I suoni con Maninni

INTERVISTA A MANINNI

Talent Maninni
Agency Astarte Agency
Photography Emanuele Di Mare
Styling Diletta Pecchia
Grooming Martina Belletti

I ritornelli aperti, quelli da cantare negli stadi. Maninni ci racconta la freschezza della sua classe 1997, con una consapevolezza di chi il mestiere lo conosce, e annulla così ogni stereotipo di chi vorrebbe incasellarlo nel nuovo prodotto discografico del momento studiato a tavolino. Non lo è, né in quello che dice, né in quello che propone. La sicurezza se l’è conquistata nei palchi calcati con le rock band in giovane età, e in questa epoca di social risulta anticonformista e insolito. Interessato agli obiettivi raggiungibili, non segue le mode e nel suo fa tendenza con il plus di chi non se ne rende conto.

Nel sentirlo raccontarsi traspare pienamente la volontà di sentirsi completamente artefice del proprio destino, ed è perfettamente dentro tutto ciò che fa, dalla produzione in studio, al palco di Sanremo. Imprenditore romantico di se stesso, sogna ma con i piedi saldi sulle mattonelle della casa dove scrive, a Bari, con uno sguardo fisso nel futuro che vuole scriversi da autore della storia, circondato da fidati collaboratori che valorizza con l’umiltà giusta di chi gli obiettivi li raggiunge.

Vi portiamo dietro le quinte di SNOB, e più che un’intervista, sembra di respirare l’atmosfera da soundcheck, fra cavi da sciogliere, e suoni ancora da fare.

Nei tuoi testi si parla spesso di porte, di pareti, di appartamenti. Si respira la capacità di creare ritornelli aperti (da stadio) e cantabili anche in una area circoscritta. Come ti senti in questo periodo della tua vita: sei più in un loft dopo Sanremo, o ti piace ancora l’idea del monolocale?

<< Gli stadi? Ci spero, me lo auguro. Per unire tanti cuori dentro uno stadio, significa che qualcosa di importante è successo davvero. Passo molto tempo in casa, mi piace essere legato alle mie abitudini, ai piccoli gesti che nella vita fanno la differenza. Sono certamente ancora quello di “Monolocale”, tanto che ho deciso di rimanere a Bari e non trasferirmi in una città che magari poteva darmi più opportunità. Voglio restare dove tutto è partito, mi aiuta a ricordare quello che sono, quello che sono stato, e quello che vorrei essere. >>

I tuoi pezzi sembrano scritti chitarra e voce, e poi arrangiati in studio. In alcuni pezzi infatti sembra che l’arrangiamento lasci spazio a dei momenti proprio crudi chitarra e voce, come percepisco possa essere stato al momento in cui li hai scritti. Ci racconti come avviene la scelta degli arrangiamenti e se ti piace dire la tua anche su questo aspetto della composizione?

<< Nasco come musicista, chitarrista nello specifico, anche se mi sono poi avvicinato anche al piano, alla batteria e al basso. I miei pezzi nascono chitarra e voce, o piano e voce. Mi hanno detto tempo fa “Potresti iniziare a scrivere anche su dei beat”, ma preferisco creare da uno strumento. Nel disco ho infatti inserito la versione acustica di “Spettacolare”, mi piacerebbe che chi ascolta quel brano si potesse sentire all’interno di una stanza insieme a me, come se fossimo in studio. Quando scrivo inizio così, chitarra o piano e voce, e poi mando una pre-produzione a Enrico Bruno e Marco Paganelli, i miei produttori. Mi sento fortunato perché danno fiducia a quello che faccio, ho trovato davvero la mia dimensione con loro. Sono maniacale dal punto di vista del suono, e sentirmi circondato da persone che mi lasciano dire la mia è rassicurante; in passato mi sono trovato a dover accettare dei compromessi su quello che proponevo, ma si perdeva l’essenza. Oggi ho trovato la mia dimensione. >>

Rispetto alla proposta musicale attuale si può dire che, nella sua immediatezza, sia proprio la tua l’offerta musicale più anticonformista: non utilizzi auto-tune, e proponi un pop rock con qualche sequenza. Hai mai avuto paura di non essere “di moda”?

