Le pillole social – Che ne sarà di Twitter? La fine o l’inizio di una nuova era?

Elon Musk è il nuovo proprietario di Twitter

Il CEO di Tesla e SpaceX, nonché uomo più ricco del mondo, secondo i dati trasmessi da Forbes, sarà l’unico proprietario di uno dei più importanti social network al mondo. 

La trattativa si completerà entro la fine del 2022 e già in questi giorni la domanda più gettonata è “che cosa ne sarà di Twitter? Come si trasformerà?”

Ciò che appare certo, stando alle parole del CEO, è che le vigenti regole comunicative estremamente rigide, che avevano portato al ban definitivo da Twitter di Donald Trump dopo l’attacco al Congresso americano, saranno riviste e alleggerite.

Elon Musk ha parlato a lungo dell’importanza della libertà di parola e di pensiero e ha ribadito più volte come il suo social sarà fondato su questi principi.

Non si sono fatte attendere le reazioni degli americani che, temendo un ritorno di alcune figure politiche allontanate dal social, hanno manifestato il loro dissenso e malcontento.

Indubbiamente questa non sarà l’unica conseguenza che questo cambio di gestione porterà: l’acquisto di un social network da parte di un potente capitalista, abile e innovativo influencer da 83 milioni di followers, determinerà degli effetti concreti e rilevanti sia in ambito giornalistico che politico. 

Non è ancora noto come e se l’algoritmo si modificherà ma questo potrebbe portare ad un aumento di visibilità, come di norma capita ad ogni cambio di gestione, e il social potrebbe tornare ad essere un interessante strumento di comunicazione anche per chi non gode già di un nome o non vanta una grande community.

Non ci resta che attendere qualche notizia più concreta, senza perdere d’occhio il social che, a breve, potrebbe diventare fondamentale nella comunicazione di brand e aziende. 

Giornata ProGrammatica: su twitter è caccia alle parole fuori moda

Parole fuori moda: quali sono i termini desueti preferiti dagli italiani? Provando a stilare una lista, gli utenti di twitter si sono lanciati in una romantica caccia alle parole dimenticate, raccogliendole sotto l’hashtag #parolefuorimoda. Usufruire e dissapore, cincischiare e all’uopo, vagheggiare e perdindirindina, desueto e struggersi. Tra le parole fuori moda compaiono inevitabilmente anche termini inventati da Dante e altri più recenti ma velocemente destinati all’oblio quali SMS e shatush.


Oggi è la Giornata ProGrammatica, indetta dal programma Radio 3 – La lingua che batte in collaborazione con l’Accademia della Crusca, il Ministero dell’Istruzione e quello degli Esteri,  l’Associazione per la Storia della Lingua Italiana (ASLI) e la Comunità Radiotelevisiva Italofona (CRI). Una manifestazione che si inserisce nel piano della Settimana della lingua italiana nel mondo (dal 17 al 23 ottobre) e che mira a educare giovani e meno giovani sull’uso corretto della lingua di Dante. La lingua italiana possiede uno dei vocabolari più vasti del mondo tra sinonimi, sfumature di significato e occasioni d’uso di ogni singolo termine. Sono più di 160.000 i vocaboli della nostra lingua, ma quanti di questi vengono utilizzati quotidianamente? Solo una piccolissima percentuale. Eliminando i termini settoriali e quelli riferiti a concetti del passato, tantissimi pensieri vengono oggi tradotti in parole inglesi, neologismi e vocaboli gergali. Basti pensare all’abuso di inglesismi come sharare al posto del bellissimo condividere, fare network invece di instaurare connessioni, perfino l’inquietante deadline che ha sostituito scadenza. Se in alcuni ambiti (la moda, la tecnologia, gli affari) l’utilizzo della lingua inglese è comprensibile, nel quotidiano l’abbandono di bellissime parole italiane dimenticate è imperdonabile. Accanto alle parole fuori moda, la Giornata Pro Grammatica è stata scandita sui social da lezioni estemporanee sull’uso delle virgole e odi al congiuntivo (usato correttamente). La cultura torna ad essere sexy: basta scorrere le foto sotto l’hashtag #books su instagram per averne la prova.

Chi acquisirà Twitter?

