Viso pulito, lunghi capelli castani ed eleganza innata hanno reso Diletta Bonaiuti una delle it girl più amate. La stylist, cresciuta a Firenze, ha iniziato la sua carriera nel fashion biz da American Apparel. Successivamente la consacrazione ufficiale arriva quando la bella Diletta viene arruolata nel team di Luisaviaroma, in qualità di stylist. Grande fotogenia ed uno stile iconico hanno reso Diletta Bonaiuti una delle icone di stile contemporanee più apprezzate, protagonista assolute dello streetstyle e regina dei front row. La giovane fashionista, cresciuta con la passione per la fotografia e la moda, sfoggia uno stile estremamente personale, un riuscito mix di romanticismo e tocchi streetwear. Femminile e un po’ vintage, la bellissima stylist ha fatto della semplicità la cifra stilistica del suo guardaroba: un fisico esile e un’allure da modella per lei, che appare sempre impeccabile, sia in total white che con un semplice paio di jeans. Dimenticate overdressing ed effetti scenografici: la bella Diletta non ha bisogno di colpi di scena per ammaliare, forte di uno stile raffinato e di una bellezza delicata, che profuma di altri tempi. Il suo stile trae ispirazione dagli anni Settanta/Ottanta: tra maxi dress floreali e stivali ricorda molto Ali MacGraw, storica protagonista della pellicola strappalacrime Love Story ed icona Seventies. Largo a citazioni boho-chic, tra sciarpe stampate, pantaloni a zampa e lunghi abiti impalpabili in stampa patchwork. Bellissima anche con il più classico dei trench e con un tailleur pantaloni nero, l’influencer è la perfetta incarnazione di un’eleganza che strizza l’occhio alla contemporaneità ma senza perdere di vista il glamour evergreen del passato.
A volte l’ironia può diventare lasciapassare per la celebrità: è il caso di Leandra Medine, fashion blogger ed icona di stile contemporanea, che deve il successo internazionale ad una geniale intuizione. Il suo blog, Man Repeller, si distingue per la vena ironica con cui l’irriverente Leandra teorizza una verità universalmente nota ma che nessuno prima aveva avuto il coraggio di sintetizzare: ecco spiegato nero su bianco come mai certi capi amatissimi dalle donne risultino invece alquanto sgraditi agli occhi maschili. “La buona moda si basa sul soddisfare le donne, non gli uomini, per cui avviene che i trend che più amiamo sono odiati dagli uomini. E questo è fantastico”, così commentava la giovane blogger, che ha cavalcato l’onda del successo, affermandosi come una trendsetter nota a livello internazionale.
Nata e cresciuta a New York, Leandra è la figlia di Mois e Lyora Medine e vanta ascendenze turche ed iraniane. La giovane ha tre fratelli, Haim, Henry e Mark. Dopo aver frequentato la Ramaz School sull’Upper East Side, Leandra Medine nel maggio 2011 ha conseguito la laurea in giornalismo. Il primo approccio al mondo dei blog risale al 2009, quando Leandra fonda Boogers + Bagels, blog satirico, seguito nel 2010 da Man Repeller. L’idea venne durante una visita da Topshop con l’amica Rachel Strugatz, oggi firma di Women’s Wear Daily. “Ridevamo pensando a come tutto fosse repellente agli occhi di un ragazzo”. Dopo appena tre giorni dal lancio, il blog era già virale. Il pubblico che segue Leandra Medine conta oggi circa 394mila followers solo su Instagram, mentre l’account di Man Repeller è seguito da oltre un milione di persone.
Nel 2012 la blogger è stata inclusa da Forbes nella classifica dei Top 30 under 30, mentre il suo blog è stato inserito dal Time come uno dei 25 blog migliori del 2012 e ha ricevuto il Bloglovin’t Awards nello stesso anno. Nel settembre 2013 il blog si è trasformato in un libro, intitolato Man Repeller: Seeking Love. Finding Overalls, edito da Grand Central Publishing. Tante le collaborazioni nel fashion biz per la giovane Leandra: da Gryphon al brand di calzature Del Toro, da Superga a PJK, fino a Micheal Kors, Stuart Weitzman e Saks Fifth Avenue: considerata guru dello stile contemporaneo, Leandra Medine nel 2012 si è sposata con Abie Cohen.
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(Foto: Grazia)
Secondo lei tra i capi più odiati dagli uomini vi sarebbero i pantaloni larghi, i cosiddetti harem pants, o anche i jeans boyfriend, le salopette, le tute intere e gli accessori esagerati. Dries van Noten, Stella McCartney, Ellery, Prabal Gurung, Christopher Kane tra i suoi designer prediletti. I suoi look iconici prediligono uno stile bon ton ma sempre intriso di ironia. Largo a capi funzionali e virtuosismi stilistici, per una moda vissuta principalmente come mezzo di espressione. Amante di capi minimali, Leandra Medine conquista per la sua personalità spumeggiante e per uno stile fortemente personale. Per lei per attirare l’attenzione di un uomo una donna deve sentirsi bene con ciò che indossa. L’influencer si è detta preoccupata per il futuro dei fashion blog: quel che prima appariva come un fenomeno di nicchia, che vedeva i blog come mezzo di espressione, appare oggi ai suoi occhi come svuotato di ogni senso, in un mondo che punta invece sempre più sull’apparenza.
Fashion blogger di fama internazionale, influencer e icona dello street style, Vanessa Hong è una delle it girl più seguite al mondo. La trendsetter trentaduenne, creatrice di The Haute Pursuit, detta da anni tendenze e impone nuove mode dalle pagine del suo blog, divenuto uno store online. Regina dei front-row e icona di stile contemporanea, Vanessa Hong vive tra Vancouver, New York e Beijing. Il suo stile minimalista non lesina in tocchi sportswear: futurista, sperimentatrice, Vanessa Hong ha sdoganato un’eleganza iconica, proiettata in avanti.
I suoi outfit sono ricchi di reti, intarsi, suggestioni otpical ed ispirazioni tratte dall’architettura: volumi teatrali e tagli eclettici si uniscono alle linee asciutte ed essenziali del minimalismo di stampo orientale. Largo a capi strutturati e a sapienti decostruzioni, per uno stile che esula dalla mera moda fino a trasformarsi quasi in arte. Divenuta una star del web dopo aver fondato il suo blog The Haute Pursuit, nel 2010, Vanessa Hong oggi è una delle influencer più seguite al mondo.
