Bianca Brandolini d’Adda ed Eugenie Niarchos designer per Azzaro

Due tra le socialite più ammirate ed una maison che vanta una lunga storia si uniscono nel segno dello stile: Azzaro festeggia il suo 50esimo anniversario con una esclusiva couture collection, che vedrà cimentarsi nella veste inedita di designer Bianca Brandolini d’Adda ed Eugenie Niarchos.

Una capsule collection che celebra lo stile iconico della maison, interpretato dall’occhio delle due it girl. Belle e blasonate, Bianca Brandolini ed Eugenie Niarchos non hanno certo bisogno di presentazioni: protagoniste indiscusse del jet set internazionale e regine dello street style, le due icone sono onnipresenti nei front row delle sfilate e nei party più esclusivi. Ora le due socialite firmano una partnership esclusiva per una collezione haute couture pensata per la primavera/estate 2017.

La nuova linea sarà presentata in esclusiva il prossimo 25 gennaio negli atelier di place Vendôme, durante la settimana dell’alta moda di Parigi, che avrà luogo dal 22 al 26 gennaio 2017. Dopo l’addio dei due direttori creativi Arnaud Maillard e Alvaro Castejón, la maison lo scorso settembre ha scelto come chief executive officer Gabriel de Linage, che ha preso il posto di Javier Abaroa, ad della griffe dal 2012.

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Bianca Brandolini d’Adda ed Eugenie Niarchos sono le creatrici di una capsule collection Azzaro


Ora Azzaro punta alla nuova couture collection, reclutando le due creative. Ammirate ed imitate da uno stuolo di ragazze per il loro stile e i loro outfit, le due icone sembrano essere a proprio agio nella veste di designer: le due socialite infatti non sono nuove ad esperienze nel fashion system. Bianca, già volto di Dolce & Gabbana e musa di numerosi designer, vanta nel proprio curriculum collaborazioni con Sergio Rossi e Cartier.

Altezza da valchiria e lunghi capelli biondi, la socialite è nata nel 1987. Nelle sue vene scorre il sangue dei conti di Valmareno e degli Agnelli. Dopo alcune esperienze come attrice, Bianca si è imposta come influencer ed icona di stile contemporanea grazie alla sua eleganza effortlessy-chic. “Sono felice di aver preso parte a questa nuova avventura”, ha dichiarato la socialite a proposito della nuova capsule collection disegnata per Azzaro. “Mi sono ispirata alle creazioni che mi facevano sognare quando ero una bambina”.



Eugenie Niarchos, considerata alla stregua di una Paris Hilton blasonata, è nipote del ricchissimo armatore greco Stavros Niarchos. La bionda ereditiera, classe 1986, è creatrice del marchio di gioielleria Venyx. Ammiratissima per il suo stile, la it girl è tra le icone contemporanee più seguite del mondo. Bionda e sofisticata, per Eugenie Niarchos questa è la seconda collaborazione con la maison Azzaro: già nel 2008 l’ereditiera aveva creato per il brand una capsule collection dedicata ai bijoux. “Avendo collaborato più volte con Azzaro, mi sento davvero vicina a questa casa di moda e al suo universo flamboyant”, ha dichiarato Eugenie. “È un piacere ogni volta ritrovare il team e lavorare con loro”.

Lo stile di Bianca Brandolini D’Adda

Bionda, bella e blasonata, Bianca Brandolini D’Adda è una delle it girl più amate. Classe 1987, esperienze da modella in curriculum, grazie al suo stile sofisticato e fresco la giovane socialite si è imposta come una delle icone d’eleganza contemporanee. Nelle sue vene scorre sangue blu, dal momento che Bianca è figlia della Principessa Georgina de Faucigny-Lucinge et Coligny e nipote dell’indimenticabile avvocato Gianni Agnelli.

Balzata agli onori delle cronache per la sua storia d’amore con Lapo Elkann, è poi stata scelta come musa da Dolce & Gabbana, prestando il volto a numerose campagne pubblicitarie del brand. Successivamente la sua carriera da modella è decollata, e tante sono state le collaborazioni illustri, da Sergio Rossi a Cartier.

Il suo stile eclettico e moderno coniuga l’eleganza effortlessy-chic della giovane rampolla ad un tocco di modernità. Attrice e designer (ha firmato una linea di costumi da bagno per Osklen), Bianca Brandolini D’Adda non smette di incantare per la sua bellezza.

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La socialite è nata nel 1987 da una famiglia aristocratica


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Bianca Brandolini D’Adda in Dolce & Gabbana, di cui è stata testimonial (Foto: Cosmopolitan)


Altezza svettante su un fisico atletico, lunghi capelli biondi e sorriso da copertina, il suo stile è versatile e accattivante. Influencer ed icona contemporanea, la vediamo nei front row delle sfilate più importanti e negli eventi più esclusivi. Tante le cover ottenute, grazie ad una fotogenia unica.


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Animalier e tocchi couture nello stile della it girl


Bianca Brandolini D'Adda attends the Costume Institute Benefit at The Metropolitan Museum of Art May 7, 2012, celebrating the opening of Schiaparelli and Prada: Impossible Conversations.  AFP PHOTO /  TIMOTHY A. CLARY        (Photo credit should read TIMOTHY A. CLARY/AFP/GettyImages)
Sfarzo e opulenza nell’outfit sfoggiato da Bianca Brandolini D’Adda (Photo: TIMOTHY A. CLARY/AFP/GettyImages)


Compongono il suo guardaroba camicie fluide e pantaloni skinny, ma anche capi da gran soirée: quando non veste Dolce & Gabbana, la bionda socialite apprezza le stampe patchwork e le sovrapposizioni. Largo ad un animalier rivisitato e a maxi gonne dal mood Seventies, che la bella Bianca indossa con sandali flat. Bellissima ed acqua e sapone in total white, la giovane it girl alterna sapientemente un’eleganza gipsy a suggestioni couture. La classe non è acqua, ça va sans dire.


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Lo stile di Gala Gonzalez

Fascino spagnolo, bellezza acqua e sapone e stile inconfondibile: Gala Gonzalez è oggi una delle icone di stile più famose e influenti del fashion biz. Dj, modella, designer e socialite, ha raggiunto la fama internazionale grazie al suo blog, amlul.com. Trendsetter ante litteram dall’eleganza effortlessy-chic, la bella Gala ha uno stile invidiabile.

Ora residente a Londra, la blogger ha posato anche come modella per numerose campagne pubblicitarie di brand del calibro di Loewe, H&M e Mango, per cui è stata anche designer di una esclusiva linea di accessori. Regina incontrastata dello street style, presenza fissa nei front row delle sfilate più importanti, i suoi look incantano ad ogni fashion week. Sempre impeccabile, ogni suo outfit è copiatissimo.

Fascino europeo e grinta da vendere, l’icona di stile è nata il 16 marzo 1986 a Coruña, in Galizia. Gala Gonzalez è considerata la capostipite delle fashion blogger spagnole. La moda le scorre nel DNA, essendo nipote del designer spagnolo Adolfo Domínguez. La fama a livello internazionale arriva nel 2007, quando Gala fonda amlul.com, il suo blog in cui condivide quotidianamente consigli di stile, pillole di eleganza e un diario fotografico dall’appeal intrigante.

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Gala Gonzalez è nata il 16 marzo 1986 a Coruña, in Galizia (Foto Elle Spain)


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Blogger, socialite, dj e modella, Gala Gonzalez è una icona di stile (Foto Amlul)


Gala a Roma (Foto Amlul)
Gala Gonzalez in uno scatto che la ritrae a Roma (Foto Amlul)


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Gala Gonzalez ha raggiunto la fama internazionale con il suo blog, amlul.com (Foto Amlul)


Dal 2003 la bella blogger risiede a Londra, dove studia Moda alla University of the Arts London. Gala Gonzalez vanta numerose collaborazioni alle spalle: dal 2007 lavora come creative director della Linea U di Adolfo Domínguez. Nel settembre 2009 lancia la sua prima collezione Music Collection sempre per Adolfo Domínguez. Nel giugno 2010 diviene il volto di Loewe, insieme ad icone del calibro di Louis Simonon, Peaches Geldof, Tricia Ronane e Ben Cobb. Posa inoltre come modella per H&M, Mango, Corello, Guerreiro e AG in Brasile. Comparsa su oltre 20 pubblicazioni internazionali del calibro di Vogue, Elle, Marie Claire, Harper’s Bazaar, collabora attivamente con Vogue Spain, che nel 2009 l’ha incoronata it girl nazionale. Nel marzo 2012 diventa testimonial Veet in Spagna.

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La it girl ha posato come modella per diversi brand, da H&M a Mango (Foto Amlul)


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Regina dello street style e presenza fissa nei front row, Gala Gonzalez incanta ad ogni fashion week


Gala per Superga (Foto Amlul)
Gala per Superga (Foto Amlul)


Gala ad Art Basel Miami 2014 (Foto Amlul)
Gala ad Art Basel Miami 2014 (Foto Amlul)


Gala (Foto Harper's Bazaar Spagna)
Gala è nipote dello stilista spagnolo Adolfo Domínguez (Foto Harper’s Bazaar Spagna)


Naturalmente chic e aggraziata, il suo stile spazia dal minimalismo ad elementi che mettono in risalto la femminilità. Largo a total white, pumps e impalpabili abiti in chiffon dalle spalline sottili, ma anche tanto colore, che la it girl predilige sia nei look da giorno che sul red carpet. Tra i suoi designer preferiti Christian Dior, Roberto Cavalli, Calvin Klein Collection, Gucci, Hugo Boss. Il suo è uno stile fortemente europeo e sofisticato, incentrato su un minimalismo moderno, cosmopolita, versatile, contemporaneo. Grande ricercatezza, per le borse l’icona di stile ha mostrato più volte una predilezione per Louis Vuitton.

Gala per le vie di Madrid (Foto Amlul)
Gala per le vie di Madrid (Foto Amlul)


Gala alla Paris Fashion Week A/I 2015 (Foto Trendycrew)
Gala alla Paris Fashion Week A/I 2015 (Foto Trendycrew)


(Vogue Spain)
Gala Gonzalez nel 2009 è stata incoronata it girl nazionale da Vogue Spain


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La it girl è apparsa sui magazine più famosi, tra cui Vogue, Elle, Marie Claire, Harper’s Bazaar


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Uno stile europeo, versatile e minimale per l’icona di stile (Foto Amlul)


(Foto cover alixdebeer.com)


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Mona von Bismarck: quando lo stile diviene leggenda

Ci sono donne la cui eleganza ha attraversato indenne i secoli, arrivando fino ai nostri giorni. Una straordinaria bellezza, una vita avventurosa e uno stile inimitabile sono gli ingredienti che hanno reso la contessa Mona von Bismarck un’autentica leggenda. La sua prodigiosa scalata sociale la portò a sposare uomini facoltosi e a condurre un’esistenza lussuosa, mentre la sua bellezza e la naturale eleganza la resero intramontabile icona di stile.

Presenza fissa dell’International Best Dressed List, musa di fotografi e pittori, socialite e protagonista del jet set internazionale, la vita patinata di Margaret Edmona Travis Strader Schlesinger Bush Williams von Bismarck-Schönhausen de Martini fu il vero capolavoro stilistico forgiato da lei stessa, caparbia e all’occorrenza spietata virago, che creò dal nulla un’immagine capace di attraversare i secoli.

Nata a Louisville, in Kentucky, il 5 febbraio 1897, Mona Travis Strader era di umili origini. Suo padre, Robert Sims Strader, era uno stalliere presso la fattoria Fairland, a Lexington, di proprietà di Henry James Schlesinger. L’infanzia della piccola Mona fu segnata dal divorzio dei suoi genitori, nel 1902. Lei e il fratello Robert andarono a vivere dapprima con la nonna materna e successivamente con la nonna paterna. Non furono giorni facili per i due fratellini: la nonna materna fu dichiarata pazza e mandata in manicomio, come anche un altro congiunto. Uno zio di Mona sparò ad una prostituta prima di suicidarsi, ed un altro morì durante una battuta di caccia.

Mona von Bismarck all'età di 59 anni in uno scatto di Cecil Beaton, 1956
Mona von Bismarck all’età di 59 anni in uno scatto di Cecil Beaton, 1956. Foto Condé Nast Archives


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Mona von Bismarck in uno scatto risalente al 1948 realizzato dall’amico Cecil Beaton


Ma Mona cresceva come una donna estremamente affascinante e coltivava in cuor suo un profondo senso di rivalsa. Tanto si è scritto sulla sua bellezza, quasi idolatrata da coloro che la ritrassero: dall’amico di una vita Cecil Beaton a Horst P. Horst, da Edward Steichen a George Platt Lynes, da Salvador Dalí fino a Leonor Fini e Bernard Boutet de Monvel. Si dice che nessun quadro e nessuno scatto riuscì mai a rendere giustizia alla bellezza dei suoi occhi di zaffiro e dei suoi capelli d’argento.

Appena diciottenne la fanciulla riuscì a far capitolare Henry James Schlesinger, il signore di Fairland, la fattoria in cui il padre di Mona lavorava come stalliere.

Mona von Bismarck in una foto di George Platt Lynes, 1940


Mona von Bismarck fotografata da Edward Steichen per Vogue, 3 gennaio 1933
Mona von Bismarck fotografata da Edward Steichen per Vogue, 3 gennaio 1933


La contessa ai tempi in cui era la signora Harrison Williams. Foto di Edward Steichen per Vogue, Novembre 1928
La contessa ai tempi in cui era la signora Williams. Foto di Edward Steichen per Vogue, Novembre 1928


Mona von Bismarck in un lungo abito Balenciaga nel suo Hôtel Particulier di Parigi. Foto di Cecil Beaton, 1955


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Ancora uno scatto che immortala Mona von Bismarck nel suo Hôtel Particulier di Parigi, 1955


Mona von Bismarck in un abito Balenciaga nel suo Hôtel Particulier di Parigi ritratta da Cecil Beaton, 1955
Mona von Bismarck appare altera nello sfarzoso abito Balenciaga tra i mobili rococò del suo Hôtel particulier


Mona Travis Strader nacque a Louisville, in Kentucky, il 5 febbraio 1897


Mona con il quarto marito Edward von Bismarck in uno scatto risalente agli anni Cinquanta


Sfidando le convenzioni sociali, nel 1917 la giovane convolò a nozze con Schlesinger, che aveva vent’anni più di lei ed era considerato all’epoca l’uomo più ricco del Wisconsin. Dalle stalle alle stelle, si potrebbe dire. Ma per Mona quello fu solo l’inizio di una clamorosa scalata sociale.