Twitter fa gola, a molti. Ma costa troppo.
È questa la sintesi dell’ultimo anno di voci sul social network più discusso.
Se ne è parlato come “arma” occidentale per destabilizzare durante la “primavera araba”, come strumento di propaganda dell’Isis, come macchina di popolarità per le star (e non), come mezzo di comunicazione “più veloce” del mondo, battendo tv e siti web.
E forse è proprio questa popolarità unita a quest’ultima caratteristica, che rende twitter “interessante” nella battaglia senza confine dei grandi conglomerati media.


Partiamo dalla quotazione.
Tra alti e bassi Twitter ha una quotazione borsistica che oscilla tra i 18 e i 22 miliardi di dollari.
Quello che la appesantisce tuttavia sono dipendenti e manager con un ricco portafoglio di azioni e opzioni, che la appesantiscono di circa altri 4/5 miliardi.
Un po’ troppo per un’azienda che direttamente e indirettamente non ne incassa 1 all’anno di fatturato.


Il business.
Non è mai stato ben definito un modello di business per Twitter, tentando strade abbastanza complesse passando da vere e proprie pubblicità a profili aziendali con possibilità di inserzioni, analytics e statistiche a pagamento, a messe in evidenza… senza un focus sugli utenti, e forse sottovalutando la via del broadcasting, un modello consono per la diffusione di contenuti.


Tra i possibili pretendenti si è parlato di Google.
Il colosso del web ha un suo social, G+, che però fatica ad uscire dagli utenti propri e allarga poco e male. Google è abituata a far da sé, a “creare il web che vuole”, ma questo finisce con l’essere un limite nel conquistare nuovi utenti fuori da sé.
Nel caso non sarebbe un problema di soldi, ovviamente, ma di visione e management. E le due famiglie mal si conciliano. Soprattutto per la grande propensione degli utenti naturali di Twitter “alla libertà”.


La vera ipotesi era Disney, colosso media da 56 miliardi di dollari di fatturato annuo, che già disse no a Lycos (e fece bene). Ma il gigante caiforniano sarebbe in corsa per l’acquisto della tv via web Netflix replicando una tattica già messa in atto negli anni ’50 quando scommise sul potere mediatico della neonata televisione: grazie alla partnership con il network Abc, il fondatore Walt Disney mise in onda la serie Disneyland, la più lunga mai trasmessa in orario prime time nella storia della tv. La serie diede anche il nome ai parchi tematici che, dal 1954 in poi e nel corso degli ultimi 60 anni. Per Abc fu l’inizio di una lunga collaborazione che culminò con l’acquisto da parte di Disney del network televisivo. E lo stesso potrebbe capitare con Netflix, basti pensare che solo qualche mese fa è stato siglato un colossale accordo di esclusiva tra le due società. Insomma, un copione già visto con la differenza che, in 60 anni, Disney ha decuplicato la sua capacità di produrre contenuti spaziando dai cartoni animati ai film di avventura, alle serie televisive di successo.
Oggi è la seconda società media al modo dietro a Comcast (che tentò di acquistarla nel 2004) e possiede, oltre ad ABC anche il network via cavo Disney Channel, ESPN specializzata in eventi sportivi e ABC Family, attiva nel settore musicale e teatrale e nel merchandising. A corollario del tutto ci sono 14 parchi a tema gestiti direttamente, con alberghi, negozi e ristoranti.
Secondo gli analisti un’offerta per Twitter consentirebbe alla società di rafforzarsi nei social media, soprattutto sul fronte dello sport. Dove ha una forte presenza televisiva grazie a Espn, ma è assente dalla rete. «Un’acquisizione di Twitter avrebbe senso strategico per Disney», ha detto Richard Greenfield, analista di BTIG. E Jack Dorsey, il co-fondatore di Twitter, siede già nel cda Disney.


Per ora sia Google che Disney che la “sempre in lizza” Apple avrebbero però fatto un passo indietro, almeno formalmente, per questione di prezzo (principalmente) ma anche perché Twitter avrebbe dichiarato di voler chiudere entro ottobre le trattative.
Segno che Twitter ha fretta, e che quindi ci sono margini per chiudere ben al di sotto delle aspettative. E mentre Twitter perde anche il 20% in borsa, sulla scia delle notizie di mancanza di acquirenti, resta in corsa, come unica acquirente la società di software di cloud Salesforce.com. L’effetto è stato che le azioni di Twitter sono sceso fino a 20,10 dollari , valutando la società a circa 14,2 miliardi.


