La mattina del 19 marzo, dopo una carriera di quattro decadi, lo stilista belga Dries van Noten annuncia il suo ritiro come direttore creativo del proprio brand. Infatti quella che sfilerà a Parigi per la ss25 menswear di giugno, sarà la sua ultima collezione. In suo onore ripercorriamo i tratti salienti del percorso artistico e lavorativo di una delle personalità più influenti del mondo della moda avant-gard.
Distintosi come uno dei Sei di Anversa assieme a designer del calibro di Ann Demeulemeester, van Noten dichiara di trarre ispirazione dovunque: da un fiore, un odore, una poesia, un film. E durante la sua carriera lo ha dimostrato attraverso le sue collezioni, che meravigliano per la varietà ed eccletticità delle references. Non a caso nel 2014 è stato uno dei pochi stilisti viventi ad essere esposto nel Musée des Arts Decoratifs di Parigi con una mostra intitolata Inspirations.
È un esempio di questaricettività poliedrica la Grunge collection (ss 2013), che parte dallo stile tipico di questo genere musicale, come quello dell’iconico vestito floreale indossato da Kurt Cobain ad Amherst nel 1990, per unirsi con le tonalità e colori dei quadri del pittore britannico Lucien Freud.
D’altronde il designer di Anversa ha avuto un legame prediletto con la pittura sin da piccolo. Infatti suo nonno, oltre che sarto, è stato un collezionista d’arte. Questa passione si esprime ad esempio con i capi ispirati ai quadri dell’artista Francis Bacon, realizzati per la fall-winter 2009. Egli stesso ha affermato come non volesse ricreare l’arte del pittore irlandese, ma travasare nei propri lavori le emozioni provate guardando le sue tele.
collezione ispirata al pittore Francis Bacon fw 2009
Ritratto di Innocenzo X di Francis Bacon
Attraverso l’uso di colori e stampe estrosi, unite all’eleganza delle silhouette sartoriali, van Noten è riuscito a creare un proprio stile iconico che si potrebbe definire avant-gard opulento.
Amante dell’esotico e della contaminazione degli stili, evidenzia quanto sia importante la conoscenza del passato e del diverso, dai quali estrarre le connessioni per realizzare ciò che l’arte gli permette di intuire. E in questo processo creativo assume un ruolo fondamentale l’apprendimento dell’artista. Infatti egli stesso ha dichiarato che ‘Nel momento stesso in cui smetto di imparare qualcosa, allora è meglio che mi fermi, perché la paura più grande che ho è di essere sistematico.’
collezione ispirata a David Bowie fw 2011 menswear
David Bowie
Dries van Noten ha dimostrato di saper bilanciare gli aspetti più cerebrali della sua personalità con una lucida concretezza: formatosi alla Royal Academy of Fine Arts di Londra e avendo lavorato nella boutique del padre ad Anversa, afferma di non voler vivere nel passato, che pure tanto ama, e di realizzare vestiti per il futuro che non siano solo arte, ma che possano essere acquistati e indossati.
A proposito di questa concretezza, si è sempre rifiutato di realizzare collezioni haute couture che non potesse vedere esposte nei negozi. Limitatosi ad organizzare quattro sfilate l’anno, van Noten ha sostenuto la necessità di rallentare i ritmi forsennati delle fashion week, rivelandosi anche attento alle tematiche ambientali. Egli stesso ha affermato ‘che la moda è ormai morta, e che in realtà sia un bene perché è di moda ciò che dopo solo sei mesi non lo è più’.
Inoltre, nonostante suoi collaboratori, come il sound director Michel Gaubert, vantino non a torto, il suo spirito di indipendenza, van Noten nel 2018 ha ceduto il suo brand al gruppo spagnolo Puig, rimanendone però direttore creativo e investitore minore. In questo modo ha potuto dedicarsi ad altre passioni nella sua residenza ottocentesca nei pressi di Anversa e, allo stesso tempo, preservare la stabilità economica dei propri dipendenti.
Fabrizio Minardo è uno che la moda l’ha sposata da adolescente, quando inizia a lavorare nei primi atelier di moda sposa, tra pizzi, merletti, ruches, metri di tulle e decorazioni preziose, per poi continuare la sua passione nei negozi di moda pret à porter.
La moda è così, ti entra dentro quando meno te lo aspetti, si impadronisce di ogni fibra del tuo corpo, prende ogni tuo pensiero, il tuo sonno, e diventa la tua ragione di vita, proprio come è successo a Fabrizio.
Sono anni importanti per lui, che affina le sue tecniche diviso tra la scuola e gli atelier di alta moda, spaziando dalla vestibilità di un capo alla cura del cliente, alla personalizzazione di un look.
Dopo gli studi di Grafica Pubblicitaria, il diploma a Milano con il massimo dei voti e la specializzazione all’Accademia Internazionale d’Alta moda Koefia di Roma, nel 2015 avviene una svolta importante, è chiamato da Dolce & Gabbana, e si trasferisce a Milano per entrare ufficialmente nello staff della nota casa di moda.
Si tratta di un’esperienza molto forte e importante, due anni in cui viaggia per il mondo e perfeziona tecnica ed esperienza.
Questo percorso intenso, ha portato Fabrizio nel 2017 ad abbandonare la città meneghina per far ritorno nella sua terra, pronto a iniziare una nuova e intensa avventura come stilista indipendente.
“Nostos” è la collezione che ha presentato nella sua terra natia, con l’orgoglio e la fierezza di chi è riuscito a realizzare i propri sogni.