<< Ma sai, ho un concetto molto chiaro di quello che è la moda. Seguire le mode non ti porta ad essere di moda; mentre lo fai qualcuno le ste già cambiando. Non ho reference chiare, non voglio somigliare a nessuno. Ammetto però che, quando sei sotto i riflettori, la paura di non essere alla moda c’è. A Sanremo ho sentito dire di essere “OLD”: a dire il vero ho apprezzato questa caratteristica, mi piace essere diverso dagli altri. La moda è ciclica, certe cose poi ritornano, e se vuoi essere autentico devi anche prenderti il rischio di non essere a passo coi tempi. Di recente ho ascoltato l’ultima di Tananai, e ho apprezzato che abbia scelto un arrangiamento con tutti gli strumenti: sembra paradossale, ma pare sia percepita come una cosa “moderna”. >>

Quanto realmente di tuo può esserci in questo momento, sotto contratto con una major? Abbiamo tanto sentito parlare di scelte vincolate, di libertà espressiva ridotta una volta nel sistema. Quanto del Maninni di 5 anni fa c’è oggi? Riesci appunto a sentirti autentico?

<< Ai discografici che dettano le regole vorrei ricordare che la musica è di chi la fa e poi di chi la ascolta, non di chi la sponsorizza. Se esistono le radio, le labels, è perché c’è un artista che quelle cose le ha create. Da questo punto di vista mi sento fortunato perché il team con cui lavoro crede in quello che faccio, sono libero. Non potrei mai fare questo mestiere senza sentirmi libero: fare musica è l’unica cosa che mi appassiona davvero nella vita, e voglio sentirmi così. >>

Total look Noskra
Shoes Dr Martens
Jewelry Aneis

Il pop rock che ti caratterizza ha lasciato spazio ad una ballad a Sanremo quest’anno (anche questa scelta anacronistica, e rispettosa della tradizione Sanremese). Molti altri concorrenti hanno puntato su brani veloci, quasi scritti apposta per tik-tok. Oggi, con il senno di poi, pensi di aver portato il brano giusto?

<< Alle pagelle dei giornalisti questa cosa delle poche ballad venne detta. Sapevo con cosa mi stavo scontrando, ma se avessi portato un pezzo più “social” non sarei soddisfatto di quello che ho fatto a Sanremo. Ho portato me stesso al 100%, non ho avuto paura del confronto. Le canzoni con ritmi più incalzanti magari performano di più sugli streaming, ma la musica non si misura con i dischi di platino. La musica ti fa rivivere quel momento, magari dopo anni che non ascolti quel pezzo. Ha bisogno di tempo. Tempo che non abbiamo più, con questi ritornelli da 15 secondi da usare da Tik Tok, che magari oggi vanno e domani sono superati. >>

Insomma, punti sulle canzoni che restano.

<<Sì. Il tempo è fondamentale: serve a farci capire delle cose, a farci affezionare. Comunque Maninni non è solo ballad, ma anche pezzi movimentati. Sono cresciuto con la musica rock: Vasco ha scritto “Sally”, ma anche “Rewind”>>.

Nella tua storia c’è anche un talent, Amici, qualche anno fa. Oggi, dopo un po’ di esperienza in più ed una bella visibilità nazionale, consiglieresti ad un ragazzo giovane di prendere parte ad un talent ?

<< Ma piuttosto suggerirei a quel ragazzo di chiedersi se è davvero pronto per un talent >>. 

Sentirsi pronti è una percezione soggettiva, e anche un po’ falsata quando si è giovani. Come ci si sente pronti? 