Mentre però per Google, Apple e Disney un’acquisizione avrebbe un senso, e il portafogli consentirebbe l’investimento, Salesforce.com perde il 4%. Gli analisti non comprendono né il senso dell’operazione né l’eccessivo indebitamento che ne deriverebbe.

Cara Delevingne ha vinto la depressione grazie a Kate Moss

Gli scatti che la vedono sempre protagonista, la immortalano solare e soddisfatta della sua vita. In realtà, però, durante la sua insistenza un insidioso buco nero l’ha portata vicina al baratro.  Forse in molti non conosceranno la sua sofferenza seppure l’interessata non ha mai avuto remore a rivelare al mondo, il suo passato non sempre roseo.

Cara Delevingne, la bellissima modella contesa dalle maggiori casa di moda,  all’età di diciassette anni dovette combattere contro la depressione, una malattia che non perdona nessuno e che divora non solo la mente, ma anche il corpo.

“Tutto ciò che volevo era che il mondo mi ingoiasse e non mi sembrava ci fosse soluzione migliore della morte […] Avevo veramente bisogno che qualcuno mi fermasse, che mi dicesse ‘Hai bisogno di una pausa, hai bisogno di pensare a te stessa”, ha raccontato la modella al Women In The World Summit di Londra qualche mese fa, quasi a spronare sia donne che uomini a riferire il malessere che nutrono e che molto spesso non rivelano a chi gli sta accanto, per il terrore di non essere compresi.

 

Cara Delevingne e Kate Moss, immortalate assieme durante la Milano Fashion Week
Cara Delevingne e Kate Moss, immortalate assieme durante la Milano Fashion Week (fonte leonardo.it)

 

 

La bella Cara, onnipresente sui set più prestigiosi del fashion system, deve la sua rinascita grazie alla preziosa collega Kate Moss, possente spalla su cui riversare lacrime amare in un periodo  nella quale è il colore nero a prevalere su una palette di tonalità variopinta.

Cara e Kate, erano talmente unite, che qualcuno aveva insinuato una relazione omosessuale tra le due. La realtà, come hanno dimostrati i fatti era un’altra: solo una donna forte ed abituata a stare al centro del gossip, avrebbe saputo dispensare consigli ad una giovane e inesperta collega per non lasciarsi divorare dalla depressione; e se oggi assistiamo alla “resurrezione” di Cara (che ha smentito fortemente di voler abbandonare la moda n.d.r.) è alla divina Kate, che dobbiamo dire grazie.

 

Cara Delenvigne in uno scatto per la campagna pubblicitaria A/I 16-17 di Saint Laurent (fonte I-D vice)
Cara Delenvigne in uno scatto per la campagna pubblicitaria A/I 16-17 di Saint Laurent (fonte I-D vice)

 

 

Il ritorno di Cara Delevingne nel mondo della moda, risuona su Twitter con un post chiarificatore: “Non ho mai smesso”, ha cinguettato sul noto social network e intanto la campagna di Saint Laurent sta facendo il giro del mondo.

 

 

Per la cover Fonte en.r8lst.com

 

 

 

 

I politici e i falsi follower su Twitter

Doing ha presentato il 14 marzo la social media analysis della politica europea selezionando i 6 principali leader del Vecchio Continente, Matteo Renzi, Alexis Tsipras, Angela Merkel, Mariano Rajoy, François Hollande e David Cameron.
L’analisi è basata su tutto il 2015 ed ha l’obiettivo di delineare le peculiarità dei 6 leader messi a confronto sul loro approccio alla comunicazione digitale, e in particolare sulla gestione dei social media anche alla luce delle principali tematiche europee del 2015.
L’analisi proposta è frutto della raccolta ed elaborazione dei dati pubblici provenienti dai profili ufficiali Facebook, Twitter e Youtube al fine di individuare e commentare le principali metriche di popularity (n.fan/follower, trend dell’acquisizione fan/follower nell’anno, giorni di maggior acquisizione, interessi dei fan, geolocalizzazione e demografica dei follower), content (tipologia, stile e tematiche dei post pubblicati), engagement (quanto engagement hanno ricevuto i contenuti in relazione al numero di fan/follower e al numero di post pubblicati e quali sono stati i post di maggiore impatto del 2015).


