Il Museo Diocesano di Milano ospita, per l’undicesimo anno di fila, un capolavoro di Pittura Sacra.
Un Capolavoro per Milano, questo il nome dell’iniziativa che si svolge, ogni anno, durante il periodo natalizio, vede, per il 2018, protagonista un dipinto di Paolo Veronese, L’Adorazione dei Magi, proveniente dalla chiesa di Santa Corona a Vicenza.
La speciale esposizione, curata da Nadia Righi, ha luogo, presso la sede museale accanto alla Basilica di Sant’Eustorgio, dal 30 ottobre 2018 al 20 gennaio 2019 e ha il patrocinio dell’Arcidiocesi di Milano, del Comune, della Regione Lombardia e del Municipio di Vicenza. Sponsor è UBI Banca, special partner Trenord.
Paolo Caliari, detto il Veronese dalla città in cui nacque nel 1528, fu uno dei maggiori esponenti del Rinascimento veneto. Formatosi a Verona nella bottega di Antonio Badile, sin da giovane si avvicinò alla lezione emiliana di Correggio e Parmigianino, con un sapiente uso del colore e della luce, che rimase la cifra stilistica della sua Arte. Con l’inizio degli anni ’50, Paolo si trasferì a Venezia, dove ebbe modo di osservare da vicino le opere di Tiziano e dove iniziò ad affermarsi come maestro, tra pale d’altare, ritratti e affreschi. La prima grande committenza pubblica affidatagli a Venezia fu la decorazione, con teleri (serie di grandi dipinti su tela, secondo una tradizione tipicamente veneta), destinate alle Sale dei Dieci a Palazzo Ducale. Correva l’anno 1553 e il venticinquenne Paolo ottenne una fama straordinaria grazie a questo ciclo, di argomento mitologico, in cui instaurò un gioco luce-colore tutto personale, con effetti cangianti e un taglio scenografico che sarebbe divenuto cifra stilistica. Dal 1554-56 iniziò un secondo ciclo, questa volta di taglio sacro, per il soffitto della chiesa di San Sebastiano, in cui fece progredire il taglio scenografico con l’uso di una nuova componente: audaci elementi architettonici, finti portici, colonne e balaustre, che trasformarono i suoi episodi decorativi in quinte teatrali a tutti gli effetti. In conseguenza di questo successo, la nobile famiglia veneziana dei Barbaro decise di chiamare Paolo, nel 1560, a decorare la villa di famiglia a Maser, vicino Asolo, progettata da Andrea Palladio: ai piedi del Monte Grappa, Veronese lasciò un autentico capolavoro sulle pareti della dimora di campagna dei Barbaro, con figure che si muovono all’interno di quinte architettoniche dipinte e quasi scherzano con i visitatori. Fu il trionfo di quello che, da quel momento, venne chiamato “veronesismo”. Il programma iconografico, legato al tema dell’Armonia e del Cosmo governato dalla Divina Sapienza, venne trattato da Paolo con il suo linguaggio più maturo, un colore ormai schiarito da una luce intensa e penetrante, che media, in chiave veneta, il linguaggio manierista, in particolare la lezione della Sala dei Giganti di Giulio Romano a Palazzo Te di Mantova, adattandola al rigore dell’architettura di Palladio. Dopo l’esperienza di Maser, Paolo si dedicò, fino al 1570, alle enormi tele chiamate, dalla critica, le “Cene”, grandiose feste veneziane, inquadrate all’interno di scenografiche quinte architettoniche, destinate a divenire modelli compositivi per i due secoli successivi, in cui sacro e profano si fondono all’interno di vere e proprie rappresentazioni teatrali dipinte, come provano le Nozze di Cana destinate alla Basilica di San Giorgio Maggiore. Con gli anni ’70, Veronese adattò il suo linguaggio a quello della Controriforma, lavorando, per tutti gli ultimi anni di vita, a pale d’altare ancora fortemente scenografiche, ma più improntate a un certo tono dottrinario, come prova proprio la pala di Vicenza, ma anche il colossale Martirio di Santa Giustina per l’omonima basilica di Padova o il Battesimo di Cristo per il Duomo di Latisana, in Friuli. In questi ultimi anni, Veronese, però, continuò a dedicarsi anche alla Pittura profana, con dipinti mitologici, tra cui spicca la fantastica Venere e Adone, destinati all’imperatore Rodolfo II d’Asburgo, ma anche con nuove tele destinate a Palazzo Ducale dopo la sua parziale distruzione dopo l’incendio del 1577, dove lavorò accanto a Tintoretto e Jacopo Bassano, con un tono trionfale destinato a celebrare la potenza veneziana “par Terra e par mar”. I suoi ultimi dieci anni di produzione furono caratterizzati esclusivamente dalla produzione sacra, legata alla sempre maggiore pressione controriformistica degli ordini religiosi e alla paura dell’invasione musulmana, e segnata da un linguaggio tenebroso, vicino a quello, in voga, dei Bassano, come prova il suo ultimo dipinto, La conversione di San Pantaleone, lontanissimo, nella sua oscurità, dalle prove delle Cene e di Maser. Paolo Veronese morì a Venezia nel 1588, lasciando in eredità un modus operandi che avrebbe caratterizzato la Pittura veneta del Seicento e, ancor più, del Settecento, tanto che, due secoli dopo l’opera del Caliari, qualcuno definì un altro artista veneziano “Veronese redivivo”: Giambattista Tiepolo.