<< Se sei pronto lo senti. Il talent è un contenitore incredibile, ma è il contenuto quello che conta. Ti espone ad un pubblico vastissimo e comporta dei rischi anche psicologici. Se sei troppo giovane, c’è il rischio di schiantarsi contro qualcosa. Se sei pronto invece il talent ti può dare qualcosa. Io ho fatto un tentativo, rimpiango solo di aver avuto 18 anni, ero troppo giovane. Forse avrei aspettato un paio di anni. Prima di arrivare a quello step lì devi aver mangiato tanta merda. Se non arrivano le delusioni non impari nulla. >>

Il tuo nome viene spesso associato alla terminologia “indie rock” online. Come definiresti la musica indie oggi?

<<Indie per me non dipende dall’etichetta discografica ma significa essere indipendenti, non seguire schemi precisi per scrivere canzoni, non imporsi determinati tipi di sound, sei indipendente da quello che c’è fuori. Io sono un cantautore POP. >>

Quindi il termine POP non ti spaventa. 

<< No, anche i Maneskin per me sono POP. La musica POP è popolare, i Pink Floyd sono POP. Se Gilmour avesse cantato con l’autotune avrebbe spaccato ugualmente. >>

Raccontaci come è accaduta la tua partecipazione a Sanremo. Siamo curiosi di capire i retroscena, e se ti va dacci qualche dietro le quinte. Siamo SNOB, e anche un po’ curiosi.

<<Serata cover del venerdì, abbiamo bucato col van. Siamo rimasti fermi per mezz’ora, interviste spostate, un delirio. Col van fermo per strada però, provavo a scrivere il nome della mia canzone sui vetri, mentre pioveva, al contrario, per farla leggere da fuori. >>

Insomma, marketing anche nella cattiva sorte!

<< Non sono bravo col marketing in realtà, mi dico sempre che dovrei essere più social. >> 

Sei un artista Pugliese di origine, quindi non posso non pensare a tutto quel filone più legato alla scrittura in dialetto. Nei tuoi brani sento più una tendenza milanese, anche nella pronuncia vocale. Un tentativo in pugliese?

<< I Negramaro non hanno avuto bisogno di cantare in leccese, ma tutti sanno che sono Salentini. Non ci ho mai pensato, anche se parlo in dialetto a volte con gli amici >>.  

Hai un piano B nella vita? Qual è?

<< La musica può coprire tutti i piani, A,B,C,D. Mi piace molto stare anche dietro le quinte. Ho prodotto anche altri artisti, se non dovessi essere protagonista potrei produrre altri. Male che vada, andrò a suonare ai matrimoni. >>




Festival di Sanremo, la parola agli stylist

Mai come in queste serate, la televisione ha la funzione del caminetto, tutti intorno ben disposti a riscaldarsi“,

Carlo Giuffrè in merito al Festival di Sanremo.

E lo è tutt’oggi un evento che unifica l’Italia, pronta a votare la canzone migliore, a giudicare i cachet da capogiro, a riconoscersi in un brano, ma soprattutto a valutare il look che si potrà copiare o fucilare fino al prossimo Sanremo.

Una corsa allo stylist più bravo, più inserito nel contesto moda, un palco a metà dove il cantautore si affida a quel ruolo oggi più che mai sotto i riflettori, lo stylist.

Li abbiamo intervistati per comprendere meglio cosa c’è dietro le loro scelte d’immagine.



SUSANNA AUSONI

Stylist di Annalisa

Questo è il Festival della canzone italiana o il Festival dello Stile?

E’ una domanda che rimando a te. Il disequilibrio tra musica e stile è stato creato dai giornalisti.
Il Festival dagli anni 2000, quelli dei miei inizi, ad oggi, è certamente cambiato, anche se è sempre stato un grande evento attenzionato, dove i contenuti sono sempre più importanti.
Oggi i giornali fanno le pagelle, è una moda che copiano tutti, spesso senza conoscere il lavoro che sta dietro al personaggio, voti dati a casaccio in maniera poco obiettiva. I social fanno il resto, un altro luogo di democraticizzazione del giudizio senza conoscenza. Sembra di vivere gli ’80, l’epoca dei paninari che compravano le Timberland omologandosi per sentirsi parte di un gruppo.

C’è una corsa al brand lusso acchiappalike?