I dati raccolti sono certamente interessanti, e utili per chi voglia avere un quadro di come si muovono i politici sui social network. Altra cosa è sul web in generale. Ma volendo entrare nel merito sarebbe più opportuno affermare “come viene concepita la comunicazione social dagli staff dei premier europei”.
Sotto questo aspetto ad esempio incidono profonde differenze culturali, ed anche di rapporti ad esempio con la stampa “accreditata” e con il mondo dei blogger e dei social influencer.
Da questo punto di vista è impossibile mettere sullo stesso piano Cameron e Renzi, perché nel mondo anglosassone è inconcepibile che un politico (di qualsiasi grado e partito) non risponda ad un giornalista o che ad un quesito sollevato da un blogger non giunga prontamente una nota dell’ufficio stampa. 
In Germania quasi lo stesso, con un rapporto fortissimo tra il politico – qualsiasi e di qualsiasi partito – ed il suo collegio elettorale e Regione di riferimento. Il che riduce la forza dell’interazione social essendo la presenza fisica un contenuto culturale imprescindibile.

Accanto a queste distinzioni ce ne solo altre, proprie e tipiche della cultura digitale dei rispettivi paesi e della diffusione – in termini di propensione all’utilizzo – di certi strumenti, ad esempio l’acquisto di fake fans e fake followers.
Su facebook esistono “indicatori tendenziali” di questo utilizzo: quanti ne perdi quando facebook periodicamente fa pulizia, la geolocalizzazione, numero di fan con meno di 50 amici, privi di foto, indice di interazione.


Un esempio.


Matteo Renzi ha avuto una crescita media di 235,82 fan al giorno su Facebook, ma un numero di like alla pagina rimasti pressoché invariati per tutto il 2015 mentre Tsipras pur essendo uno dei leader con meno fan/follower sui propri profili è quello che ottiene proporzionalmente il maggior numero di interazioni ai propri post.
È evidente che sui social la parte “scenografica” è quanti profili ti seguono. Ma è anche vero che la parte più sostanziale è “quante interazioni hai” – sia come consenso sia come engagement e dibattito.
È evidente – come indizio e non certo come sentenza – che se crescono i fan e non aumentano i like e le interazioni – che quel profilo è pieno di fake.
È evidente che un profilo con molte interazioni è molto probabile che abbia meno fake.
Altro esempio.
Matteo Renzi ha pubblicato su Facebook 277 post di cui 50 sponsorizzati; Alexis Tsipras 466 post di cui 24 sponsorizzati; 42 post Facebook per Angela Merkel di cui 25 sponsorizzati. David Cameron 499 di cui 20 sponsorizzati, Mariano Rajoy 313 post di cui 10 sponsorizzati.
Anche questo è un dato da considerare.
Intanto l’incidenza percentuale: 1/2 sponsorizzati dalla Merkel, 1/6 sponsorizzati da Renzi, 1/21 sponsorizzati da Tsipras, 1/25 sponsorizzati da Cameron e 1/31 da Rajoy.
Da un lato la sponsorizzazione dovrebbe essere uno strumento di viralizzazione di contenuti strategici che il premier vuole comunicare. Pochi, essenziali, centrali.
Dall’altro l’uso eccessivo (Merkel e Renzi) lasciano intendere che questo strumento viene utilizzato per “trascinare” la pagina, per aumentare i fan in quanto tali, e – peggio – per dare un’idea, un’immagine, un’impressione “soggettiva” di un seguito ed un’interazione che in realtà non esistono.