Un’esteta ambiziosa dalla personalità esplosiva e dalle grandi capacità imprenditoriali, la Hong, che vanta nel suo curriculum collaborazioni con vari brand, tra cui Malone Souliers. La it girl si definisce direttrice creativa e CEO del suo blog, The Haute Pursuit, considerato alla stregua di una start-up in cui è lei a coordinare ogni settore, dal design al business development del suo store, THPSHOP: è lei a disegnare i capi venduti online, come anche gli accessori e i gioielli. Non solo creatività per lei, che non teme di affrontare anche i compiti manageriali che la fama le ha imposto.
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Il suo stile iconico si pone come un inno all’anarchia: nessuna regola precisa per lei, che pure di consigli da elargire in fatto di stile ne avrebbe parecchi. “Ogni ragazza è diversa”, ha dichiarato la Hong. “Se non vede se stessa in me, si vedrà in qualcun altro e penso che sia una cosa splendida”. Il suo stile, che lei definisce pulito e monocromatico, predilige comfort e funzionalità. Lei che alle sfilate ammette di preferire lo streetwear, adora mixare capi sportivi a dettagli iperfemminili. La blogger ammette di essere affetta da shopping compulsivo ma allo stesso tempo riesce a controllarsi.
La palette cromatica da lei prediletta vede nero all over, bianco, tonalità neutre e denim. Hong predilige inoltre capi rubati al guardaroba di lui, in particolare pezzi basic, che poi adatta con savoir-faire ad ogni situazione. Laureata in Biochimica e Genetica Molecolare alla University of British Columbia, Vanessa Hong ha sempre avuto una smisurata passione per la moda e un senso innato per lo stile. Tra i suoi designer preferiti Masha Ma e Yang Lee. Nel suo guardaroba non possono mancare un cappotto oversize, scarpe flat e un capo iper colorato, a staccare dalla palette monocromatica da lei prediletta abitualmente.
Nel fashion system il suo nome è sinonimo di estro e stile: Giovanna Battaglia, fashion editor e stylist di fama mondiale, nonché influencer, è una delle personalità più influenti nel settore (qui un pezzo sulla sua biografia). Definita dal New York Times una “eroina della moda”, Giovanna Battaglia è nata a Milano nel 1979 da una famiglia di origini siciliane e calabresi.
Fisico scultoreo ed altezza da valchiria, la bella Giovanna inizia da giovanissima a lavorare come modella, dopo aver partecipato al concorso di Miss Italia. A sedici anni è già musa prediletta di Dolce & Gabbana, che ne adorano la bellezza mediterranea. All’età di 28 anni la giovane inizia a lavorare come stylist dapprima per L’Uomo Vogue e poi per le edizioni di Vogue China, Vogue Japana, Vogue Germany. Nel 2011 diviene fashion editor di W Magazine e successivamente Senior Fashion Editor di Vogue Japan.
Il resto è storia: oggi Giovanna Battaglia è uno dei nomi più famosi a livello internazionale, orgoglio italiano e figura di spicco nei front-row delle passerelle. Protagonista indiscussa del jet set internazionale, la bella stylist è recentemente convolata a nozze con il magnate svedese Oscar Engelbert. Regina dello street style, Giovanna Battaglia è diventata famosa anche per il suo stile unico e per la nonchalance con cui mixa capi dal piglio bon ton a pezzi dalle suggestioni futuriste.
Considerata una icona cyber per la sua versatilità e per certi suoi outfit, improntati alla più audace sperimentazione, la fashion editor alterna capi dall’allure classica a dettagli futuristi. Tripudio di femminilità nei tubini bon ton di ispirazione lady like, come anche nei tailleur e nel pizzo. Opulenza ed ironia nell’animalier, ispirazioni avanguardistiche nella sua predilezione per audaci virtuosismi stilistici. Tra i suoi designer preferiti oltre a Dolce & Gabbana anche Stella Jean, Comme des Garçons e Prada.
Nel guardaroba di Giovanna Battaglia non mancano capi che omaggiano una femminilità delicata e quasi rétro, come abiti con gonna a ruota e stampe dal retrogusto vintage. Largo poi a linee pulite ed essenziali, per capi couture che la stylist adatta a qualsiasi situazione. Dominano funzionalità e praticità in molti dei suoi outfit, anche in quelli più futuristi: tra pantaloni cargo e capispalla in nylon dalle stampe optical riusciamo persino a scorgere una vena minimalista. Non mancano sovrapposizioni audaci che si alternano al mood concettuale di alcune mise. Il fisico asciutto della fashion editor viene esaltato anche da un semplice tubino dalla vestibilità bodycon, che la bella Giovanna accosta ad una clutch disegnata dalla sorella Sara.
È l’attrice cinese Ni Ni il volto scelto da Gucci per la nuova linea eyewear. La splendida attrice è ambasciatrice del brand per l’Asia e testimonial della campagna primavera/estate 2017 che verrà lanciata nel continente asiatico a partire da febbraio. Ni Ni è stata immortalata in tre immagini, scattate dall’obiettivo di Glen Luchford.
“Le collezioni di Alessandro Michele mi hanno affascinata, la sua passione per una bellezza che appartiene al passato e il modo in cui manifesta il suo linguaggio poetico attraverso creazioni che esaltano l’individualità di ognuno mi hanno conquistata. Far parte di questo nuovo capitolo di Gucci è davvero entusiasmante”, ha commentato l’attrice, nuova ambassador Gucci e musa di Alessandro Michele.
La diva cinese è stata immortalata mentre sfoggia tre modelli: il volto perfetto di Ni Ni è stato incorniciato dalle lenti tonde glitterate in acetato, dal modello oversize con silhouette cat-eye in acetato e astine decorate e da un modello da vista color havana. Eleganza timeless nei tre modelli, che recano anche il simbolo della tigre, emblema della maison Gucci, e il logo della doppia GG.
Ni Ni, nata l’8 agosto 1988, ha conquistato la fama per il suo ruolo nel film del 2011 The Flowers of War diretto da Xhang Yimou, dove recitava nel ruolo della protagonista. Laureata presso la Communication University of China, Ni Ni deve la fama mondiale alla pellicola di Zhang. Acclamata in Cina come una vera diva, la splendida attrice è perfetta per incarnare in Oriente l’estetica Gucci: lo stile ironico e versatile, con citazioni vintage e suggestioni rétro, tanto caro ad Alessandro Michele, trova nell’attrice asiatica sublime incarnazione.
