoto Epoche Venezia)
Claudia Cardinale al Festival di Venezia, 1965
Catherine Deneuve con il fotografo David Bailey, all’epoca suo marito, 1967 (Foto Keystone-FranceGamma-Rapho via Getty Images)
Françoise Hardy al Festival di Venezia, 1969
Claudia Cardinale (Foto Getty Images)
Edoardo VIII e Wallis Simpson
Gene Tierney (Foto Getty Images)
Elizabeth Taylor e Richard Burton a Venezia (Foto Getty Images)
(Foto cover: Claudia Cardinale al Festival di Venezia, 1967)
Per raccontare la collezione uomo primavera/estate 2017Alessandro Michele, dichiara: “Mi sono messo di nuovo nell’atteggiamento di racimolare le cose che mi evocano l’idea di un viaggio. E a me viaggiare non piace: prima mi piaceva poco, ora per niente. Sembra strano, ma non sento il bisogno di spostarmi per viaggiare. Per me il viaggio è un attraversamento da poco, un salto dell’immaginazione. Sto iniziando ad amare l’idea del non sapere, mi piace immaginare le cose che non so, i luoghi che non conosco. [..]Così, un’altra volta ancora, ho fatto un giro lunghissimo e brevissimo immaginando l’acqua e il mare, come fossi James Cook. E poi sono tornato a casa, al mio numero civico, ovvero da Gucci. E l’ho trovata diversa e insieme uguale, come quelle magioni nei romanzi di Jane Austen dove arrivano gli avventurieri e con le loro storie cambiano la percezione del mondo che ha chi resta seduto a immaginare.”
Ma Gucci, in realtà, sta percorrendo una strada oramai chiara a tutti: rinnovare l’estetica del vintage, adattandolo ai giorni nostri.
Capi “gender“, in cui spiccano floride e gentili corolle ricamate; Paperino, il personaggio dei fumetti apprezzato nottetempo da grandi e piccini, disegna simpatici pullover e bomber sportivi. Ecco, il viaggio di Michele, potrebbe essere inteso come un percorso a ritroso nella vita di ognuno di noi.
C’è un tocco british nel defilé di Gucci; l’heritage d’oltremanica si innesta nei pull senza manica, abbinati a camicie, cravatte e trousers taglio sartoriale.
Vestaglie in seta, fungono da capispalla e, non da meno, vengono abbinate con pantofole. Qui l’ispirazione proviene dal Sol Levante a sostegno di una collezione cosmopolita e “girovaga”.
Alessandro Michele, immagina anche un uomo distinto ricreando, però, il pretesto di rendere fresca la collezione con fiori colorati che decorano un severo frac e, allo stesso modo, eleganti smoking.
Si è aperta lo scorso 17 giugno al Palazzo della Ragione di Milano la mostra “William Klein. Il mondo a modo suo”: 150 opere accompagnate da installazioni inedite, per una retrospettiva che si preannuncia già come un evento. Fotografo, artista, cineasta, designer e scrittore, William Klein è delle figure più versatili ed eclettiche della fotografia.
Moda ma non solo, nei suoi scatti iconici: immagini di strada, reportage di scorci cittadini scattati in giro tra Parigi, Roma, Tokyo, avvicinano la moda alla cronaca. Indimenticabili le sue modelle a spasso per la Città Eterna, in bilico tra futurismo e classicità. Ironia e charme senza tempo accompagnano ogni scatto.
Sarà possibile visitare la mostra fino all’11 settembre 2016: già presentata parzialmente alla Tate Modern di Londra e al FOAM di Amsterdam, l’esposizione è completata da un ricco allestimento multimediale.