Politici e fake followers su Twitter


A questo si aggiunge “il dato” che non conosciamo: quanto hanno speso per le sponsorizzazioni, per quanti giorni, su quale target, con quale obiettivo? 
Da questo dato può emergere una falsa percezione marginale, relativa o assoluta del dato.
La leadership è qualcosa di “innato”, che si può perfezionare e imparare a migliorare. Non dipende dai social, che restano certamente uno strumento fondamentale di interazione e un media chiamato per vocazione a disintermediare il messaggio rendendolo immediatamente e direttamente fruibile dal politico al cittadino. (errori compresi).
La capacità di analisi dei metadati – molti disponibili anche attraverso i normali analytics e tools gratuiti o molto economici online – aiuta a comprendere molto di più di come quel politico intende il suo rapporto con il cittadino.
Robert Waller, direttore di Simplification Centre è stato tra i primi a sviluppare sistemi di controllo e monitoraggio degli account su twitter ed è stato lui a sviluppare parte del sistema status people, ha affermato «è importante sapere che quando si comunica lo si fa con persone reali, perché più reale e attivo è un profilo, maggior seguito e condivisione avrà. Il secondo motivo è che c’è un numero crescente di fakers in rete. Le persone acquistano seguaci tentando di costruire in questo modo la propria reputazione e legittimità. “Guardami ho 20.000 seguaci, devo sapere la mia…” stanno essenzialmente cercando di ingannare il sistema ed è importante essere in grado di individuare, e evitarli. Perché in ultima analisi, se sei disposto a mentire su quanti amici hai, non sei una persona molto affidabile».
Oggi, guardando alla comunicazione politica sui social network, emerge una nuova mission per chi si occupa di comunicazione digitale: fornire gli strumenti di analisi per comprendere la “sofisticazione” dei dati, che come un doping trasformano la comunicazione in deformazione della percezione.
Ecco alcuni dei dati che emergono dalla “raccolta dati” di Doing.


Matteo Renzi, nel 2015, è stato il politico, tra quelli analizzati, che ha visto la crescita maggiore dei propri follower su Twitter (+659.818 seguito da Hollande a + 587.247, Rajoy a +409.439, Cameron a +353.394 e Tsipras a +234.986). Il premier italiano è anche il leader che ne ha il numero maggiore in assoluto (2.177.652 al 31 dicembre 2015), con una crescita media di 235,82 fan al giorno su Facebook, ma un numero di like alla pagina rimasti pressoché invariati per tutto il 2015.
Matteo Renzi ha pubblicato su Facebook 277 post di cui 50 sponsorizzati; 86 erano foto, 73 aggiornamenti di stato, 53 album, 34 link e 31 video. Il Primo Ministro italiano non è quello che pubblica più contenuti su Twitter (quarto su cinque), ma è invece colui che risponde di più ai propri follower; infatti, nel 2015 sono stati 583 i tweet di cui il 16% replies e il 23% retweets.



Alexis Tsipras è l’unico tra i leader analizzati a possedere account dedicati esclusivamente al pubblico estero. Oltre ai tradizionali account in greco, possiede infatti anche una pagina Facebook e un account Twitter su cui pubblica in inglese.
 Pur essendo uno dei leader che ha meno fan/follower sui propri profili (Facebook 451.040 – Twitter @tsipras_eu 250.058 al 31 dicembre), è quello che ottiene proporzionalmente il maggior numero di interazioni ai propri post.
Alexis Tsipras posta su Facebook principalmente contenuti multimediali: su un totale di 466 post (24 sponsorizzati), 197 erano foto, 139 album, 112 video e solo 14 stati e 4 link. Dei 737 tweet, nessuna risposta per Tsipras, 5% dei retweet e 95% tweet.


Angela Merkel è l’unica tra i leader analizzati a non avere un account Twitter ufficiale. Su Facebook è invece quella con il maggior numero di like alla pagina (pur essendo la leader che pubblica meno contenuti in assoluto) e con la maggiore crescita di fan nel 2015 (+742.025 contro + 86.073 di Renzi, +351.144 di Tsipras, 53.316 di Rajoy, 242.973 di Hollande e 484.817 di Cameron).
Solo 42 post Facebook per Angela Merkel di cui 25 sponsorizzati. Si tratta di 19 foto, 10 stati, 7 video, 6 link e nessun album.


Mariano Rajoy nel 2015 ha twittato da solo più del doppio di quanto hanno fatto tutti gli altri leader messi insieme. Sempre su Twitter è il Primo Ministro che retwitta più contenuti da altri account (soprattutto della sua sfera politica).
Mariano Rajoy ha postato 313 post (10 sponsorizzati) di cui 97 video, 81 album, 62 foto, 39 link e 34 aggiornamenti di stato. La ricerca conta 5.284 tweet di cui più della metà (56,4%) sono retweet, 43,5% tweet e 0,1% replies.


