Editor-in-chief della Bibbia della moda, Vogue Paris, stylist di successo ed icona di stile di fama mondiale: Emmanuelle Alt è uno dei nomi più influenti del fashion biz. Perfetta incarnazione del Parisian chic contemporaneo, la sua è stata una scalata inarrestabile che l’ha portata ad assumere in pochissimi anni uno degli incarichi più prestigiosi al mondo, quale è la direzione dell’edizione francese di Vogue.
Classe 1967, Emmanuelle nasce a Parigi sotto il segno del Toro. La piccola respira stile ed eleganza già nell’ambito familiare: la madre Françoise era una mannequin molto in voga a cavallo tra gli anni Sessanta e Settanta, volto di maison del calibro di Lanvin e Nina Ricci, mentre il padre era un coreografo noto in ambito artistico e teatrale.
La carriera di Emmanuelle Alt inizia giovanissima: subito dopo il diploma conseguito presso l’Institut de l’Assomption di Parigi, non ancora diciottenne, nel 1984 Emmanuelle ottiene un impiego come assistente stylist per Elle France.
Emmanuelle Alt è nata a Parigi il 18 maggio 1967Dal 2011 la Alt è editor-in-chief di Vogue Paris
Pochissimo trucco e minimalismo per la fashion editor
Stylist molto richiesta, collabora come fashion consultant per Isabel Marant. Nel 1998 assume la direzione del magazine Mixte. Ma è nel 2001 che arriva la svolta, quando viene ingaggiata come style editor di Vogue Paris pochi mesi prima dell’arrivo di Carine Roitfeld. Emmanuelle diventa in breve tempo il braccio destro della Roitfeld e tra le due nasce un sodalizio artistico che sforna alcuni tra i redazionali più celebri e controversi mai realizzati dalla testata Condé Nast. Con la collaborazione di nomi del calibro di Mario Testino e Patrick Demarchelier il duo segna una pagina nuova della moda francese, ispirandosi ad un’estetica patinata coniugata ad un immaginario erotico. Gli editoriali firmati Roitfeld-Alt destano scalpore e non lesinano in nudi e allusioni sadomaso.
Alla fine degli anni Duemila, Emmanuelle firma il rilancio di Balmain, assieme allo stilista Christophe Decarnin. È all’estro creativo della stylist parigina che dobbiamo alcuni dei fashion trend che hanno segnato il ritorno in auge della celebre maison francese: ribelle e moderna, forte della propria personalità, la nuova donna Balmain veste in giacche biker di pelle, skinny jeans ricamati con Swarowski e blazer dall’appeal grintoso. Il successo è assicurato e molti dei pezzi del brand diventano must have adorati dalle fashion victim.
Emanuelle Alt predilige il total black e la sobrietàCamicia bianca e jeans skinny sono l’uniforme adottata dalla stylistLa carriera nella moda di Emmanuelle Alt è iniziata a soli 17 anni
Il look minimal-chic adottato dalla stylist ha rivoluzionato lo streetstyle
Il 2011 è l’anno della consacrazione per la fashion editor, che assume la direzione di Vogue Paris dopo le dimissioni di Carine Roitfeld. Sobria ma decisa, al Telegraph che le chiede di definire la futura linea editoriale del magazine più chic per antonomasia, lei risponde che tutto sarà “uguale ma diverso”. Poche sibilline parole che riassumono perfettamente la linea che la celebre rivista assumerà sotto la sua direzione: uno stile sofisticato e sensuale ma a tinte più sobrie rispetto al passato. Protagonista resta lo charme tipico della donna francese contemporanea, per un’estetica che non teme la sensualità ma solo se funzionale allo stile. Fashion shoot firmati da nomi del calibro di Testino, Mert & Marcus, ancora Demarchelier, ma ora accanto a top del calibro di Kate Moss, Daria Werbowy e Lara Stone troviamo icone come Sophie Marceau e Charlotte Casiraghi.
Il fil rouge del manifesto stilistico di Emmanuelle Alt è uno: ricercatezza. “Non voglio essere un’immagine”, ha dichiarato sempre al Telegraph la nuova direttrice di Vogue Paris. Una delle poche editor-in-chief a firmare lo styling del servizio portante di ogni issue del magazine. Stakanovista come poche, grande professionista della moda, Emmanuelle Alt ha fatto dell’effortless chic la propria cifra stilistica. Frangetta scura e avversione per il make-up, la Alt non ama ostentare: discreta e riservata, sappiamo in verità molto poco della sua vita privata.
Sublime incarnazione del minimalismo-chic e dello stile parisien, la vediamo spesso in camicia, skinny jeans, blazer e cappotti dal taglio sartoriale. Sfegatata amante del total black, la sua altezza svettante (sfiora il metro e ottantasette centimetri) le permette flat e ballerine dallo charme francese, che sovente preferisce ai tacchi alti. Il suo è uno stile pulito ed essenziale: jeans skinny e camicia sono divenuti quasi uniforme iconica della Alt, che ha rivoluzionato lo streetstyle con la sua garbata eleganza.
Altezza svettante per la Alt, che sfiora il metro e ottantasette centimetriApprodata alla redazione di Vogue Paris nel 2001, la Alt è stata per anni braccio destro di Carine RoitfeldEmmanuelle Alt è mamma di due bambini ed è sposata con Franck Durand, direttore creativo di Isabel Marant
Lo stile rock-chic di Emmanuelle Alt predilige skinny jeans e giubbotti di pelle
Emmanuelle Alt piace perché non è una fashionista in senso stretto, non ostenta loghi e aborre gli outfit esagerati tipici invece di molte sue colleghe fashion editor. Banditi assolutamente dal suo guardaroba abiti e gonne, la stylist ha dichiarato che la donna più elegante “è quella sicura di sé” e che “la naturalezza è sinonimo di sicurezza in se stessi”. Linee pulite ed essenziali si sposano in lei a suggestioni rock-chic e ad un’anima grintosa: amante della velocità e dei motori, la stylist è anche una mamma. Sposata con Franck Durand, direttore creativo di Isabel Marant, la Alt ha due figli, Antonin and Françoise. Un blog intitolato “I want to be an ALT” segue ogni passo della vita dell’icona parisienne. Umile e acqua e sapone, il suo salario annuale alla direzione di Vogue Francia non arriva neanche minimamente a sfiorare quello di Anna Wintour, editor-in-chief dell’edizione americana del magazine. Less is more, è proprio il caso di dirlo.
Spegne oggi 69 candeline Jane Birkin. Bellezza iconica degli anni Sessanta e Settanta, spregiudicata, maliziosa come nessuna, l’attrice e cantante britannica non ha perso assolutamente il suo celebre fascino.
La caratteristica frangetta, il sedere rotondo immortalato in foto scandalose al fianco di Serge Gainsbourg: non c’è dettaglio della vita di Jane Birkin che non sia divenuto iconico, dai suoi amori ai suoi film. Incarnazione dello stile fresco eppure sofisticato tipicamente anni Sessanta, l’attrice è uno dei volti più noti e più chiacchierati degli ultimi cinquant’anni.
Nata a Londra il 14 dicembre 1946, Jane Mallory Birkin discende da una famiglia che ha fatto fortuna con l’industria del merletto nel Nottinghamshire. Il fascino doveva essere nel DNA, dal momento che una sua prozia, Winifred (Freda) May Birkin, poi sposata con William Dudley Ward, fu amante del Principe di Galles (il futuro Edoardo VIII del Regno Unito, nonché Duca di Windsor). Il padre della bella Jane, il maggiore David Birkin, era stato comandante della Royal Navy ed eroe della seconda guerra mondiale e fu coinvolto anche in vicende di spionaggio; la madre era l’attrice e cantante Judy Campbell (pseudonimo di Judy Gamble), famosa per le sue interpretazioni nei musical di Noël Coward.