Nato a New York nel 1928 da una famiglia ebrea di origine ungherese, all’età di 14 anni William Klein si iscrive al City College di New York, dove studia sociologia. Si arruola poi nell’esercito e viene mandato prima in Germania e poi in Francia, dove si stabilisce definitivamente. Nel 1948 si iscrive alla Sorbona, dove studia scultura e pittura, con l’artista Fernand Léger. Le sue opere vengono esposte in diverse occasioni e proprio durante una di queste mostre il fotografo incontra Alexander Liberman, direttore artistico di Vogue, che gli offre una collaborazione.
Nel 1954 rientra a New York, per lavorare ad una sorta di diario fotografico che sarà pubblicato due anni più tardi sotto il titolo “New York” e che gli varrà il premio Nadar. In bilico tra fotografia ed etnografia, tratta i newyorchesi “come un esploratore avrebbe trattato uno zulu”, come spiega lui stesso. Successivamente vola a Roma, dove diviene assistente di Federico Fellini. Alla fine degli anni Cinquanta si avvicina al cinema realizzando diversi film. Intanto collabora attivamente per Vogue, realizzando alcuni degli scatti più famosi della storia della fotografia di moda. E proprio il mondo della moda diviene il soggetto del suo primo film, Who Are You, Polly Maggoo?, una satira declinata nei toni optical degli Swinging Sixties.
Negli anni Ottanta Klein torna ad occuparsi di fotografia e pubblica numerosi libri. Il suo è un approccio ironico ed ambivalente che non disdegna tecniche inusuali per la fotografia di moda e il fotogiornalismo. Considerato tra i padri della fotografia di strada, assieme a Robert Frank, fa ampio uso del grandangolo e del teleobiettivo, della luce naturale e della tecnica del mosso, rifiutando compromessi e regole preimpostate. È stato messo al venticinquesimo posto fra i cento fotografi più influenti dalla rivista Professional Photographer Magazine. Inoltre Klein ha diretto numerosi documentari ed ha prodotto oltre 250 spot televisivi. Nel 1999 è stato insignito della Medaglia del Centenario della Royal Photographic Society, di cui è anche socio onorario. Tra i volumi da lui pubblicati Retrospettiva (2002), Parigi+Klein (2006), Contacts (2008), Roma+Klein (2009), Brooklyn (2014).
(In copertina: Marie-Lise Grès davanti al Teatro dell’Opera, Parigi, Vogue, 1963)
È il film del momento, apprezzato dai cinefili ma anche dagli amanti dello stile. The Dressmaker sdogana l’eleganza senza tempo degli anni Cinquanta. La pellicola, uscita nelle sale italiane lo scorso 28 aprile, è una full immersion nello stile Fifties, con una splendida Kate Winslet come protagonista.
Un tocco di rossetto rosso lacca, curve da capogiro strizzate in mise sensuali, tra corpetti ad alto tasso di seduzione e gonne a ruota: Kate Winslet non è mai stata tanto bella. La storia, ambientata nel 1951, descrive il riscatto di Tilly Dunnage, stilista che torna dopo tanti anni nella sua terra natia, in un immaginario paese australiano, popolato da poche anime. Dopo tanti anni trascorsi nella Parigi dell’haute couture, la prorompente sartina destabilizza l’equilibrio dei suoi concittadini, cercando di aiutare le donne a sviluppare il loro senso estetico.
Dopo aver lasciato il Paese molti anni prima, per salvarsi da una situazione pericolosa, la ragazza studia nei più grandi atelier parigini. Tornata a casa, la donna appare oltremodo eccentrica, quasi una minaccia, per l’angusta e provinciale realtà del luogo. L’unica eccezione è Teddy, interpretato dal sexy Liam Hemsworth.
La rivalsa sociale della bella sarta è tutta in una missione: disegnare abiti su misura per mettere in risalto le forme delle donne. La moda diventa quindi un’arma e un mezzo per riscattarsi da un misterioso passato. Il film è tratto dal romanzo d’esordio di Rosalie Ham: la regia è di Jocelyn Moorhouse. Protagonisti assoluti del film sono i costumi curati da Marion Boyce, pluripremiata costumista hollywoodiana. Mirabili i vestiti da lei disegnati per la protagonista del film: il glamour imperituro degli anni Cinquanta rivive sul grande schermo, riproposto con grande dovizia di particolari. Tra guantini e cappellini bon ton c’è spazio per l’esplosione di curve da vere pin up, ad esaltare la femminilità di ogni donna.