La coppia si divideva tra la tenuta a Milwaukee, il Wisconsin e Fairland. Ma il matrimonio fu breve: dopo soli tre anni, nel 1920, i due divorziarono. Mona, che da quell’unione partorì il figlio Robert Henry, rinunciò alla custodia di quest’ultimo in cambio dell’esorbitante cifra di mezzo milione di dollari. Non certo una madre esemplare, ma forse anche in quella mantide religiosa senza scrupoli qualche rimpianto per quel figlio mai amato deve pur esserci stato. Il piccolo Robert Henry sposerà poi Frederica Barker, sorella maggiore dell’attore Lex Barker.

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Occhi di zaffiro e capelli bianchi, la bellezza di Mona von Bismarck era leggendaria


New York, New York, USA --- 12/2/1940-New York, NY: Mrs. Harrison Williams, one of society's best dressed women, is shown in her box at the Metropolitan Opera here, at the opening performance of the 1940-41 season. --- Image by © Bettmann/CORBIS
Mona Harrison Williams al Metropolitan Opera, febbraio 1940. — Foto di © Bettmann/CORBIS


Mona von Bismarck posa per l’amico di una vita Cecil Beaton, 1932


Mona von Bismarck. Foto di Cecil Beaton. Vogue, 1 luglio 1939


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Mona von Bismarck è stata una socialite ed una icona di stile


Dopo il divorzio Mona si trasferì a New York. Non ci volle molto perché quella bellissima ragazza dagli occhi di ghiaccio trovasse un nuovo marito. Solo l’anno seguente, nel 1921, Mona convolò a nozze con il banchiere James Irving Bush, che aveva 14 anni più di lei ed era considerato all’unanimità uno degli uomini più attraenti del Paese. Ma il matrimonio durò appena tre anni e nel 1924 Mona ottenne il divorzio a Parigi.

Nel 1926 la futura icona di stile si getta in una nuova avventura, aprendo un negozio di abbigliamento nella Grande Mela, insieme alla sua amica Laura Merriam Curtis, figlia di William Rush “Spooky” Merriam, un vecchio Governatore del Minnesota. Laura era stata fidanzata con Harrison Williams, considerato l’uomo più ricco d’America, con una fortuna stimata intorno ai 680 milioni di dollari, equivalenti agli attuali 8 miliardi di dollari. Scaltra e consapevole del proprio fascino, Mona fiuta subito la succulenta occasione ed inizia a tessere una tela attorno a Williams. Lui, 24 anni di più, non può resistere: è così che il 2 luglio 1926 i due convolano a nozze. Per la luna di miele i novelli sposi si regalano una crociera sullo yacht di Williams, considerato la barca più costosa e più grande del mondo, dal nome quantomai appropriato: “Warrior”, il guerriero.

Mona sembra avere finalmente trovato la felicità: Williams la ricopre di regali costosi e di attenzioni. Durante la loro luna di miele la coppia fa scalo in numerosi porti tra Cina, Giappone e i Mari del Sud. Si ritiene che durante questo viaggio Williams acquistò per Mona il famigerato zaffiro, passato alla storia come lo zaffiro Bismarck, e poi donato dalla futura contessa alla Smithsonian Institution: pare che l’acquisto sia avvenuto nel porto di Colombo, in Sri Lanka. Inoltre i coniugi acquistarono molte perle nei Mari del Sud, e anche queste costituiscono oggi parte dell’eredità della socialite.

Mona von Bismarck by Cecil Beaton for Vogue, 1936
Mona von Bismarck ritratta da Cecil Beaton per Vogue, 1936


Mona von Bismarck by Cecil Beaton for Vogue, 1936
Un’altra foto di Cecil Beaton, Vogue, 1936


Mona von Bismarck amava i cani. Eccola immortalata qui con il suo Mickey


Mona Bismarck wearing Cartier carved emeralds and photographed with her dog by Cecil Beaton in 1938
Mona Bismarck con una collana di smeraldi firmata Cartier e il suo cagnolino. Foto di Cecil Beaton, 1938


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Eccentrica e sofisticata, Mona von Bismarck nel 1933 fu dichiarata la donna più elegante del mondo.


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Foto di Cecil Beaton, 1936


Durante quella crociera l’attenzione di Mona si concentrò su una dimora a picco sul mare che capeggiava la Marina Grande di Capri. La villa giaceva in stato di abbandono ma il fascino di quel rudere aveva radici assai lontane: nel 27 a.C. l’imperatore romano Tiberio aveva fatto costruire nel golfo di Capri 12 ville, ognuna dedicata a una divinità dell’Olimpo. Dove un tempo sorgeva una di queste ville si trova oggi Il Fortino: la villa, acquistata da Mona von Bismarck nel 1938, deve il suo nome al periodo dell’occupazione francese dell’isola di Capri, quando, sotto Gioacchino Murat, venne costruito un fortino di avvistamento. Originariamente costruito sulle rovine del palazzo imperiale di Cesare Augusto, poi ristrutturato sotto Tiberio e poi edificato dal pittore ungherese Hahn nel corso dell’800, il Fortino ha una vista mozzafiato sulla scogliera e un parco che si staglia su due livelli. Su tutto l’edificio si erge una torre medievale merlata. Costituita da quattro case indipendenti (Casina dei Fiori, la Palazzina degli Ospiti, la Palazzina dei Camerieri e Villa Mona), oggi la villa è considerata una tra le residenze più esclusive al mondo, meta del turismo più elitario.

Rientrati a New York, i coniugi acquistarono la residenza in stile georgiano sulla 94esima Strada e l’appartamento sulla Quinta Strada con l’interior design di Syrie Maugham. Inoltre possedevano una proprietà a Long Island chiamata Oak Point con interior design di Delano & Aldrich e una casa a Palm Beach, oltre alla villa di Capri, dove Mona si dilettava col giardinaggio, una tra le sue più grandi passioni.

L’ossessione di Mona per l’haute couture inizia durante il suo matrimonio con Harrison Williams. Il suo amore per il bello la portava a collezionare mobili risalenti al 18esimo secolo, mentre l’immensa disponibilità economica del marito le poteva finalmente garantire il tenore di vita che aveva sempre sognato. Anche dopo aver perso la maggior parte dei suoi investimenti durante il crollo del 1929, Williams resta un uomo ricchissimo e può offrire alla sua splendida consorte una vita da favola.

Mona von Bismarck and Randolph Churchill at El Morocco, 1950s
Mona von Bismarck e Randolph Churchill insieme nel club El Morocco, New York, anni Cinquanta


Mona von Bismarck and Jacques de la Beraudiere, 1938
Mona von Bismarck e Jacques de la Béraudière, 1938


Mona von Bismarck by Peter Stackpole, 1950s
Mona von Bismarck in uno scatto di Peter Stackpole, anni Cinquanta


Jo Davidson and Mrs. Harrison Williams (Mona von Bismarck) by Peter Stackpole, 1950s
Jo Davidson e Mona Williams immortalati da Peter Stackpole, anni Cinquanta, LIFE Magazine


Per Mona è la consacrazione ufficiale: accanto a Wlliams riesce finalmente a brillare. I due formano una coppia da copertina e lei è ricercatissima dalle riviste patinate, che se la contendono: appare diverse volte su Vogue e su Harper’s Bazaar, immortalata come la nuova dea del jet set statunitense. Bellissima, riesce a rendere sexy la sua canizie precoce; ha lineamenti aristocratici e il portamento è altero, ma l’espressione austera cede talvolta il posto al più amichevole dei sorrisi, specialmente quando Mona brilla in società. Nel circolo dei suoi amici figurano membri dell’aristocrazia europea e teste coronate, statisti, politici, artisti, designer, attori, scrittori e molto altro.

Nel 1933 Mona viene nominata “La donna meglio vestita del mondo” da una giuria che comprendeva couturier del calibro di Chanel, Molyneux, Vionnet, Lelong, e Lanvin. È la prima volta che un’americana ottiene questo prestigioso riconoscimento, seguita l’anno successivo dalla duchessa di Windsor e nel 1935 da Elsie de Wolfe. Inoltre nel 1958 Mona von Bismarck compare sulla Hall of Fame della International Best Dressed List.

Il suo stile prediligeva Chanel, Mainbocher, Lanvin, Vionnet, Molyneaux, Lelong, e soprattutto Balenciaga, di cui fu cliente storica e musa per ben trent’anni. La contessa trovò in Cristóbal Balenciaga un autentico mentore che la iniziò alle magie della moda. Tra i due nacque un vero e proprio sodalizio stilistico: lei musa e lui geniale interprete di creazioni che ancora oggi trovano spazio nei musei. Ma la decisione da parte del couturier di chiudere il suo atelier, nel 1968, getta Mona nella più nera disperazione. Si dice che l’icona di stile si chiuse nella sua camera, nella villa di Capri, per tre giorni, rifiutando di vedere anima viva. Diana Vreeland commentò la reazione della contessa con queste parole: “Voglio dire, era pur sempre la fine di una parte della sua vita!”. Per lei era davvero la fine di un’epoca. Dopo aver superato in spese folli l’ereditiera Barbara Button, acquistando ben 150 capi di Balenciaga dopo che un treno che trainava il suo guardaroba era deragliato, alla fine si consolò con Hubert de Givenchy.

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Nel 1958 Mona von Bismarck comparve sulla Hall of Fame della International Best Dressed List.


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La contessa fu musa di Cecil Beaton, Salvador Dalí e Cristóbal Balenciaga


Mona von Bismarck by Cecil Beaton, 1958
Mona von Bismarck in uno scatto di Cecil Beaton, 1958


Mona negli anni Cinquanta
Mona von Bismarck in uno scatto risalente agli anni Cinquanta


“Cosa mi importa se la signora Harrison Williams è la meglio vestita in città?”: cantava Cole Porter nel 1936 in Ridin’ High, mentre Truman Capote modellò a immagine e somiglianza della contessa il personaggio di Kate McCloud nel suo romanzo Preghiere esaudite, uscito postumo nel 1987. Nel 1943 Mona viene ritratta da Salvador Dalí. Il quadro desta scalpore in quanto la futura contessa viene dapprima ritratta nuda. Mona resta scandalizzata da cotanta audacia e si rifiuta di pagare l’artista finché non vengano aggiunti dei vestiti. Dopotutto era stata la donna meglio vestita al mondo per undici anni di fila! Alla fine lei fu una dei pochi estimatori di quel ritratto. Numerose le sue apparizioni su Vogue, la contessa viene ritratta soprattutto da Cecil Beaton, che trovò in lei la sua modella preferita ed una vera e propria musa: si tramanda che nelle sessioni fotografiche che la riguardavano, non vi era foto da scartare, data l’impressionante fotogenia della contessa. Eccentrica e sopra le righe, Mona von Bismarck aveva una vera e propria mania per i colori en pendant, e pretendeva che i suoi valletti indossassero uniformi blu quando la accompagnavano agli eventi mondani con la sua Rolls Royce blu.

Hubert de Givenchy disse di lei: “Era splendida, proprio come nel ritratto di Dalí, e aveva sedotto 5 mariti. Andava matta per le perle e ne comprò a chili durante la crociera nei mari del Sud. Nel suo appartamento di New York aveva due ascensori regolati a velocità diverse, il più veloce dei quali era riservato ai domestici, affinché potessero sempre precederla e aprire la porta al suo ingresso.

L’eccesso faceva parte di lei, mentre il suo stile può essere definito come un dandismo al femminile. Emily M. Banis, brillante studentessa presso il Fashion Institute of Technology di New York, ha dedicato alla celebre icona la sua tesi di laurea, intitolata “Mona: Portrait of a Female Dandy.” Mona era una dandy in gonnella, che modellò un’intera esistenza sul bello e su questo effimero ma potente ideale fondò il suo look e il suo lifestyle. Mona creò se stessa, sopravvivendo ad un’infanzia infelice. È vero, i detrattori sottolineano che, nonostante i suoi numerosi viaggi e le sue dimore principesche tra Parigi e Capri, non si preoccupò mai di imparare l’italiano né il francese, che non era solita leggere, e che le sue lettere probabilmente non sono un capolavoro di retorica. Ma sapeva scegliere con cura gli arredamenti, curava personalmente giardini lussureggianti, organizzava cene superbe e indossava abiti perfetti. La contessa amava nuotare, ricamare, coltivare tulipani e dedicarsi ai suoi amati cagnolini, tra i quali spicca Mickey, un bastardello che Mona adorava e che fu immortalato al suo fianco in alcuni scatti realizzati da Cecil Beaton.

Il matrimonio di Mona ed Harrison Williams durò ben 27 anni, fino alla morte di quest’ultimo, avvenuta nel 1953. All’indomani della dipartita di Williams, il New York Times recitava così: “L’unica ragione per cui gli Harrison Williams non vivevano come principi è che i principi non potevano permettersi di vivere come loro”.

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Oak Point, la residenza di Mona von Bismarck a Long Island


La contessa nella villa Il Fortino, Capri, anni Cinquanta


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Mona von Bismarck era contesa dalle riviste patinate e apparve numerose volte su Vogue


La socialite ebbe cinque mariti


Se i primi tre mariti le diedero il denaro, è col quarto che Mona ottiene anche il titolo nobiliare a cui anelava da sempre. Nel gennaio 1955 Mona sposa il suo amico di vecchia data e confidente Albrecht Edward Heinrich Karl, conte di Bismarck-Schönhausen, un decoratore di interni di discendenza aristocratica, figlio di Herbert von Bismarck e nipote del cancelliere tedesco Otto von Bismarck. I rumours dicono che Edward sia gay. Sebbene gli sia stato diagnosticato un cancro allo stomaco, il conte vive per altri 16 anni. Il matrimonio venne celebrato con rito civile nel New Jersey e poi con rito religioso a Roma, nel febbraio 1956. I coniugi Bismarck vissero per la maggior parte a Parigi, nel famoso appartamento presso l’Hôtel Lambert, e nelle residenze di Mona, tra New York e Capri. La vediamo ritratta dal fedele Cecil Beaton nel 1955 nel sontuoso abito Balenciaga, regale tra i mobili rococò del suo hôtel particulier e i capelli pettinati in stile Pompadour.

Nel 1970 il conte Edward von Bismarck muore. Alla vigilia dei 74 anni Mona è di nuovo vedova. L’anno seguente, nel 1971, sposa il fisico di Bismarck, Umberto de Martini, a cui ella stessa dona un titolo nobiliare ottenuto dal re Umberto II di Savoia. Lei, che aveva sempre prediletto uomini molto più grandi, ora si legava a un uomo più giovane di 14 anni, destando nuovamente scandalo. Credeva che Umberto avrebbe badato a lei, ma lui aveva un’amante in Inghilterra e non era animato da sentimenti onesti: de Martini prosciugò l’eredità di Mona, inventando clamorose bugie, come la prossima apertura di una clinica, alibi per depositare ben tre milioni di dollari in una banca svizzera. Dei 90 milioni di dollari ereditati da Mona alla morte di Williams ne restavano ora solo 25. Nel 1979 Umberto muore prematuramente a seguito di un incidente automobilistico. È in quel momento che Mona realizza che de Martini l’aveva sposata solo per interesse, esattamente come lei aveva fatto con Schlesinger, Bush e Williams. A quel punto torna ad usare il cognome di Bismarck. Ormai delusa e sfiorita, vive altri 4 anni, morendo a New York il 10 luglio 1983, all’età di 86 anni. Viene sepolta a Long Island, vestita con un abito Givenchy, accanto ai due mariti Harrison Williams ed Edward von Bismarck.