Jane Birkin è nata a Londra il 14 dicembre 1946
L’attrice ha raggiunto la fama mondiale con il film “Blow-up” di Michelangelo Antonioni
Occhi da cerbiatto e fascino torbido che fa capolino dietro l’aria innocente, Jane comincia la carriera di attrice teatrale all’età di 17 anni: siamo nella Swinging London e il suo stile ammalia un nome storico della moda made in UK del calibro di Ossie Clark. Successivamente Jane fa il suo esordio come cantante in un musical: è in questo contesto che conosce il compositore inglese John Barry (autore anche di alcune musiche per i film di James Bond): tra i due nasce una relazione che sfocia in un matrimonio celebrato quando Jane ha appena 19 anni. Dalle nozze nasce la prima figlia della futura icona di stile, Kate Barry, nata nel 1967 (scomparsa prematuramente a Parigi, probabilmente suicida, l’11 dicembre 2013, dopo essere precipitata dal quarto piano del suo appartamento nel XVI Arrondissement).
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L’esordio cinematografico di Jane Birkin avviene con il film “Non tutti ce l’hanno” (The Knack …and How to Get It) di Richard Lester, ma è con la pellicola successiva, l’indimenticabile Blow-up di Michelangelo Antonioni, che l’attrice ottiene la fama. Una scena la immortala in topless: la bellezza acqua e sapone la rende immediatamente un’icona della scena londinese. Nel 1968 l’attrice si trasferisce in Francia: qui avviene l’incontro della vita, con il cantante e musicista Serge Gainsbourg, con cui intraprende una relazione che durerà fino al 1980. Una coppia inimitabile, il fascino di lui capace di sposarsi così bene con la bellezza di lei, musa quasi forgiata dalle mani esperte e dalla fantasia del grande cantautore francese. Nel 1969 arriva la canzone scandalo, con tanto di gemiti e sospiri, Je t’aime…moi non plus, originariamente incisa da Gainsbourg insieme a Brigitte Bardot e poi cantata invece con la Birkin. Due anni più tardi, nel 1971, nasce Charlotte Gainsbourg, che diventerà anche lei attrice e cantante.
La bellezza acqua e sapone di Jane Birkin l’ha resa una grande icona di stile
L’attrice ne “La piscina” del 1969
Al termine della relazione con Gainsbourg, Jane Birkin ha continuato con grande successo la carriera di attrice. Inoltre la diva ha trovato un nuovo amore nel regista francese Jacques Doillon, da cui ha avuto la figlia Lou, nata nel 1982 e divenuta famosa come modella. Una carriera sfolgorante nel cinema e nel teatro, un’immagine che le ha permesso di divenire una vera e propria icona, un’esperienza anche come fashion designer al fianco della figlia Lou (le due hanno firmato insieme una collezione per il brand La Redoute), Jane Birkin ha anche una borsa a suo nome, la mitica Birkin firmata Hermès, che la diva ha recentemente rinnegato per motivi ambientalisti. Vero e proprio oggetto di culto, It Bag tra le più costose al mondo (il prezzo varia dai 6.000 ai 120.000 euro), la celebre borsa porta il nome dell’attrice, che però lo scorso luglio ne ha disconosciuto la paternità.
Oggi la diva compie 69 anni: bellezza naturale, fieramente contraria alla chirurgia estetica, gli anni non ne hanno minimamente scalfito la classe e il grande fascino.
I riflessi che i raggi del sole disegnano su una piscina, capelli biondi mossi dal vento e dalla brezza del mare, poco distante, sorrisi bianchi illuminano labbra di un rosa appena accennato. È questo lo sfondo su cui si stagliava la vita di C. Z. Guest, socialite ed indimenticabile icona di stile. Emblema dell’American style, presenza fissa dell’International Best Dressed List, C. Z. Guest incarnò la quintessenza dello chic, col suo stile acqua e sapone, tra polo e bermuda. La bionda icona fu anche attrice, giornalista, autrice, guru del giardinaggio, provetta cavallerizza e fashion designer.
All’anagrafe Lucy Douglas Cochrane, la futura icona di eleganza nacque a Boston, in Massachusetts, il 19 febbraio del 1920, in una famiglia dell’alta borghesia. Il padre, Alexander Lynde Cochrane, è un banchiere. Il nome di C. Z. deriva dal soprannome Sissy: era questo il suono che il fratello emetteva quando la chiamava “sister”. C. Z. cresce come una splendida ragazza: impressionante è la somiglianza giovanile con Grace Kelly. Durante una fase d ribellione giovanile, durante i suoi vent’anni, la bionda C. Z. si trasferisce ad Hollywood, dove inizia una carriera come attrice. Successivamente si sposta in Messico, dove posa in déshabillé per Diego Rivera: il dipinto che la ritrae nuda venne poi appeso al bar dell’Hotel Reforma. Quando il futuro marito di C. Z., il giocatore di polo Winston Frederick Churchill Guest, venne a conoscenza del ritratto, esclamò: “Oh no, sei stata una cattiva ragazza, tesoro”.
Il matrimonio tra i due venne celebrato l’8 marzo 1947. Winston Frederick Churchill Guest era figlio di Frederick Guest, a sua volta figlio di Ivor Bertie Guest, primo Barone Wimborne, e di Lady Cornelia Henrietta Maria Spencer-Churchill (figlia di John Spencer-Churchill, settimo duca di Marlborough), e per discendenza materna era cugino primo di Sir Winston Churchill. Le nozze ebbero luogo nella casa del celebre scrittore Ernest Hemingway, all’Avana, Cuba. La coppia ebbe due figli, Alexander e Cornelia Guest.
C.Z. Guest in un tailleur Mainbocher, foto di Irving Penn
C.Z. Guest ritratta da Cecil Beaton per Vogue, aprile 1953
C. Z. Guest, all’anagrafe Lucy Douglas Cochrane, nacque a Boston il 19 febbraio del 1920
C.Z.Guest in un abito Mainbocher, 1950
C. Z. Guest fu antesignana dello stile preppy
La socialite fu anche provetta cavallerizza, esperta di giardinaggio, attrice e fashion designer
La classe innata di C. Z Guest ottenne numerosi riconoscimenti: giovanissima aveva già posato per Harper’s Bazaar per l’obiettivo di Louise Dahl-Wolfe; successivamente posò per Irving Penn e Cecil Beaton, prima di ottenere la copertina di Town & Country, nel novembre 1957. Ritratta anche da Salvador Dalí, Kenneth Paul Block e Andy Warhol, la sua vita lussuosa, tra party a bordo piscina e residenze principesche, la rese musa indiscussa del fotografo Slim Aarons. Inoltre nel luglio del 1962 ottenne la cover di TIME magazine e fu protagonista di un articolo che ritraeva l’alta società americana. Nel 1959 fu inserita nella Hall of Fame dell’International Best Dressed List creata da Eleanor Lambert nel 1940.
La socialite amava vestire in modo essenziale e semplice: antesignana dello stile preppy, che incarnò brillantemente, tra polo, bermuda, tutine e prendisole, C. Z. Guest fu l’emblema di quell’eleganza tipicamente americana a cui oggi guardano designer come Ralph Lauren e Tommy Hilfiger. Adorata per i suoi look iconici, promosse strenuamente i designer americani, come il couturierMainbocher, ma anche Oscar de la Renta, che fu suo intimo amico e che dichiarò più volte di essere stato ispirato da lei.
C.Z. Guest su Harper’s Bazaar, gennaio 1950. Abito Mainbocher, foto diLouise Dahl-Wolfe
La socialite a Villa Artemis, ritratta da Slim Aarons
Un velo di abbronzatura, un fiocco tra i capelli e pochissimo make up: queste erano le regole di stile di C. Z. Guest
Rosa pastello e linee pulite: lo stile preppy deve moltissimo a C. Z. Guest
C.Z. Guest con Joanne Connelly a Palm Beach, 1955, foto di Slim Aarons
Una bellezza classica e naturale ed una predilezione per outfit sporty-chic, C. Z. Guest boicottava il make up, puntando ad un’eleganza casual. Potremmo definirlo effortlessy chic: poche ma preziose regole erano i pilastri su cui si basava la sua eleganza, come indossare una semplice t-shirt di colore bianco, illuminata da labbra colorate di rosa e da un filo di abbronzatura, o legare i biondissimi capelli con un fiocco di seta, o, ancora, indossare l’immancabile filo di perle bon ton, unico vezzo che si concedeva, nella sua proverbiale avversione per i gioielli. Il suo stile oh so preppy le aprì con facilità le porte dei più esclusivi circoli fashion, e il suo matrimonio la rese protagonista indiscussa del jet set internazionale. C. Z. Guest teneva molto al suo ruolo di socialite e si divertiva a posare per le cover e a rilasciare interviste. Lo stile per lei era qualcosa di innato, parte integrante della sua stessa essenza. D’altronde nella sua sfera di amicizie figuravano icone del calibro di Babe Paley, la duchessa di Windsor, Diana Vreeland, Barbara Hutton, Gloria Guinness, Joan Rivers e Diane von Fürstenberg. Inoltre fu uno dei cigni della corte di Truman Capote. Sopravvissuta al cancro, definì lo stile “questione di sopravvivenza, l’avere affrontato tante avversità senza darlo a vedere”.