Eleganza e classe. Un allure sofisticato e vintage, avvolge il brand fondato nel 2015, da Virginia Cosentini Pallavicino e Helena Kastner che nasce dalla necessità di poter indossare un capo elegante e casual, allo stesso tempo.
Il body, è il punto di partenza di collezione iper femminile e sensuale. A questo capo iconico, Virginia e Helena hanno accostato eleganti tute e ancora gonne e pantaloni ricercati.
Kastner & Pallavicino: quando nasce l’esigenza di creare la griffe?
Il brand nasce ufficialmente a febbraio del 2015, ma l’idea è nata a Dicembre 2014 mentre eravamo in un hotel di Roma. Stavamo prendendo il solito aperitivo e parlavamo di cosa avremmo potuto metterci la sera stessa per una festa. Non sapendo cosa indossare, ci siamo messe a disegnare, così per gioco, e da lì è nata l’idea del body. Un modo decisamente surreale, ma è stato così. Quindi in questo caso possiamo dire che è nato come un’ esigenza vera e propria, ossia quella di creare un capo elegante e casual allo stesso tempo, da poter indossare in ogni occasione.
Chi sono le fondatrici del brand?
Helena e Virginia si sono conosciute a Roma ma vengono da due background diversi. Helena è austriaca ed ha studiato moda a Roma, mentre Virginia è italiana ed ha studiato filosofia.
L’essenza di Kastner & Pallavicino.
Credo che l’essenza di Kastner e Pallavicino sia proprio il body, che è stato anche lo spunto che ha permesso l’ampliamento della collezione. Il body è nella sua essenza un indumento molto femminile , una volta nascosto sotto le camicie, ora reso come capo essenziale e protagonista! Con il body abbiamo abbinato gonne e pantaloni per poterlo valorizzare nella maniera giusta.
La sua fonte d’ispirazione.
La fonte d’ispirazione è l’eleganza e l’unicità della donna. Oggi giorno avendo accesso a diversi tipi di brand con stili diversi, ma al tempo stesso spesso uguali si perde quel senso di unicità. L’eleganza, perché secondo noi il body e il pantalone/gonna insieme, riescono a valorizzare al meglio la donna con le sue curve, ed accentua la sua bellezza.
L’importanza del body nel guardaroba di una donna.
L’importanza del body sta nella sua versatilità e nella sua praticità. Il fatto che alcuni body sono stati fatti in velluto, o in seta, li si possono abbinare a gonne o a pantaloni da sera ma anche a un bel jeans strappato a vita alta.
Tre aggettivi per definire il marchio.
MIND THE BODY ! Elegante, Pratico, Unico.
Un’ icona di eleganza.
Lady Diana.
Kastner & Pallavicino, oggi.
Oggi Kastner & Pallavicino è ancora in fase di crescita, abbiamo lanciato il brand ufficialmente a settembre 2015 e quindi ancora un po’ acerbo, ma sta già regalando i suoi frutti.
Stampe geometriche e floreali, fiocchi, drappeggi, tripudio di femminilità e sofisticata eleganza e quella sfumatura di rosso che è diventata la sua firma iconica: con una carriera durata più di 40 anni, Valentino Garavani è lo stilista italiano più longevo e più famoso al mondo. Una vita dedicata alla moda, l’arbiter elegantiae italiano è stato l’ultimo imperatore del fashion biz.