L’amico storico Cecil Beaton andò a trovarla a Capri durante la vecchiaia e restò spiazzato: in lei non vi era più traccia della proverbiale bellezza che da sempre era stato il suo segno distintivo. I capelli ora erano tinti di un banale castano, la figura appesantita, lo sguardo spento. “È un relitto”, commentò a malincuore Beaton. “Ha dipinta in volto una grottesca maschera che copre ciò che resta dei suoi lineamenti nobili. Le labbra sono ingrandite come quelle di un clown, le sopracciglia disegnate con un tratto sottile di nero”, descrisse Beaton, fino ad ammettere, commosso: “Il mio cuore piange per lei”. Era il tramonto di una stella. Ora toccava scendere dalla giostra, ora toccava fare il bilancio di una vita non sempre vissuta secondo la morale comune. Ma, certamente, vissuta al massimo.

Mona von Bismarck in her rose garden at Il Fortino, her estate on Capri. Photo by Cecil Beaton. Vogue, April 1, 1967
Mona von Bismarck nel suo roseto a Capri. Foto di Cecil Beaton. Vogue, 1 Aprile 1967


Mona von Bismarck by Horst P. Horst, ca. 1941
Mona von Bismarck immortalata da Horst P. Horst, ca. 1941


René Bouché, 1936
Mona von Bismarck vista da René Bouché, 1936


Leonor Fini
Un ritratto della contessa realizzato da Leonor Fini


Salvador Dali, Portrait of Mrs Harrison Williams (Mona von Bismarck), 1943, oil on canvas, 91.7 x 61.26 cm
Ritratto di Mona von Bismarck realizzato da Salvador Dalí, 1943, olio su tela, 91.7 x 61.26 cm


Poco prima della morte, Mona aveva fondato il Mona Bismarck American Center for Art and Culture, con sede a Parigi, istituito allo scopo di promuovere le relazioni culturali tra Francia e Stati Uniti. La fondazione a suo nome registrata a New York ha ancora oggi un centro culturale a Parigi e uno spazio espositivo sito di fronte alla Torre Eiffel. Nata allo scopo di promuovere attività artistiche, scientifiche, letterarie ed educative, la fondazione negli ultimi venti anni ha organizzato più di 70 mostre, aperte al pubblico e gratuite.

Ma alla morte della contessa, il figlio Robert Henry rivendica i suoi diritti sull’eredità della madre, di quella stessa madre rea di averlo abbandonato ancora bambino, barattandolo con una cospicua buonuscita. La villa di Capri dovette quindi essere venduta, per far fronte all’eredità ora contesa.

Inoltre la contessa aveva donato nel 1976 le sue foto e parte dei suoi scritti alla Filson Historical Society. Le lettere di Mona Strader Bismarck sono datate 1916-1994 e sono costituite perlopiù dalla corrispondenza personale della contessa, e includono missive della Duchessa di Windsor, di Diana Vreeland, Gore Vidal, Randolph Churchill, Constantin Alajalov, l’illustrazione di copertina per il New Yorker e il Saturday Evening Post, e, ancora, lettere a Jean Schlumberger, Hubert de Givenchy, Cecil Beaton e molti altri. Una lettera di Constantin Alajalov era indirizzata a Mickey, che era stato anche ritratto da Alajalov. Mona amava i suoi cagnolini e ne ebbe numerosi nel corso della sua vita. Alla morte di Mickey ricevette tante lettere di condoglianze quante ne riceverà per la dipartita del terzo marito, Harrison Williams. Le lettere offrono uno sguardo intimo sulla moda e sulla società dell’epoca, come anche sulle posizioni inglesi ed europee rispetto al secondo conflitto mondiale. Bettina Bergery è destinataria e mittente di molte delle missive: costei era la modella preferita di Givenchy e moglie di Gaston Bergery, ambasciatore del governo di Vichy nell’Unione Sovietica e in Turchia.

mvb Balenciaga belonging to the Countess Mona von Bismarck, 1955
Abito Balenciaga appartenuto alla contessa, 1955


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Una mostra dei capi Balenciaga indossati da Mona von Birmarck


mona mona Close-up of the Bismarck Sapphire - Pendant to a diamond and platinum necklace, ©Smithsonian Institution.png
Il celebre zaffiro Bismarck donato dalla contessa al Museo di Storia Naturale della Smithsonian Institution


La Collezione Fotografica di Mona Strader Bismarck copre gli anni dal 1860 al 1979 e include i bellissimi scatti di Cecil Beaton, le foto di famiglia, dei numerosi mariti, degli amici e della contessa immortalata nel suo giardino a Capri e nel suo appartamento all’Hôtel Lambert a Parigi. Nel 1967 Mona von Bismarck aveva inoltre donato al Museo di Storia Naturale della Smithsonian Institution la collana con pendente che incorporava lo zaffiro blu dello Sri Lanka di 98.6 carati. L’istituzione rinominò in suo onore il gioiello come “La collana con zaffiro Bismarck”. Nel maggio 1986 la parte della sua eredità che comprendeva altri gioielli di valore fu battuta all’asta presso Sotheby’s a Ginevra: faceva parte di questa una sua famosa collana a due strati di perle, che fu venduta a più del doppio rispetto alla stima iniziale, per 410.000 dollari.

Nonostante gli scandali e gli eccessi, la bellezza e la vita glamour di Mona von Bismarck non sembrano essere sopravvissute alla morte di quest’ultima. Pochi scrivono di lei, sebbene sia stata una figura fondamentale in termini di stile ed eleganza; manca una biografia completa e l’unico testo degno di nota che la riguarda sembra essere “Kentucky Countess: Mona Bismarck in Art & Fashion” di James D. Birchfield. Resta la parabola di una donna che ottenne dalla vita tutto ciò che voleva, ma il cui sguardo appare triste e malinconico nella maggior parte delle foto che la ritraggono.


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Millicent Rogers: una vita alla ricerca della bellezza

Crinoline e sete preziose alternate a strati di tulle fanno capolino nei sontuosi abiti da sera dal sapore vittoriano, sullo sfondo dell’età del jazz e di una giovinezza scandita dall’ultimo party esclusivo. Una vita fieramente sopra le righe, seguendo il monito di lorenziana memoria di vivere ogni giorno come se fosse l’ultimo. E Millicent Rogers scelse di vivere la propria vita al massimo. Nota come l’ereditiera della Standard Oil, fondata dal nonno H.H.Rogers e da John D.Rockefeller, Millicent Rogers è stata una brillante socialite, un’icona di stile di squisita eleganza ed una collezionista d’arte.

All’anagrafe Mary Millicent Abigail Rogers, più conosciuta come Millicent Rogers, la futura icona di stile nacque a New York il primo febbraio 1902. Nipote di Henry Huttleston Rogers, magnate della Standard Oil, ereditò quest’impero, divenendo proprietaria in giovanissima età di un’immensa fortuna. La piccola Millicent crebbe tra Manhattan, Tuxedo Park e Southampton, New York, tra lusso e ricchezze. Ma ancora bambina contrasse una febbre reumatica: secondo i medici che la visitarono, la piccola non sarebbe arrivata all’età di dieci anni. La realtà fu fortunatamente ben diversa, ma per tutta la vita l’ereditiera fu cagionevole di salute: ebbe infatti numerosi attacchi di cuore, una grave forma di polmonite e un’artrite che le lasciò il braccio sinistro quasi totalmente paralizzato prima del compimento dei 40 anni.

Negli anni Venti Millicent Rogers divenne famose come socialite, ottenendo servizi e copertine sulle principali riviste patinate, da Vogue a Harper’s Bazaar. Inoltre la sua vita sentimentale costituì per decenni uno dei temi più ghiotti per i tabloid. Sì, perché Millicent Rogers è stata una donna leggendaria: aveva un animo ribelle, quella bionda dai capelli perfetti e dallo sguardo altero, che viaggiava con 35 valigie e 7 bassotti e che non lesinava in capricci, come quando, nel 1937, pretese che la tappezzeria della sua coupé Delage D8-120 Aerosport venisse tinta in una nuance che fosse en pendant con il suo rossetto rosso lacca; lei che ballò il tango nei nightclub europei mentre la perbenista America frugava nei dettagli più scabrosi della sua burrascosa vita sentimentale; lei che, dietro al guardaroba principesco e all’invidiabile vita mondana, nascondeva una grande sensibilità.

Scatto di Millicent Rogers esposto al museo di Taos realizzato da Louise Dahl-Wolfe per Harper's Bazaar, 1948
Scatto di Millicent Rogers esposto al museo di Taos realizzato da Louise Dahl-Wolfe per Harper’s Bazaar, 1948
Millicent Rogers, foto di Richard Rutledge per Vogue America, 15 marzo 1945
Millicent Rogers, foto di Richard Rutledge per Vogue America, 15 marzo 1945

Millicent Rogers ritratta da Horst P. Horst nel 1938
Millicent Rogers ritratta da Horst P. Horst nel 1938


Millicent Rogers mostrò fin dall’infanzia grandi doti artistiche, che la madre non perse occasione di incoraggiare. Dopo il suo debutto in società, avvenuto nel 1919 al Ritz di Manhattan, Millicent si affermò per il suo stile, divenendo un’icona immortale. Presenza fissa delle liste delle donne meglio vestite al mondo, inizialmente la sua immagine non aveva ancora l’appeal sofisticato che oggi tutti noi conosciamo, attraverso le foto patinate che la immortalano. Fu quando decise di cambiare la forma delle sue sopracciglia, arcuandole alla maniera in voga negli anni Trenta, che la bionda Millicent iniziò ad essere una vera diva. Statuaria dall’alto del suo metro e settantacinque centimetri, pelle di alabastro e classe inimitabile, Millicent Rogers sembrava avere avuto tutto dalla vita: bellezza, intelligenza, ironia, savoir faire e una valanga di soldi. Ci guarda altera, dall’alto della sua perfezione, nelle foto celebri che la ritraggono. Sempre impeccabile nelle sue mise, Millicent Rogers posò, tra gli altri, per Louise Dahl-Wolfe e Horst P. Horst, oltre che per il pittore Bernard Boutet de Monvel. Tra i suoi designer preferiti vi erano Mainbocher, Adrian, Elsa Schiaparelli e Valentina. Ma un posto speciale occupava Charles James, di cui la bionda ereditiera fu musa incontrastata. Del couturier Millicent Rogers amava l’opulenza, mentre lui dal canto suo trovò in lei la perfetta incarnazione del suo stile. Nessuna sapeva indossare i sontuosi abiti-scultura di James con altrettanto charme.

Esteta e amante della bellezza in ogni sua forma, Millicent Rogers non era né un’oca né una ragazzaccia. Il suo humour mordente era forse ciò che gli uomini più adoravano in lei. “Gli uomini erano solo oggetti che collezionava”: scrive così Cherie Burns, a proposito di Millicent Rogers. “In cerca della bellezza”: si intitola così il volume che la Burns ha dedicato all’icona di stile. Searching for Beauty: The Life of Millicent Rogers, the American Heiress Who Taught the World About Style, edito da Paperback, è una tra le biografie più autorevoli della celebre ereditiera. Vera leggenda americana dalla vita avventurosa e glamour, filantropa e collezionista d’arte, in un’epoca costellata da Hilton e Kardashian si avverte profondamente la mancanza di icone del calibro di Millicent Rogers. Il volume curato da Cherie Burns testimonia la sua incessante ricerca di perfezione tanto nel suo stile personale quanto nella sua esistenza.

Millicent Rogers in Charles James, 1948
Millicent Rogers in Charles James, 1948
Ritratto di Millicent Rogers realizzato da Bernard Boutet de Monvel, 1948
Ritratto di Millicent Rogers realizzato da Bernard Boutet de Monvel, 1948
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Millicent Rogers nacque a New York il primo febbraio 1902
Millicent Rogers in un abito da sera Charles James, foto di Horst P. Horst per Vogue, 1 febbraio 1949
Millicent Rogers in un abito da sera Charles James, foto di Horst P. Horst per Vogue, 1 febbraio 1949

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Millicent Rogers ereditò l’impero della Standard Oil, fondata da suo nonno H. H. Rogers e da John D. Rockefeller


La vita sentimentale di Millicent Rogers fu parecchio avventurosa: l’icona si sposò per tre volte e collezionò numerosi flirt, tra cui spiccano l’autore Roald Dahl, lo scrittore Ian Fleming, il principe del Galles e il principe Serge Obolensky. L’ereditiera sposò in prime nozze, nel gennaio del 1924, il conte austriaco Ludwig von Salm-Hoogstraeten, più vecchio di lei di venti anni. Lui era un nobile decaduto e squattrinato, descritto dal New York Times come “un morto di fame”. Il matrimonio fu duramente osteggiato dalla famiglia Rogers. La coppia ebbe un figlio, Peter Salm, prima di divorziare, nell’aprile 1927. Nel novembre dello stesso anno l’ereditiera convolò a nozze con Arturo Peralta-Ramos, playboy e sportivo, proveniente da una ricca famiglia argentina. Dalla loro unione nacquero due figli, Paul Jaime e Arturo Henry Peralta-Ramos Jr. Il matrimonio fu celebrato nella chiesa cattolica del Sacro cuore di Gesù e Maria di Southampton, Long Island, alla presenza dei genitori dell’ereditiera. Il padre diede alla coppia un fondo fiduciario di 500.000 dollari, con la promessa che Peralta-Ramos “non avanzasse alcun diritto futuro sull’eredità di Millicent”, stimata in circa 40.000.000 di dollari. Nei primi anni Trenta Millicent e Arturo costruirono uno chalet a St. Anton, un’esclusiva località sciistica, arredandolo in ricercato stile Biedermeier. Vestiva alla tirolese Millicent in quel periodo, con i costumi tipici e il caratteristico grembiule, che lei mixava con adorabile nonchalance ad abiti Schiaparelli e Mainbocher, stile che fu più tardi ripreso, forse non con altrettanta classe, da Wallis Simpson. Tuttavia anche questo matrimonio naufragò, e la coppia divorziò nel 1935. Il terzo ed ultimo marito dell’icona di stile fu Ronald Balcom, un agente di cambio americano, sposato a Vienna nel febbraio 1936, da cui divorziò nel 1941. La coppia non ebbe figli. L’ereditiera visse in Svizzera fino allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, ma nel corso della sua vita collezionò appartamenti come si fa con le figurine: da New York alla Virginia al Nuovo Messico, fino all’Austria e alla Giamaica: le dimore dell’ereditiera rispecchiavano il suo gusto, sofisticato e ricercato.