Volto perfetto, una lunga chioma di capelli castani e un corpo sinuoso: Negin Mirsalehi è una delle it girl più amate. Regina di Instagram e fashion blogger tra le più seguite, la bellissima icona di stile si è imposta in pochissimi anni come uno dei nomi più influenti del fashion system.
Negin Mirsalehi non è solo una bellezza mozzafiato: la web icon ha dimostrato di avere anche un fiuto eccezionale per gli affari. Il suo blog, da cui distilla pillole di stile e foto di lifestyle, è frutto di una sapiente strategia di marketing costruita a tavolino. La blogger, eccellente businesswoman, ha dato prova di grande abilità a partire dagli studi accademici: la splendida Negin -il cui nome in persiano significa letteralmente “gemma preziosa”- ha infatti conseguito una laurea in Economia, con una tesi in Marketing dei social media. Nulla avviene per caso, si potrebbe commentare. Una scalata avvenuta in pochissimi anni, complice anche un fisico statuario ed una fotogenia rara.
Oggi Negin è una vera star del web, protagonista indiscussa dei front row, acclamata durante le fashion week e immortalata in innumerevoli scatti di street wear grazie ai suoi look iconici. Il suo stile casual ma di classe non smette di raccogliere proseliti e l’ha sdoganata ufficialmente come una delle it girl su cui puntare. Seguita da 3,6 milioni di followers sul suo account Instagram, Negin Mirsalehi nel panorama del fashion biz attuale ama andare controcorrente, grazie ad una personalità eclettica e ad una visione molto chiara dello stile. Tante sono le cause sposate dalla blogger, a partire dall’ecologia.
La giovane si è distinta anche in campo imprenditoriale, grazie ad una formula antichissima che lei ha saputo trasformare in un vero e proprio business: Negin ha infatti perfezionato un unguento a base di miele, la cui antica ricetta viene tramandata da intere generazioni nella sua famiglia. Il padre, apicoltore da ben sei generazioni, ha raccolto questo miele utilizzato dalla madre, hairstylist, nei suoi saloni: Negin, deus ex machina della situazione, ha trasformato la ricetta in un elisir di lunga vita per la bellezza dei capelli. E proprio i suoi lunghissimi capelli sono diventati emblema del suo stile.
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Sorriso bianco e bellezza naturale, Negin non ama ostentare e il suo stile effortlessy-chic riflette un minimalismo in chiave street style. Splendida anche al naturale, la blogger non ama indossare make up eccessivo e la sua eleganza punta alla femminilità ma anche a pochi elementi basic. Must have del suo guardaroba sono i jeans, i blazer, top di seta e chiffon e abiti impalpabili. Un debole per i bustier e le pump, Negin Mirsalehi adora le creazioni di Alberta Ferretti, Chloé, Stella McCartney, Cedric Charlier. Per le scarpe predilige Jimmy Choo e per i gioielli Boucheron e Cartier.
Eclettica ed originale, la blogger ama giocare con i suoi lunghi capelli, che lega spesso in trecce e acconciature. Nel suo armadio non mancano capi dall’appeal minimal e dalle suggestioni Nineties. La blogger olandese ama parlare di sé e sulle pagine del suo blog (neginmirsalehi.com) ama raccontarsi attraverso una selezione di foto. Non solo consigli di stile e foto dei suoi outfit, ma anche consigli di bellezza e resoconti di viaggio. L’influencer è stata insignita con lo Stylight Fashion Blogger Award, nella categoria Most Promising Fashion Blog e si è aggiudicata anche il titolo di Best New Media Talent del Marie Claire’s Prix de la Mode.
Tra le sue icone predilette Jane Birkin ma anche la collega Chiara Ferragni. La moda per lei è una inesauribile fonte di ispirazione per esprimere se stessa ed uno strumento di conoscenza. Nel suo armadio non mancheranno mai un cappotto di lana dalle linee over, stivali in pelle e una borsa nera sempre in pelle.
Quarant’anni di carriera ed uno stile unico: la designer Agnès b. si racconta ora in un libro autobiografico. Agnès b. Styliste è il titolo del volume scritto dalla stilista 75enne. Una raccolta di fotografie, bozzetti originali, ma anche frammenti di vita della stilista, come souvenir dei suoi viaggi e omaggi alla sua musica preferita.
Il volume ripercorre in 288 pagine i 42 anni di carriera di Agnès Troublé, in arte Agnès b., dall’apertura della prima boutique a Parigi nel 1975 ad oggi. I testi sono scritti da Florence Ben Sadoun. Designer ma anche film-maker, artista e collezionista, lo stile iconico di Agnès b. è stato celebrato da una mostra multidisciplinare organizzata dal Musée national de l’histoire de l’immigration di Parigi: «Vivre!!», questo il titolo della mostra, aperta fino all’8 gennaio, raduna 70 pezzi della collezione privata della stilista.
Considerata tra i precursori dello street style (il suo motto più celebre è “la strada crea la moda”), Agnès b. è nota per il suo stile chic e casual. Nel libro vengono raccolte fotografie di Peter Lindbergh, Dominique Issermann, Ellen von Unwerth, Bruce Weber, Gilles Bensimon e Jean-Baptiste Mondino, che rendono omaggio alla complessità dell’universo creativo della designer.
Il volume, edito da Abrams, verrà pubblicato negli Stati Uniti il 7 marzo 2017, data della sua prossima sfilata di womenswear a Parigi. Il défilé di moda maschile si terrà invece il 22 gennaio.
Il volume svela anche retroscena inediti sulla vita della designer, sulla sua visione dello stile e della moda, sulle ispirazioni alla base delle sue collezioni. Il suo stile iconico, fortemente influenzato dalla musica rock, dal Diciottesimo secolo, si sviluppa anche attraverso i tanti viaggi compiuti dalla stilista in giro per il mondo.