All’anagrafe Valentino Clemente Ludovico Garavani, lo stilista è nato a Voghera l’11 maggio 1932. La moda gli scorre nel sangue. Fin da giovanissimo Valentino si sente attratto dalla creatività sartoriale. Dopo aver frequentato una Scuola di figurino a Milano e dopo aver studiato francese alla Berlitz School, si trasferisce a Parigi. Qui studia stilismo alla prestigiosa École de La Chambre Syndicale de la Couture. Negli anni Cinquanta, dopo essersi fatto notare in un importante concorso, indetto dalla Segreteria Internazionale della Lana, viene assunto nella casa di moda di Jean Dessès. Rimasto fortemente colpito dai costumi di scena rosso scarlatto ammirati all’Opera di Barcellona, inizia a concepire nella sua mente il progetto embrionale del rosso valentino, che diverrà la sua firma iconica.
Nel 1955 viene assunto nell’atelier di Guy Laroche, a Parigi. Nel 1957 fonda l’azienda che porta il suo nome insieme ad alcuni soci, tra cui il padre. Tuttavia gli alti costi di gestione portano in breve la casa di moda sull’orlo della bancarotta. Si riuscì a scongiurare il pericolo grazie all’entrata nella società del compagno dello stilista, Giancarlo Giammetti, studente di architettura, con il quale Garavani avvierà una nuova casa di moda, occupandosi esclusivamente dell’aspetto creativo, e lasciando al socio l’aspetto finanziario. I due saranno sentimentalmente legati per oltre dodici anni, vivendo con le rispettive madri.
Nel 1959 l’apertura dello storico atelier, a Roma, in via Condotti. Nel 1962, dopo il trionfo della sua prima collezione a Pitti Moda di Firenze, Valentino diviene in breve uno dei più apprezzati e dei più popolari couturiers del mondo, grazie anche a Consuelo Crespi, editor di Vogue. Sarà però Jacqueline Kennedy a sdoganare le creazioni di Valentino in tutto il mondo: dopo essere rimasta affascinata da un abito del couturier, decide di incontrarlo. Tra i due nasce un sodalizio: li vediamo insieme a Capri, e lui firma per lei lo storico caftano verde acqua, ma anche l’abito per le nozze con Onassis, celebrate nel 1968. Nello stesso anno firma la famosa “collezione bianca”, sulla quale viene impressa la ‘V’ che lo rende riconoscibile nel mondo.
Intanto indossano capi Valentino icone del jet set internazionale, da Sophia Loren a Liz Taylor fino ad Audrey Hepburn. La consacrazione ufficiale avviene su Vogue Paris, che gli dedica ben due pagine. Segue, nel 1967, il conferimento del Premio Neiman Marcus, l’Oscar per la moda. Nello stesso anno arriva la prima collezione uomo. Dagli anni Settanta in poi Valentino veste le donne più famose del mondo ed apre boutique a New York, Parigi, Ginevra, Losanna, Tokyo. Viene creato anche un profumo che porta il suo nome, che nel 1991 sarà seguito dal profumo “Vendetta”. Nel 1971 è ritratto da Andy Warhol. Nel 1985 riceve dal Presidente della Repubblica la decorazione di Grand’Ufficiale dell’Ordine al Merito, nel 1986 il titolo di Cavaliere di Gran Croce, nel 1996 è nominato Cavaliere del Lavoro; nel luglio 2006 gli viene conferita la Legion d’onore, la più alta onorificenza della Repubblica francese. Il marchio è stato rilevato nel 2002 dal Gruppo Marzotto.