Spilla di Verdura
L’icona di stile indossa una preziosa spilla di Fulco di Verdura
L'appartamento di Millicent Rogers a Claremont Manor
L’appartamento di Millicent Rogers a Claremont Manor
Il salotto dell'appartamento di Millicent Rogers a Claremont Manor, Virginia
Il salotto dell’appartamento di Millicent Rogers a Claremont Manor, Virginia

Virginia
Ancora un particolare della tenuta di Millicent Rogers in Virginia


Millicent Rogers sapeva perfettamente come gestire la stampa, verso la quale alternava momenti di amore e odio, come sostiene Gwendolyn Smith, curatrice della mostra “Millicent Rogers: Heiress, Fashion Icon & Her World” . “Conosceva le persone giuste e tutti conoscevano lei”, da buona socialite. Artista, creatrice di interessanti gioielli in oro ed argento, questo fu per lei più un hobby creativo da praticare per la salute delle sue mani affette da artrite, che una vera attività. D’altronde aveva i mezzi per finanziare le proprie opere artistiche. I suoi gioielli rivelano suggestioni arcaiche: il firmamento e le costellazioni sembrano essere la principale fonte di ispirazione per Millicent Rogers, le cui creazioni artigianali ricordano lune e stelle. Collezionista d’arte, spiccano nelle sue collezioni private almeno una dozzina di quadri di Henri de Toulouse-Lautrec, oltre a pezzi di Claude Monet e Paul Cezanne. L’icona di stile amava i quadri di Van Gogh, Degas e Jacob Epstein ma anche l’arte africana e le teiere cinesi. A Manhattan adorava le creazioni di Fabergé.

Colta, elegante ironica, Millicent Rogers parlava correntemente sette lingue, che studiò da autodidatta, durante i suoi famigerati attacchi di febbre reumatica. Si dice che tradusse da sola Rilke solo per divertimento, e che era solita conversare in latino. Non edonismo sfrenato, non mero esibizionismo, ma un viscerale amore per la bellezza, declinata in ogni forma. Oggi il botox sembra essere la parola chiave per le celebrities di ogni parte del mondo, tutte uguali nella loro ricerca di uno stereotipato ideale di bellezza: ma una volta ci voleva almeno un po’ di classe per monopolizzare l’attenzione della cronaca rosa. Bionda, bella, incredibilmente ricca e dotata di un carattere passionale, Millicent Rogers fu molto più di un personaggio da giornale scandalistico: fine esteta dal gusto raffinato, combatté la disabilità con il suo amore per l’arte. Elsa Schiaparelli, sua amica e tra i suoi couturier preferiti, disse di lei: “Se non fosse stata così ricca, con il suo incredibile talento e la sua smisurata generosità sarebbe diventata una grande artista”. I tre mariti e l’intensa vita sentimentale costituiscono solo una delle tante sfaccettature di questa icona di stile dallo charme immortale.

L’eccesso non faceva parte di lei, sebbene l’apparenza talvolta sembrava suggerire il contrario. Millicent Rogers era in realtà una sopravvissuta, e tale si sentì durante tutto il corso della sua vita. “Quando trovi la felicità, acchiappala. Non fare troppe domande” , diceva così Millicent. E la felicità la trovò accanto ad uno dei divi più amati di Hollywood, Clark Gable, che fu forse l’uomo della sua vita. L’ereditiera riuscì ad attirare l’attenzione dell’attore presentandosi ad un party con una scimmietta sulla spalla. L’idillio fu da romanzo rosa. Ma, come tutte le storie d’amore, l’ereditiera soffrì indicibilmente quando il sentimento finì. La proverbiale fama di sciupafemmine non era solo una leggenda metropolitana, nel caso di Clark Gable: quando la Rogers lo colse in flagrante in compagnia di un’altra donna, gli scrisse una lettera d’addio che mandò ad Hedda Hopper affinché quest’ultima la pubblicasse sulla sua rubrica all’interno dell’L.A. Times. La lettera iniziava così: “Ti ho seguito la notte scorsa mentre portavi a casa la tua giovane amica. Sono felice di averti visto mentre la baciavi, perché ora so che hai qualcuno vicino a te…. Spero di averti fatto sorridere ogni tanto; […] di averti dato, quando mi stringevi, tutto ciò che un uomo possa desiderare.”

Millicent Rogers in Mainbocher
Millicent Rogers in Mainbocher
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Tra i designer preferiti dall’icona di stile Mainbocher, Adrian, Schiaparelli, Charles James e Valentina
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Millicent Rogers posò per le riviste più autorevoli, da Vogue ad Harper’s Bazaar
Millicent Rogers su Vogue, 1937
Millicent Rogers su Vogue, 1937

Circa January 1939 --- Millicent Rogers, hat in hand, wearing moleskin cape and large ring. She rests her arm on the back of a chaise lounge. --- Image by © Condé Nast Archive/Corbis
Millicent Rogers, gennaio 1939. Foto © Condé Nast Archive/Corbis


Nel corso della Seconda Guerra Mondiale l’icona di stile acquistò Claremont Manor, una tenuta risalente al 1750 circa, situata sulle rive del fiume James, in Virginia, a 170 miglia da Washington. Qui la Rogers tentò di ricreare l’atmosfera che aveva respirato in Austria. Lavorò all’interior design di quella casa al fianco di Billy Baldwin, dell’architetto William Lawrence Bottomley e di Van Day Truex, amico di famiglia nonché futuro presidente della prestigiosa Parsons School of Design e design director per Tiffany & Co. Una scrivania un tempo appartenuta al poeta Schiller e ricercati pezzi di antiquariato Biedermeier costituivano i pezzi forti dell’interior design di Claremont. Alle pareti spiccavano quadri di Watteau, Fragonard e Boucher, in una cornice di lussuosa formalità, tra tende damascate e un’eleganza antica. Nel 1946 l’ereditiera si trasferì ad Hollywood, dove abitò nella casa che era appartenuta un tempo a Rodolfo Valentino, la celebre Falcon’s Lair.

Più tardi, nel 1947, la diva decise di ritirarsi a Taos, in Nuovo Messico, dove sperava di contrastare i sintomi della febbre reumatica di cui soffriva fin da bambina. Qui andò a vivere in una tenuta che ribattezzò Turtle Walk. A curare l’interior design della sua nuova dimora non vi fu alcuna figura professionale. Turtle Walk era una vecchia fortezza situata nel deserto di Taos, caratterizzata da un mobilio di stampo coloniale e da una tappezzeria raffigurante elementi tipici della cultura dei nativi americani, la cui arte compariva in abbondanza in quella casa, tra ceramiche, gioielli, quadri. Taos, nel Nuovo Messico, era un’oasi di pace, buen retiro ideale per artisti ed intellettuali delusi dalla vita e alla ricerca di nuovi stimoli. Millicent, col cuore spezzato dopo la fine della sua tormentata love story con Clark Gable, fu invitata qui da Mabel Dodge Luhan. L’ereditiera strinse una profonda amicizia con la pittrice Dorothy Brett, da tempo ivi residente, trasferitasi lì su invito di D. H. Lawrence. Entrambe ricche ed eleganti, le due donne avevano molto in comune. Taos era una località molto gettonata soprattutto da quando, all’inizio del secolo, era stata scelta come nuova patria da nomi del calibro di Mabel Dodge Luhan e Georgia O’Keeffe.

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Millicent Rogers ebbe tre mariti e numerose storie d’amore: la più famosa fu quella con l’attore Clark Gable
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Durante i suoi attacchi di febbre reumatica, l’ereditiera imparò da autodidatta sette lingue e tradusse l’opera di Rilke
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L’ereditiera nel tipico costume austriaco, che mixava a capi haute couture di Schiaparelli e Mainbocher
Millicent Rogers col figlio Paul Peralta Ramos a Taos
Millicent Rogers col figlio Paul Peralta Ramos a Taos

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Millicent Rogers nel 1947 si ritirò a Taos, Nuovo Messico


Millicent Rogers si innamorò all’istante di quel cielo blu cobalto, ma anche dei nativi del luogo. Della cultura pueblo adorava le tradizioni e i manufatti. Attraverso le testimonianze che sono giunte a noi sappiamo quanto l’icona di stile trovasse belli i lunghi capelli neri degli uomini e lo stile delle donne. Tra memorie coloniali ispaniche e citazioni del vecchio West si ergeva maestosa la natura, principale fonte di ispirazione artistica. In una lettera al figlio Paul Peralta-Ramos, l’icona racconta del suo amore per Taos. Si sentiva parte della Terra, Millicent Rogers, giunta in Nuovo Messico. L’ereditiera racconta con trasporto di una vicinanza mai provata prima con gli elementi della natura: il sole che brucia sulla pelle, l’odore della pioggia, l’emozione di guardare le stelle e il cielo notturno. Sembra di vederla, questa dama algida e bionda in abiti sartoriali, intenta ad osservare, con interesse quasi etnografico, gli usi e costumi locali, le suggestive cerimonie intertribali, con i danzatori, i cantanti, e, ancora, i mercati tipici, con gli artisti che mettono in vendita le loro creazioni artigianali.

La signora venuta da lontano si sofferma su alcuni gioielli con turchesi. Quelle insolite forme artistiche catturano il suo occhio, così acuto nello scorgere ovunque bellezza. È un vero e proprio colpo di fulmine per quegli orecchini, quei bracciali in onice e madreperla, ma anche per le cinture, le stoffe stampate, i coralli. Mai sottovalutare l’amore di una donna per la moda e per gli accessori: Millicent Rogers adorava i gioielli locali e sviluppò un’autentica passione per i turchesi Navajo, passione che la portò successivamente a svolgere un ruolo predominante nel preservare i capolavori dell’arte amerindia. Millicent Rogers prese molto a cuore la causa dei nativi ispanici e americani che abitavano il Nuovo Messico, ergendosi come paladina della battaglia per il riconoscimento dei loro diritti. Dopo aver collezionato oltre duemila opere realizzate dai nativi americani, con alcuni suoi amici, tra cui gli autori Frank Waters, Oliver Lafarge e Lucius Beebe, contattò dei legali per portare all’attenzione della Casa Bianca il tema dei diritti dei nativi americani.

Millicent Rogers in giacca di velluto Schiaparelli in uno scatto risalente al 1939. Foto Condé Nast Archive/Corbis
Millicent Rogers in giacca di velluto Schiaparelli in uno scatto risalente al 1939. Foto Condé Nast Archive/Corbis
Millicent Rogers in un abito da sera in taffetà e piume firmato Adriam, 1947. Foto di Condé Nast Archive/Corbis
Millicent Rogers in un abito da sera in taffetà e piume firmato Adriam, 1947. Foto di Condé Nast Archive/Corbis
Millicent Rogers a Claremont Manor, Virginia, in un abito drappeggiato in broccato di Valentina, 1947

Il salotto dell'appartamento di Millicent Rogers a Taos, New Mexico
Il salotto dell’appartamento di Millicent Rogers a Taos, Nuovo Messico


Lo stile che l’ereditiera adottò dopo il suo ritiro a Taos comprendeva una blusa con le stampe originali Navajo che alternava a una camicia bianca, una gonna a ruota indossata sopra diverse sottogonne che alternava a maxi gonne etniche, uno scialle e piedi rigorosamente scalzi o mocassini di pelle di daino. Questo divenne il look più iconico dell’ereditiera, nonché l’emblema del suo stile. Nel Nuovo Messico la Rogers adottò anche un nuovo stile di vita. “Non era una snob, avrebbe trascorso con i creatori di gioielli locali lo stesso tempo che avrebbe speso ad Hollywood”, scrive la Burns. “Credo che si divertisse nel Nuovo Messico, sperimentando una libertà forse mai provata prima. Aveva un grande spirito di adattamento.”

Millicent Rogers, avventuriera vestita in capi haute couture, morì nel 1953, un mese prima del suo 51esimo compleanno, lasciando debiti per tre milioni di dollari. Poco dopo la sua scomparsa, nel 1956, uno dei suoi tre figli fondò a Taos un museo locale a suo nome, il Millicent Rogers Museum. Il museo conserva un’ampia collezione di arte nativo americana, ispano americana ed euro americana. Dapprima sito in una location temporanea, alla fine degli anni Sessanta il museo venne trasferito in una casa costruita da Claude J. K. ed Elizabeth Anderson, successivamente ristrutturata dall’architetto Nathaniel A. Owings. Millicent Rogers è stata protagonista della mostra American Women of Style, organizzata da Diana Vreeland e Stella Blum nel 1975. Il suo stile continua ad essere inesauribile fonte di ispirazione nella moda: John Galliano ha dichiarato di essersi ispirato a lei per la collezione disegnata per Dior nella Primavera/Estate del 2010. Un nome che resterà immortale nella moda.


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Nan Kempner: icona dello stile newyorkese

Ci sono donne che nobilitano la moda, conferendole quel tocco di magia che è da sempre prerogativa assoluta del glamour più autentico. Nan Kempner ha fatto della propria vita una parabola vissuta all’insegna dell’eleganza: socialite, protagonista indiscussa del jet set, avida collezionista di capi haute couture ed insuperata icona di stile, Nan Kempner nacque a San Francisco il 24 luglio del 1930.

All’anagrafe Nan Field Schlesinger, la futura icona di eleganza nasce in una famiglia benestante: il padre Albert “Speed” Schlesinger possiede la più grande concessionaria di automobili della California. Esile fin da giovanissima, Nan non possiede una bellezza da copertina, nonostante sia atletica e tonica. È lo stesso padre a consigliarle di puntare su altro, dicendole testualmente: “Con quel viso non ce la farai mai, faresti bene ad essere interessante”. Ed infatti è proprio sul carisma che la giovane punta lungo tutto il corso della propria vita.

Figlia unica, fu sua madre ad iniziarla alle meraviglie della moda. A suo dire la madre vestiva divinamente: fu da quest’ultima che la ragazzina apprese le regole fondamentali che diedero vita a quel suo stile che sarebbe in seguito divenuto iconico. Sua madre le insegnò che vi erano solo tre colori —il rosso, il nero e il grigio— e che i tacchi alti sarebbero dovuti divenire i suoi migliori amici. Contemporaneamente all’amore per la moda nacque nella giovane l’ossessione per la linea: Nan iniziò a stare in dieta all’età di 12 anni senza smettere mai nel corso della sua vita, ed iniziò a fumare all’età di 14. Dopo aver frequentato la Hamlin School di San Francisco, Nan Kempner si iscrisse al Connecticut College for Women dove studiò per un anno storia dell’arte, ma senza conseguire il diploma. Poi si trasferì per un anno a Parigi, dove frequentò la Sorbona e un corso di pittura tenuto dal maestro Fernand Léger. Ma quest’ultimo, resosi conto di quanto la giovane fosse negata, le restituì indietro il denaro.