Il bianco era il colore prediletto dall’icona di stile
C. Z. Guest a Villa Artemis, costruita sulla falsariga dei templi greci
C.Z. Guest davanti la piscina di Villa Artemis, Palm Beach, 1955. Foto di Michael Mundy
Foto di Slim Aarons, circa 1955
Villa Artemis, Palm Beach, Florida. Foto di Slim Aarons, 1955
Con la duchessa di Windsor
In un libro a lei dedicato, dal titolo “C.Z. Guest, American Style Icon”, edito da Rizzoli, Susanna Salk traccia un ritratto intimo della trendsetter americana. C.Z. Guest amava stare all’aria aperta e il suo look acqua e sapone testimonia in primis le sue passioni, come andare a cavallo, giocare a tennis e occuparsi dei suoi amati giardini. La socialite divenne grande esperta di giardinaggio, scrisse rubriche su numerose riviste e fu autrice di ben tre testi sull’argomento, creando anche dei guanti che andarono a ruba, rendendola anche genio ante litteram delle strategie di marketing. Nonostante la vita lussuosa non era una snob, ma riteneva le buone maniere e la gentilezza vincenti in ogni campo. Come scrive William Norwich nell’introduzione al volume di Susanna Salk, C. Z. Guest fu “campionessa di meritocrazia”. Una vera e propria avversione nei confronti dei privilegi, la socialite riteneva doveroso cercare di elevarsi e primeggiare in qualcosa, fosse lo sport o altro, indipendentemente dall’appartenenza all’élite. A differenza della maggior parte delle donne del suo rango, C. Z. Guest non temeva di avventurarsi fuori dai ristretti confini tracciati dalla scala sociale: ce la descrivono sempre pronta ad abbracciare il nuovo, l’ignoto, il suo indomito spirito ribelle le faceva amare l’avventura e l’esotico, facendole preferire gli stivali da cavallerizza al filo di perle. La sua ricchezza non pesava su chi le stava accanto: il suo sorriso faceva sentire chiunque a proprio agio. Perché, si sa, la vera eleganza non ha bisogno di ostentare alcunché.
C. Z. Guest col marito Winston Frederick Churchill Guest in una foto di Slim Aarons
C. Z. Guest nella sua residenza di Templeton: la socialite fu provetta cavallerizza
Uno scorcio della residenza di C. Z. Guest a Templeton
Ancora interiors della tenuta di Templeton
Il celebre ritratto di C. Z. Guest eseguito da Salvador Dalí
C.Z. Guest con la figlia Cornelia nel 1986. Foto di Helmut Newton
Uno scatto del 1959
La sua grande passione per il giardinaggio iniziò un po’ per caso: dopo una rovinosa caduta da cavallo, nel 1976, le venne chiesto dal New York Post di scrivere una rubrica sul tema. Nacque così il materiale che raccolse nel suo primo libro, First Garden, che fu illustrato dal suo amico Cecil Beaton.
D’inverno C. Z. Guest viveva nella sua residenza a Palm Beach, la celebre Villa Artemis, mentre nei mesi caldi si divideva tra il suo appartamento di Manhattan e Templeton, la sua proprietà nel Connecticut. Come ella stessa dichiarò nel corso di un’intervista rilasciata a Vogue, fu proprio a Templeton che la socialite trovò la propria dimensione più autentica, dedicandosi alla caccia e prendendosi cura dei suoi giardini e dei suoi cani. Tantissimi -si stima 10 o 15- i suoi fidati amici a quattro zampe furono immortalati anche nei quadri delle sue residenze e talvolta comparivano nelle foto in braccio alla bionda padrona. L’interior design di Templeton venne curato da Stephane Boudin e Maisin Janson con mobilio e arredi di grande valore artistico -come il celebre ritratto realizzato da Salvador Dalí– che la resero più simile ad un museo. Villa Artemis, la residenza di Long Island, comprendeva invece 28 camere: la piscina in marmo bianco, set iconico delle indimenticabili foto di Slim Aarons, e l’architettura che ricalcava fedelmente i templi greci resero la villa con vista sull’oceano emblema della bella vita.
C. Z. Guest fu anche fashion designer: la sua prima linea comprendeva prevalentemente maglioni di cashmere dalle linee essenziali. La collezione fu presentata nel 1985, durante una sfilata del celebre Adolfo Domínguez. L’anno seguente, nel 1986, la socialite mise a punto una collezione di sportswear in limited edition. Nel 1990 brevettò un repellente contro gli insetti e altro materiale per il giardinaggio, ottenendo anche lì grande successo.
C.Z.Guest in una foto di Peter Stackpole, ottobre 1947
C. Z. Guest fu socialite di cui si ricorda la gentilezza d’animo, come testimoniato dai suoi amici storici, come Diane von Furstenberg
C.Z. Guest e Peter Lawford, 1961
C.Z.Guest sulla copertina di Town & Country, Novembre 1957
L’icona di stile morì l’8 novembre del 2003 a New York, all’età di 83 anni, a causa di difficoltà respiratorie. Truman Capote, l’amico di una vita, tracciò un ritratto di C. Z. Guest che ce la restituisce nella sua struggente spontaneità: “I suoi capelli, divisi al centro e più chiari del Dom Pérignon, erano più scuri di una gradazione rispetto all’abito che indossava, un Mainbocher bianco in crêpe de Chine. Nessun gioiello, pochissimo trucco; solo la perfezione del bianco su bianco… Chi l’avrebbe mai detto che dentro questa signora che sapeva di fresca vaniglia si celava un autentico maschiaccio?”
Diane von Fürstenberg ne ricordò la semplicità, la gentilezza e la generosità. “Nulla in lei appariva falso o costruito”– disse la stilista. “Era una donna autentica, di una naturale bellezza e dalla classe innata”. La classe di una vera bellezza americana.
Eccentrica, sopra le righe, a dir poco stravagante: definita da Helmut Newton una “maniaca della moda”, Anna Dello Russo è una star indiscussa del fashion biz. Una carriera inseguita ad ogni costo dalla fashion editor di origine pugliese.
Classe 1962, Anna Dello Russo nasce a Bari in una famiglia borghese, assai lontana dalla moda. Il padre è psichiatra e la madre casalinga. Ma la giovane ha una personalità granitica e un’unica ossessione: la moda. Inizia così la parabola di quella che è considerata oggi una delle personalità più influenti a livello mondiale, in fatto di stile, nonché una delle firme più autorevoli di Vogue, la Bibbia della moda per antonomasia.
La storia di Anna Dello Russo rappresenta il coronamento di un sogno, perseguito con tenacia e un talento innato: dal Sud Italia la signora della moda ha costruito un impero lavorando sodo, in barba ai detrattori che pure non mancano. Amata ed odiata in egual misura, il suo è un curriculum di tutto rispetto, che l’ha resa una delle stylist più famose al mondo oltre che un’icona di stile internazionale.
Anna Dello Russo è nata a Bari il 16 aprile 1962La celebre fashion editor è stata definita da Helmut Newton una “maniaca della moda”
Anna Dello Russo in Valentino alla Paris Fashion Week, Autunno/Inverno 2014-15
Dopo aver conseguito una laurea in Arte e letteratura presso la Domus Academy di Milano, Anna Dello Russo inizia la sua brillante carriera in Condé Nast, dove trascorrerà oltre diciotto anni. Dapprima viene assunta da Vogue Italia, per cui lavora come fashion editor per oltre venti anni. Dal 2000 al 2006 è direttrice de L’Uomo Vogue. Dal 2006 ad oggi lavora come fashion editor di Vogue Japan.