François Hollande è l’unico tra i politici analizzati che ha guadagnato oltre 100mila follower in un solo mese del 2015, a novembre, in concomitanza con la seconda ondata di attacchi terroristici che ha colpito Parigi. È nello stesso mese che ha visto crescere maggiormente la sua community in un singolo giorno, il 13 novembre, sia su Twitter (+41.300 follower) che su Facebook (+51.400).
François Hollande fa quasi esclusivamente uso di status di testo senza ricorrere a contenuti multimediali. Su 120 post, 114 sono aggiornamenti di stato, 3 link, 2 foto e 1 video. Dei 130 tweet solo il 2% corrisponde a replies, mentre Hollande non ha mai retwittato. 



David Cameron è il politico che ha un maggior equilibrio di genere tra i suoi follower su Twitter, raggiungendo quasi la parità (follower: 43% donne, 57% uomini mentre la forbice più grande è di Matteo Renzi con il 25% di donne e il 75% uomini). È inoltre il politico che sia su Facebook che su Twitter riceve interazioni da più parti nel mondo (in particolare da America del Nord e Centrale.
David Cameron è il leader con il maggior numero di post pubblicati su Facebook, 499 di cui 20 sponsorizzati, 203 aggiornamenti di stato mentre ha condiviso 176 foto, 86 video, 23 link e 11 album. Il 97% dei 712 erano tweet, solo per il 3% retweet e 0% replies.
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Pakola Papi: la femminista criticata duramente su Twitter

Chi erano Carla Lonzi  e Simone de Beauvoir? Erano note femministe che per anni si sono battute per far prevalere i diritti delle donne molto spesso, quest’ultime, discriminate dagli uomini.

La lotta per debellare qualsiasi subordinazione della donna nei confronti dell’uomo, ha radici lontanissime. Il movimento femminista, infatti, nasce nell’ottocento e si sviluppa negli anni, diventando un vero grido di battaglia per le donne emancipate o che aspiravano ad esserlo.

La rivendicazione dei diritti delle donne, ancora oggi provoca scandalo e basta uno scatto postato su Twitter per generare una serie di commenti al vetriolo.

La storia di Pakola Papi ha aperto un acceso e alquanto pericoloso dibattito internazionale. Il motivo? Una foto postata sul profilo Twitter @iranikanjari  in lingerie che mostra senza molti sotterfugi una pancia e delle gambe non depilate.

La studentessa di origini iraniane, pakistane e indiane, residente a Dallas, non pensava di sollevare un dibattito di così enorme portata. Seppur non abbia mai dato avido ai commenti con risposte a tono, la rete non smette di criticarla. Dal conto suo, ha rincarato la dose twittando temi come il razzismo di cui oggi lei è vittima, sessismo e bellezza.

Insomma, il selfie incriminato accompagnato dalla scritta “Walmart underwear vibes” racconta in realtà i limiti di un’ umanità che tarda ancora ad avanzare culturalmente e che si avvale dei social media per beffeggiare e limitare la libertà altrui.

 

La giovane femminista indiana (fonte @iranikanjari Twitter)
La giovane femminista indiana (fonte @iranikanjari Twitter)

 

 

La giovane diciottenne ha ricevuto la solidarietà delle femministe di tutto il mondo tranne che dalla sua famiglia che inizialmente ha criticato la scelta di Pakola di immortalarsi in déshabillé.

Insomma, il messaggio “Mi piaccio” che la ragazza intendeva comunicare a tutti, è stato dibattuto e ampliamente opinato.

Le critiche sono giunte da ogni dove senza limitare i confini territoriali e culturali;  a commentato la foto, erano  per la maggior parte afroamericani e, soprattutto, uomini.

Autoironia e sicurezza in sé stessi potrebbero essere le armi per espugnare almeno in parte questo fenomeno sempre crescente di messaggi provocatori e ingiuriosi lanciati in rete dai troll.

Che Pakola sia l’esempio da seguire visto il modo garbato e coinciso di rispondere ai commenti?

Volete un assaggio? Eccone servito uno: “Io non sono pelosa, mi vedo come un giardino, una foresta, la geografia della mia patria.

 

 

Twitter e l’opinione della maggioranza

Con circa 450 milioni di utenti in tutto il mondo che pubblicano 900 milioni di messaggi al giorno, Twitter è uno dei social network che si è affermato più rapidamente. Una delle ragioni di questo successo è la marcata viralità della sua struttura, che consente a chiunque di seguire chi vuole senza bisogno di stringere legami reciproci: una caratteristica grazie a cui Twitter è diventato lo strumento preferito di politici, esponenti dei media e personaggi pubblici in generale per diffondere le loro opinioni sui più svariati argomenti dell’attualità.