Nan Kempner in Yves Saint Laurent, foto di Francesco Scavullo per Vogue, 1974.
Nan Kempner in Yves Saint Laurent, foto di Francesco Scavullo per Vogue, 1974
ca. January 1974, New York, New York, USA --- Socialite Nan Kempner wearing camel hair coat and cuffed plain-front pants by Yves Saint Laurent, with cashmere sweater and chain belt with tiger eye by Halston; a beret, and holding a long print silk scarf, --- Image by © CondÈ Nast Archive/Corbis
Nan Kempner in cappotto e pantaloni Yves Saint Laurent e maglione Halston. New York, gennaio 1974, foto Corbis

Nan Kempner wearing a Christian Lacroix Evening Jacket and vintage Yves Saint Laurent skirt
Nan Kempner in Christian Lacroix


Dopo aver lavorato come volontaria presso il Museo delle arti di San Francisco, nel 1952 convolò a nozze con Thomas Lenox Kempner. Dall’unione nacquero tre figli. Galeotto fu il primo incontro tra i due, con il marito che notò come prima cosa la minigonna Dior indossata dalla giovane. Un primo appuntamento al Monkey Bar di New York City in cui i due non smisero di scambiarsi insulti per una notte intera, come la stessa socialite raccontò più volte, diede vita ad una grande passione. Dopo aver vissuto a Londra per un breve periodo, i Kempner si trasferiscono nella Grande Mela: qui Nan sfodera doti imprenditoriali notevoli: in trent’anni la sua attività riesce ad incrementare i fondi del Memorial Sloan-Kettering Cancer Center fino ai 75.000.000 di dollari.

Nel privato la Kempner colleziona capi di alta moda: la sua è una passione iniziata quando era ancora una ragazzina. Il suo archivio privato si arricchisce nel tempo di capi preziosi ed esclusivi, fino a divenire per proporzioni una delle più ricche collezioni private del Paese, con pezzi tra i più iconici e rappresentativi del 20esimo secolo. Spiccano capi di designer del calibro di Valentino, Karl Lagerfeld per Chanel, Mainbocher, Christian Dior, oltre agli stilisti prediletti dall’icona di stile, Bill Blass e Yves Saint Laurent, di cui si contano oltre 300 pezzi. Considerata una vera e propria autorità tra le più preparate nel settore moda, Nan Kempner era una habitué delle sfilate: si dice che in 55 anni abbia perso solo una settimana della moda, a seguito della scomparsa di suo padre. In un’intervista rilasciata al The Independent of London nel 1994 dichiarò di essersi persa solo una delle ultime 63 sfilate di Yves Saint Laurent, di cui fu musa storica ed amica.

Durante il corso della sua vita, letteralmente dedicata alla moda e allo stile declinato in ogni sua forma, Nan Kempner lavorò come contributing editor per Vogue Paris, fashion editor per Harper’s Bazaar, designer consultant per Tiffany & Co. nonché come rappresentante internazionale della celebre casa d’aste Christie’s. Inoltre l’icona di stile impartì occasionalmente lezioni di moda presso il Metropolitan Museum of Art e la New York University. Ritratta da Andy Warhol nel 1973, immortalata sulle riviste patinate con i suoi outfit sempre eccentrici e sofisticati, Nan Kempner è stata anche autrice del volume “R.S.V.P.: Menus for Entertaining From People Who Really Know How”, edito da Clarkson Potter, i cui proventi furono interamente devoluti in beneficenza. Si, perché Nan Kempner è stata anche una grande filantropa, generosa come poche e sempre in prima linea nelle opere di charity. Incarnazione dello chic newyorkese, regina dei party e degli eventi più esclusivi, illuminò la scena della Grande Mela per oltre quarant’anni con il suo stile inimitabile. Celebri le parole con cui si espresse un monolite della moda del calibro di Diana Vreeland, secondo la quale “In America non ci sono donne chic. L’unica eccezione è Nan Kempner”. Valentino Garavani ne ammirava l’eleganza con cui riusciva ad indossare i suoi capi, con quel fisico tonico e scolpito. L’icona di stile ispirò la coniazione del termine “social X-ray” utilizzato all’interno del romanzo Il falò delle vanità di Tom Wolfe.

Nan Kempner (at Her Park Ave Apartment) PhotoRose Hartman-Globe Photos
Nan Kempner nel suo appartamento di Park Avenue, foto di Rose Hartman-Globe Photos
Nan Kempner wearing her all-time favorite dress. Mais bien sur, Yves Saint Laurent 1983.jpg
Nan Kempner in Yves Saint Laurent, 1983
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Nan Kempner è stata una socialite, collezionista di moda e icona di stile
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La socialite è nata a San Francisco il 24 luglio 1930
Nan Kempner e Valentino Garavani
Nan Kempner e Valentino Garavani

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Nan Kempner è stata una delle più grandi collezioniste di capi haute couture


Fashionista ante litteram, Nan Kempner comprò il suo primo abito Dior quando la madre la portò nella sede della storica maison a Parigi, nel 1958. Si tramanda l’aneddoto secondo cui la ragazzina, sprovvista del denaro sufficiente per acquistare quel capo —un abito bianco con cappotto coordinato— scoppiò in un pianto disperato e continuò a singhiozzare finché non attirò l’attenzione d un giovane dai grandi occhiali. Trattavasi di Yves Saint Laurent, giovane assistente di monsieur Christian Dior. La ragazzina continuò a piangere finché l’addetto alle vendite non abbassò il prezzo del capo per renderlo più vicino al suo budget. Avida collezionista di moda, Nan Kempner sviluppò in seguito una vera e propria ossessione per i capi di Yves Saint Laurent, Valentino ed Oscar de la Renta. Cominciata nel corso degli anni Sessanta, la sua passione per lo shopping non trovò mai fine nei successivi cinquant’anni. Frizzante, deliziosamente frivola, Nan Kempner conquistava chiunque con la propria personalità, emblema di quella fetta della popolazione femminile che attraverso la moda riesce a sognare e ad emozionarsi. “Dico sempre a tutti che voglio essere seppellita nuda perché deve senza dubbio esserci un negozio nel luogo in cui andrò”, dichiarava nel 1972 al magazine Women’s Wear Daily. Socialite tra le più apprezzate, protagonista indiscussa dei party più esclusivi, dichiarò che “non si sarebbe persa per niente al mondo neanche l’opening di una porta”. Autoironica come poche, raccontò che non sapendo che occupazione dichiarare nei documenti, non sentendosi abbastanza ricca da considerarsi una vera filantropa e non amando definirsi una socialite, scrisse semplicemente “casalinga”.

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Nan Kempner lavorò come contributing editor per Vogue Paris, fashion editor per Harper’s Bazaar e designer consultant per Tiffany & Co.
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L’icona di stile davanti al suo celeberrimo armadio
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Un particolare dell’immenso guardaroba di Nan Kempner
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La sala da pranzo di Nan Kempner, arredata da Michael Taylor
Nan Kempner's Library with L'Enfance d'Icare (1960), René Magritte, and Gabhan O'Keefe Sofa, New York City, March 1998.
Particolare dell’appartamento di Nan Kempner con L’Enfance d’Icare di René Magritte e divano di Gabhan O’Keefe, New York City, Marzo 1998
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Nan Kempner nella sua camera da letto arredata da Michael Taylor. Foto di Derry Moore per Architectural Digest
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Particolare dell’appartamento della socialite

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Nan Kempner è stata icona di stile e musa di Yves Saint Laurent. Foto Getty Images


Definita da Yves Saint Laurent ‘la plus chic du monde’, lo stile di Nan Kempner era improntato ad una grande ricercatezza e ad una certosina cura del dettaglio. Amante del mix & match, l’icona di stile si dilettava nel creare outfit bizzarri ed eccentrici, mixando tra loro pezzi variegati. Lo stile secondo Nan Kempner consisteva nel riuscire ad esprimere la propria individualità e nell’abilità di mixare i capi. Celebre la sua propensione allo styling e alle sovrapposizioni, anche le più audaci, come quando riusciva ad indossare mirabilmente il più classico dei tailleur Yves Saint Laurent con un paio di jeans boyfriend.

Nan Kempner fu tra le prime donne ad abbracciare il trend del menswear. Non particolarmente amante dei vezzi femminili, cercava sempre di aggiungere un tocco maschile anche alla mise più sexy. Emblema vivente della massima “less is more”, non era raro vederla indossare la domenica la sua uniforme tipica, composta da un paio di Levi’s 501, una camicia bianca e una maglia indossata sulle spalle. Presenza fissa della Hall of Fame dell’International Best-Dressed List ideata nel 1940 da Eleanor Lambert, in un’intervista a Town & Country del 1999, alla domanda postale da Annette Tapert su come avrebbe descritto il proprio stile, Nan Kempner rispose senza esitazioni “artificiosamente rilassato”. Lo shopping rimase sempre la sua passione più grande: fino alla veneranda età di 72 anni la socialite era solita acquistare delle minigonne, che indossava in spiaggia con bikini Etro e poncho. Casual e minimal-chic, l’icona fu tra le prime a sdoganare la chirurgia plastica. Vanitosa e primadonna nell’animo, adorava fare le sue entrate ad effetto, attirare l’attenzione ed essere fotografata. Perennemente in viaggio tra Londra, Parigi, Gstaad, Venezia, San Francisco e Los Angeles, non si perdeva una sfilata né un party, e adorava sciare e prendere il sole.

Spendeva in abiti “più di quanto avrebbe dovuto e meno di quanto avrebbe voluto”, perfettamente a suo agio nel suo fisico atletico, frutto di duri allenamenti che avevano luogo quotidianamente nella palestra che fece costruire all’interno del suo appartamento e che le permettevano di entrare perfettamente nei capi di sfilata, indossati dalle mannequin. Amante della bellezza in ogni sua forma, nel suo appartamento il lusso era la parola d’ordine: la vediamo indugiare dinanzi alla sua incredibile cabina armadio, che farebbe impallidire la fashion victim più sfegatata, oppure nei fasti dei saloni, impreziositi da una deliziosa carta da parati francese dipinta a mano, tra preziosissimi quadri di René Magritte, antichi bric-à-brac provenienti dalla Cina, collezioni di libri d’arte e bassorilievi in bronzo realizzati da Robert Graham.

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La socialite ha incarnato la quintessenza dello chic newyorkese
NEW YORK - 1985:  Socialite Nan Kempner attends Rizzoli Book party for Marella Agnelli in circa 1985 in New York City, New York. (Photo by Rose Hartman/Getty Images)
Nan Kempner a New York, 1985 (Foto di Rose Hartman/Getty Images)
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Lo stile di Nan Kempner prediligeva il mix & match e le sovrapposizioni
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Nan Kempner fu autrice di “R.S.V.P.: Menus for Entertaining From People Who Really Know How”, edito da Clarkson Potter
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Ironica ed eccentrica, Nan Kempner fu definita da Yves Saint Laurent “la donna più chic del mondo”
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La socialite in compagnia di Andy Warhol

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Nan Kempner e Bill Blass


Nan Kempner si è spenta il 3 luglio del 2005 all’età di 74 anni, per enfisema polmonare. Fumatrice incallita, trascorse gli ultimi anni della propria vita in condizioni critiche, respirando con l’aiuto di una bombola di ossigeno. Due mesi dopo la sua scomparsa la sua famiglia ha organizzato una commemorazione in suo onore presso la sede di Christie’s, a cui presero parte oltre 500 suoi amici. Nel dicembre 2006 il Costume Institute del Metropolitan Museum of Art ha inaugurato una mostra dedicata alla smisurata collezione di capi haute couture dell’icona di stile. Nan Kempner: American Chic era composta da oltre 75 outfit, tra cui capi Galliano per Dior, Lagerfeld per Fendi, Ungaro, Jean Paul Gaultier e Lanvin. La mostra si è poi spostata al Fine Arts Museums di San Francisco.

Tantissimi sono gli aneddoti che ci svelano una donna ironica e dalla personalità scoppiettante; a partire da quella volta in cui, nel corso degli anni Sessanta, Nan Kempner decise di indossare una tuta pantaloni per una cena al ristorante La Côte Basque, in barba al dresscode della serata, che vietava espressamente alle donne l’uso dei pantaloni. Quando le fu negato l’ingresso, lei tolse i pantaloni e disse sprezzante a Madame Henriette, “Spero che questo le piaccia di più”. Indossò quindi il top come un vestito e sfoderò una adorabile nonchalance. Audace e sofisticata, sfoggiava savoir faire e self-confidence, convinta com’era che “Non è cosa indossi, ma come lo indossi”. Una grande lezione di stile. Meditate.

Slim Keith: il fascino dell’imperfezione

La giacca maschile cade a pennello sui fianchi stretti; i capelli schiariti dal sole delle spiagge californiane sono raccolti con nonchalance in una coda da cui sbucano ciocche ribelli; la sigaretta tra le dita affusolate lascia il posto ad un sorriso che si allarga gioviale su un volto dai lineamenti marcati e dalla rara bellezza. Slim Keith è stata una socialite ed una tra le più sublimi icone di stile a cavallo tra gli anni Quaranta e Sessanta. Perfetta incarnazione della California girl, la sua leggendaria eleganza impresse un segno indelebile nella moda degli anni Quaranta e la rese iniziatrice del tomboy style.

Nancy “Slim” Keith nasce a Salinas, in California, il 15 luglio 1917. All’anagrafe Mary Raye Gross, la madre le cambia il nome in Nancy. Bionda e abbronzata, la figura snella forgiata dallo sport, le spalle larghe e il fisico atletico: Nancy cresce in salute e bellezza assaporando il sole della California. Ma la giovane è sempre più insofferente rispetto ai ristretti orizzonti culturali che respira nell’ambiente domestico. Il padre è un uomo d’affari di origine tedesca, bigotto e privo di amore, la madre un angelo del focolare senza alcuna ambizione personale. Quando i suoi genitori divorziano, la piccola Nancy sceglie di andare a vivere con la madre.

Iscritta ad una scuola cattolica, lascia gli studi un semestre prima del diploma. Affamata di vita e sicura di sé, la giovane fugge in moto nel deserto. L’istinto le dice di fermarsi in un resort situato nella Valle della Morte: è qui che inizia la sua scalata sociale, grazie all’incontro con William Powell. Vedendola emergere dalle acque di una piscina col suo fisico scultoreo, l’attore le dà il soprannome che la accompagnerà per tutta la vita, Slim, ovvero “snella”.

Slim Keith ritratta da Horst P. Horst per Vogue, Febbraio 1949
Slim Keith ritratta da Horst P. Horst per Vogue, Febbraio 1949
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Slim Keith a casa con un outfit disegnato da lei stessa. Foto di John Engsteadt per Harper’s Bazaar, 1945

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Alta e tonica, Slim Keith incarnò la tipica bellezza californiana


Grazie all’amicizia con Powell la ragazza incontra William Randolph Hearst e la sua compagna Marion Davies, per merito dei quali riesce ad affermarsi in pochissimo tempo come una delle socialite più famose di Hollywood: non vi è party a cui non presenzi, bella come una diva patinata la vediamo sorridere al fianco di divi del calibro di Gary Cooper e Cary Grant. La socialite diviene regina incontrastata del jet set internazionale, adorata tra gli altri da Clark Gable ed Ernest Hemingway. Ma l’ambizione di Slim non è soltanto quella di realizzarsi a livello lavorativo. Femme fatale spregiudicata e passionale, la futura icona di stile ha un debole per gli uomini.