Una carriera variegata, che la porta a vestire gli insoliti panni di speaker radiofonica per Radio Deejay nel 2011, e nel 2012 a creare una limited edition per il colosso svedese low costH&M, per cui posa anche come modella delle sue stesse creazioni in stile barocco. Creatrice anche di Beyond, la sua fragranza venne confezionata in un packaging a forma di tacco a spillo, in linea con la personalità effervescente della fashion editor.
La fashion editor a Parigi nel 2009Dal 2000 al 2006 Anna Dello Russo è stata direttrice de L’Uomo VogueAnna Dello Russo ha uno stile eccentrico ed è attratta dagli eccessi
Anna Dello Russo in Moschino
Avida collezionista di moda e gioielli, fashionista nell’anima, Anna Dello Russo vive a Milano con il suo cane, di nome Cucciolina, in una casa museo-mausoleo, nei pressi di Corso Como. Come lei stessa ha dichiarato in un’intervista al Corriere della Sera, di case ne ha in realtà due: una è quella in cui abita mentre l’altra è interamente adibita a contenere il suo incredibile guardaroba. Uno zerbino firmato Chanel dà il benvenuto alla sua dimora che comprende oltre 4.000 paia di scarpe e collezioni di vestiti e gioielli che la stylist custodisce gelosamente, dopo averli indossati solo una volta. Irriverente e autoironica, dopo il divorzio ha riciclato lo strascico del suo abito da sposa firmato Dolce & Gabbana, usando i 18 metri in pregiato chiffon di seta per fare le tende di casa.
La stylist ha firmato anche una collezione per H&M nel 2012Anna Dello Russo posa con il suo cane, di nome CucciolinaAnna Dello Russo ha iniziato la sua carriera nella redazione di Vogue ItaliaPhoto credit: Getty Images
Cocoon coat rosa baby e turbante esagerato: Anna Dello Russo adora trasgredire con i suoi look
Autentica trendsetter, pasionaria della moda, il suo sito web è opulenza allo stato puro e consacrazione iconoplastica dello stile a trecentosessanta gradi. Ironia, freschezza e quel pizzico di leggerezza che rese grande anche un nome storico della moda, del calibro di Diana Vreeland.
Definita “l’eroina di stile del XXI secolo”, icona gay venerata per le sue mise eccentriche, Anna Dello Russo adora la provocazione e il kitsch. Assolutamente contraria ad ogni forma di conformismo, le giacche blu dei politici italiani la annoiano, mentre trova affascinanti -per sua stessa ammissione- gli eccessi, la magia degli opposti e quel pizzico di cattivo gusto che, sapientemente dosato a capi haute couture, crea uno stile inimitabile. Con lei riscopriamo l’aspetto ludico della moda, che è in fondo niente più che un gioco. Futurista e rivoluzionaria, considera Rihanna e Miley Cyrus un fenomeno che ci porterà in una dimensione nuova, sebbene ora non possiamo comprenderne a pieno la portata storica.
Gli opposti fanno da sempre parte della sua personalità: androgina eppure femminile, spontanea e insieme diva, genuinamente frivola. In tempi in cui l’arroganza sembra dettare legge, scoprire che Anna Dello Russo non ha neanche un ufficio e si circonda di assistenti rigorosamente di sesso femminile che sembrano adorarla anche per la sua simpatia, ci fa apparire la celebre icona molto più umana di quanto potessimo immaginare.
Androgina e sofisticata, Anna Dello Russo è considerata una delle più famose icone fashion a livello mondialeAnna Dello Russo alla sfilata Armani PrivéCaroline Trentini per Vogue Japan, ottobre 2015. Foto di Giampaolo Sgura e styling di Anna Dello RussoEccesso e ironia negli editoriali firmati Anna Dello Russo. Foto tratta da Vogue Japan, novembre 2015
Servizio realizzato a Roma da Anna Dello Russo
Il suo stile è in continua evoluzione e Anna Dello Russo si dichiara felicemente infedele tanto nella vita quanto nella moda; perfettamente a suo agio in ogni outfit, dal mix & match al tailleur Saint Laurent fino al lungo Valentino e agli amatissimi Dolce & Gabbana. Dall’animalier allo sparkling, la parola d’ordine è osare: la stylist non disdegna gli accostamenti più arditi e decanta dal suo sito le sue massime in fatto di stile, dalla doccia fashion -ottimo antidoto ad una giornata uggiosa- alla scelta di capi da sera- paillettes comprese- da indossare in pieno giorno. Scioccare è il fil rouge del suo manifesto stilistico, per una moda vissuta come dichiarazione della libertà individuale. La fashion editor ammette che occorre una buona dose di spirito di sacrificio per ottenere l’outfit perfetto da indossare nel front row delle sfilate, mentre auspica l’avvento di una democrazia della moda, che non guardi le taglie.
Anna Dello Russo ha firmato con i suoi styling alcuni degli shoot più iconici degli ultimi anni: uno stile definito e altamente riconoscibile, che ostenta creatività e genio ribelle, temerarietà e spirito camaleontico, per una donna consapevole della propria forza.
Dolcezza, delicatezza, ironia: sono queste le parole chiave per descrivere al meglio l’atmosfera che ha caratterizzato la presentazione della collezione Pre-Fall 2016 firmata Alessandro Michele per Gucci.
Il classicismo imperiale di una villa pompeiana diviene il set in cui si muove la donna Gucci, tra suggestioni surrealiste e tocchi pop. L’estetica di Alessandro Michele non si smentisce: dopo essere stato accolto con entusiasmo alla direzione creativa del brand italiano, il designer ci anticipa la collezione per il prossimo Autunno/Inverno 2016/2017, che sfilerà a febbraio nell’ambito della Milano Fashion Week. Protagoniste della collezione sono creature piumate, ma anche flora e fauna tropicali: farfalle e serpenti prendono vita su stampe patchwork conferendo un tocco irriverente ad una collezione dal fil rouge bon ton.
Suggestioni Seventies caratterizzano le stampe optical e i maxi dress, tra balze e chiffon, mentre un tocco di eleganza evergreen è dato dai tailleurini da ragazza perbene e dalle gonne plissé laminate. Una fusione di stili diversi, quasi a bilanciare le ispirazioni multiformi che stanno alla base della collezione, per materiali futuristi e stampe iconiche. È romantica e un po’ intellettualoide la donna Gucci, tra ricami, ruches e camicie col fiocco, mentre i grandi occhiali conferiscono un appeal intrigante e un tocco di introspezione a questa donna che gioca con i passerotti e con la propria femminilità.
Infantile, naïf, ma anche sofisticata e aristocratica, tra patchwork di pattern e colori, riscopriamo anche una rivisitazione del logo della maison Gucci, l’inconfondibile doppia G ma anche il nastro tricolore, riproposto quasi timidamente tra la fauna in chiave surrealista che non lesina in tigri, gattini e fiori.
Alessandro Michele ci propone un’inedita collaborazione con l’artista Ari Marcopoulos, che ha scattato il lookbook che immortala la collezione, in una location dal grande impatto scenografico, quale è la villa pompeiana che fa da sfondo ad ogni outfit. Si respira un’atmosfera idilliaca, in cui il classicismo di italica memoria si mixa mirabilmente a suggestioni tratte dalle nature morte della pittura fiamminga: piccoli dettagli che impreziosiscono ogni scatto sposandosi perfettamente con l’outfit fotografato. Passato e presente si sfidano in un continuum che combina elementi liberty a tocchi eclettici tipici di un’estetica fortemente contemporanea: ecco quindi i bomber su maxi dress metallizzati, e ancora gli stivali in vernice sotto cappe che profumano di antico, i turbanti paillettati e le pellicce con luna e stelle; i guanti rock conferiscono aggressività ai pizzi e merletti di fanciullesca memoria, mentre il denim è corredato da inedite stampe cartoon.