“NOSTOS” (gr. Νόστος), indica un ritorno, un senso di circolarità del viaggio dell’esistenza, come quando nella vita le persone o i luoghi sono veramente significativi, e si ripresenta la possibilità di ritrovarli.
Su questo concetto si sviluppa l’intera collezione, unendo “Sacro e Profano”, per abiti ricchi di fastosità stilistica.
Ogni elemento trova il suo posto, che sia naturale, culturale o architettonico.
I colori della Terra di Sicilia, creano fluidità con gli elementi decorativi: dai diademi nobiliari alle corone sacre, dalle frange degli scialli della nonna alle gocce di cristallo, dai coralli di Sciacca ai cuori ex-voto su ampie gonne a cupola.
L’austero e sacro nero si mescola al provocante passionale rosso, il blu cobalto degli imponenti soffitti delle chiese di Scicli si fonde con i colori degli agrumi, del tramonto e l’oro verde delle olive.
La sposa di Fabrizio Minardo è lontana dalle tendenze moderne, il suo sguardo è rivolto alla tradizione sartoriale, ai tagli classici, ai tessuti naturali e ai pizzi realizzati a mano come il chiacchierino o il filato siciliano.
La collezione del fashion designer è dunque frutto di una Sicilia fatta di abiti dall’abile manualità sartoriale, creando una dimensione senza spazio e senza tempo capace di incuriosire e affascinare.
La tradizione si sposa con l’innovazione, interpretando una nuova identità stilistica complessa e mutevole per abiti irriverenti, unici e spirituali.
Il suo nome è sinonimo di un’eleganza insuperabile e di uno stile entrato nella storia: spegne oggi 90 candeline monsieur Hubert de Givenchy, blasonato protagonista della moda del Novecento, celebre ideatore del little black dress e sublime arbier elegantiae. Chi non ricorda i suoi costumi per pellicole celebri, da Sabrina a Colazione da Tiffany? Portatore di una rivoluzione nella moda, Givenchy è stato precursore degli anni Sessanta e sublime interprete di un glamour che ha fatto sognare intere generazioni.
Il conte Hubert James Marcel Taffin de Givenchy è nato a Beauvais il 21 febbraio 1927 dal marchese Lucien Taffin de Givenchy e da Beatrice Badin, detta Sissi. La famiglia vanta una lunga discendenza nobiliare che trova le sue radici in Italia, precisamente a Venezia (il cognome originario era infatti Taffini): correva l’anno 1713 quando alla famiglia venne conferito il titolo di marchesi. Il giovane Hubert ha un fratello maggiore, Jean-Claude, che erediterà il titolo di marchese e successivamente diverrà presidente della linea dei profumi della maison. Dopo la morte del padre, avvenuta nel 1930 per le conseguenze di un’influenza, il piccolo Hubert, che all’epoca ha appena tre anni, viene cresciuto dalla madre e dalla nonna materna, Marguerite Dieterle Badin, vedova di Jules Badin. A diciassette anni, andando contro il volere della famiglia, Hubert si trasferisce a Parigi, dove studia presso l’École des Beaux-Arts.
La sua carriera inizia da Jacques Fath nel 1945. Successivamente Hubert diviene apprendista per Robert Piguet e Lucien Lelong, lavorando accanto a Pierre Balmain e Christian Dior. Dal 1947 al 1951 lavora anche per Elsa Schiaparelli. Nel 1952 lo stilista fonda la casa di moda che porta il suo nome: il successo è immediato, a partire dalla prima collezione, che vede come capo iconico la celebre blusa Bettina, dedicata alla mannequin Bettina Graziani. Lo stile Givenchy si impone subito per i suoi tratti fortemente innovatori, rispetto al più conservatore Dior.
Hubert de Givenchy in uno scatto di Frédéric Huijbregts, 1985
Audrey Hepburn in Givenchy, foto di Cecil Beaton, 1964
Capucine in Givenchy, foto di Genevieve Naylor, 1954
A 25 anni Hubert è lo stilista più giovane sulla scena parigina: acclamato dalla stampa e amatissimo dalle dive, in primis Audrey Hepburn, che incarnerà alla perfezione il suo stile. Il primo incontro tra il couturier e l’attrice avviene nel 1953 durante le riprese di Sabrina: lui in realtà attende nel suo atelier Katherine Hepburn e non l’allora semi sconosciuta Audrey. Fu subito amore a prima vista: per lei Hubert crea capi entrati di diritto nella storia del costume. Il sodalizio continua nel 1961, nella pellicola che forse più di qualunque altra ha contribuito a rendere lo stile Givenchy iconico: per Holly Golightly, celebre protagonista di Colazione da Tiffany interpretata ancora una volta da Audrey Hepburn, lo stilista crea il famoso LBD. Il resto è storia.
Tra le clienti più affezionate del couturier figurano nomi di spicco del jet-set internazionale, attrici, socialite e teste coronate: la lista è davvero impressionante ed annovera figure del calibro di Marella Agnelli, Lauren Bacall, Ingrid Bergman, Marlene Dietrich, Mona von Bismarck, Cristiana Brandolini d’Adda, Sunny von Bülow, Maria Callas, Capucine, Daisy Fellowes, Greta Garbo, Gloria Guinness, Dolores Guinness, Grace Kelly, Jeanne Moreau, Jacqueline Kennedy Onassis, Babe Paley, Lee Radziwill, Jacqueline de Ribes, Pauline de Rothschild, Diana Vreeland e la duchessa di Windsor, solo per citarne alcune.