In che misura questo mezzo riesce a incidere sull’opinione pubblica? Una prima risposta non viene come potremmo immaginare da analisti e guru occidentali, ma da due ricercatori cinesi, Fei Xiong e Yun Liu della Beijing Jiaotong University che hanno utilizzato alcuni algoritmi per analizzare le opinioni espresse da un gran numero di utenti del social network su specifici argomenti e soprattutto come esse evolvono nel tempo.


I risultati, illustrati in un articolo apparso sulla rivista “Chaos” sono abbastanza sorprendenti perché mostrano che le opinioni veicolate da Twitter evolvono rapidamente verso uno stato ordinato in cui emerge una posizione dominante, che riceve l’approvazione di gruppi di utenti sempre più grandi.
I dati mostrano che mentre all’inizio le opinioni su un argomento fluttuano notevolmente, questa variabilità si attenua molto in fretta, stabilizzandosi su un’opinione di maggioranza, largamente condivisa, che prevale nettamente sull’altra.


“Una volta che si è stabilizzata, l’opinione pubblica difficilmente cambia”, ha spiegato Xiong.
Sul lungo periodo, l’opinione che prevale è quella che all’inizio aveva un modesto vantaggio sulle altre. Questo fenomeno, tipico dei sistemi caotici, è denominato “dipendenza sensibile dai dati iniziali” o più volgarmente “effetto farfalla”, perché fu esemplificato da Edward Lorenz, pioniere della teoria del caos, in una celebre conferenza dal titolo “Il battito delle ali di una farfalla in Brasile può scatenare un tornado in Texas?”.


Le opinioni dominanti inoltre tendono a non raggiungere un consenso completo. Coloro che hanno una posizione di minoranza tendono a mantenerla anche quando si trovano di fronte a una maggioranza schiacciante. Twitter, infine, viene utilizzato molto per cercare di convincere gli altri delle proprie opinioni, e molto poco per ammettere di aver abbracciato l’opinione altrui.

Katy Perry per H&M

Curve generose, sguardo vispo e ironia: queste sono le caratteristiche che hanno reso Katy Perry un’icona di stile, oltre che una delle cantanti più popolari degli ultimi anni.

La sua bellezza, a metà tra una pin-up anni Cinquanta e una rocker dall’anima dark, ha impressionato il colosso svedese H&M, che ha annunciato, già lo scorso luglio, la scelta dell’artista californiana come testimonial per la campagna natalizia del 2015.

Un singolo registrato appositamente, Every Day is A Holiday, sarà la colonna sonora realizzata da Katy Perry per il Natale che si avvicina: il lookbook della collezione natalizia di H&M vede foto giocose, in cui la cantante posa come una Santa Claus in gonnella, tra giganteschi canditi e alberi di Natale. Il video pubblicitario che presenterà la collezione verrà diffuso il 23 novembre. Intanto possiamo goderci le foto in anteprima.

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All’anagrafe Katheryn Elizabeth Hudson, 31 anni ed uno stuolo di follower sui principali social network, a partire da Twitter, dove Katy Perry detiene il primato dell’account più seguito al mondo, con 77,5 milioni di follower; video accattivanti e ironici e dischi che restano in testa alle classifiche per anni e anni. Appena eletta da Forbes la star più pagata del 2015, Katy Perry è una vera e propria miniera d’oro.

Dopo il successo della collezione Balmain per H&M, in vendita dallo scorso 5 novembre, il brand svedese si accinge a presentare i capi dell’esclusiva collezione natalizia. Pullover con stampe cartoon, gonne a balze e capi ironici saranno i protagonisti assoluti, come ci mostrano le foto in anteprima, con i primi modelli indossati da Katy Perry.

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Sarà un Natale all’insegna della solidarietà per il brand, che ha dichiarato che il 5 per cento del ricavato delle vendite della collezione natalizia sarà devoluto all’UNICEF, per aiutare i bambini della Birmania. Un motivo in più per non perdere l’esclusiva collezione, che sarà in vendita tra pochi giorni.


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