Purtroppo sono in tanti a trincerarsi dietro il marchio, il pensiero è “piacere alla Milano fashionista per essere cool”; la verità è che si è perso il coraggio, quello che aveva Loredana Bertè nel lontano ’86 quando fece scandalo indossando sul Palco dell’Ariston un finto pancione.
E’ un vero peccato perchè il lavoro più interessante dello stylist sta nella ricerca, ma le famigerate pagelle fucilano i colleghi se scelgono brand minori, anche sconosciuti, ma che alle spalle hanno importantissimi uffici stile, notizia nota solo agli addetti al settore.

Quest’anno è il brand Dolce & Gabbana a vestire Annalisa, una scelta che esalta il made in Italy, perfetto per lei e coerente con il dna del Festival, per l’appunto Italiano.

Quanto è importante per la carriera di uno stylist, vestire un cantante ad un evento di portata nazionale?

C’è chi firma lavori anche senza avere una lunga esperienza, non sempre la competenza è sinonimo di successo.
Certo il Festival è un palco importante ma rischioso per chi fa questo mestiere, perchè si è sotto i riflettori, oggi più che in passato, e sbaglia anche chi ha tanti anni di lavoro alle spalle.
Il Festival regala uno spettacolo meraviglioso, dove per noi stylist si è però persa oggettività e freschezza.

FLORIANA SERANI

Stylist di Fred De Palma


Quanto lavoro psicologico, oltre che di ricerca stilistica, c’è nell’approccio al personaggio?

Personalmente cerco sempre di conoscere la persona prima del personaggio.
Chiedo di essere coinvolta nell’ascolto della canzone in gara, e di costruire intorno a questa, un immaginario visivo che dia forza al suo mondo musicale, partenza sempre dal cantante.

In queste tue scelte, la casa discografica e l’ufficio stampa del cantante, sono coinvolti?

Non in questo caso, anche se per alcune attività ad un certo punto del lavoro ci si confronta sempre.

Hai mai ricevuto richieste strambe da parte dei cantanti?

Spesso succede che richiedano stili non ancora sviluppati da designer, sembra assurdo ma la fantasia è tanta; e in questi casi si passa ad un lavoro di custom creativo, con l’appoggio di sarti. E’ la parte divertente del lavoro, creare ciò che ancora non esiste sul mercato.

Quanto coraggio hanno oggi gli stylist al Festival?

Dipende molto anche dal rapporto tra stylist-artista.
Conoscendo Fred De Palma da diversi anni, so che per lui è importante mantenere la sua identità, rispettando anche le “etichette” d’eleganza del Festival. Il mio lavoro è non snaturare l’artista e portare avanti il suo linguaggio streetwear che nel brand Ssheena ha avuto un buon alleato.

Che cosa fa la differenza in un lavoro di styling, rispetto ad un altro, al Festival di Sanremo?

L’essere di supporto all’artista, alla canzone, allo show. In sintesi lo chiamerei lavoro di coerenza.

GIUSEPPE MAGISTRO

Stylist dei The Kolors

Come si prepara uno stylist ad un Festival di Sanremo?

Con i The Kolors il lavoro è iniziato sei mesi fa, siamo partiti dalle ispirazioni anni ’80, dalle forme, dalle strutture delle giacche, dai gruppi funk come gli Spandau Ballet, ai look del cantante britannico Nick Kamen, cercando di sintetizzare quel periodo fantastico per la moda e attualizzandolo, semplificandolo. Il minimo comune denominatore trovato, ci ha portato alla pulizia e all’eleganza di Armani. Ne è uscita un’immagine dei The Kolors pulita e senza fronzoli, in target con Sanremo e soprattutto che ha saputo valorizzare tutti e tre i musicisti.

Quanto conta il loro gusto personale e quanto la visibilità che regala un determinato marchio?