SFOGLIA LA GALLERY:
Hubert de Givenchy, 1960
Ivy Nicholson sulla passerella di Givenchy, foto di Nat Farbman, 1952
Audrey Hepburn in Givenchy, foto di Howell Conant, 1962
Mirella Petteni, foto di Gian Paolo Barbieri, 1968
Tania Elg, foot di Georges Dambier, Elle 1953
Veruschka in Givenchy
Bettina Graziani, foto di Frank Horvat, 1958
Foto di Henry Clarke, 1954
Audrey Hepburn fotografata nel 1962 da Howell Conant
Foto di Frank Horvat
Elsa Martinelli, foto di Clifford Coffin, Vogue 1954
Fiona Campbell-Walter, foto di Georges Dambier, Femina, 1954
Audrey Hepburn ed Hibert de Givenchy sul set di Cenerentola a Parigi, 1956
Audrey Hepburn, foto di Bob Willoughby, 1964
Audrey Hepburn in uno scatto di Bert Stern, Vogue 1966
Un capo appartenente alla collezione del Metropolitan Museum of Art. New York, 1961
Audrey Hepburn sul set di Colazione da Tiffany, 1961
Hubert de Givenchy e l’amata Audrey Hepburn
Ancora lo stilista con la musa prediletta
Una foto del 1952
Uno scatto risalente al 1958
Uno scatto del 1952
Un modello di balloon coat, 1958
Nel 1953 lo stilista lancia l’abito a sacco, nel 1958 il mantello con collo avvolgente, nel ’59 l’abito a palloncino e l’abito a bustino. Nel 1954 nasce la prima collezione di prêt-à-porter. Nel 1969 arriva anche la linea uomo. Intanto lo stilista incontra il suo idolo, Cristobal Balenciaga: quando questi decide di ritirarsi dalla moda, nel 1968, Givenchy eredita la sua clientela.
Hubert de Givenchy si distingue per il suo stile moderno: lo stilista sdogana l’uso di materiali come il satung, misto di satin e shantung, la flanella, l’organza, il lino. Ben presto il marchio si estende a scarpe, asciugamani, ombrelli, accessori, bijoux, profumi, fino alla celebre Lincoln Continental, l’automobile di Ford firmata dallo stilista. Seguono le fragranze, come L’Interdit e Le de Givenchy: il volto della campagna pubblicitaria è ancora una volta quello di Audrey Hepburn, musa amatissima dallo stilista ed amica per la vita. Sarà proprio l’amato Hubert a mandarle un jet privato quando l’attrice, già malata di cancro, si troverà costretta a lasciare improvvisamente l’Africa per fare ritorno in Svizzera e ricevere le cure necessarie. L’affezionato Hubert riempirà di fiori la cabina che vedrà l’ultimo viaggio della diva.
Suzy Parker in Givenchy, foto di Georges Dambier, Elle 1954
L’iconico stile Givenchy immortalato da Irving Penn, 1967
Sofisticato come pochi, Givenchy nel 1970 viene incluso nella Hall of Fame dell’International Best Dressed List, creata nel 1940 da Eleanor Lambert. Nel 1995 lo stilista decide di ritirarsi dalla scene: il suo successore fu John Galliano, seguito da Alexander McQueen, che restò alla direzione creativa della maison per cinque anni; dal 2001 al 2004 fu la volta di Julien Macdonald ed infine, dal 2005, di Riccardo Tisci, che ha da poco detto addio alla maison dopo dodici anni.
Lutto nel mondo della moda: si è spento alle prime luci di questa mattina all’età di 70 anni lo stilista Angelo Marani. Grande amante dell’arte, lo stilista ed imprenditore originario di Correggio era noto come «l’ingegnere della maglieria» per la sua maestria nell’elaborazione dei filati di lana.
Classe 1946, Marani era una delle personalità più illustri dell’Emilia: lui, che amava fortemente la sua terra, aveva fondato ancora giovanissimo la Marex (acronimo di Marani Export), azienda verticalmente integrata che contava 90 dipendenti: lo stabilimento che porta il suo nome sorge tra Modena e Reggio Emilia.
L’azienda raggruppa il reparto di progettazione delle collezioni e le diverse unità produttive, stamperia e tessitura: impostasi a livello mondiale come azienda leader nelle produzioni di maglieria, la Marex ha dato vita a capi iconici, come la maglia stampata con la tecnica dei foulard di seta e la maglia ultraleggera ottenuta con i telati Bentley per calze da donna. Un imprenditore coi piedi per terra, Angelo Marani: convinto che la moda fosse espressione della bellezza più autentica, lo stilista da due anni lottava contro un male scoperto all’improvviso.
Un capo della collezione Primavera/Estate 2014
“Credo nella bellezza, credo nell’arte, credo nel Made in Italy”, queste sono le parole con cui lo stilista salutava i visitatori del suo sito internet. Il designer, apprezzato anche all’estero, aveva creato capi divenuti iconici, come i jeans stampati. Protagonista della Milano Moda Donna, il connubio tra arte e moda caratterizzava da sempre le sue collezioni, come l’uso del colore e le stampe patchwork. Dopo aver raggiunto la fama mondiale grazie alle sue creazioni, il suo nome era diventato anche all’estero sinonimo di stile ed eleganza made in Italy.
Lo stilista lascia la moglie Anita e le figlie Giulia e Martina. La camera ardente aprirà oggi, 4 gennaio, alle ore 16 nella sua casa in via Campagnola a Correggio. I funerali avranno luogo sabato alle 10.15 nella chiesa di San Francesco, sempre a Correggio.
Si è spenta all’età di 81 anni Anna Gaddo, stilista trentina con la passione per l’arte sartoriale. Dal suo atelier la moda trentina divenne famosa a livello nazionale: una lunga carriera iniziata negli anni Sessanta la portò da Barbaniga di Civezzano alle passerella di Roma, Milano e Parigi.