Nel 1938 avviene l’incontro con quello che sarà il suo primo marito, il famoso regista Howard Hawks. Per lui è il classico colpo di fulmine: Hawks si invaghisce immediatamente di lei e fa di tutto per convincerla a sposarlo, sebbene egli sia già sposato da molti anni. Nella sua autobiografia, intitolata “Slim: Memorie di una vita ricca ed imperfetta“, la socialite racconta che nonappena la vide, Howard Hawks le disse “Sei la cosa più che straordinaria che abbia mai visto. Mi sposerai“. Quello che più piaceva in lei era il fatto che, sebbene fosse una gran bellezza, non nutriva alcun interesse per la carriera cinematografica. Ironica e divertente, le sue osservazioni erano acute e taglienti. Coraggiosa come nessuna, nelle sue memorie ammette candidamente che i suoi tre mariti furono un mezzo per avviare la sua portentosa scalata sociale: Slim Keith descrive Hawks dicendo che “Non era solo bello, affascinante e di successo, era esattamente il pacchetto che volevo. La carriera, la casa, le quattro auto, lo yacht —questa era la vita per me.” Nel 1941 i due convolano a nozze.

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Slim Keith, all’anagrafe Mary Raye Gross, nasce a Salinas, in California, il 15 luglio 1917
Slim Keith ritratta da Man Ray
Slim Keith ritratta da Man Ray
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Lo stile di Slim Keith, minimale e sobrio
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La socialite fu protagonista del jet set internazionale ed icona di stile

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Slim Keith fu presenza fissa della International Best Dressed List


Slim Keith fu anche talent scout ante litteram: fresca di matrimonio col regista hollywoodiano, sfogliando un numero della celebre rivista Harper’s Bazaar si imbatté nel volto di una giovane modella, ritratta da Louise Dahl-Wolfe: trattasi di Lauren Bacall, ultima scoperta della celebre fashion editor Diana Vreeland. Il fiuto di Slim le fa comprendere immediatamente il potenziale espressivo di quel viso; ne parla subito al marito e in pochissimo tempo la bella Lauren viene convocata per un provino e ottiene così il suo primo ruolo come attrice, nel film “Acque del Sud“, diretto da Hawks. Nella pellicola la Bacall flirta con Bogart —con cui nascerà una lunga storia d’amore— indossando i tailleur maschili di Slim, che le suggerisce anche molte delle battute, forgiando un personaggio a propria immagine e somiglianza. Ne viene fuori un capolavoro: lo charme di quella donna così a proprio agio nell’indossare abiti da uomo e nel fumare una sigaretta dopo l’altra diverrà emblema della bellezza anni Quaranta.

Malgrado la sua acuta intelligenza, la socialite dichiarerà di non essere stata altro che una specie di soprammobile per Hawks, una presenza prettamente decorativa. Il matrimonio non si rivelò affatto facile, anche a causa delle numerose infedeltà di lui. Poco dopo la nascita della loro figlia Kitty Hawks (oggi apprezzata interior designer), Slim si rifugia a L’Avana, dove chiede ospitalità all’amico di sempre, lo scrittore Ernest Hemingway. Ma la solitudine dura poco: qui incontra Leland Hayward, che sarà il suo secondo marito. Ricordato dalla socialite come l’unico grande amore della sua vita, Hayward e Slim si innamorano all’istante ma per convolare a nozze devono attendere il divorzio che li renderà liberi dalle rispettive unioni precedenti. La relazione tra i due dura ben dodici anni. E se per la socialite trovare un marito, possibilmente milionario e piacente, sembra essere facile come bere un bicchiere d’acqua, stavolta deve fare i conti con una pericolosa rivale: Pamela Churchill, socialite che le porta via in un battibaleno il cuore di Hayward. È un duro colpo per Slim: quell’uomo lei lo ha amato davvero. Ma tocca rialzarsi e asciugarsi le lacrime.

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Nel 1990 la socialite ha ultimato la sua autobiografia dal titolo “Slim: Memorie di una vita ricca e imperfetta”
Slim Keith in un abito in rayon di Adrian
Slim Keith in un abito in rayon di Adrian
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Lo stile di Slim Keith era innovativo per l’epoca: giacche maschili, capi sartoriali e linee pulite
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La socialite in un abito Charles James

Slim Keith, foto di Tony Frissell per Harper's Bazaar, 1947
Slim Keith, foto di Toni Frissell per Harper’s Bazaar, 1947


Passa poco tempo e si profila all’orizzonte una nuova conoscenza: trattasi stavolta del banchiere britannico Sir Kenneth Keith. Con lui la socialite convola a nozze ottenendo anche il titolo di Lady Keith. Un’unione di puro interesse, ritenuta da entrambi vantaggiosa: agli occhi di Kenneth —ricco ma sprovvisto del savoir faire dei due precedenti mariti di Slim— appare molto conveniente sposare una donna bella, economicamente indipendente e dalle conoscenze altolocate. Lady Slim Kenneth dal canto suo si accontenta di dividersi tra l’appartamento londinese e l’enorme tenuta in campagna risalente al diciottesimo secolo, chiamata The Wicken: qui Slim non smette di risplendere tra un party e un altro. Ma le feste leggendarie e il lusso sembrano non essere sufficienti a tenere in piedi quest’unione in cui manca l’elemento fondamentale, l’amore. Dopo dieci anni anche questo matrimonio naufraga inesorabilmente.

Slim si rifugia nella sua sfera di amicizie, tra cui spiccano Babe Paley, socialite anche lei ed indimenticabile icona di stile nonché cigno prediletto da Truman Capote, Diana Vreeland e lo stesso Capote, che la chiama affettuosamente Big Mama. Ma l’amicizia che lega i due viene bruscamente interrotta a seguito di alcune indiscrezioni sul romanzo scritto da Capote “Preghiere esaudite“: nel volume, rimasto poi incompiuto, lo scrittore avrebbe tratto ispirazione da Slim per il personaggio di Lady Coolbirth.

La socialite è furiosa e bandisce per sempre dalle sue conoscenze Capote, sebbene alcune fonti sostengono che fu in realtà Pamela Harriman ad ispirare a Capote la figura di Lady Coolbirth. Inoltre nel romanzo compare anche Babe Paley, amica di lunga data di Slim. È quando quest’ultima muore di cancro che l’universo patinato su cui si fonda l’intera esistenza di Slim inizia a vacillare in modo spaventoso. Lei continua a viaggiare e a trarre diletto dalle sue attività come socialite, che hanno sede principalmente a New York, da lei definita “una città troppo piccola per poter evitare qualcuno“. Anziana e leggermente appesantita, l’icona di stile non perde un evento, presentandosi sempre armata del consueto sorriso.

Uno scatto del 1947
Uno scatto del 1947
Sigaretta in bocca, anni Quaranta
Sigaretta in bocca, Slim Keith incarnò l’emblema dello charme anni Quaranta
Slim Hayward Keith in Spain. Photo taken by Leland Hayward
Slim Keith in Spagna, in una foto scattata dal suo secondo marito, Leland Hayward
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Slim Keith con la figlia Kitty, ora apprezzata interior designer
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La socialite in uno scatto del 1948

Slim Keith e James Stewart al Waldorf Asroeia, 1948. Foto di Bettmann/CORBIS
Slim Keith e James Stewart al Waldorf Astoria, 1948


Data la sua voce argentina e squillante considera per un istante anche la possibilità di darsi al bel canto, iniziando una carriera come cantante lirica. Ma in breve abbandona questo proposito. Grande fumatrice, Slim Keith muore di cancro ai polmoni il 6 aprile del 1990.

Il suo stile leggendario la rese icona indimenticabile, tanto che sono ancora in molti a ricordarla, a partire dal film di Douglas McGratInfamous – Una pessima reputazione” (2006), in cui Slim Keith è interpretata da Hope Davis. La socialite ci ha lasciato la sua autobiografia, scritta nel 1990 e avente titolo emblematico: “Slim: Memorie di una vita ricca e imperfetta“. Nel libro l’icona di stile ripercorre con la consueta ironia alcuni aneddoti della sua vita, come la cartolina ricevuta da Clark Gable dall’Europa, nel 1947, dove il divo le scriveva solo “Sei meravigliosa“. Allorché il secondo marito Leland Hayward le chiese cosa mai avesse fatto così per essere così meravigliosa, lei rispose: “Riuscivo ad essere meravigliosa in modo meraviglioso“.

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Slim Keith col secondo marito, Leland Hayward
Slim Keith con Diana e Reed Vreeland al party organizzato da Kitty Miller per la vigilia di Capodanno, 1952
Slim Keith con Diana e Reed Vreeland al party organizzato da Kitty Miller per la vigilia di Capodanno, 1952
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Slim Keith mentre riceve il prestigioso Neiman Marcus Fashion Award, 1946
Lady Keith a Lyford Cay, aprile 1974. (Foto di Slim Aarons, Hulton Archive, Getty Images)
Lady Keith a Lyford Cay, Bahamas, aprile 1974 (Foto di Slim Aarons, Hulton Archive, Getty Images)
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La socialite ritratta da Horst P. Horst in uno dei suoi appartamenti

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Slim Keith morì il 6 aprile 1990


Presenza fissa della International Best Dressed List creata nel 1940 da Eleanor Lambert, nel 1946 Slim Keith fu insignita del prestigioso Neiman Marcus Fashion Award. Immortalata da fotografi del calibro di Man Ray, Horst P. Horst e Toni Frissell, ad appena 22 anni la bella Slim posa già come una diva consumata per Harper’s Bazaar, di cui ottiene anche la cover. Irriverente e moderna, il suo stile segna l’avvento di un nuovo concetto di eleganza che si discosta moltissimo dal passato: Slim Keith è assai lontana dall’ideale di perfezione tanto in voga in quegli anni. La sua personalità scoppiettante non ambisce di certo ad uniformarsi alla fredda perfezione dei celeberrimi cigni di Truman Capote. Altera e sofisticata, non è tuttavia glaciale come le bionde eroine dei film di Hitchcock. La sua vita è stata la parabola di una donna forse imperfetta ma certamente autentica e forse proprio in virtù di questo di un’eleganza genuina.

Nel suo guardaroba spiccano capi che potremmo definire sportswear ante litteram. La socialite era solita indossare abiti comodi e sporty-chic, come giacche da fantino e pantaloni, gonne in lana, dolcevita a collo alto e occhiali da sole che le conferivano un appeal da diva. Estimatrice del minimalismo chic, prediligeva linee essenziali e pulite anche per la sera. Ma la sua incontenibile personalità è il cardine della sua eleganza evergreen.


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C. Z. Guest: icona dell’American style

I riflessi che i raggi del sole disegnano su una piscina, capelli biondi mossi dal vento e dalla brezza del mare, poco distante, sorrisi bianchi illuminano labbra di un rosa appena accennato. È questo lo sfondo su cui si stagliava la vita di C. Z. Guest, socialite ed indimenticabile icona di stile. Emblema dell’American style, presenza fissa dell’International Best Dressed List, C. Z. Guest incarnò la quintessenza dello chic, col suo stile acqua e sapone, tra polo e bermuda. La bionda icona fu anche attrice, giornalista, autrice, guru del giardinaggio, provetta cavallerizza e fashion designer.

All’anagrafe Lucy Douglas Cochrane, la futura icona di eleganza nacque a Boston, in Massachusetts, il 19 febbraio del 1920, in una famiglia dell’alta borghesia. Il padre, Alexander Lynde Cochrane, è un banchiere. Il nome di C. Z. deriva dal soprannome Sissy: era questo il suono che il fratello emetteva quando la chiamava “sister”. C. Z. cresce come una splendida ragazza: impressionante è la somiglianza giovanile con Grace Kelly. Durante una fase d ribellione giovanile, durante i suoi vent’anni, la bionda C. Z. si trasferisce ad Hollywood, dove inizia una carriera come attrice. Successivamente si sposta in Messico, dove posa in déshabillé per Diego Rivera: il dipinto che la ritrae nuda venne poi appeso al bar dell’Hotel Reforma. Quando il futuro marito di C. Z., il giocatore di polo Winston Frederick Churchill Guest, venne a conoscenza del ritratto, esclamò: “Oh no, sei stata una cattiva ragazza, tesoro”.

Il matrimonio tra i due venne celebrato l’8 marzo 1947. Winston Frederick Churchill Guest era figlio di Frederick Guest, a sua volta figlio di Ivor Bertie Guest, primo Barone Wimborne, e di Lady Cornelia Henrietta Maria Spencer-Churchill (figlia di John Spencer-Churchill, settimo duca di Marlborough), e per discendenza materna era cugino primo di Sir Winston Churchill. Le nozze ebbero luogo nella casa del celebre scrittore Ernest Hemingway, all’Avana, Cuba. La coppia ebbe due figli, Alexander e Cornelia Guest.

C.Z. Guest in Mainbocher, foto di  Irving Penn
C.Z. Guest in un tailleur Mainbocher, foto di Irving Penn


C.Z. Guest ritratta da Cecil Beaton per Vogue, aprile 1953


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C. Z. Guest, all’anagrafe Lucy Douglas Cochrane, nacque a Boston il 19 febbraio del 1920


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C.Z.Guest in un abito Mainbocher, 1950


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C. Z. Guest fu antesignana dello stile preppy


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La socialite fu anche provetta cavallerizza, esperta di giardinaggio, attrice e fashion designer


La classe innata di C. Z Guest ottenne numerosi riconoscimenti: giovanissima aveva già posato per Harper’s Bazaar per l’obiettivo di Louise Dahl-Wolfe; successivamente posò per Irving Penn e Cecil Beaton, prima di ottenere la copertina di Town & Country, nel novembre 1957. Ritratta anche da Salvador Dalí, Kenneth Paul Block e Andy Warhol, la sua vita lussuosa, tra party a bordo piscina e residenze principesche, la rese musa indiscussa del fotografo Slim Aarons. Inoltre nel luglio del 1962 ottenne la cover di TIME magazine e fu protagonista di un articolo che ritraeva l’alta società americana. Nel 1959 fu inserita nella Hall of Fame dell’International Best Dressed List creata da Eleanor Lambert nel 1940.