All’anagrafe Agnès Andrée Marguerite Troublé, la stilista è nata a Versailles nel 1941. Dopo essersi diplomata all’École du Louvre di Parigi, il suo stile viene subito notato dalla rivista Elle. Nel 1975 la designer apre la sua prima boutique a Les Halles. Nel 1981 inizia a disegnare collezioni di menswear. Nel 1983 l’espansione a New York, con l’inaugurazione del primo store a Soho. Da allora tante sono le linee lanciate dal brand, dalle borse alle scarpe ai profumi e ai cosmetici. agnès b. ha disegnato orologi e occhiali per Seiko e cosmetici per L’Oréal. La griffe vanta boutique a Londra, Amsterdam, Singapore, Taipei, Tokyo, Hong Kong.
C’è chi lo stile lo copia e c’è chi invece lo detta: il nome di Elsa Peretti domina il fashion system da oltre cinquant’anni. Designer di gioielli dal fascino unico, modella, ma anche filantropa ed icona di stile, Elsa Peretti ha influenzato la moda a partire dagli anni Settanta: il suo stile unico e il suo storico sodalizio con Tiffany & Co. costituiscono uno dei pilastri del gusto, pietra miliare nella storia del costume e della moda.
Arbiter elegantiae e trendsetter ante litteram, Elsa Peretti dalla vita ha avuto davvero tutto, complice anche una personalità eclettica ed un carattere granitico: non aveva certo bisogno di denaro Elsa, nata in una delle famiglie più ricche d’Italia. La ribellione le scorreva nelle vene e, anziché portarla ad adagiarsi sugli allori del lusso, la condusse verso orizzonti lontani ed inusitati. La socialite abbandonò le sicurezze e gli agi che le venivano garantiti in Italia e partì da sola alla volta della Spagna, con una valigia piena di sogni e ambizioni. Una tra tutte, trovare se stessa.
Nata a Firenze il primo maggio 1940, Elsa è la figlia minore di Ferdinando Peretti e Maria Luisa Lighini. Suo padre è un ricco industriale, fondatore dell’Anonima Petroli Italiana (API). La giovane studia a Roma e poi in Svizzera, dove dapprima si mantiene dando lezioni di italiano e successivamente lavorando come istruttrice di sci a Gstaad. Nel 1963 il trasferimento a Milano per studiare interior design: qui Elsa lavora per l’architetto Dado Torrigiani. L’anno seguente abbandona la sua famiglia conservatrice e si trasferisce a Barcelona, dove tenta i primi vagiti di una carriera nella moda: sensuale e statuaria, per Elsa si spalancano immediatamente le porte del fashion system. Ma la famiglia, fortemente conservatrice, non approva quella scelta e i genitori non le parlano per anni.
La Spagna all’epoca è sconvolta dalla dittatura franchista. Tuttavia qui Elsa respira una libertà mai sperimentata prima: tutto è nuovo per lei, i marines, le prostitute, i fiori, l’oceano resteranno per sempre impressi nella sua memoria. La giovane si avvicina al movimento della Gauche Divine, la resistenza intellettuale al franchismo. Dopo alcuni anni trascorsi a Barcelona, Elsa vola a New York su consiglio di un agente della Wilhelmina Modeling Agency, l’agenzia che la rappresenta. È una fredda giornata di febbraio del 1968 a fare da sfondo al suo arrivo nella Grande Mela: Elsa arriva a New York con un occhio nero, indesiderato souvenir di un suo amante che non voleva lasciarla andare. Il primo incontro con la Grande Mela è quasi uno shock per lei: uscita indenne dal caos e dagli scioperi che sconvolgono la città, la giovane giunge all’Hotel Franconia, che diviene la sua casa. Elsa non ha un dollaro in tasca ma ha una fede quasi mistica nelle possibilità che a breve le verranno offerte. Nessuno a New York sembra conoscerla e tutti ignorano la ricchezza della sua famiglia di origine: “Sapevamo tutti che Elsa veniva dal denaro ma non avevamo idea di quanto denaro”, dirà Marina Cicogna.
A New York Elsa inizia una carriera di successo: divenuta presenza fissa allo Studio 54, nel suo circolo di frequentazioni spiccano icone pop come Andy Warhol. Elsa è richiestissima come modella. In tanti la immortalano, a partire da Helmut Newton, di cui sarà anche amante: indimenticabile lo scatto che la ritrae sospesa tra i tetti di New York in costume da coniglietta di Playboy. Correva l’anno 1975 e quella foto è entrata di diritto nell’immaginario collettivo, restando impressa indelebilmente come una delle immagini iconiche degli anni Settanta.
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Elsa Peretti fotografata con i suoi gioielli per Tiffany & co. a Sant Marti Vell, Spagna, nell’aprile 1977. (Foto di Hilda Moray)
Elsa Peretti e Salvador Dali’, foto di Oriol Maspons, agosto 1966
Uno scorcio della casa dell’icona a San Marti Vell
Elsa Peretti immortalata da Francesco Scavullo, 1976
Elsa Peretti in una foto di Timothy Greenfield Sanders
La designer con Bobby Breslau
Elsa Peretti, Halston e Katen Bjornson, anni Settanta
Elsa Peretti per Vogue, marzo 1975 (Foto Horst. P. Horst).
Elsa Peretti ad Hong Kong, fine anni Sessanta
Elsa Peretti a Kyoto, Giappone
La designer durante uno dei suoi viaggi
Il decor della casa di Elsa Peretti in Toscana firmato Renzo Mongiardino (Foto Fritz von der Schulenburg)
Elsa Peretti, New York, 1975 (Photo by Michael Tighe/Hulton Archive/Getty Images)
Uno scatto celebre
La sensualità di Elsa Peretti
Elsa Peretti a Sant Marti Vell, Spagna, col suo cane Tomasino, 1976
Elsa Peretti nel 1977, foto di Jack Mitchell
Foto di Hilda Moray
Uno scatto risalente agli anni Settanta (Foto VANITY FAIR)
Elsa Peretti nel 1969 (Foto CORBIS)
Elsa Peretti in uno scatto iconico
La designer
Elsa Peretti è stata una top model ricercatissima
Elsa vive tra eccessi di ogni tipo ed abusa di cocaina: sono gli anni in cui il glam sembra dominare, in un mondo in cui la trasgressione è un must. La giovane adora ballare e frequenta ogni discoteca, dal Le Jardin al Max’s Kansas City al Saint, fino allo Studio 54 e al Paradise Garage. La sua bellezza mediterranea le fa firmare numerosi contratti: la giovane, alta e sofisticata, attrae l’attenzione di designer del calibro di Charles James e Issey Miyake, che la vuole in passerella. Ma solo con Roy Halston Frowick, il primo che Elsa incontra appena arrivata nella Grande Mela, alla fine degli anni Sessanta, sarà amore a prima vista: tra i due nascerà un’amicizia destinata a durare per tutta la vita. Immortalata da nomi illustri, da Newton a Scavullo fino a Salvador Dalí, la ragazza copertina ha una marcia in più rispetto alle colleghe: la sua personalità. “Elsa era diversa dalle altre modelle. Le altre erano grucce, manichini, ma lei aveva stile. Lei faceva suo l’abito che indossava”, ha dichiarato Halston. Tuttavia Elsa odia il lavoro di modella: quasi terrorizzata dalla sola idea di dover posare davanti ad un obiettivo, sfrutta la professione solo per potersi mantenere, dopo essere stata diseredata dalla famiglia d’origine.
