Cosa sta accadendo nel sistema bancario italiano?
Ci sono notizie che solo apparentemente sono separate e indipendenti tra loro, ma che delineano uno scenario preciso. Proviamo a mettere insieme i pezzi.
Intanto la crisi di Monte dei Paschi di Siena, storica banca toscana che per ragioni principalmente di potere locale e interessi particolari non ha mai fatto parte del giro delle grandi fusioni bancassicurative degli scorsi vent’anni, quando forse sarebbe stato il momento non solo opportuno da un punto di vista di mercato, ma anche e soprattutto sotto il profilo industriale in prospettiva di crescita.
Forse, anche in questo caso, tuttavia, occorre chiedersi se la volontà non fosse proprio quella di evitare – come accaduto in varie occasioni – che si formasse un altro gruppo capace di contendere le posizioni decisamente dominanti di Intesa e Unicredit, ad esempio.
Altro tema aperto è quello dei piccoli istituti di credito in crisi (Banca Etruria…).
Questi quattro casi sono rilevanti per almeno tre motivi.
Il primo è che si tratta del primo test italiano dell’era euro di messa in liquidazione di istituti di credito, ed è un test perfetto per verificare la tenuta della nostra normativa nazionale rispetto alle regole europee finanziarie e monetarie.
Il secondo, è che questa è stata l’occasione per mettere mano al settore bancario ponendo l’accento sulla necessità di aumentare la patrimonializzazione e la capitalizzazione soprattutto degli istituti di medie e piccole dimensioni.
Il terzo, è che è stata l’occasione per mettere in piedi, presentandola come misura urgente e necessaria, il sistema del cd. fondo Atlante, ovvero quello strumento che consente e consentirà alle banche di “cedere” gran parte del passivo, ripulendo i propri bilanci per complessivi 150 miliardi di euro.
Poi c’è la questione della prevedibile fusione delle banche popolari. Sia per le ragioni già dette, sia per le nuove normative, sia – soprattutto – per esigenze di mercato: per essere in grado di rispettare parametri patrimoniali e di capacità di erogazione.
Tutti i punti, apparentemente slegati tra loro, di cui abbiamo parlato riaprono il grande tema – in Italia particolarmente delicato – delle grandi acquisizioni, specie in materia bancaria.
In questo settore la storia del nostro paese è letteralmente divisa in tre.
Da una parte gli istituti legati ai grandi gruppi industriali (Credito Italiano, San Paolo di Torino, Banca di Roma, Mediobanca, Mediolanum) da un’altra le grandi banche legate allo sviluppo locale (Monte Paschi, Banco di Napoli, Banco di Sicilia etc) ed infine la galassia delle banche provinciali, legate alle storie dei comuni e delle provincie, in un’epoca in cui il nostro paese era prevalentemente agricolo e basato sulla piccola impresa locale (e qui la galassia delle casse di risparmio e delle popolari è frastagliata quanto la penisola).
È evidente che questo sistema non può reggere né alla moneta unica, né all’Europa Unita, men che meno al mondo globalizzato in cui sono chiamati ad operate gli istituti di credito quanto – e prima – le imprese.
Ammodernare, rendere solido, rendere competitivo il sistema del credito è necessario quanto una infrastruttura nazionale e una riforma istituzionale.
E tuttavia la maggiore resistenza – e il massimo grado di incertezza e di rischio di mancanza di trasparenza – nasce proprio dagli interessi locali che vedono minate le posizioni di piccolo potere territoriale. E il tema riguarda la politica quanto il mondo dell’impresa.
A leggere i bilanci, le delibere estive dei consigli di amministrazione, le decisioni in termini di riserve e accantonamenti, lo scenario dei prossimi mesi (orientativamente da settembre a marzo) sarà più o meno il seguente.
Unicredit probabilmente acquisirà MPS.
Un percorso tracciato da tempo, da quando Alessandro Profumo (vicino a Renzi), artefice e creatore del primo gruppo bancario italiano, andò proprio in MPS come Presidente. In una situazione complessa, in cui almeno riuscì a evitare la chiusura del’Istituto, che se oggi è in difficoltà ma acquisibile è anche un po’ grazie a lui.
Banca Intesa probabilmente acquisirà il polo delle banche popolari.
Un percorso più lungo che prevede prima la creazione di un unico gruppo, alla cui testa UBI e Popolare di Milano e a seguire tutte le altre. Un percorso tra le righe avviato con quel ruolo apparentemente marginale ricoperto da Bini Smaghi…
Le due operazioni, sostanzialmente dovrebbero avere la stessa dimensione finanziaria, il che lascia intendere più o meno che insieme con MPS ci potrebbe essere qualche altro tassello da inserire, e che probabilmente nei conti finirà molto altro, esattamente come è evidente che prima della costituzione del gruppo delle popolari sarà molto alto il debito che verrà ceduto al fondo Atlante.
Questo per restare nei termini della sostenibilità e solidità delle fusioni da un punto di vista finanziario e contabile. E non senza un forte alleggerimento (in totale circa 60miliardi) del passivo totale di Intesa e di Unicredit.
Queste operazioni non saranno così semplici.
Dovranno fare i conti con i placet europei, con le normative antitrust per evitare eccessive concentrazioni. Probabilmente (come fu per Intesa, Banco di Napoli, Cariparma) sarà necessaria la cessione di molti sportelli per ciascuno dei due gruppi.
Ma è necessaria anche per difendere i nostri istituti di credito da scalate da parte di banche estere.
Nello specifico da un alto abbiamo i tedeschi e alcuni gruppi francesi, dall’altro abbiamo le banche inglesi, che dopo la Brexit hanno la necessità di riposizionarsi finanziariamente sui mercati europei.
E se la BCE con gli stress test ha messo qualche paletto a DeutchBank e Societé Generale, di certo non potrà impedire ad altre grandi banche di acquisire (a prezzi modici e in nome della libera concorrenza europea) la rete degli “sportelli in eccesso” derivanti dalle fusioni.
Non sono tutte brutte notizie, o notizie poco rilevanti per i comuni cittadini.
Ad esempio paradossalmente, con l’ingresso di nuovi gruppi europei ci sarà maggiore concorrenza. E questa concorrenza avverrà tra istituti molto più solidi in cui sarà molto più difficile che i risparmiatori e gli azionisti si ritrovino con gli stessi rischi degli ultimi due anni.
Avremo un sistema meno differenziato: questo significa che servizi, prodotti e condizioni saranno più simili, anche se commercialmente le banche dovranno fare qualcosa per attrarre clienti.
In più – per chi avesse qualche euro da investire ragionando ad almeno uno o due anni – è un buon momento per acquistare azioni bancarie… che poi finisce che gridiamo al complotto, di leggi che favoriscono i grandi finanziari che queste analisi le hanno già fatte.