La socialite amava vestire in modo essenziale e semplice: antesignana dello stile preppy, che incarnò brillantemente, tra polo, bermuda, tutine e prendisole, C. Z. Guest fu l’emblema di quell’eleganza tipicamente americana a cui oggi guardano designer come Ralph Lauren e Tommy Hilfiger. Adorata per i suoi look iconici, promosse strenuamente i designer americani, come il couturier Mainbocher, ma anche Oscar de la Renta, che fu suo intimo amico e che dichiarò più volte di essere stato ispirato da lei.

C.Z. Guest su Harper’s Bazaar, gennaio 1950. Abito Mainbocher, foto diLouise Dahl-Wolfe
C.Z. Guest su Harper’s Bazaar, gennaio 1950. Abito Mainbocher, foto diLouise Dahl-Wolfe


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La socialite a Villa Artemis, ritratta da Slim Aarons


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Un velo di abbronzatura, un fiocco tra i capelli e pochissimo make up: queste erano le regole di stile di C. Z. Guest


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Rosa pastello e linee pulite: lo stile preppy deve moltissimo a C. Z. Guest


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C.Z. Guest con Joanne Connelly a Palm Beach, 1955, foto di Slim Aarons


Una bellezza classica e naturale ed una predilezione per outfit sporty-chic, C. Z. Guest boicottava il make up, puntando ad un’eleganza casual. Potremmo definirlo effortlessy chic: poche ma preziose regole erano i pilastri su cui si basava la sua eleganza, come indossare una semplice t-shirt di colore bianco, illuminata da labbra colorate di rosa e da un filo di abbronzatura, o legare i biondissimi capelli con un fiocco di seta, o, ancora, indossare l’immancabile filo di perle bon ton, unico vezzo che si concedeva, nella sua proverbiale avversione per i gioielli. Il suo stile oh so preppy le aprì con facilità le porte dei più esclusivi circoli fashion, e il suo matrimonio la rese protagonista indiscussa del jet set internazionale. C. Z. Guest teneva molto al suo ruolo di socialite e si divertiva a posare per le cover e a rilasciare interviste. Lo stile per lei era qualcosa di innato, parte integrante della sua stessa essenza. D’altronde nella sua sfera di amicizie figuravano icone del calibro di Babe Paley, la duchessa di Windsor, Diana Vreeland, Barbara Hutton, Gloria Guinness, Joan Rivers e Diane von Fürstenberg. Inoltre fu uno dei cigni della corte di Truman Capote. Sopravvissuta al cancro, definì lo stile “questione di sopravvivenza, l’avere affrontato tante avversità senza darlo a vedere”.

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Il bianco era il colore prediletto dall’icona di stile


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C. Z. Guest a Villa Artemis, costruita sulla falsariga dei templi greci


C.Z. Guest standing in front of the pool at Villa Artemis, Palm Beach, 1955. (Photo by Michael Mundy, courtesy of Rizzoli).jpg
C.Z. Guest davanti la piscina di Villa Artemis, Palm Beach, 1955. Foto di Michael Mundy


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Foto di Slim Aarons, circa 1955


Premium Rates Apply. circa 1955:  Mrs F C Winston Guest (1920 - 2003) (aka Cee Zee Guest) with her dogs in front of the Grecian temple pool on her ocean-front estate, Villa Artemis, Palm Beach, Florida.  (Photo by Slim Aarons/Getty Images)
Villa Artemis, Palm Beach, Florida. Foto di Slim Aarons, 1955


Con la duchessa di Windsor
Con la duchessa di Windsor


In un libro a lei dedicato, dal titolo “C.Z. Guest, American Style Icon”, edito da Rizzoli, Susanna Salk traccia un ritratto intimo della trendsetter americana. C.Z. Guest amava stare all’aria aperta e il suo look acqua e sapone testimonia in primis le sue passioni, come andare a cavallo, giocare a tennis e occuparsi dei suoi amati giardini. La socialite divenne grande esperta di giardinaggio, scrisse rubriche su numerose riviste e fu autrice di ben tre testi sull’argomento, creando anche dei guanti che andarono a ruba, rendendola anche genio ante litteram delle strategie di marketing. Nonostante la vita lussuosa non era una snob, ma riteneva le buone maniere e la gentilezza vincenti in ogni campo. Come scrive William Norwich nell’introduzione al volume di Susanna Salk, C. Z. Guest fu “campionessa di meritocrazia”. Una vera e propria avversione nei confronti dei privilegi, la socialite riteneva doveroso cercare di elevarsi e primeggiare in qualcosa, fosse lo sport o altro, indipendentemente dall’appartenenza all’élite. A differenza della maggior parte delle donne del suo rango, C. Z. Guest non temeva di avventurarsi fuori dai ristretti confini tracciati dalla scala sociale: ce la descrivono sempre pronta ad abbracciare il nuovo, l’ignoto, il suo indomito spirito ribelle le faceva amare l’avventura e l’esotico, facendole preferire gli stivali da cavallerizza al filo di perle. La sua ricchezza non pesava su chi le stava accanto: il suo sorriso faceva sentire chiunque a proprio agio. Perché, si sa, la vera eleganza non ha bisogno di ostentare alcunché.

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C. Z. Guest col marito Winston Frederick Churchill Guest in una foto di Slim Aarons


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C. Z. Guest nella sua residenza di Templeton: la socialite fu provetta cavallerizza


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Uno scorcio della residenza di C. Z. Guest a Templeton


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Ancora interiors della tenuta di Templeton


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Il celebre ritratto di C. Z. Guest eseguito da Salvador Dalí


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C.Z. Guest con la figlia Cornelia nel 1986. Foto di Helmut Newton


Uno scatto del 1959
Uno scatto del 1959


La sua grande passione per il giardinaggio iniziò un po’ per caso: dopo una rovinosa caduta da cavallo, nel 1976, le venne chiesto dal New York Post di scrivere una rubrica sul tema. Nacque così il materiale che raccolse nel suo primo libro, First Garden, che fu illustrato dal suo amico Cecil Beaton.

D’inverno C. Z. Guest viveva nella sua residenza a Palm Beach, la celebre Villa Artemis, mentre nei mesi caldi si divideva tra il suo appartamento di Manhattan e Templeton, la sua proprietà nel Connecticut. Come ella stessa dichiarò nel corso di un’intervista rilasciata a Vogue, fu proprio a Templeton che la socialite trovò la propria dimensione più autentica, dedicandosi alla caccia e prendendosi cura dei suoi giardini e dei suoi cani. Tantissimi -si stima 10 o 15- i suoi fidati amici a quattro zampe furono immortalati anche nei quadri delle sue residenze e talvolta comparivano nelle foto in braccio alla bionda padrona. L’interior design di Templeton venne curato da Stephane Boudin e Maisin Janson con mobilio e arredi di grande valore artistico -come il celebre ritratto realizzato da Salvador Dalí– che la resero più simile ad un museo. Villa Artemis, la residenza di Long Island, comprendeva invece 28 camere: la piscina in marmo bianco, set iconico delle indimenticabili foto di Slim Aarons, e l’architettura che ricalcava fedelmente i templi greci resero la villa con vista sull’oceano emblema della bella vita.

C. Z. Guest fu anche fashion designer: la sua prima linea comprendeva prevalentemente maglioni di cashmere dalle linee essenziali. La collezione fu presentata nel 1985, durante una sfilata del celebre Adolfo Domínguez. L’anno seguente, nel 1986, la socialite mise a punto una collezione di sportswear in limited edition. Nel 1990 brevettò un repellente contro gli insetti e altro materiale per il giardinaggio, ottenendo anche lì grande successo.

C.Z.Guest in una foto di Peter Stackpole, ottobre 1947
C.Z.Guest in una foto di Peter Stackpole, ottobre 1947


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C. Z. Guest fu socialite di cui si ricorda la gentilezza d’animo, come testimoniato dai suoi amici storici, come Diane von Furstenberg


C.Z. Guest e Peter Lawford, 1961
C.Z. Guest e Peter Lawford, 1961


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C.Z.Guest sulla copertina di Town & Country, Novembre 1957


L’icona di stile morì l’8 novembre del 2003 a New York, all’età di 83 anni, a causa di difficoltà respiratorie. Truman Capote, l’amico di una vita, tracciò un ritratto di C. Z. Guest che ce la restituisce nella sua struggente spontaneità: “I suoi capelli, divisi al centro e più chiari del Dom Pérignon, erano più scuri di una gradazione rispetto all’abito che indossava, un Mainbocher bianco in crêpe de Chine. Nessun gioiello, pochissimo trucco; solo la perfezione del bianco su bianco… Chi l’avrebbe mai detto che dentro questa signora che sapeva di fresca vaniglia si celava un autentico maschiaccio?”

Diane von Fürstenberg ne ricordò la semplicità, la gentilezza e la generosità. “Nulla in lei appariva falso o costruito”– disse la stilista. “Era una donna autentica, di una naturale bellezza e dalla classe innata”. La classe di una vera bellezza americana.

(Foto cover Slim Aarons)


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Lo stile di Caroline Vreeland

Stando alla genetica lo stile dovrebbe scorrerle nelle vene: Caroline Vreeland, socialite, cantante ed icona di stile, è la nipote della mitica Diana Vreeland. La celebre fashion editor non è stata solo una figura importante del fashion biz, ma il nome che, dagli anni Quaranta ai Sessanta, con la sua impronta ironica, irriverente e personalissima ha rivoluzionato il corso della moda mondiale, fungendo da spartiacque tra l’antico e il moderno.

Divenuta famosa per la sua rubrica su Harper’s Bazaar intitolata “Why don’t you…?”, dalla quale dispensava consigli deliziosamente sui generis, fino al suo ruolo di direttrice di Vogue America, chi ha avuto come nonna un personaggio del calibro di Diana Vreeland non può non sentire tutto il peso che tale eredità inevitabilmente comporta.

Guardando Caroline Vreeland, viso angelico e fisico prorompente, la prima parola che viene in mente è personalità. Perché la bionda cantautrice e modella, balzata alle cronache degli ultimi anni anche per il suo stile, di personalità ne ha da vendere. E se essere figli, o, in questo caso, “nipoti di”, può essere un’arma a doppio taglio, nel caso della giovane Vreeland proprio il carattere e la grinta hanno fatto la differenza.

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Curve da capogiro e grinta da vendere, la bombshell americana si contraddistingue per uno stile moderno e all’avanguardia, che attinge spesso e volentieri dal guardaroba maschile. Cantante apprezzata, prima ancora che icona fashion, Caroline Vreeland predilige il total black e un mood aggressivo. Come lei stessa ha dichiarato più volte, da adolescente ha avvertito la pressione derivatale dal cognome ma anche dal suo fisico esplosivo: grande sensualità, il décolleté generoso e la notevole fotogenia le hanno aperto le porte della moda, con un contratto come modella stipulato con la celebre Next Agency.

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Caroline lavora anche come attrice e talent scout e definisce sua nonna la donna più chic mai esistita. Presenza fissa nei front-row delle settimane della moda, apprezzata anche da Carine Roitfeld, Caroline Vreeland nel 2013 è stata protagonista di American Idol. Spontanea e curiosa, ha dichiarato di sentirsi a proprio agio anche struccata. Perché la personalità è glamour.


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Gloria Vanderbilt: il lusso e lo charme

Lusso, eccessi, charme: quando si sente il nome di Gloria Vanderbilt queste sono alcune delle immagini che vengono subito alla mente. Ereditiera di un’immensa fortuna, socialite tra le più brillanti del suo tempo, musa, icona di stile, artista e, ancora, modella e designer, Gloria Vanderbilt ha incarnato la quintessenza dello stile e della bellezza, rappresentando per oltre mezzo secolo uno dei volti più conosciuti del jet set internazionale.

Habitué del mitico Studio 54, modella ritratta da fotografi del calibro di Richard Avedon, Gordon Parks, Louise Dahl-Wolfe, Horst P. Horst e Francesco Scavullo, negli anni Settanta, dopo una vita consacrata all’arte e alla bellezza, declinata in ogni sua forma, divenne fashion designer. Il lancio della sua linea vedeva il cigno, simbolo di candore, come logo. Occhiali, profumi e una linea di abbigliamento di cui ancora ricordiamo i celebri jeans: il nome di Gloria Vanderbilt è stato sinonimo di stile per oltre trent’anni.

Gloria Laura Vanderbilt è nata a New York il 20 febbraio 1924 da Reginald Claypoole Vanderbilt e dalla sua seconda moglie Gloria Morgan. Bellissima già da neonata, fu battezzata come cattolica. Alla morte del padre, avvenuta quando la piccola ha appena 18 mesi, Gloria eredita un patrimonio immenso, stimato in circa 5 milioni di dollari.

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Gloria Vanderbilt in Bill Blass, foto di Francesco Scavullo per Town & Country, 1969


Gloria Vanderbilt tra i modelli di jeans disegnati da lei. Foto di Evelyn Floret, 1979


Uno scatto del 1958
Uno scatto del 1958


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Gloria Vanderbilt nel suo appartamento a South Penthouse, 10 Gracie Square. Foto di Richard Avedon, New York, 1956


Durante la sua infanzia frequenti sono i viaggi da e per Parigi, con la madre e l’amatissima governante Emma Sullivan Kieslich. Un ruolo importante nell’infanzia della piccola fu rivestito dalla sorella gemella della madre, Thelma, che fu amante del Principe di Galles. La madre di Gloria ha le mani bucate, e ciò rappresenta un pericolo per la gestione dell’immenso patrimonio di cui la piccola Gloria non può beneficiare fino alla maggiore età: è per questo che interviene Gertrude Vanderbilt Whitney, zia di Gloria dal ramo paterno. Appassionata di scultura e filantropa, Whitney chiese la custodia della nipote, scatenando un processo che all’epoca destò notevole scalpore. La giovane Gloria si trovò così, ancora bambina, a dover testimoniare davanti ad una giuria, nella posizione forse più traumatica per una bambina: quella di dover scegliere tra la madre e la zia. Alla fine fu quest’ultima ad avere la meglio: la piccola Gloria crebbe nel lusso della residenza di Gertrude, divisa tra Long Island e New York. La storia del processo divenne anche il tema della miniserie trasmessa nel 1982 dalla BBC “Little Gloria…Happy at Last”, che ottenne ben sei Emmy e un Golden Globe.

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Una foto del 1942


Gloria Vanderbilt, New York, December 1953. Photographed by Richard Avedon.
Gloria Vanderbilt, New York, Dicembre 1953. Foto di Richard Avedon.


Gloria Vanderbilt con i suoi figli Carter e Anderson Cooper


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Wyatt Emory Cooper e Gloria Vanderbilt con i figli Anderson e Carter. Foto di Jack Robinson per Vogue, New York, giugno 1972


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Gloria Vanderbilt nel suo studio, foto di Horst P. Horst, 1975


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Gloria Vanderbilt ritratta da Horst P. Horst per Vogue, New York, 1975


Gloria Vanderbilt divenne una fanciulla bellissima: occhi a mandorla e labbra carnose su un viso perfetto la resero adatta a posare come modella per numerosi magazine. Apparve su Vogue, Town & Country, Life Magazine e Harper’s Bazaar. Brillante negli studi, frequentò le migliori scuole, fino alla Art Students League di New York, dove sviluppò un notevole talento artistico. Al compimento della maggiore età, quando poté finalmente impadronirsi dell’immenso patrimonio ereditato dal padre, Gloria tagliò completamente fuori la madre, pur non smettendo mai di supportarla economicamente, facendola vivere in una lussuosa residenza a Beverly Hills, dove la donna morì nel 1965.