Fieramente autodidatta, la stilista si affermò anche all’estero, dove vestì tra gli altri la moglie dello Scià di persia. Le sue collezioni hanno sfilato a nomi come Valentino, Gattinoni, Mila Schon. Dopo essere entrata ufficialmente nella moda nel 1969, nel 1972 inaugura il suo atelier a Trento. Nel 1973 ricevette il riconoscimento a commendatore della Repubblica e l’anno seguente entrò a far parte della Camera Nazionale dell’Alta Moda Italiana, inserita nel 1977 ufficialmente in calendario.
Una vita spesa per la moda, insieme alla figlia Cristina, da 35 anni sua preziosa collaboratrice. Anna Gaddo diceva: «Nel mio lavoro l’importante è lavorare per se stessi e sperare, ma soltanto sperare che il tuo prodotto piaccia agli altri. Concepisco le sfilate come una mia soddisfazione personale intima». «Attenzione, l’ispirazione di un artista è come la dea bendata. Bisogna coglierla al volo. È un cerbiatto che vedi e che, in un attimo s’infila nel bosco per riapparire soltanto dopo alcuni giorni». Sei mesi fa l’inizio della malattia che l’ha portata via.
Avrebbe compiuto oggi 80 anni Yves Saint Laurent, indimenticabile genio della moda. Innumerevoli le sue rivoluzioni, dal nude look al tuxedo per le donne fino dalla sahariana. Avanti anni luce rispetto alla moda dei suoi tempi, la sua carriera iniziò da Christian Dior. Enfant prodige della moda internazionale dalla sensibilità rara e delicata e dall’aspetto etereo, quasi da elfo, con gli occhiali un po’ nerd, l’indole trasgressiva e nevrotica lo contraddistinse: in perenne bilico tra provocazione e genialità, Yves Saint Laurent ha regnato per quasi mezzo secolo, lasciando impresso un segno indelebile nella storia del costume e non trovando ancora oggi erede valido.
Yves Henri Donat Matthieu-Saint-Laurent nacque ad Orano, nell’Algeria francese, il primo agosto 1936 da Charles e Lucienne Andrée Mathieu-Saint-Laurent. Cresciuto insieme alle sorelle Michelle e Brigitte in una villa che si affacciava sul Mediterraneo, fin da piccolo Yves mostra un talento naturale per la moda: crea bambole di carta e disegna vestiti per la madre e le sorelle. Appena diciottenne si trasferisce a Parigi e viene ammesso alla Chambre Syndicale de la Haute Couture (Camera Sindacale dell’Alta Moda), dove i suoi disegni attirano l’attenzione dei docenti. Michel De Brunhoff, editor di Vogue Paris, sarà deus ex machina dell’incontro che segnerà il debutto di Saint Laurent nella moda: egli infatti lo presenta al celebre couturier Christian Dior. Dior sarà suo mentore e inciderà profondamente nel suo stile.
Yves sotto la sua guida maturò notevolmente e alla morte dello stilista, nel 1957, sarà lui a prendere le redini della maison, sebbene a causa di un esaurimento nervoso sarà sostituito qualche anno dopo da Marc Bohan. Sotto di lui la storica casa di moda vive uno dei periodi più fulgidi della sua storia: indimenticabile l’abito indossato da Dovima nella foto che la ritrae accanto agli elefanti. Nel 1958 la prima collezione, denominata “Trapezio” e presentata nei sontuosi saloni di Avenue Montaigne, è accolta con incredibile entusiasmo: una rottura netta col passato per lo stilista, che fin da subito appare eclettico, rivoluzionario ed irriverente. Le linee sono moderne e il piglio è apertamente politically incorrect. Si intravede già la portata rivoluzionaria del suo stile, che come pochi ha trasformato e modernizzato la moda femminile.
Yves Saint Laurent da Dior, 1958 (AP Photo)
Yves Saint Laurent nacque il primo agosto 1936 ad Orano, Algeria francese
Marina Schiano in Yves Saint Laurent, 1971
Nel 1960, nel pieno del suo successo, Yves Saint Laurent è costretto ad arruolarsi nell’esercito francese a causa della guerra d’indipendenza in Algeria. Ma dopo appena 20 giorni viene ricoverato nell’ospedale militare, dove riceve la notizia del suo licenziamento da casa Dior. La notizia gli causa un fortissimo shock e viene ricoverato pertanto nell’ospedale militare di Val-de-Grâce, dove viene sottoposto a cure psichiatriche e persino all’elettroshock. Tale dolorosa esperienza verrà sempre ricordata dallo stilista come l’origine dei suoi problemi nervosi e della sua dipendenza da sostanze stupefacenti. Dimesso dall’ospedale nel novembre 1960 cita in giudizio Dior per non aver rispettato i termini contrattuali. Saint Laurent vince la causa e dopo un periodo di convalescenza apre la casa di moda che porta il suo nome, insieme al compagno e socio Pierre Bergé.