La pala di Vicenza, di notevoli dimensioni (320×234 cm), venne realizzata da Paolo Veronese nel 1573-75, quindi nel bel mezzo della sua prima produzione controriformistica, per la chiesa di Santa Corona, allora officiata dai Domenicani e famosa, in città, per la ricchezza del suo corredo pittorico rinascimentale, da Giovanni Bellini a Bartolomeo Montagna, da Francesco Maffei ad Alessandro Maganza, e settecentesco, con una pala di Giambattista Pittoni. La pala venne collocata all’interno della cappella della Sacra Spina, dove, pare, sia conservata una reliquia della Croce, mentre, oggi, è collocata nella terza cappella della navata destra, dedicata a San Giuseppe. Committente fu un mercante di stoffe, Marcantonio Cogollo, che, in quegli anni, stava ampliando i suoi commerci verso il Tirolo e il Sud della Germania.
Il linguaggio di Veronese, in questa pala, è scenografico, e l’ambientazione notturna del dipinto rende ancora più serrato il dialogo tra le figure e l’ambiente circostante. La scelta di collocare l’elemento architettonico sull’estrema destra del dipinto fa riferimento al modello della Pala Pesaro di Tiziano nella chiesa veneziana dei Frari, ma, a farla da padrone, sono le diagonali create dai giochi di sguardi tra i personaggi e segnate, quasi geometricamente, dagli elementi architettonici. C’è molta intensità nel modo in cui la Vergine e il Bambino guardano i Magi inginocchiati in primo piano. Proprio i tre re venuti a portare al piccolo Gesù oro, incenso e mirra sono il centro della composizione e, anzi, vengono attualizzati da Paolo con ricche vesti rosse e blu, oltre che trasformati in nobili dell’epoca, accompagnati da paggi, cavalli e due cani, proprio come i signori veneti che gli commissionavano pale e ritratti. I Magi tengono, nelle loro mani, preziosi oggetti che sembrano usciti da una bottega orafa dell’epoca e si muovono come attori di una Sacra Rappresentazione. I tre, con tutto il loro seguito, sono abbigliati con vesti ricche e scintillanti, un vero campionario di stoffe e broccati, molto probabilmente con allusione ai tessuti commerciati dal Cogollo. Nel dipinto vicentino, le figure si muovono come su un vero palcoscenico, visto che il nostro occhio le percepisce come spinte in primo piano, sullo sfondo di un cielo nuvoloso che diviene quasi quinta teatrale, dai toni drammatici che simboleggiano il presagio della Passione di Cristo. La monumentalità è evidente nel punto di vista rialzato, ma anche nella teatralità della parte sinistra, dove, in uno spazio vuoto, aperto verso la campagna, si nota la grandiosità del corteo. Dietro ai re, un uomo barbuto fa capolino accanto a un cavallo: è proprio Marcantonio Cogollo, riconoscibile per le sue insegne sul paraocchi dell’animale. La figura della Vergine è in asse con la colonna alle sue spalle. Quest’ultima ha due significati, uno architettonico, legato al modello palladiano, che sarebbe divenuto cifra stilistica per i secoli successivi (si veda la simile impostazione nella Madonna col Bambino di Sebastiano Ricci in San Giorgio Maggiore a Venezia) e un altro dottrinario, simbolo del Cristianesimo che abbatte il paganesimo, rappresentato dalla capanna.
Paolo Veronese, L’Adorazione dei Magi
Museo Diocesano, Piazza Sant’Eustorgio 3, Milano
Orari: martedì – domenica 10.00-18.00
Biglietti: Intero 8,00 € (compresa la visita al Museo, alla Basilica di Sant’Eustorgio e alla Cappella Portinari); ridotto 6,00 €
Info: tel. 02.89420019; 02 89402671; www.museodiocesano.it