A proposito della sua amicizia con Halston, Elsa Peretti dichiarerà: “Ho passato i momenti migliori con lui quando eravamo lontani dalla moda e da quella gente. Poco a poco diventammo amici. A un certo punto la cocaina finì e iniziammo a farci le canne”. Tra i loro amici figuravano lo stilista Giorgio di Sant’Angelo, l’illustratore Joe Eula, Victor Hugo, amante di Halston, ed Andy Warhol. Joe era il più affettuoso del gruppo ed era solito cucinare per tutti. A volte faceva una capatina anche Liz Taylor.
Il primo approccio alla gioielleria risale al 1969: un giorno Elsa confida all’amico Giorgio di Sant’Angelo di voler creare dei gioielli. Per lei è poco più di un hobby, sebbene la passione per i gioielli le scorra già nelle vene. Ad ispirarla nella sue creazioni iniziali sono oggetti apparentemente banali, scorci di una quotidianità che agli occhi geniali di Elsa Peretti sembra assumere i toni di un’epifania pregna di simbolismi arcaici: che sia un vaso di fiori argentato scovato in un mercatino delle pulci o che siano suggestioni prese a prestito dalla natura, quei gioielli creati quasi per gioco ottengono grande visibilità fin dalla prima esposizione pubblica, che ha luogo in una vetrina di Bloomingdale’s. La giovane capisce di avere del talento quando le sue creazioni, presentate durante una sfilata di Giorgio di Sant’Angelo, colpiscono tutti i presenti. Nel 1971 inizia a creare gioielli per l’amico Halston: per quelle creazioni utilizza l’argento, un materiale molto inusuale nell’alta gioielleria, considerato alquanto banale. Quando firma un contratto con Tiffany & Co. come designer indipendente, Elsa Peretti è già stata insignita di un Coty Award (ricevuto nel 1971) ed è già apparsa su Vogue. Sarà proprio Halston, nel 1974, ad accompagnarla al colloquio di lavoro che cambierà la sua vita, con l’allora CEO di Tiffany & Co., Walter Hoving. La designer viene subito assunta ed in breve entra nell’Olimpo: una cover del Newsweek del 1977 la immortala come l’iniziatrice della più grande rivoluzione nel mondo della gioielleria dai tempi del Rinascimento. «Il giorno in cui Elsa è entrata a far parte di Tiffany –ha dichiarato qualche anno fa il presidente e Ceo del brand, Michael Kowalski– noi siamo entrati in una nuova era della nostra storia di innovazione nel design».
Iconici e suggestivi, i suoi gioielli rompono con la tradizione ed inaugurano un’estetica inedita: forme caratterizzate da linee essenziali, che traggono ispirazione dalla natura, ma anche dall’architettura o dalle gloriose vestigia del passato; suggestioni neoclassiche ma al tempo stesso fortemente improntate alla contemporaneità, per pezzi unici divenuti dei classici senza tempo.
L’elemento naturale predomina nelle collezioni Starfish e Bean, rispettivamente ispirate alle stelle marine e ai fagioli; le sue forme sensuali rivoluzionano il design del gioiello ed incantano il mondo intero. Da quel lontano 1974 Elsa Peretti ha creato più di 30 gioielli iconici nelle sue collezioni per Tiffany. Artista magistrale dotata di grande fantasia, Elsa Peretti ha esplorato la natura con la sensibilità di uno studioso e la visione di uno scultore. Le viene inoltre riconosciuto il merito di aver conferito nuova dignità all’argento, dandogli il posto che meritava nel design del gioiello. Convinta che l’eleganza sia sinonimo di semplicità, la designer ha sempre prediletto gioielli adatti ad essere indossati tutti i giorni, sdoganando anche i diamanti: la sobrietà con cui la designer usa il diamante ha rivoluzionato il modo di indossare queste pietre preziose. “Penso sempre che la gente mi faccia complimenti per quel che ero e non per quel che sono adesso. Adesso io sono Tiffany”, dichiarerà molti anni dopo Elsa Peretti. Nel 2012 Tiffany ha rinnovato la collaborazione con la designer per altri vent’anni. Testarda e ostinata, Elsa Peretti ha commentato il rinnovo del contratto come la sua “ricompensa per il passato”. Mai nessuna come lei: la designer fece guadagnare alla maison cifre mai toccate prima di allora. “Le persone vengono dimenticate così in fretta, io voglio sopravvivere”, ha dichiarato durante un’intervista.