SFOGLIA LA GALLERY:
Yves Saint Laurent P/E 1962, foto di Pierre Boulat
Yves Saint Laurent nel 1977
Yves Saint Laurent, Vogue, febbraio 1975, foto di Deborah Turbeville
Yves Saint Laurent nel 1961, foto di Pierre Boulat
Yves Saint Laurent nella sartoria di Christian Dior
Lo stilista a New York, 1983, foto di Roxanne Lowit
Lo stilista durante un fitting
Yves Saint Laurent in uno scatto di Jeanloup Sieff, 1971
Shalom Harlow in Yves Saint Laurent Haute couture, P/E 1993, foto di Roxanne Lowit
Yves Saint Laurent, P/E 1982
Yves Saint Laurent P/E 1081, foto di Roxanne Lowit
Yves Saint Laurent, P/E 1988, foto di Gian Paolo Barbieri
Lo stilista a Marrakech, Vogue, agosto 1980, foto di Horst P. Horst
Yves Saint Laurent da Dior,Parigi, 1958. Foto Horst P. Horst
Abito Yves Saint Laurent, foto di Bert Stern, 1969
Lo stilista a Marrakech, Vogue, agosto 1980, foto di Horst P. Horst
Yves Saint Laurent, collezione A/I 1984, foto di Roxanne Lowit
Linda Evangelista in Yves Saint Laurent, foto di Irving Penn, Vogue 1990
Yves Saint Laurent e Carla Bruni, 1998
Yves Saint Laurent, sfilata Autunno/Inverno 1984, foto di Roxanne Lowit
Gli anni Sessanta e Settanta sono quelli della fama mondiale: innumerevoli i successi, dalla sahariana, sdoganata da Veruschka in foto storiche firmate Franco Rubartelli, allo smoking, dal trench al tailleur pantalone, fino agli omaggi all’arte e alla pittura del Novevento, dall’abito Mondrian alle stampe che ricordano la Pop Art di Andy Warhol, fino ai quadri di Matisse, Braque e molti altri, inaugurando il filone moda-arte. Venerato come il nuovo genio della moda, nessuno come lui è riuscito ad imprimere un segno così forte nella moda del Novecento: i suoi tailleur vengono giudicati i migliori dai tempi di Chanel, mentre anche le sue fragranze ottengono successo, come il celebre Opium.
Dopo aver inaugurato la sua boutique sulla Rive Gauche e aver ottenuto tutti i riconoscimenti possibili, nel 1966 firma i costumi del celebre film “Bella di giorno”, dove veste colei che sarà sua musa storica, Catherine Deneuve. Intanto nel 1971 posa nudo per Jeanloup Sieff per il lancio della sua fragranza maschile e si innamora perdutamente di Marrakech, dove trascorrerà numerosi anni nel suo buen retiro tra i giardini di Majorelle.
Yves Saint Laurent davanti alla sua boutique sulla Rive Gauche, settembre 1966 (Foto KEYSTONE/GRAZIA NERI)
Yves Saint Laurent, Elle France, settembre 1971, foto di Hans Feurer
Yves Saint Laurent con le modelle della collezione Primavera 1958, da lui disegnata per Dior
Nel 1980 Yves Saint Laurent sarà il primo creatore di moda vivente a godere di una grande retrospettiva del suo lavoro al Metropolitan Museum di New York. Tante le collezioni ispirate dai suoi viaggi, in un tripudio di suggestioni etniche e omaggi al folclore di terre e popoli lontani: ad ispirarlo l’Africa, la Spagna, l’India, il Marocco e la Russia. Tante le sue muse, da Betty Catroux a Loulou de la Falaise fino a Laetitia Casta.
Nel 2002 il ritiro dalle scene: “Mi dico che ho creato il guardaroba della donna contemporanea, che ho partecipato alla trasformazione della mia epoca. Mi si perdonerà di farmene un vanto, perché ho creduto da sempre che la moda non servisse solo a rendere più belle le donne, ma anche a rassicurarle, a dar loro fiducia, a permettere loro di essere consapevoli”, queste le parole che accompagnano il suo commiato.
La celebre collezione Ballet Russes, 1976
Yves Saint Laurent Rive Gauche, Vogue America, settembre 1987, foto Gian Paolo Barbieri
Yves Saint Laurent Rive Gauche, foto di Guy Bourdin per Vogue America, giugno 1987
Il 1º giugno 2008 lo stilista muore nella sua casa parigina, all’età di 72 anni, a causa di un tumore al cervello. Il suo corpo è stato cremato e le sue ceneri sono conservate nei giardini Majorelle di Marrakech, in Marocco, nella villa appartenuta al celebre artista francese Jacques Majorelle e in seguito acquistata e ristrutturata da Saint Laurent e Bergé. Tanti i riconoscimenti al re di Parigi, che ci ha lasciato innumerevoli lezioni di stile. “Non dobbiamo mai confondere l’eleganza con l’essere snob”, diceva monsieur Yves, genio ancora oggi insuperato.
(Foto cover: Yves Saint Laurent in uno scatto di Jeanloup Sieff, 1971)
Si è spenta oggi, all’età di 85 anni, Marta Marzotto. Regina incontrastata della mondanità, ex modella, stilista ed indimenticabile icona di stile, la contessa Marta Marzotto ha vissuto una vita romanzesca, ricca di eccessi, amori tormentati e talvolta scandalosi, come la relazione con il pittore Renato Guttuso, di cui fu musa. La sua è la parabola di una giovane cenerentola che dalle risaie diviene regina del jet set internazionale. Una leggenda, un’istituzione: con lei se ne va un pezzo di storia.
L’annuncio della sua scomparsa è stato dato su Twitter dalla nipote Beatrice Borromeo. «Ciao nonita mia», queste le parole della nipote, che accompagnavano la foto di una giovane e sorridente Marta Marzotto. I figli e i nipoti la ricordano come una donna allegra e generosa fino alla fine.