Fondamentale per me è rispettare il dna dell’artista, perchè sul palco c’è un essere umano.
Io cerco di sapere il più possibile di loro, dei loro gusti, delle loro preferenze, andando a togliere il superfluo, puntando sulla qualità di certe scelte, sui tessuti, sulla sartorialità. Con Maison Armani, nella serata finale, ci saranno ricami, punti vita, pantaloni a palazzo vita alta, per un effetto wow. La fortuna con i The Kolors è che hanno non solo una grande passione per la moda, ma una fisicità adatta a supportare ogni tipo di richiesta.

Quanto ancora lancia icone di stile il Festival di Sanremo?

Oggi ci sono delle scelte nteressanti, il Festival è certamente un palco dove si sta tornando a sperimentare, ed è una bella sorpresa ripensando a 15 anni fa quando la ricerca andava scemando. Se anche i brand internazionali decidono di rappresentare i cantanti in gara, questo dovrebbe farci pensare che si è sulla giusta strada, che stiamo lanciando messaggi universali.

Sanremo 2024 – le interviste a Gazzelle, The Kolors e Bnkr44

SNOB dalla Sala Stampa del Festival di Sanremo 2024

Le interviste a Gazzelle, The Kolors, Bnkr44

GAZZELLE

Flavio Bruno Pardini, in arte Gazzelle, sei citato dal Festival quale quota indie, come ti senti?

“Non credo nelle etichette, io porto semplicemente il mio mondo, la mia storia, la mia esistenza, scrivo quello che mi capita nella vita e scrivo storie che non capitano più o che non capiteranno mai. Se questo è indie non lo so, quel che è certo è che questo sono io.”

Un tempo dicesti che non ti sentivi pronto per il Festival…

“Oggi mi sento a mio agio, anche se sono schivo alle conferenze e ai grandi eventi, ma avevo voglia di novità a livello professionale, volevo dare un brivido alla mia quotidianità, e il batticuore, le emozioni forti, in questo Festival le ho sentite.”

Il tuo rapporto con la musica …

“Ricordo zia Letizia, la più giovane delle zie, era in fissa con Ligabue, lo ascoltavo dappertutto, in auto, a casa, posso dire di averlo assorbito, e ho capito che Ligabue ha realmente il talento di sintetizzare esperienze in 3 minuti e 4 anni di vita in una canzone. Ha il dono della sintesi e della semplificazione, le emozioni non sono sempre facili da tradurre. Spero di averlo anche io.”

Il Festival di Sanremo oggi

“Sanremo è cambiato, non è certo lo spettacolo degli anni passati; come Festival della canzone ha sempre rispecchiato la sua epoca, cosa che sta facendo oggi Amadeus, che negli anni ha intercettato un certo tipo di musica, di generazione, ed io proprio oggi ho iniziato sentire che fosse giusto anche per me.”

La vostra musica e un’orchestra

“Con l’orchestra la musica è tutta un’altra cosa, sentire 70 persone che suonano la musica che hai scritto, gratifica, ti fa sentire bene, il pezzo acquista valore, proprio perchè l’orchestra riesce a dargli risonanza.”

Tutto quiE’ una canzone d’amore?

“Una canzone d’amore dedicata a persone che non ci sono più, al dolore, e alla mia voglia di poter essere utile a chi soffre. Credo di avere una visione surreale dell’amore, vorrei entrare nei ricordi dell’altro, nei suoi pensieri.”

A chi è rivolta?

“Non ho in mente un target preciso, io spero che arrivi a più orecchie possibili, anche a un 80 enne, che se facesse l’amore con la mia canzone, sarebbe bello.
In fondo sono solo parole, ma dipende tutto da chi le ascolta.”

Un consiglio ai giovani cantautori

“Fare più esperienze di vita possibili, se non vivi, non scrivi e anche il contrario.
A livello pratico ascoltare tanta musica, che ha sempre qualcosa da insegnare.”

THE KOLORS

La vostra canzone parla di una ragazza e un ragazzo che si incontrano, consigli per un approccio?

“In realtà musicalmente suonava bene un ragazzo, una ragazza, ma la storia non sappiamo come andrà a finire.
Siamo partiti da un incontro insieme a Davide Petrella, che ha scritto il pezzo insieme a noi, e dopo rimane una grande incognita.”