La vita d Elsa si staglia sullo sfondo dell’era disco: molti dei suoi amici muoiono di AIDS o per l’abuso di sostanze stupefacenti. Nel 1971 la designer decide di dare un taglio al consumo di cocaina. Intanto al suo fianco c’è sempre il fidato Roy Halston, per il quale disegna la linea di cosmetici e le boccette di profumo: come lei stessa ha dichiarato nel corso di un’intervista, tra i due vi era una tensione sessuale mai consumata. Ma il loro rapporto cominciò ad incrinarsi nel 1978: durante quella che doveva essere una serata tranquilla, Elsa litigò furiosamente con lo stilista, dando fuoco ad una pelliccia che questi le aveva regalato. Rimproverandolo di essere troppo freddo ed interessato solo all’apparenza, Elsa Peretti fece una scenata ad Halston. “Al massimo mi chiedeva che cosa indossassi. Ma a mezzanotte non vuoi certo parlare di vestiti”, dirà la designer. “La tua amicizia per me significa molto più di questa fottuta pelliccia”: queste le parole che suggellarono la fine della loro amicizia. Dopo un silenzio di tre mesi i due si rincontrano allo Studio 54 in una notte di aprile: ma il rancore è ancora lì ed Elsa svuota una bottiglia di vodka sulle scarpe dello stilista. Successivamente, stanca di vivere a New York, città che considera “non adatta alle relazioni”, la designer si rifugia in Spagna: qui si innamora di Sant Martí Vell, un piccolo centro della Catalogna. Qui la designer acquista un vecchio maniero che inizia a ristrutturare. Il castello è circondato da un’aura di mistero dal momento che tra quelle mura molta gente nei secoli passati morì di peste bubbonica. All’apice del successo, Elsa Peretti possiede appartamenti a Roma, New York, Montecarlo, Barcelona e Porto Ercole: qui acquista una casa risalente al Sedicesimo secolo affidando l’interior design al genio di Renzo Mongiardino.
Elsa Peretti non si è mai sposata e la sua relazione più lunga è stata quella con Stefano Magini, incontrato nel 1978 e rimasto al suo fianco per 23 anni. Nel 1977, alla morte del padre, reo di averla diseredata, la designer eredita una fortuna. Schiva e riservata, una delle figure più importanti nella sua vita sarà proprio Halston: i due si riconciliarono due anni prima della morte dello stilista, avvenuta nel 1990. Lui andò a trovarla nel suo sontuoso appartamento di Porto Ercole e insieme telefonarono per scherzo al loro comune amico Joe Eula. “Quello che davvero amavo in Halston era l’incoraggiamento che mi diede. Quando ti piace quel che qualcuno fa, è importante dirglielo”.
Nel 2000 Elsa Peretti fonda la Nando Peretti Foundation, che porta il nome del padre: l’attività predominante della fondazione è quella di proteggere i diritti civili ed umani con particolare attenzione all’istruzione, ai diritti dei bambini, delle donne e delle minoranze oppresse. La Fondazione nel 2015 ha cambiato nome, diventando la Nando and Elsa Peretti Foundation. Nel 2008 il British Museum ha acquistato 30 creazioni di Elsa Peretti, definendo la sua opera “superba artigianalità avente anche significato simbolico nell’epoca moderna”.
Nel 2013 Elsa Peretti è la prima persona non catalana ad essere insignita del National Culture Award dal National Council for Culture and the Arts (CoNCA). La Fondazione che porta il suo nome ha promosso le arti visive e ha protetto il patrimonio storico e artistico della Catalogna. Numerose le opere promosse, come il restauro della chiesa di Sant Martí Vell.
Sublime incarnazione degli anni Settanta, Elsa Peretti è stata simbolo di uno stile divenuto iconico. Donna libera e ribelle, i suoi gioielli e la sua intera vita rappresentano la parabola di uno spirito libero. “Chiunque sia stato ribelle una volta nella vita non può tornare ad essere convenzionale”, ha affermato la designer. I gioielli disegnati per Tiffany & Co. hanno sdoganato un nuovo concetto di lusso, che unisce suggestioni couture alla semplicità di linee essenziali e minimali. Perché l’eleganza è semplicità.
Spegne oggi 70 candeline Patti Smith, cantante e poetessa statunitense e icona musicale. Un carisma unico, intriso di suggestioni bohémien e una voce che, dagli anni Settanta ad oggi, non ha mai smesso di ammaliare. Maudite quanto basta per affascinare, Patti Smith è stata tra le protagoniste del proto-punk e della New Wave.
Inserita dalla rivista Rolling Stone al quarantasettesimo posto nella classifica dei 100 migliori artisti di tutti i tempi, camaleontica e ribelle, la sacerdotessa del rock ha attraversato indenne le mode e i tempi, ergendosi a profetessa, sibilla dall’aura mistica che, già nei lontani anni Sessanta, era proiettata in un futuro ancora incerto, che con la sua musica ha contribuito a concretizzare. Bellezza androgina, il suo amore per la poesia trascende gli angusti confini della nativa Chicago e la porta, ancora giovanissima, a New York. Icona punk, conferì alla musica rock suggestioni prese a prestito da quegli stessi poeti che amava tanto.
Patricia Lee Smith è nata a Chicago il 30 dicembre 1946, un lunedì come tanti, se non fosse per la bufera di neve che sconvolge la cittadina statunitense. Sua madre Beverly Smith era una cantante jazz che per sopravvivere aveva dovuto accantonare le proprie ambizioni lavorando come cameriera, mentre il padre Grant Smith era un macchinista negli impianti Honeywell. Prima di quattro figli, Patti trascorre la sua infanzia in povertà, sullo sfondo di un’America perbenista e bigotta. A quattordici anni la giovane è alta 1,75 cm per neanche 50 chili: presa in giro dai compagni di scuola per quel suo fisico pelle ed ossa, disegna, balla e scrive poesie, mentre trova un primo lavoro in fabbrica.
Appena diciannovenne, nel 1966 Patti resta incinta: il padre del figlio che porta in grembo è un diciassettenne. Troppo immaturo per assumersi le responsabilità di un figlio, il giovane non viene neanche coinvolto da Patti, che nell’anniversario del bombardamento di Guernica partorisce una bambina e la dà in adozione. Sola e senza lavoro, la giovane non può provvedere al mantenimento della figlia: lei, che sognava di diventare insegnante, viene allontanata dal college di Glassboro, New Jersey, e si ritrova senza una meta. “Decisi che non sarei tornata in fabbrica né a scuola. Sarei diventata un’artista. Avrei dimostrato il mio valore”. “Anche se non ho mai messo in dubbio che me ne sarei separata, ho imparato che concedere una vita e poi abbandonarla non è così facile”, dirà a proposito della decisione di abbandonare la bambina. Patti trova rifugio nella poesia, soprattutto nei versi dell’amato Rimbaud.