All’anagrafe Marta Vacondio, era nata a Reggio Emilia il 24 febbraio 1931 in una famiglia umile: il padre è un casellante delle ferrovie, la madre una mondina. I primi anni della sua vita la bella Marta li trascorre in Lomellina: è qui che, ancora giovanissima, inizia a lavorare anche lei come mondina, proprio come Silvana Mangano in “Riso amaro”. Una giovinezza difficile, che Marta Marzotto non ha mai dimenticato, restando sempre umile malgrado il successo e andando sempre fiera delle proprie origini. «Mi fasciavo le gambe con le pezze per proteggermi dalle foglie taglienti del riso e dalle punture di zanzare. Le bisce d’acqua e i topi mi sgusciavano tra i piedi nudi affondati nella melma, ero terrorizzata», così ricorderà più avanti quel periodo della sua vita.
Si è spenta oggi ad 85 anni Marta Marzotto
La foto con cui la nipote Beatrice Borromeo ha detto addio su Twitter all’amatissima nonna
Marta Marzotto immortalata a Roma da Helmut Newton, 1986
Marta Marzotto era nata a Reggio Emilia il 24 febbraio 1931
Successivamente lavora come apprendista sarta e all’inizio degli anni Cinquanta debutta come mannequin, dapprima presso la sartoria delle sorelle Aguzzi, a Milano, prima di creare una propria griffe grazie ad un senso senso innato per lo stile. E sarà proprio grazie alla moda che la bella Marta nei primi anni Cinquanta conoscerà il conte Umberto Marzotto, vicentino di Valdagno, industriale laniero e tessile. Dopo due anni di fidanzamento i due convolano a nozze il 18 dicembre 1954. Dalla loro unione, durata 15 anni, nasceranno cinque figli: Paola (nata nel 1955, madre di Beatrice e Carlo Borromeo), Annalisa (nata nel 1957 e morta nel 1989 a causa della fibrosi cistica), Vittorio Emanuele (nato nel 1960), Maria Diamante (nata nel 1963) e Matteo (nato nel 1966).
Ma Marta è uno spirito libero; ribelle per natura, ripudia le convenzioni e non riesce a restare fedele al marito. L’incontro con Renato Guttuso sarà la miccia che farà esplodere il suo matrimonio. I due si incontrano nel salotto dei Marchi, a Milano. Tra lei e il pittore nasce una passione fortissima; Marta ne diviene la musa prediletta e viene ritratta in molte delle sue opere, come nella celebre serie delle Cartoline, 37 disegni che immortalano una donna seducente. L’amore tra i due durerà 20 anni. Poi arriverà Lucio Magri, all’epoca segretario del Partito di unità proletaria per il comunismo: la relazione tra i due durò 10 anni e lei lo definì «un rivoluzionario da salotto».
Marta Marzotto con Renato Guttuso
Marta e Umberto Marzotto
Marta Marzotto è stata modella e stilista
Nata Marta Vacondio, nel 1954 ha sposato il conto Umberto Marzotto
Anche dopo aver divorziato dal conte Umberto Marzotto, Marta continua ad usare il cognome dell’ex marito. Intanto è divenuta una vera leggenda. Incarnazione emblematica dello stile gypset, animatrice di salotti, donna di mondo ed imprenditrice, e ancora stilista e disegnatrice di gioielli, Marta Marzotto è stata una delle più copiate icone di stile. Irriverente come nessuna, amante della vita, il suo stile prediligeva i caftani, capo simbolo del suo guardaroba: dall’animalier alle stampe floreali, la sua eleganza rispecchiava la sua vita e la sua passione per i viaggi, come il suo gusto per l’avventura.
Dopo aver lavorato a lungo come mannequin Marta Marzotto creò diverse linee di abbigliamento ed accessori che portavano il suo nome. Abiti e accessori unici, per un’eleganza sontuosa e un po’ zingara, caratterizzata da un riuscito mix di elementi chic e popolari. E così era anche il suo stile, ricco di contraddizioni, caleidoscopici caftani tribali che lei mixava magistralmente a zibellini e gioielli importanti: croci, cammei e bracciali dal sapore etnico impreziosivano il caftano, passepartout declinato in chiave extra lusso ma anche casual, il suo capo preferito in assoluto, che le valse l’appellativo di “regina dei caftani”. Gioielli come monili preziosi per uno stile gipsy che, grazie a Marta Marzotto, si è imposto nel mondo.
SFOGLIA LA GALLERY:
Marta con Matteo Marzotto – Vogue Italia, dicembre 1970. Foto di Elisabetta Catalano
Marta Marzotto su Vogue Italia, 1967, foto di Elisabetta Catalano
Marta Marzotto in una foto del 1969
Modella, stilista e protagonista del jet-set internazionale
Una vita piena di passione, quella di Marta Marzotto
Marta Marzotto negli anni Settanta
Un altro caftano indossato da Marta Marzotto
La contessa era conosciuta come “la regina dei caftani”
Uno scatto di Marta Marzotto
Marta Marzotto con colbacco e gioielli etnici
Lo stile etnico prediletto da Marta Marzotto
La contessa Marta Marzotto
Marta Marzotto (Foto: Getty Images)
La contessa in uno dei suoi amati caftani
Marta Marzotto da giovane
Marta Marzotto ritratta da Helmut Newton nel suo giardino accanto al ritratto realizzato da Renato Guttuso, Roma, 1986
Marta Marzotto in uno scatto di Marco Glaviano
Marta Marzotto (Foto: Marieclaire)
Marta Marzotto (Foto: Vogue.it)
Marta Marzotto (Foto: Vogue.it)
Marta Marzotto (Foto: Vogue.it)
Marta Marzotto (Foto: Vogue.it)
Marta Marzotto (Foto: Vogue.it)
Marta Marzotto su Vogue Italia, marzo 1973
Marta Marzotto (Foto: Vogue.it)
Marta Marzotto (Foto: Vogue.it)
Marta Marzotto al matrimonio della nipote Beatrice Borromeo
Marta Marzotto
La contessa con uno dei suoi amati caftani
Un ritratto di Marta Marzotto
Marta Marzotto, Giorgio Pavone e Gioconda Crivelli, Vogue Italia, settembre 1967, foto di Giacomo Alexis
Donna bellissima e dalla personalità scoppiettante, conquistò centinaia di copertine e fu immortalata anche da Helmut Newton. Dal suo salotto romano con vista su Piazza di Spagna passarono intellettuali e politici, tra cui Moravia, Dario Bellezza, Sandro Penna, Alberto Arbasino. E la Città Eterna la salvò dalla depressione, dopo la morte della figlia Annalisa, scomparsa prematuramente a cause della fibrosi cistica.