La collezione si muove tra pellicce in colori fluo, in un mix & match che vede capi profilati con decorazioni di fiori stilizzati e un tartan rivisitato che conferisce un tocco vintage. Si continua tra fiocchi, glitter e paillettes all over mentre il basco alla marinière ci riporta alla contestazione degli anni di piombo. Allure romantico, quasi fiabesco, per i lunghi abiti da sera in tulle, ricamati con stampe patchwork. Jacquard e astrakan predominano, mentre il denim e le proporzioni dei jeans scampanati ci riportano agli anni Settanta. La pelle lavorata diviene luxury grazie agli accenni metallizzati che ritroviamo sulle gonne in seta plissettata. Eccentricità e glamour sono le parole chiave di una collezione altamente evocativa che rivela la grande ricercatezza e la cura per il dettaglio che caratterizzano il talento di un astro nascente della moda italiana.
Anne Hathaway sarà presto mamma. L’attrice premio Oscar aspetta il primo figlio dal marito Adam Shulman. Le prime foto appena diffuse rivelano una gravidanza felice e immortalano la futura mamma in una mise sportiva, molto diversa dai look sofisticati che siamo abituati a vederle sfoggiare sui red carpet. Una gravidanza tenuta nascosta fino ad oggi, sebbene l’attrice avesse già manifestato chiaramente la sua intenzione di diventare presto mamma.
La diva, diventata famosa grazie al film cult “Il Diavolo veste Prada”, è sempre impeccabile, sia che venga paparazzata a spasso per New York sia che si tratti di gala ufficiali. Classe 1982, Anne Hathaway incarna da sempre una bellezza discreta e raffinata. Immortalata come una novella Audrey Hepburn su diverse copertine di magazine patinati, sorriso rassicurante e occhi da cerbiatta, Anne Hathaway è considerata un’icona di bellezza.
Ma la diva è recentemente balzata agli onori delle cronache per un primato assai poco carino che si contenderebbe con un’altra star del calibro di Gwyneth Paltrow, ovvero quello della donna più antipatica di Hollywood. Considerata troppo perfettina e fredda, l’attrice starebbe infatti antipatica a numerosi fan, che in rete si scatenano a criticarla in tutto, a partire dai look sfoggiati, anche i più eleganti. Dal canto suo Anne Hathaway posta sui social network foto che la immortalano in pose buffe, sperando forse di fornire un’immagine di sé meno rigida.
Anne Hathaway a fianco del marito Adam Shulman. (Foto Kikapress)Un look ispirato ad Audrey Hepburn in “Colazione da Tiffany”Anne Hathaway è nata nel 1982
Anne Hathaway per Glamour UK ottobre 2015
Impossibile dimenticare Andy Sachs, la timida assistente di Meryl Streep alias Miranda Priestley ne “Il Diavolo veste Prada”: una pellicola che ci ha fatto sognare, mostrando le peripezie della tipica ragazza della porta accanto piombata all’improvviso negli ambienti fashion. Di quel film, che ad Anne Hathaway ha dato la fama internazionale, ricorderemo per sempre la magistrale interpretazione di Meryl Streep come anche le mise create per l’occasione da un genio della moda del calibro di Patricia Field.
Anne Hathaway e Chris Pine per Teen Vogue 2004Anne Hathaway in Alexander McQueen e velo New York Vintage su Interview MagazineL’attrice a spasso per New York
L’attrice agli Oscar del 2013
Vincitrice del Premio Oscar come migliore attrice non protagonista per la sua interpretazione di Fantine ne Les misérables di di Tom Hooper, basato sul celebre romanzo di Victor Hugo, l’attrice è convolata a nozze nel 2012 con l’attore Adam Shulman, da cui ora attende il primo figlio. Anne Hathaway è cresciuta in una famiglia cattolica e durante l’adolescenza ha anche accarezzato l’idea di prendere i voti. Dopo una relazione con l’imprenditore italiano Raffaello Follieri, conclusasi a causa del coinvolgimento di lui in vicende giudiziarie, la bella Anne ha trovato l’amore nel collega Shulman.
Mise romantiche per l’attrice americanaAnne Hathaway al MET Gala 2015
Anne Hathaway in Chanel ne “Il Diavolo veste Prada”
Bellezza algida e labbra carnose, Anne Hathaway appare sempre perfetta sul red carpet: il suo stile predilige abiti da gran soirée dal grande impatto scenografico. Brand prediletti Valentino e Giorgio Armani. Non vediamo l’ora di vedere i look prémamam dell’attrice.
È l’evento culturale più glamour e prestigioso, fulcro della tradizione italiana per antonomasia: in un Teatro alla Scala blindatissimo causa allarme attentati lo scorso 7 dicembre si è svolta la consueta Prima. Quest’anno è toccato alla Giovanna d’Arco di Giuseppe Verdi.
Il tempio della lirica, addobbato con dei gigli bianchi in omaggio alle vittime dell’attentato che ha avuto luogo a Parigi lo scorso 13 novembre, si è aperto al pubblico per un evento che da tradizione non smette di appassionare. Grande successo e ben undici minuti di applausi per Anna Netrebko, Francesco Meli e Devid Cecconi, protagonisti della rappresentazione di quest’anno, insieme a Riccardo Chailly, che ha diretto magistralmente l’Orchestra.
Con biglietti che hanno sfiorato la cifra record di 2.500 euro, la Prima alla Scala si riconferma come l’evento più esclusivo di Milano: appuntamento da non perdere assolutamente, sia per la crême che per le celebrities desiderose di apparire ad ogni costo, in barba agli allarmismi. Come di consueto largo a pellicce, gioielli vistosi, smoking passepartout. Ma la classe sembra essere ancora una volta la grande assente, tranne rare eccezioni. Non convince Agnese Landini Renzi: la professoressa non brilla in fatto di stile e neppure l’abito in pizzo nero disegnato per lei da Ermanno Scervino riesce nell’ardua impresa di conferire femminilità alla First Lady italiana. Nude look e appeal sofisticato per l’abito monospalla dalle preziose lavorazioni in pizzo: ma il sex appeal resta la grande incognita.
Mood tirolese tra maxi gonna in raso verde en pendant con inedito papillon e bolero in pelliccia dello stessa nuance: è apparsa così Daniela Santanchè, a fianco del compagno Alessandro Sallusti. La sua è stata la mise che in assoluto ha destato più clamore da parte dei media, che non hanno perso occasione di criticarne il look alquanto improbabile. La parlamentare dal canto suo si difende strenuamente e cita il designer reo di aver scelto per lei il bizzarro outfit: trattasi di Diego Dossola, titolare della boutique Ultrachic, di Milano. Lo stilista, classe 1975, originario di Vimercate, è titolare insieme alla socia Viola Baragiola, della boutique sita nel cuore di Milano: il piccolo atelier propone capi ironici e divertenti, ma la mise sfoggiata dalla Santanchè non convince assolutamente.
Agnese e Matteo Renzi
Agnese Renzi in Ermanno Scervino
Il premier con la moglie e il ministro Franceschini
Matteo e Agnese Renzi col ministro Franceschini e consorte
Margareth Madé e Giuseppe Zeno entrambi in Armani
Roberto Bolle
Alberica Brivio Sforza
La giornalista Candida Morvillo
Carla Fracci
Efe Bal in Roberto Cavalli
Enzo Miccio
Fabiana Giacomotti
Lo stilista Renato Balestra
Margareth Madé in Armani
Corrado Passera e Giovanna Salza
Giovanna Salza
Valeria Marini
Abito glitterato e pelliccia per Valeria Marini
Alessandro Sallusti e Daniela Santanché
Daniela Santanché in Ultrachic
Raffaella Curiel
Nathalie Dompè in Valentino
Patti Smith
Patti Smith
Sabina Negri
Certamente nella Prima alla Scala non ritroviamo più nulla o quasi del glamour che caratterizzava tale evento nei tempi andati: e se la massima del “less is more” non ha mai trovato grande seguito tra le attempate signore del foyer, convinte da sempre che la mera ostentazione sia sinonimo di stile, è pur vero che ormai le vestigia di un tempo sono solo un ricordo lontano: per rendersene conto basta osservare nel parterre una Efe Bal in Roberto Cavalli con scollatura hot, intenta ad auspicare il ritorno alle case chiuse e la solita Valeria Marini, che punta tutto sul sandalo in vista, tra un’esplosione di botox e glitter all over. Sabina Negri, ex compagna del ministro Calderoli, sfila in un improbabile abito da dark lady: completano il look una serie di tatuaggi che inneggerebbero a suo dire alle religioni monoteiste, simbolo di pace in tempo di guerra. Risaliamo la china del bon ton con Giovanna Salza, moglie di Corrado Passera, che sfoggia un abito nero profilato di viola con annessa mantella, mise funzionale a nascondere le forme arrotondate dalla gravidanza. Nel parterre della serata evento anche couturier storici come Renato Balestra e Raffaella Curiel.