Nel 1967 decide di partire per New York, con una valigia scozzese gialla e rossa contenente qualche vestito e pochi ricordi. “Nessuno mi stava aspettando, tutto mi aspettava”, ricorderà così il suo arrivo nella Grande Mela. Alcuni suoi amici studiano al Pratt Institute, celebre scuola di arte e design di Brooklyn. Patti spera possano introdurla nel loro ambiente. Ma quando arriva in quella che dovrebbe essere casa loro, trova solo un ragazzo che dorme su un letto in ferro: riccioli bruni e collana di perline sul petto nudo, il ragazzo le sorride dolcemente ma Patti fugge da lì senza chiedergli nemmeno il suo nome. Il ragazzo è Robert Mapplethorpe: i due divideranno la casa e la vita. Ancora ignari del futuro che li attende e del rispettivo successo che otterranno -Patti nella musica e Robert nella fotografia- vivranno un rapporto che travalica l’amore e l’amicizia: anime complementari unite dai medesimi ideali, i due resteranno uniti per il resto della vita.
SFOGLIA LA GALLERY:
Patti Smith è considerata la sacerdotessa del rock
L’artista in una foto del 2003
Patti Smith nel 1976
La cantante nel 1978
Due polaroid risalenti al 1978
Patti Smith nel 1988
Patti Smith in una foto di Richard Avedon, 1998
Patti Smith immortalata da Robert Mapplethorpe, 1978
Patti Smith, foto di David Gahr, 1971
Patti Smith in una foto di Mapplethorpe, anni Ottanta
Patti Smith, foto di Robert Mapplethorpe, 1975
Patti Smith, foto di David Gahr, New York 1971
Foto di David Garh, 1971
Patti Smith e Robert Mapplethorpe, foto di Kate Simon, 1979
Patti Smith e Robert Mapplethorpe, foto di Lloyd Ziff, 1969
Patti Smith e Robert Mapplethorpe, foto di Norman Seeff, 1969
Foto di Kevin Cummins, anni Settanta
Patti Smith, foto di Steven Sebring
Uno scatto risalente agli anni Settanta
La regina del punk-rock è stata protagonista del Calendario Pirelli 2016
La New York di fine anni Sessanta è crocevia di mondi e tendenze: qui si incontrano il rock & roll e il beat, il punk e il glam, in club come il Max’s Kansas City come nel mondo underground del CBGB. Patti scandaglia ogni libreria alla ricerca di un impiego: i libri sono il suo buen retiro, l’unico posto in cui si senta a suo agio. La ragazza non ha un soldo in tasca e vive per strada, dormendo dove capita, che si tratti dei vagoni della metropolitana o degli androni dei palazzi. Sognatrice e idealista, si nutre solo di parole e dei versi dei suoi amati poeti: accanto a Rimbaud, la giovane è ossessionata da Sylvia Plath. Spirituale e testarda, l’artista si è autodefinita “una semplice operaia delle parole”.
Proprio quando sta per arrendersi, è il fato a salvarla: Patti è disperata, vorrebbe tornare a casa a Chicago, ma non ha nemmeno i soldi per comprare il biglietto e sarà solo il fortuito ritrovamento di una borsetta dentro una cabina telefonica a permetterle di restare a New York. Patti, che ringrazierà per sempre quella sconosciuta benefattrice -come dichiara lei stessa in “Just Kids”, sua autobiografia edita da Feltrinelli, libro vincitore del National Book Award per la saggistica nel 2010- trova lavoro come cassiera in una delle librerie della catena Brentano, sulla Quinta Strada: qui vende gioielli etnici e manufatti d’artigianato. Quando un uomo molto più anziano le propone di salire a casa sua, la giovane viene salvata ancora una volta dal destino: “Mi guardai in giro con disperazione, incapace di rispondere a quella proposta, quando scorsi un giovane avvicinarsi. Fu come se uno squarcio di futuro si fosse aperto”. Il giovane bruno che fingerà di essere il suo ragazzo è ancora una volta Robert Mapplethorpe: da quel momento i due saranno inseparabili.
Patti recita poesie al Mercer Arts Center del Village, lavora inoltre come giornalista musicale e vola a Parigi sulle orme di Rimbaud e Verlaine. Nel 1975 nasce il Patti Smith Group: insieme a Lenny Kaye mette insieme una band di musicisti e dà vita ad uno spettacolo in cui unisce poesia e rock, dando ufficialmente inizio alla corrente New Wave della musica, che la vede come sua vestale. Arriva quindi Horses, il primo disco: la foto di copertina, che la immortala in camicia bianca maschile, è stata scattata da Mapplethorpe. “Io avevo in mente il mio aspetto. Lui aveva in mente la luce. Ancora oggi, quando la guardo, non vedo me stessa. Vedo noi”, ricorderà di quella giornata. L’obiettivo di Mapplethorpe, genio trasgressivo, scandirà ogni momento della vita dell’artista. Quando nel 1989 il fotografo muore, per complicanze dovute all’AIDS, per Patti è la fine di un’epoca: “Quando morì mi chiamò Edward. Il fratello minore di Robert. Diceva di avergli dato un ultimo bacio da parte mia, come mi aveva promesso. Sono rimasta immobile, paralizzata; poi, lentamente, come in sogno sono tornata alla sedia. In quel momento Tosca attaccava la grande aria Vissi d’arte. ‘Vissi d’arte, vissi d’amore’. Ho chiuso gli occhi e intrecciato le mani. La provvidenza aveva decretato che in quel modo gli avrei detto addio”.
Oltre ad essere considerata un’icona mondiale della musica rock, Patti Smith nel corso degli anni si è anche imposta come icona di stile: il suo stile apparentemente trasandato, all’insegna dell’effortlessy-chic, l’ha resa uno dei volti più amati dai fotografi di moda. Ad immortalarla, oltre a Mapplethorpe, anche Richard Avedon, Annie Leibovitz e Bruce Weber, solo per citarne alcuni. Quel suo fisico androgino ed esile (il ventre le si squarciò durante la prima gravidanza) e la personalità eclettica fin dagli esordi la resero una it girl ante litteram. Ancora oggi, alla veneranda età di 70 primavere, l’artista mostra fieramente un volto privo di ritocchi e un’eleganza degna di nota: rimandi grunge e suggestioni boho-chic caratterizzano il suo stile, dai capelli, sapientemente lasciati sale e pepe, alle giacche maschili indossate sopra i jeans, Patti Smith ha davvero molto da insegnare.