Nella vita patinata di Marta Marzotto c’è stata anche una diatriba giudiziaria: la contessa venne infatti condannata in primo grado dal Tribunale di Varese a otto anni di carcere con il beneficio della condizionale per aver riprodotto alcuni quadri che la ritraevano e alcune serigrafie di Renato Guttuso, senza averne titolo. Tuttavia nel 2011 venne assolta con formula piena dalla Corte d’Appello di Milano.
La contessa è stata una delle più amate icone di stile
Figlia di un casellante delle ferrovie e di una mondina, Marta Marzotto iniziò a lavorare come mondina prima di fare la modella
Marta Marzotto in uno scatto del 1969
Contraria alla chirurgia plastica, Marta Marzotto andava fiera delle proprie rughe e definiva orgogliosamente il proprio viso “una faccia da squaw”. Indimenticabili i suoi party esclusivi tra Roma, Cortina e Milano. Eccentrica eppure democratica, sorridente e genuina, indimenticabile fu la festa a cui invitò nel suo yacht in Costa Smeralda i vu’ cumprà della costa, che si presentarono dopo aver ricevuto regolare invito indossando i loro costumi tradizionali. Di Marta Marzotto ricorderemo la simpatia e l’umiltà di chi, al di là del lifestyle e della vita lussuosa, è sempre rimasta una donna semplice e genuina.
Marta Marzotto prediligeva lo stile etnico
Caftani e gioielli importanti nello stile di Marta Marzotto
Le voci si rincorrevano ormai da mesi, ma la notizia è ormai ufficiale: Stefano Pilati lascia Ermenegildo Zegna. Al suo posto si attende Alessandro Sartori, appena uscito da Berluti.
Il divorzio tra Pilati e la maison è stato salutato da ambedue le parti con parole di ammirazione e stima reciproca. Gildo Zegna, amministratore delegato del gruppo, ha ringraziato pubblicamente lo stilista per il lavoro svolto: «Volevamo rafforzare la nostra presenza nel mondo del fashion e dello stile e diventare una delle sfilate di riferimento nel calendario della moda milanese. Abbiamo raggiunto il nostro obiettivo più velocemente di quanto prefissatoci e siamo ora pronti ad affrontare nuove sfide. A Stefano auguro importanti successi per i suoi futuri progetti».
Dal canto suo Pilati si è detto orgoglioso di aver lavorato per un’azienda che -parole testuali- «fa della qualità, dell’ artigianalità e dell’eccellenza i pilastri del suo business». La collezione Autunno/Inverno 2016 che ha sfilato a Milano lo scorso 16 gennaio è stata la sua ultima sfilata per il gruppo.
Stefano Pilati è nato a Milano nel 1965
La parentesi di Pilati alla direzione creativa di Zegna era iniziata tre anni fa: lo stilista era stato nominato anche direttore creativo di Agnona, il marchio femminile del gruppo Zegna, incarico che però aveva lasciato a luglio del 2015.
Nato a Milano nel 1965, Stefano Pilati nel corso della sua carriera è stato dal 2004 al 2012 direttore creativo di Yves Saint Laurent. Ora si profila per lui un nuovo incarico in casa Lanvin, dopo l’addio annunciato pochi mesi fa da Alber Elbaz.
Si è spenta nella sua abitazione di Milano, all’età di 90 anni, Mariuccia Mandelli, in arte Krizia. A dare la notizia dell’improvviso malore, fatale alla celebre designer, il cda di M.K.K. spa.
Nata a Bergamo il 31 gennaio del 1935, Krizia si affermò ben presto divenendo protagonista indiscussa della moda italiana. Il caschetto scuro, il sorriso ironico e lo sguardo curioso, impossibile non conoscere Mariuccia Mandelli: quel nome scelto dall’ultimo Dialogo di Platone, perfetto per designare la sua moda concettuale e architettonica. Mariuccia Mandelli era figlia di un’Italia abituata a lavorare sodo e a fare sacrifici: un’attitudine per il taglio e cucito coltivata con grande disciplina, sullo sfondo del dopoguerra e con un padre intento a dissipare il patrimonio familiare per i suoi vizi; poi gli studi in Svizzera e quella cattedra come insegnante a cui la giovane rinunciò in nome della moda, per aprire un laboratorio a Milano, con l’amica Flora Dolci. Linee pulite ed essenziali caratterizzarono quei primi capi sperimentali.