Spiccano come perle rare in questo ambaradan Nathalie Dompè, aggraziata come poche in un Valentino dalle suggestioni surrealiste, e Margareth Madè in Armani: l’attrice è stata la più fotografata della serata, insieme al nuovo fidanzato, il collega Giuseppe Zeno, anche lui vestito Giorgio Armani. Total look white e consueta classe per l’etoileCarla Fracci ed eleganza d’altri tempi per Roberto Bolle.
Vincitrice morale della serata Patti Smith: la diva della musica New Wave sfida l’etichetta e il bigottismo imperante sfoggiando con ammirevole nonchalance un berretto di lana, tailleur pantaloni e anfibi dal mood country. In un tripudio di botox il suo viso marcato da qualche ruga e i lunghi capelli lasciati grigi incarnano la classe di chi non ha nulla da dimostrare e ci impartiscono una grande lezione di stile. Meditate.
Paisley, pois, righe, pied de poule: sono le stampe più comuni dei capi del nostro guardaroba, ormai entrate di diritto nel vocabolario della moda. Ma da dove vengono e qual è la storia di queste fantasie che da tempo immemore abbelliscono i nostri capi? È la domanda che si è posta la giornalista Jude Stewart, che ha ricostruito fedelmente la storia dei tessuti stampati, partendo da documenti antichissimi: Patternalia è il risultato di questa inedita inchiesta. Il volume, appena pubblicato, traccia la storia delle più comuni stampe, dai pois al paisley.
Scopriamo così che i pois erano poco usati in epoca medievale, in quanto ricordavano i rush cutanei tipici delle malattie esantematiche, mentre il pied de poule deve il suo successo ai cappotti inglesi da caccia. Le righe, oggi considerate chic, erano invece prerogativa di carcerati e prostitute, almeno durante il Medioevo. Nel XIII secolo era in voga addirittura un codice, le lex sumptuaria, che regolamentava l’uso delle righe: facilmente visibili, esse si addicevano a prostitute e carcerati perché li avrebbero resi facilmente riconoscibili e controllabili ai fini della sicurezza pubblica. Un sottobosco di emarginati che già nell’iconografia medievale era raffigurato vestito a righe; considerate volgari e abominevoli, venivano usate per umiliare chi le indossava, secondo quanto ricostruito anche da Mark Hampshire e Keith Stephenson nel loro libro Communicating with pattern.
Appeal sofisticato per il giglio, altro pattern molto diffuso. Tradizionalmente associato agli antichi blasoni nobiliari, spesso prerogativa dell’aristocrazia francese, il giglio veniva utilizzato invece per marchiare criminali e schiavi, e chiunque fosse assoggettato allo stato francese. Il verbo francese fleurdeliser (giglio in francese si dice “fleur-de-lis”) indicava la pratica di «marchiare con il giglio»: il Code noir promulgato nel 1685 da Luigi XIV di Francia -che regolamentava la vita degli schiavi neri nelle colonie francesi- rese il giglio simbolo di tortura: gli schiavi che cercavano di fuggire sarebbero stati marchiati a fuoco col simbolo di un giglio, prima di essere mutilati e uccisi, ad eventuali ulteriori tentativi di fuga.
Stampa pied de poule
Uno scatto del 1965
Jean Patou, Estate 1956
Abito Lanvin a pois, anni Cinquanta
Dorian Leigh, 1950
Dovima in Jean Patou, foto di Henry Clarke, 1956
Ann Gunning, 1951
Foto tratta da Life Magazine, 1958
Veruschka ritratta da Henry Clarke per Vogue, 1965
Audrey Hepburn
Marilyn Monroe
Pierre Balmain, L’Officiel 1950
Yves Saint Laurent. Revue Magazine, Autunno/Inverno 1967
Suzy Parker ritratta da Richard Avedon, 1957
Wilhelmina in Dior, foto di Bert Stern per Vogue 1965
Righe ed effetti optical tipici degli anni Sessanta
Paisley firmato Ossie Clark
Righe firmate Chanel su Vogue 1955, foto di Clifford Coffin
Vogue, 1 maggio 1954
Stampe optical, 1966
Mademoiselle, maggio 1966
Vogue UK, 1973
Olivia Palermo in un abito a stampa paisley
Paisley firmato Etro
Stampe anni Settanta, foto di James Moore
Stampe per tutti i gusti
Paisley in una foto degli anni Settanta
Kate Moss ritratta da Patrick Demarchelier per Vogue UK, giugno 2013
Mood hippie
Foto tratta da Pinterest
Il paisley protagonista dello stile boho-chic
Tessuto stampato anni Settanta
Lauren Hutton su Vogue 1970, foto di Henry Clarke
Foto di Steven Meisel per Vogue Italia, dicembre 2007
Caroline de Maigret
Natalia Vodianova
Tanti sono i testi che trattano dell’insolito tema dei tessuti stampati: Steven Connor, professore di storia culturale all’Universita di Cambridge, ha ricostruito la storia dei pois. Considerata la difficoltà di tracciare in modo equidistante i pallini senza l’aiuto di macchine, la fantasia era scarsamente utilizzata in epoca medievale. I pois irregolari venivano infatti accuratamente evitati perché considerati di cattivo auspicio, dal momento che la loro forma ricordava malattie mortali, come la lebbra, la peste bubbonica, il vaiolo.
Amata dai figli dei fiori e dai nostalgici dei Seventies, il paisley o cachemire è emblema del boho-chic: una storia antichissima sarebbe all’origine della fantasia, che si sarebbe diffusa migliaia di anni fa nel territorio a cavallo tra India e Pakistan, corrispondente agli attuali Iran e Kashmir. Originariamente chiamato būtā o boteh, che significa fiori, la stampa ricorda in effetti un fior di loto, anche se molti vi vedono una corrispondenza con le più svariate immagini. Gli antichi babilonesi paragonavano la figura ai datteri, simbolo di prosperità e abbondanza. Paisley è anche il nome di una città scozzese specializzata nella produzione di scialli con questo motivo, da qui il nome della fantasia.
Tradizionalmente associato allo stile più sofisticato, dopo avere attraversato indenne più di mezzo secolo, dagli anni Cinquanta ai favolosi Swinging Sixties, arrivando incolume fino ai giorni nostri, il pied de poule è forse il tessuto più amato. Il suo nome in francese significa letteralmente “zampa di gallina” e le sue origini sono alquanto misteriose: pare che derivi dalle mise utilizzate dai pastori scozzesi delle Highlands, la regione montuosa della Scozia. La stampa avrebbe avuto come fine quello di camuffare gli schizzi di fango. Il termine inglese per indicare il pied de poule è houndstooth, dai molari dei cani da caccia. Tradizionalmente associato all’aristocrazia terriera inglese, il tessuto veniva considerato consono alla caccia, ma senza perdere il glamour. Sdoganato da Edoardo VII di Inghilterra, a inizio Novecento, il pied de poule è arrivato fino ai giorni nostri, ed è ancora amatissimo.
Si è spenta nella sua abitazione di Milano, all’età di 90 anni, Mariuccia Mandelli, in arte Krizia. A dare la notizia dell’improvviso malore, fatale alla celebre designer, il cda di M.K.K. spa.
Nata a Bergamo il 31 gennaio del 1935, Krizia si affermò ben presto divenendo protagonista indiscussa della moda italiana. Il caschetto scuro, il sorriso ironico e lo sguardo curioso, impossibile non conoscere Mariuccia Mandelli: quel nome scelto dall’ultimo Dialogo di Platone, perfetto per designare la sua moda concettuale e architettonica. Mariuccia Mandelli era figlia di un’Italia abituata a lavorare sodo e a fare sacrifici: un’attitudine per il taglio e cucito coltivata con grande disciplina, sullo sfondo del dopoguerra e con un padre intento a dissipare il patrimonio familiare per i suoi vizi; poi gli studi in Svizzera e quella cattedra come insegnante a cui la giovane rinunciò in nome della moda, per aprire un laboratorio a Milano, con l’amica Flora Dolci. Linee pulite ed essenziali caratterizzarono quei primi capi sperimentali.