SFOGLIA LA GALLERY:
Il famoso rosso Valentino
Valentino Garavani e Diana Vreeland fotografati da Tony Palmieri, 1978
Cappotti Valentino, 1968
Valentino, 1967, foto di Pierre Boulot
Valentino, 1969
Una foto del 1980
Nadja Auermann per Valentino, 1995
Gisele Bundchen per Valentino, AI 2004, foto di Mario Testino
Lo stilista e Natalia Vodianova, 2012, foto di Cathleen Naundorf
Valentino Haute Couture, AI 2004
Valentino Haute Couture Autunno 2005
Valentino Haute Couture, Autunno 1995
Claudia Schiffer per Valentino, AI 1995
Helena Christensen per Valentino
Lo stilista e la top model Helena Christensen
Claudia Schiffer in Valentino, foto di Arthur Elgort
Linda Evangelista per Valentino Haute Couture, ai 1991
Karen Mulder per Valentino, PE 1992, foto di Steven Meisel
Naomi in passerella per Valentino, PE 1992
Kara Young per Valentino, PE 1989, foto di David Bailey
Mirella Petteni in cappotto Valentino, foto di Gian Paolo Barbieri, anni Sessanta
Valentino Garavani e Natalia Vodianova
Natalia Vodianova in passerella per Valentino Haute Couture
Valentino, AI 2006
Veruschka in Valentino, foto di Franco Rubartelli, Roma, 1 aprile 1969, Vogue
Valentino PE 2006
Yasmeen Ghauri per Valentino, PE 1992
Valentino nel suo atelier, 1967
Valentino, 1968, foto Henry Clarke
Virna Lisi in Valentino, 1960
Claudia Schiffer per Valentino
Valentino Spring Summer 2008
Paris Fashion Week
copyright Catwalking.com
Valentino, PE 1969
Yasmine Le Bon per Valentino, 1988, foto di David Bailey
Ali Dunne per Valentino, PE 1988, foto di David Bailey
Benedetta Barzini in Valentino, foto di Henry Clarke, Roma 1968
Valentino, 1969
Valentino, 1958, foto di Federico Garolla
Mirella Petteni in Valentino, foto di Gian Paolo Barbieri
Cappotto Valentino, foto di Henry Clarke, Sicilia, 1967
Valentino, foto di Johnny Moncada, 1965
Iman in Valentino per Vogue, foto di Stan Malinowski, 1980
Audrey Hepburn in Valentino, foto di Gian Paolo Barbieri, Vogue Italia, Roma 1969
Veruschka in Valentino, PE 1967
Modella in Valentino, foto di Henry Clarke, 1970
Christy Turlington in Calentino, Vogue Italia 1991, foto di Walter Chin
Cindy Crawford per Valentino, PE 1989, foto di David Bailey
Karen Mulder per Valentino
Valentino AI 1991
Nel 2007 arriva la decisione storica di ritirarsi. Dopo 45 anni di attività, il 4 settembre del 2007 il maestro dice addio alla moda, celebrato con tre giorni di festeggiamenti tra Roma e Parigi, tra il 6 e l’8 luglio 2007. A prendere le redini del marchio è Alessandra Facchinetti, ma dopo due sole collezioni la direzione creativa dello storico brand passa a Maria Grazia Chiuri e Pierpaolo Piccioli, già alla guida della linea degli accessori del brand da oltre dieci anni. Segue il film-documentario Valentino: The Last Emperor, diretto dal regista statunitense Matt Tyrnauer, pellicola che segue gli ultimi due anni di attività dello stilista. Il 7 settembre 2011 Valentino è stato onorato presso il Fashion Institute of Technology di New York con il premio Couture Council Award 2011.
Tantissime le collezioni che hanno fatto storia: Valentino è stato protagonista indiscusso della moda italiana ed internazionale dagli anni Cinquanta fino al Duemila. Hanno vestito i suoi capi attrici del calibro di Elizabeth Hurley e Julia Roberts -solo per citarne alcune. La Roberts ha ritirato l’Oscar, nel 2001, in un Valentino vintage. Tra le passioni del couturier l’interior design e il collezionismo d’arte. Lo stilista è stato protagonista del libro “Valentino: At the Emperor’s table”, che raccoglie le foto delle sue sfarzose dimore.
(Foto cover Lorenzo Agius/Contour by Getty Images)