Nel 1957 la giovane designer si distinse nell’ambito di un’esposizione al SAMIA (Salone mercato internazionale dell’abbigliamento), attirando l’attenzione anche di Elsa Robiola, celebre firma del giornalismo di moda italiano. Nel 1964 presentò una sua collezione a Palazzo Pitti, a Firenze, ottenendo il premio “Critica della moda”. Se inizialmente Mariuccia Mandelli vendeva le sue creazioni ai negozi, fu grazie all’obiettivo di Elsa Haerter, fotografa della rivista Grazia, che il suo nome cominciò a girare nei negozi più importanti. Le sue collezioni degli anni Sessanta prediligono i contrasti, come il bianco e nero optical, e la minigonna, che in Italia fu sdoganata anche grazie a lei, sulla scia di Mary Quant.
Maria Mandelli, in arte Krizia, nacque a Bergamo il 31 gennaio 1935
Appassionata di moda fin da giovanissima, studiò in Svizzera
Per la moda rinunciò ad una cattedra come insegnante
Krizia fu nominata Commendatore della Repubblica Italiana
Un ritratto di Mariuccia Mandelli
Il ritratto eseguito da Andy Warhol
La designer accanto al suo ritratto eseguito da Warhol
La collezione “La Voliera”, del 1980
Krizia, Autunno/Inverno 1983, foto di Albert Watson, Vogue UK settembre 1983
Krizia Autunno 1988
ADV Krizia, 1989
Krizia su Vogue America, Dicembre 1986. Foto di Giovanni Gastel
Krizia su Vogue America, Maggio 1987. foto di Giovanni Gastel
Krizia, Vogue America ottobre 1987. Foto di Giovanni Gastel
Krizia, Vogue America, dicembre 1987. Foto di Giovanni Gastel
Krizia su Harper’s Bazaar, foto di Annie Leibovitz, modella Honor Fraser, marzo 1994
Krizia, Autunno/Inverno 1995, foto di Patrick Demarchelier, modella Shalom Harlow
Krizia Autunno/Inverno 1997-’98, Angela Lindvall ritratta da Paolo Roversi
Dopo le nozze con Aldo Pinto, celebrate in Giamaica nel 1965, crea la collezione Kriziamaglia, e nel 1971 si aggiudica il premio “Tiberio d’oro” grazie ad un paio di hot pants ad alto tasso di sensualità.
Da lì la conquista del mercato internazionale con il suo brand: Krizia propone uno stile eccentrico ma sofisticato, specchio dello stile degli anni Ottanta. I materiali innovativi, come il sughero, la gomma e l’anguilla, e le forme insolite delle sue creazioni le valgono il soprannome di “Crazy Krizia”, assegnatole dalla stampa americana. Acclamata dai mercati esteri, amata tra le altre da Marella Agnelli e Lady Diana, la consacrazione avviene con un ritratto firmato Andy Warhol: Mariuccia Mandelli brilla nel firmamento della moda mondiale, dimostrando doti imprenditoriali notevoli, oltre ad un talento senza pari. Negli anni Ottanta il suo prêt-à-porter è salutato con clamore, mentre la stilista firma una linea uomo che ottenne grande successo; indimenticabili le maglie con gli animali, mentre nel 1980 arriva la prima fragranza firmata Krizia. Nel 1986 la stilista ottiene la massima onorificenza italiana, divenendo Commendatore della Repubblica Italiana, unica donna accanto a nomi del calibro di Giorgio Armani, Gianfranco Ferré, Valentino Garavani e Gianni Versace.
Gli anni Novanta la vedono indagata nel maxi processo Mani Pulite, con l’accusa di aver pagato delle tangenti, ma segue la piena assoluzione nel 1998. Recenti le collaborazioni della designer con Alber Elbaz, Jean-Paul Knott, Giambattista Valli, mentre nel 2014 il marchio fu rilevato dal gruppo cinese Shenzhen Marisfrolg Fashion. La stilista si è spenta improvvisamente nella serata di ieri nella sua abitazione milanese, accanto al marito Aldo Pinto. A gennaio avrebbe compiuto 91 anni. Dichiaratasi sempre di sinistra, Mariuccia Mandelli auspicava l’avvento di una generazione di giovani talenti e -schietta come sempre- non perdeva occasione per evidenziare la mancanza di umiltà che caratterizzava diversi addetti ai lavori. Con lei scompare un tassello fondamentale della moda italiana.
Non si può mai star tranquilli, è proprio il caso di dirlo: dopo l’inaspettato divorzio tra Raf Simons e Dior tocca ora a Lanvin creare scalpore.
Aber Elbaz, dopo quattordici anni alla direzione creativa della celebre maison francese, ha lasciato il suo incarico.
A dare per primo la notizia è stato il sito Women’s Wear Daily: secondo rumours fidati, il designer israeliano avrebbe maturato la decisione di abbandonare la maison a causa degli ormai insormontabili contrasti con la dirigenza aziendale del marchio, in primis con Shaw-Lan Wang e Michèle Huiban, CEO di Lanvin.
Classe 1961, Alber Elbaz è nato a Casablanca
Lo stilista israeliano era alla guida della maison dal 2001
Una riunione straordinaria convocata questo pomeriggio tra i vertici del brand e i dipendenti avrebbe visto Elbaz fare già le valigie e lasciare il suo studio in Rue du Faubourg Saint-Honoré. Ora riflettori puntati sul suo successore.
Certo è che questi divorzi in seno alle maison più autorevoli del panorama internazionale non sono passati inosservati agli occhi degli addetti ai lavori. Se è vero che la moda è una tra le più nobili forme d’arte, assai difficile appare talora il connubio tra le strategie di marketing e le ispirazioni -mutevoli e assolutamente scevre dalle logiche di mercato- dei loro direttori creativi. Una piccola rivoluzione che sta suscitando clamore nel fashion biz, ma che auspichiamo possa magari riportare le case di moda a riscoprire la propria essenza più autentica.