Nel 1957 la giovane designer si distinse nell’ambito di un’esposizione al SAMIA (Salone mercato internazionale dell’abbigliamento), attirando l’attenzione anche di Elsa Robiola, celebre firma del giornalismo di moda italiano. Nel 1964 presentò una sua collezione a Palazzo Pitti, a Firenze, ottenendo il premio “Critica della moda”. Se inizialmente Mariuccia Mandelli vendeva le sue creazioni ai negozi, fu grazie all’obiettivo di Elsa Haerter, fotografa della rivista Grazia, che il suo nome cominciò a girare nei negozi più importanti. Le sue collezioni degli anni Sessanta prediligono i contrasti, come il bianco e nero optical, e la minigonna, che in Italia fu sdoganata anche grazie a lei, sulla scia di Mary Quant.
Maria Mandelli, in arte Krizia, nacque a Bergamo il 31 gennaio 1935
Appassionata di moda fin da giovanissima, studiò in Svizzera
Per la moda rinunciò ad una cattedra come insegnante
Krizia fu nominata Commendatore della Repubblica Italiana
Un ritratto di Mariuccia Mandelli
Il ritratto eseguito da Andy Warhol
La designer accanto al suo ritratto eseguito da Warhol
La collezione “La Voliera”, del 1980
Krizia, Autunno/Inverno 1983, foto di Albert Watson, Vogue UK settembre 1983
Krizia Autunno 1988
ADV Krizia, 1989
Krizia su Vogue America, Dicembre 1986. Foto di Giovanni Gastel
Krizia su Vogue America, Maggio 1987. foto di Giovanni Gastel
Krizia, Vogue America ottobre 1987. Foto di Giovanni Gastel
Krizia, Vogue America, dicembre 1987. Foto di Giovanni Gastel
Krizia su Harper’s Bazaar, foto di Annie Leibovitz, modella Honor Fraser, marzo 1994
Krizia, Autunno/Inverno 1995, foto di Patrick Demarchelier, modella Shalom Harlow
Krizia Autunno/Inverno 1997-’98, Angela Lindvall ritratta da Paolo Roversi
Dopo le nozze con Aldo Pinto, celebrate in Giamaica nel 1965, crea la collezione Kriziamaglia, e nel 1971 si aggiudica il premio “Tiberio d’oro” grazie ad un paio di hot pants ad alto tasso di sensualità.
Da lì la conquista del mercato internazionale con il suo brand: Krizia propone uno stile eccentrico ma sofisticato, specchio dello stile degli anni Ottanta. I materiali innovativi, come il sughero, la gomma e l’anguilla, e le forme insolite delle sue creazioni le valgono il soprannome di “Crazy Krizia”, assegnatole dalla stampa americana. Acclamata dai mercati esteri, amata tra le altre da Marella Agnelli e Lady Diana, la consacrazione avviene con un ritratto firmato Andy Warhol: Mariuccia Mandelli brilla nel firmamento della moda mondiale, dimostrando doti imprenditoriali notevoli, oltre ad un talento senza pari. Negli anni Ottanta il suo prêt-à-porter è salutato con clamore, mentre la stilista firma una linea uomo che ottenne grande successo; indimenticabili le maglie con gli animali, mentre nel 1980 arriva la prima fragranza firmata Krizia. Nel 1986 la stilista ottiene la massima onorificenza italiana, divenendo Commendatore della Repubblica Italiana, unica donna accanto a nomi del calibro di Giorgio Armani, Gianfranco Ferré, Valentino Garavani e Gianni Versace.
Gli anni Novanta la vedono indagata nel maxi processo Mani Pulite, con l’accusa di aver pagato delle tangenti, ma segue la piena assoluzione nel 1998. Recenti le collaborazioni della designer con Alber Elbaz, Jean-Paul Knott, Giambattista Valli, mentre nel 2014 il marchio fu rilevato dal gruppo cinese Shenzhen Marisfrolg Fashion. La stilista si è spenta improvvisamente nella serata di ieri nella sua abitazione milanese, accanto al marito Aldo Pinto. A gennaio avrebbe compiuto 91 anni. Dichiaratasi sempre di sinistra, Mariuccia Mandelli auspicava l’avvento di una generazione di giovani talenti e -schietta come sempre- non perdeva occasione per evidenziare la mancanza di umiltà che caratterizzava diversi addetti ai lavori. Con lei scompare un tassello fondamentale della moda italiana.
Zigomi pronunciati e labbra a cuore, un volto dall’espressività altera si mixa ad una sensualità felina, che fa capolino, quasi come una forza primordiale, dalle crinoline dei lunghi abiti in taffettà: China Machado è uno dei personaggi più interessanti del fashion biz.
Una vita in cui il destino ha messo più volte lo zampino, una lunga carriera come modella, iniziata un po’ per caso, una bellezza che ha stravolto i canoni vigenti all’epoca, sfidando le cortine fumogene dettate dal razzismo: China Machado è fashion editor, mannequin, icona di stile e produttrice televisiva.
Una lunga e sfolgorante carriera con un mentore d’eccezione, Richard Avedon, China Machado è stata la prima modella asiatica ad apparire su un magazine di moda. Correva l’anno 1959 e la splendida mannequin, scoperta dall’inossidabile Diana Vreeland, compariva nella sua maestosa bellezza sulla cover del numero di febbraio di Harper’s Bazaar.
China Machado per Harper’s Bazaar, Novembre 1962, foto di Melvin SokolskyChina Machado è nata a Shanghai nel 1928China Machado in un abito Ben Zuckerman per Harper’s Bazaar, New York, 6 novembre 1958. Foto di Richard Avedon
China Machado è stata musa storica di Richard Avedon
All’anagrafe Noelie Dasouza Machado, la modella è nata a Shanghai nel 1928. Sangue misto nelle vene, tra Sud-Est asiatico, India e Portogallo, China Machado è cresciuta parlando alla perfezione quattro lingue: l’inglese, il francese, il cinese e il portoghese.
Un’infanzia segnata in modo indelebile dalla guerra ma anche dalla povertà e dalla malattia: a sette anni rischiò la vita per complicazioni derivanti da un’infezione multipla, tra tifo, febbre paratifoide e meningite. Era il 1937 e si racconta che, mentre il prete stava per somministrarle l’estrema unzione, i giapponesi bombardarono l’ospedale di Shanghai dove la piccola era ricoverata. “La combattente che è in me venne fuori”, ha dichiarato più volte l’icona di stile ripensando a quel periodo della sua infanzia.
Superata la quarantena e recuperata la salute, la giovane trascorse i suoi primi 16 anni di vita a Shanghai; poi iniziò a viaggiare con la famiglia, tra Argentina, Spagna e Perù, prima di stabilirsi in Europa.
La mannequin è stata la prima modella asiatica ad ottenere la cover di un magazine di modaChina Machado in pigiama palazzo Galitzine, foto di Richard Avedon, 1965China Machado ritratta da Avedon a La Pagode d’Or, Parigi, gennaio 1959China Machado, foto di Richard Avedon per Harper’s Bazaar, Parigi, agosto 1961
China Machado per Harper’s Bazaar, foto di Frank Horvat, Roma, 1962
All’età di 19 anni China Machado conobbe Luis Miguel Dominguín, torero di grande fascino. Con lui si trasferì a Roma, dove prese parte a numerose pellicole cinematografiche. La bellezza esotica di China mieteva i primi consensi ma i modelli di riferimento a cui la giovane si ispirava erano donne occidentali, come Rita Hayworth, Vivien Leigh e Ava Gardner. Sarà proprio quest’ultima, femme fatale dalla personalità esplosiva, a rubarle l’amore di Dominguín. Al termine di quella relazione la giovane si trasferì a Parigi, dove la sua vita cambiò per sempre.