È scomparsa improvvisamente oggi, all’età di 66 anni, Franca Sozzani, storico direttore di Vogue Italia. Una notizia che giunge del tutto inaspettata: Franca Sozzani era malata da un anno, ma pochissimi sapevano. A comunicare la sua scomparsa Jonathan Newhouse, Chairman e Chief Executive della Condé Nast: “la notizia più triste che abbia mai dovuto comunicare”, così Newhouse ha commentato la morte della fashion editor. Solo pochi mesi fa il figlio Francesco Carrozzini presentava il documentario a lei dedicato, Chaos and Creation, durante l’ultimo Festival del Cinema di Venezia. L’ultima apparizione circa tre settimane fa, a Londra, durante la premiazione del British Fashion Council: Franca Sozzani è salita sul palco accompagnata da Tom Ford per ricevere lo Swarovski Awards for Positive Change.
Nata a Mantova il 20 gennaio 1950, Franca Sozzani dopo il diploma al liceo classico Virgilio, si laurea in Lettere e Filosofia presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore. Appassionata di moda fin da giovanissima, ha iniziato la sua carriera lavorando nella redazione di Vogue Bambini, testata creata nel 1973, che la assunse dopo che lei rispose ad un annuncio. La ragazza ha carattere: curiosa e versatile, fiuta le tendenze e non teme di esprimere se stessa attraverso il suo lavoro. «Sì che sono una vincente! Non perché sia presuntuosa, ma perché tutte le mie idee hanno avuto successo», così amava parlare di sé, forte di una carriera piena di successi. «Ho deciso che volevo lavorare e fare la stylist e ho preso subito tutto sul serio. Oliviero Toscani racconta sempre che ero “una deficiente puntaspilli vestita Saint Laurent”».
Intanto, all’età di 22 anni, Franca Sozzani convola a nozze, salvo separarsi dopo appena tre mesi, mentre è in attesa del primo figlio. Nel 1980 diventa direttore di Lei e, tre anni più tardi, dirige anche Per Lui, versione maschile della testata. Nel 1988 la svolta che le ha cambiato la vita: la fashion editor diviene direttrice di Vogue Italia, la Bibbia della moda, incarico che manterrà fino alla fine. Con lei Vogue sbarca su internet: nel febbraio 2010 il lancio di Vogue.it, il primo portale al mondo intestato alla celebre testata. Franca Sozzani ama provocare: per lei la moda non è fatta solo di lustrini e paillettes e tanti sono i temi che ha trattato dalle pagine patinate di Vogue. Audace e controcorrente, tante volte Newhouse minaccia di licenziarla, perché quella sua esuberanza non attira simpatie. Indimenticabile il servizio contro il razzismo, interamente con modelle di colore, pubblicato su Vogue nel luglio 2008, o ancora lo shooting contro gli orrori derivanti dall’abuso di chirurgia estetica. Fu lei a volere sulla cover di Vogue Italia un gruppo di modelle curvy, sdoganando quella che sarebbe poi diventata una tendenza. E fu ancora lei a battersi per una moda che guardasse anche ai giovani talenti, grazie all’istituzione del concorso Who’s On Next.
Personalità granitica e stile invidiabile, Franca Sozzani dall’ottobre 2006 ha assunto la direzione anche de L’Uomo Vogue e successivamente di Vogue Gioiello e Vogue Accessory. Inoltre è stata direttrice editoriale della casa editrice Condé Nast per l’Italia e, dal marzo 2013, presidente della Fondazione IEO Istituto Europeo di Oncologia. Nel 2015 è stata nominata direttrice responsabile di tutti i periodici in lingua italiana con il marchio Vogue, di Vogue Sposa e Vogue Gioiello.
Considerata da Valentino Garavani “la più grande editor del mondo”, Franca Sozzani non ha mai temuto le critiche e ha sempre risposto con orgoglio ed eleganza dalle pagine del suo blog. «Felice di piacervi e non», scriveva. «Non si può sempre piacere a tutti e soprattutto non si deve». Caparbia e fiera, ma anche riservata e discreta, molto della sua personalità era stato rivelato nel documentario del figlio, Francesco Carrozzini. «Il successo ce lo si guadagna, oserei dire ce lo si inventa. Niente arriva per caso anche se la fortuna di cadere al posto giusto, nel momento giusto, con la persona giusta agevola parecchio. Ma la sorte, si sa, è alterna. Non è proprio la base su cui costruire il proprio successo. Il talento, il tuo, è la vera forza». «Franca mi ha insegnato a rompere le regole e a uscire dal mondo borghese della moda», ha dichiarato il fotografo Bruce Weber.
Franca Sozzani se n’è andata in punta di piedi oggi, 22 dicembre 2016, dopo aver combattuto per più di un anno contro una malattia incurabile. Pochissimi erano a conoscenza della sua battaglia: anche se le sue apparizioni pubbliche si erano diradate, la direttrice di Vogue aveva presenziato alle ultime settimane della moda e a qualche evento che la vedeva protagonista. Impegnata anche nel charity, dal 2014 era ambasciatrice Onu per il programma alimentare e dal 2013 presidente della Fondazione Ieo, Istituto Europeo di Oncologia. Il prossimo 20 gennaio avrebbe compiuto 67 anni. «Ma qualche volta, per favore, give me a break», così Franca chiudeva, sette anni fa, uno dei suoi post, sempre pronta al dialogo anche con chi non l’amava. Con lei scompare un tassello fondamentale della storia della moda.
Louis Vuitton inaugura a Milano il primo pop up store per uomo in Italia. Dedicato esclusivamente all’uomo, il primo pop up store vedrà la luce a Brera, in via Fiori Chiari. Lo store, che resterà aperto dal 14 al 29 gennaio, è dedicato esclusivamente all’universo maschile e ospiterà la collezione uomo per la Primavera-Estate 2017.
La linea è caratterizzata da suggestioni tribali: un omaggio all’Africa e all’arte dei Fratelli Chapman, autori di quattro stampe iconiche raffiguranti animali attorcigliati sullo sfondo del motivo Monogram di Louis Vuitton. La collezione, disegnata da Kim Jones -Direttore Artistico dell’Uomo- celebra il safari, interpretato però da un gentiluomo.
Suggestioni tratte dal Punk londinese si uniscono a stampe zoomorfe che riportano il manto degli animali sul ready-to-wear, negli accessori e nella pelletteria: l’occhio di un viaggiatore si traduce in stampe preziose che omaggiano il continente africano, con la sua magia e le sue tradizioni uniche.