La bella Gloria studiò recitazione alla Neighborhood Playhouse con Sanford Meisner come maestro. Dotata di un immenso talento artistico, presto si impose come pittrice, dando anche numerose mostre. I suoi dipinti furono acquistati, a partire dal 1968, da Hallmark Cards e da Bloomcraft e Gloria iniziò a dipingere con successo ceramiche e oggetti per la casa. Simbolo del lifestyle e del lusso coniugato allo stile, il suo appartamento di New York è stato a lungo rappresentato dai principali magazine di interior design: piastrelle patchwork e un’eleganza che si traduce in maestosa opulenza, la lussuosa residenza è stata location di alcuni degli scatti più celebri che ritraggono la socialite.

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Gloria Vanderbilt Cooper in una foto di Francesco Scavullo, anni Sessanta


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Gloria Vanderbilt intenta ad abbronzarsi, Junction City, Kansas, 1941


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Gloria Vanderbilt in Fortuny Delphos e gioielli di Rita Delisi. Foto di Richard Avedon per Vogue Italia, 1970


Gloria Vanderbilt modeling her Fortuny dress and Rita Delisi necklance. Photo by Richard Avedon. Vogue, 1969.
Gloria Vanderbilt posa nel suo abito Fortuny dress con una collana di Rita Delisi. Foto di Richard Avedon. Vogue, 1969


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Gloria Vanderbilt in un abito Fortuny Delphos. Foto di Richard Avedon, 1970


La sua carriera nella moda è iniziata negli anni Settanta, dapprima con il marchio Glentex, per cui disegnò una linea di sciarpe. Nel 1976 il designer indiano Mohan Murjani le propose di lanciare una linea di jeans usando il suo nome come logo. Più stretti di quelli che si usavano all’epoca, i jeans firmati Gloria Vanderbilt furono un successo senza precedenti: seguiti da una linea di abbigliamento e profumi, ben presto il logo col nome della socialite divenne sinonimo di lusso e qualità, che oltrepassò i limiti della moda fino a comprendere liquori e accessori di vario tipo. I diritti sui jeans furono poi acquistati nel 2002 dal gruppo Jones Apparel. Dal 1982 al 2002 L’Oréal lanciò otto fragranze col nome di Gloria Vanderbilt. Nel 1978 la Vanderbilt lanciò la propria compagnia, GV Ltd., con sede a New York. Nel corso degli anni Ottanta accusò i suoi partner e il suo avvocato di frode e, dopo un lungo processo, vinse la causa. I suoi jeans attillati rappresentano ancora oggi un autentico must have: tanti sono i siti di moda vintage che propongono modelli ormai rari e preziosi.

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L’interno dell’appartamento della Vanderbilt


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La camera arredata in stampa patchwork nell’appartamento della socialite


Gloria Vanderbilt's apartment - portrait of her mother
Il ritratto della madre di Gloria Vanderbilt


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Le celebri decorazioni nell’appartamento di New York


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Gloria Vanderbilt a 17 anni, foto di Horst P. Horst, New York, 1941


Gloria Vanderbilt quindicenne ritratta da Louise Dahl-Wolfe per Harper's Bazaar
Gloria Vanderbilt quindicenne ritratta da Louise Dahl-Wolfe per Harper’s Bazaar


Gloria Vanderbilt ritratta da Francesco Scavullo, 1968


Autrice di quattro memoriali e di tre romanzi, contributor del New York Times, di Vanity Fair ed Elle, nel 2001 la Vanderbilt ha inaugurato la sua mostra d’arte dal titolo “Dream Boxes” presso il Southern Vermont Arts Center di Manchester. Un successo di pubblico e critica, la mostra è stata seguita nel 2007 da un’altra esposizione. Inoltre Gloria Vanderbilt ha fatto molto parlare di sé per il suo ultimo romanzo, dal titolo “Ossessione: un racconto erotico”. Recensito dal New York Times come il “libro più piccante mai scritto da una ottuagenaria”, trattasi di fatto di un libro a luci rosse, i cui protagonisti fanno ampio uso di fruste, corde di seta, insieme ad ortaggi vari, usati in metodi assolutamente non convenzionali.

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Gloria Vanderbilt nella cucina del suo appartamento, foto di Horst P. Horst per Vogue, New York, 1975


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Gloria Vanderbilt fotografata da Gordon Parks per Life Magazine (1954)


Gloria Vanderbilt. foto di John Rawlings, 1945
Gloria Vanderbilt. foto di John Rawlings, 1945


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Gloria Vanderbilt in un abito Mainbocher, foto di Richard Avedon per Harper’s Bazaar, 1955


Gloria Vanderbilt ritratta da Gordon Parks, 1952


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Uno scatto risalente agli anni Quaranta


La bella ereditiera non smette di sorprenderci. D’altronde, come ogni icona che si rispetti, anche la Vanderbilt non si è fatta mancare una vita sentimentale alquanto tumultuosa: appena diciassettenne sbarcò ad Hollywood, dove convolò a nozze con l’agente Pat DiCicco, nel 1941. Ma il matrimonio lampo fu seguito, appena quattro anni dopo, da un divorzio, in cui l’ereditiera dichiarò di essere stata vittima di violenze e abusi da parte del marito. Nel 1945 Gloria sposò il conduttore Leopold Stokowski. Nel 1956 il terzo matrimonio, con il regista Sidney Lumet. Infine, il quarto ed ultimo matrimonio, con l’autore Wyatt Emory Cooper, celebrato nel dicembre 1963. La coppia ebbe due figli, Carter Vanderbilt Cooper, morto suicida nel 1988, dopo essersi lanciato dal quattordicesimo piano dell’appartamento di famiglia, e il giornalista della CNN Anderson Hays Cooper. Wyatt Cooper, forse l’unico amore della sua vita, morì nel 1978.

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Gloria Vanderbilt ritratta da Horst P. Horst. ca. 1961


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Gloria Vanderbilt ritratta da Francesco Scavullo, anni Cinquanta


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Gloria Vanderbilt ritratta da Horst P. Horst, 1970, abito patchwork di Adolfo.


Gloria Vanderbilt, foto di Richard Avedon 1955
Gloria Vanderbilt, foto di Richard Avedon 1955


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Gloria Vanderbilt, foto di Horst P. Horst, 1966


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Bellissima ed elegante, Gloria Vanderbilt è un’icona di stile, una designer di successo ed un’artista di fama mondiale


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Gloria Vanderbilt in uno scatto risalente agli anni Cinquanta


L’ereditiera è nata a New York il 20 febbraio 1924


Gloria Vanderbilt mantenne sempre una relazione fatta di stima ed affetto reciproco col fotografo Gordon Parks, fino alla morte di quest’ultimo, avvenuta nel 2006. Inoltre ebbe relazioni con Marlon Brando, Frank Sinatra, Howard Hughes. Truman Capote rivelò di essersi ispirato a lei per il celebre personaggio di Holly Golightly, protagonista dell’indimenticabile romanzo Colazione da Tiffany. Grande amica di Diane von Fürstenberg e della commediografa Kathy Griffin, al compimento del suo novantesimo compleanno, il 20 febbraio del 2014, le collezioni dei suoi dipinti sono state esposte nella galleria di 1stdibs presso il New York Design Center. Oggi la celebre icona appare completamente diversa, a causa di una serie di interventi di chirurgia estetica. Il suo nome resta però legato ad un periodo storico forse ineguagliabile, quanto a stile ed eleganza. Per nostalgici doc.


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Pauline de Rothschild: l’incarnazione dello stile

Quando si parla di moda e stile, la si venera come una dea. La baronessa Pauline de Rothschild è stata una delle più longeve ed influenti icone di eleganza. Uno stile a trecentosessanta gradi, che comprendeva diversi settori dell’arte e della cultura, dal momento che la celebre icona è stata anche scrittrice, fashion designer e traduttrice di diverse opere, dalla poesia elisabettiana ai testi teatrali di Cristopher Fry.

Pauline Fairfax Potter Leser nacque il 31 dicembre del 1908 nel quartiere parigino di Passy da due americani espatriati, originari di Baltimora e successivamente stabilitisi a Parigi. La madre di Pauline è Gwendolen Playford Cary, una pronipote di Thomas Jefferson nonché lontana cugina dei Lord britannici Falkland e Cary, mentre suo padre è Francis Hunter Potter, un playboy nipote di Alonzo Potter, vescovo della Chiesa Episcopale di Pennsylvania. Nipote di Francis Scott Key e diretta discendente di Pocahontas, la celebre principessa indiana protagonista di svariate leggende e film, Pauline Potter era esponente di una delle famiglie più antiche degli Stati Americani del Sud, che vantavano una lunga discendenza a partire dal XVII secolo.

Il padre abbandona lei e la madre, e quest’ultima diviene in breve tempo preda dell’alcolismo. La piccola Pauline viene quindi spedita da alcuni cugini a Baltimora: elegante ed ambiziosa, la ragazza è un pesce fuor d’acqua in quell’ambiente. “I want to have a more interesting life”, “voglio avere una vita più interessante”, dichiara ancora giovanissima. Pauline si colora le unghie, compra mobili in stile bohémien e coltiva una propria eleganza, assolutamente inadeguata a quel contesto provinciale. Bella ma non in modo convenzionale, una pelle imperfetta, una statura smisurata per l’epoca e lineamenti che sfuggivano ai canoni estetici classici, la giovane ha una voce che incanta e una grande cultura. La sua ambizione è quella di sposare un uomo provvisto di titolo nobiliare, ed è disposta a grandi sacrifici pur di ottenere il suo scopo.

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Pauline de Rothschild è stata socialite, icona di stile e fashion designer di successo


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All’anagrafe Pauline Fairfax Potter Leser, la futura baronessa Rothschild nacque nel quartiere parigino di Passy da due genitori di origine americana


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La baronessa ritratta da Horst P. Horst nella celebre camera da letto del suo appartamento parigino


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Gli splendidi interni dell’appartamento parigino arredato dalla baronessa


Ancora giovanissima, paga lo scotto di uscire dall’angusta realtà di Baltimora sposando Fulton Leser, un giovane di buona famiglia: ma il matrimonio naufraga in fretta a causa delle scarse doti amatorie del giovane. Enigmatica come Greta Garbo, la sua attrice preferita, grandissimi occhi su un viso severo e capelli biondi, chi pensa che Pauline debba tutto al suo matrimonio con il barone Philippe de Rothschild, celebratosi nel 1954, ha molto da studiare: l’icona di stile era già un’eminente firma del Baltimore, svolgeva già brillantemente la professione di personal shopper ante litteram a New York, dirigeva negozi a Palma de Mallorca, lavorava negli stores di Elsa Schiaparelli a Londra e Parigi ed era una fashion designer di successo, capo del dipartimento ordini presso l’impero di Hattie Carnegie, nel cuore di Manhattan. Quest’ultima, al secolo Henrietta Kanengeiser, riconobbe immediatamente il talento della giovane Pauline, che lavorò lì dal 1945 al 1953 e si stima che fu una delle donne più pagate dell’epoca, negli Stati Uniti. Una self-made woman in piena regola, insomma, per la quale il matrimonio con un uomo del calibro di Rothschild era forse l’unica unione possibile, in un connubio di eleganza e cultura.

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Insuperato capolavoro di stile che rispecchia in pieno il gusto di Pauline de Rothschild


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Una foto dei baroni


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Il matrimonio tra il barone de Rothschild e Pauline Potter fu celebrato nel 1954


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Bellezza anticonvenzionale, Pauline de Rothschild con la treccia da un lato, l’acconciatura che la rese celebre


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Pauline ritratta da Shaun Thompson


Socialite amata e venerata, fu ritratta, tra gli altri, da Cecil Beaton e Horst P. Horst. Il suo stile fu sdoganato ufficialmente a seguito delle sue nozze, quando fu immortalata da Vogue, Harper’s Bazaar, Towm & Country e Women’s Wear Daily. Vero e proprio idolo della moda, la sua figura divenne celebre e fu accostata a nomi come Jacqueline Kennedy Onassis, Diana Vreeland, Coco Chanel e la Duchessa di Windsor.

Ossessionata dai capi Balenciaga, Courrèges e Yves Saint Laurent, Pauline era anche una fine intellettuale, nonostante il tempo speso nei camerini a provare i capi più lussuosi delle maison dell’epoca. Il suo stile tuttavia si esprime anche nella sua incredibile capacità di arredare gli interni delle sue sontuose abitazioni: celebre è diventata la camera da letto del suo appartamento di Parigi, piena di uccelli variopinti stilizzati alle pareti. Le sue sale da pranzo erano decorate con letti di muschio, sul modello dei dipinti giapponesi del Diciassettesimo secolo. Il suo appartamento londinese era pieno di tappeti di taffettà, e la baronessa era solita svegliarsi ogni mattina in mezza dozzina di camelie in fiore, su ispirazione dei palazzi di San Pietroburgo immersi nel paesaggio invernale. Porte multicolore direttamente importate dalla Spagna, letti di rose e giochi cromatici blu e oro che monopolizzavano l’attenzione. La sua lontana cugina Diana Vreeland mantenne intatte quelle pareti nel salotto dell’appartamento newyorchese dei Rothschild.

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Pauline de Rothschild in uno scatto di Horst P. Horst, Vogue, 1 marzo 1950


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Pauline de Rothschild è stata anche traduttrice della poesia elisabettiana e dei testi teatrali di Cristopher Fry


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La baronessa in uno scatto che ne immortala l’intramontabile eleganza


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Pauline de Rothschild in uno scatto di Cecil Beaton, anni Cinquanta


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L’icona di stile prediligeva capi Balenciaga e Yves Saint Laurent


“L’ultima esteta”, la definì il decoratore Russell Bush, capace di organizzare la sua sfera privata in modo artistico e sublime. Incarnazione dello stile, Pauline de Rothschild aveva un’attenzione certosina per i dettagli. Certo, il tempo e il denaro per soddisfare le proprie fantasie, anche le più ardite, non mancavano di certo a casa Rothschild. Ma l’estro non è qualcosa che si può acquistare col denaro, d’altronde. E se è vero che l’eleganza è innata, la baronessa scrittrice dalla lunga cosa di cavallo intrecciata su una spalla, e dall’amore per le stampe indiane e l’interior design, di eleganza ne aveva da vendere. Scomparsa nel 1976, la sua eredità stilistica è ancora oggi mirabile esempio di un’intramontabile eleganza e il suo ricordo è vivo più che mai.


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