La sfrontata bellezza di China Machado ruppe il sistema di vero e proprio apartheid che caratterizzava la moda degli anni Cinquanta. Lei, che non aveva mai fatto alcun pensiero sul mondo fashion, venne notata durante un party e si ritrovò letteralmente catapultata sulla passerella di una maison storica del calibro di Givenchy. In soli due anni la modella -che cambiò in quel periodo il proprio nome in China- calcò le passerelle più prestigiose, da Dior a Valentino, da Balenciaga fino a Pierre Cardin. Elegante e sensuale, divenne musa di Hubert de Givenchy, per cui lavorò tre anni, conseguendo un primato storico: fu infatti la mannequin più pagata d’Europa, con guadagni che sfioravano i mille dollari giornalieri. Protagonista dei party più esclusivi, a cui presenziava accompagnandosi ad artisti del calibro di Pablo Picasso ed Andy Warhol, nel 1957 sposò l’attore Martin LaSalle da cui divorzierà nel 1965, dopo aver dato alla luce due bambine. La coppia si stabilì a New York City e fu qui che, nel 1958, avvenne l’incontro decisivo per la carriera di China. Tramite la fashion editor Diana Vreeland la modella ebbe modo di incontrare Richard Avedon. Col grande fotografo nacque subito una grande amicizia ma anche un sodalizio artistico che produsse risultati di portata storica.
Musa di Hubert de Givenchy, China Machado calcò le passerelle più importanti, da Dior a BalenciagaLa mannequin in uno scatto del 1961New York, Harper’s Bazaar, 1964, foto di Jeanloup SieffChina Machado per Harper’s Bazaar, styling di Diana Vreeland e foto di Richard Avedon
China Machado e Alberto Moravia, foto di Frank Horvat per Harper’s Bazaar, Roma, 1961
Definita da Avedon “la donna più bella del mondo”, per vedere pubblicate le foto che immortalavano la sua musa dalla bellezza esotica, Avedon dovette superare le barriere razziali e il bigottismo imperante, per cui era inconcepibile vedere in copertina una modella asiatica. La Hearst, casa editrice di Harper’s Bazaar, temeva che quelle foto avrebbero causato la disdetta di molti degli abbonamenti alla celebre rivista di moda. L’editore dell’epoca, Robert F. MacLeod, disse a chiare all’incredulo Avedon che quelle foto non potevano essere pubblicate perché la ragazza non era bianca. Ma è pur vero che non si diventa leggende per caso: Avedon si dimostrò inossidabile nella sua battaglia a favore della bellezza, arrivando a minacciare la storica casa editrice di rinunciare al contratto come fotografo di Harper’s Bazaar. Alla fine Avedon la spuntò e salutò orgogliosamente l’uscita del numero di febbraio del 1959: la bellezza aveva vinto. Ma forse la portata storica di quella battaglia non era ancora del tutto chiara, all’epoca. Il successo di China Machado aprì la porta alle modelle di colore, da Iman a Naomi Campbell, da Jourdan Dunn a Sessilee Lopez.
China Machado in Guy LaRocheAll’anagrafe Noelie Dasouza Machado, la modella cambiò il proprio nome in China quando iniziò a sfilareLa bellezza esotica di China Machado immortalata da Peter Basch in uno scatto risalente agli anni CinquantaChina Machado in un abito Patrick de Barentzen, foto di Richard AvedonChina Machado è tornata a posare come modella, firmando un contratto con la IMG alla veneranda età di 80 anni
L’icona di stile ha lavorato per ben 11 anni come fashion editor di Harper’s Bazaar
Nonostante il suo incredibile successo China Machado non si dichiarò mai entusiasta del lavoro di modella, e -incredibile ma vero- lei, dal viso così perfetto, non si ritenne mai particolarmente bella, come ha più volte dichiarato in numerose interviste. La collaborazione tra la modella e Avedon durò tre anni, successivamente ai quali China Machado fu assunta -ironia della sorte- dallo stesso Harper’s Bazaar come Senior Fashion Editor, per poi assumere l’incarico di Fashion Director. Dal 1962 l’ex modella lavorò per 11 anni nella redazione dello storico magazine. Come fashion editor il suo era un approccio alla moda istintivo e spontaneo. Convinta per sua stessa ammissione di non avere -a differenza delle sue colleghe- un senso innato per lo stile, China Machado prediligeva comfort e sobrietà, indossando spesso pantaloni.
China Machado ritratta da Bruce Weber per Vogue Italia luglio 2015China Machado ritratta da Richard RutledgeContraria alla chirurgia estetica, China Machado appare ancora oggi bellissima e naturaleIronica e dalla grande personalità, China Machado ha lavorato anche come costume designer e produttrice televisiva
China Machado fotografata da Glen Luchford per V Magazine, 2010
Nel 1989 l’icona di stile China Machado venne celebrata con l’inserimento nella celebre International Best Dressed List, creata nel 1940 da Eleanor Lambert. La modella ebbe due figlie dall’attore Martin LeSalle, Blanche ed Emmanuelle. Rumour vociferano di una sua liaison con William Holden. Attualmente la modella vive a Long Island col suo nuovo marito Riccardo Rosa.: nel corso della sua lunga carriera ha lavorato anche come costume designer e produttrice televisiva e ha cresciuto le sue due figlie come madre single. Dopo aver ultimato la sua autobiografia è stata immortalata in tempi recenti da Bruce Weber per W Magazine: è così che, a oltre mezzo secolo dal suo ritiro dalle passerelle, China Machado è tornata a posare come modella, con un contratto firmato con la celebre agenzia IMG alla veneranda età di 80 anni. Il passare del tempo non ha cambiato i suoi zigomi, le labbra e gli occhi felini sono sempre gli stessi, come anche l’autoironia. E a chi le chiede quali siano i suoi segreti di bellezza, lei risponde, spiazzando gli increduli interlocutori: “Non ho mai fatto una dieta, non ho mai fatto ginnastica, mangio come un maiale e bevo- soprattutto vodka. E fumo, anche.” Perché la personalità è glamour.
Stando alla genetica lo stile dovrebbe scorrerle nelle vene: Caroline Vreeland, socialite, cantante ed icona di stile, è la nipote della mitica Diana Vreeland. La celebre fashion editor non è stata solo una figura importante del fashion biz, ma il nome che, dagli anni Quaranta ai Sessanta, con la sua impronta ironica, irriverente e personalissima ha rivoluzionato il corso della moda mondiale, fungendo da spartiacque tra l’antico e il moderno.
Divenuta famosa per la sua rubrica su Harper’s Bazaar intitolata “Why don’t you…?”, dalla quale dispensava consigli deliziosamente sui generis, fino al suo ruolo di direttrice di Vogue America, chi ha avuto come nonna un personaggio del calibro di Diana Vreeland non può non sentire tutto il peso che tale eredità inevitabilmente comporta.
Guardando Caroline Vreeland, viso angelico e fisico prorompente, la prima parola che viene in mente è personalità. Perché la bionda cantautrice e modella, balzata alle cronache degli ultimi anni anche per il suo stile, di personalità ne ha da vendere. E se essere figli, o, in questo caso, “nipoti di”, può essere un’arma a doppio taglio, nel caso della giovane Vreeland proprio il carattere e la grinta hanno fatto la differenza.
Curve da capogiro e grinta da vendere, la bombshell americana si contraddistingue per uno stile moderno e all’avanguardia, che attinge spesso e volentieri dal guardaroba maschile. Cantante apprezzata, prima ancora che icona fashion, Caroline Vreeland predilige il total black e un mood aggressivo. Come lei stessa ha dichiarato più volte, da adolescente ha avvertito la pressione derivatale dal cognome ma anche dal suo fisico esplosivo: grande sensualità, il décolleté generoso e la notevole fotogenia le hanno aperto le porte della moda, con un contratto come modella stipulato con la celebre Next Agency.
Caroline lavora anche come attrice e talent scout e definisce sua nonna la donna più chic mai esistita. Presenza fissa nei front-row delle settimane della moda, apprezzata anche da Carine Roitfeld, Caroline Vreeland nel 2013 è stata protagonista di American Idol. Spontanea e curiosa, ha dichiarato di sentirsi a proprio agio anche struccata. Perché la personalità è glamour.