Gli ultimi due pezzi di successo sono molto disco anni ’80, c’è una motivazione dietro questa scelta?

“I nostri genitori suonavano insieme in un gruppo, noi siamo cugini, e abbiamo sempre ascoltato musica di ogni genere, soprattutto i Deep Purple, i The Cure…”

BNKR44

Che cos’è il vostro Bunker?

“Il nostro BNKR è un luogo sociale, un seminterrato con tanti divani, tante scritte sui muri, tante ragazze, poche finestre, una sala tv, una Venere del Botticelli disegnata da street Artist. Bnkr è la nostra sala prove con batteria e pianoforte e uno spazio aperto agli amici, dove poter giocare a carte o alla Playstation.”

Che rapporto avete con i social network?

“Se non usassimo i social per lavoro, indispensabili per promuovere le nostre canzoni, li cancelleremmo.”





A Sanremo apre il primo Museo dei Fiori

È stato inaugurato sabato il primo Museo dei Fiori d’Italia, e non poteva che trovarsi a Sanremo. La cittadina ligure in provincia di Imperia, famosa per il Festival della Canzone Italiana, viene definita anche la città dei fiori. Non poteva esserci, quindi, luogo più adatto per la creazione di un museo interamente dedicato alla floricoltura. Nella Palazzina Winter, padiglione rinnovato di Villa Oberdan, si possono ammirare fotografie storiche e attrezzi tradizionali, manuali di floricoltura e, ovviamente, splendide aiuole fiorite. Oltre cento anni di storia della floricoltura sono raccontati in un percorso che coinvolge tutti i sensi e che guida alla scoperta di un’arte secolare, che mescola poesia e natura, scienza e storia.


Dai primi brevetti in Italia agli utensili tradizionali, dai manuali storici a fotografie della vita nei campi, il nuovo Museo dei Fiori di Sanremo racconta la storia italiana e ligure di un amore viscerale per la natura e per i suoi colori. «Dopo tredici anni coroniamo un sogno partito nel 2004, quand’ero ancora assessore della Giunta Borea – ha dichiarato il sindaco di Sanremo, Alberto Biancheri, presente all’inaugurazione – Il nostro intento era semplicemente quello di spiegare ai cittadini, ma soprattutto ai turisti, perché Sanremo è conosciuta nel mondo come città dei Fiori». All’esterno del museo, profumate aiuole mostrano fiori coloratissimi, con una dedica speciale a Libereso Guglielmi, noto come il giardiniere di Calvino. All’interno, un percorso alla scoperta di reperti antichi e tecniche innovative. «Ci sono migliaia di reperti – ha affermato il responsabile dei Giardini del Comune di Sanremo, Claudio Littardi, anche presidente del Centro studi e ricerche delle palme – Abbiamo oltre cento foto legate alla vecchia vita nei campi, con immagini di scena quotidiana. E poi dalle pompe a spalle, agli utensili impiegati in campagna passando agli attrezzi per ibridare, ma soprattutto i primi brevetti originai della famiglia Ester e Ermanno Moro, riguardanti le prime varietà di fiori». Il Museo dei Fiori sarà guidato dal gruppo di lavoro Floriseum, costituito da importanti personalità e ricercatori universitari nel campo della floricoltura.

Caterina Balivo chiede scusa a Diletta Leotta, noi siamo ancora perplessi

Mica male il vestito della Leotta a Sanremo.
Esordirò così“, mi sono detta stamattina.

E non era mica male davvero.
Corpetto con scollo, gonna in vita lunghissima e principesca, spacco frontale: è proprio una limited edition di Alberta Ferretti.

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Diletta Leotta è scesa per le scale dell’Ariston con una convinzione e una forza che avrebbe potuto avere solo una donna fiera del proprio corpo e della propria persona.
Bella, anzi bellissima, raggiante, 26 anni, laurea in Giurisprudenza e conduzione su Sky, una carriera brillante, un fidanzato premuroso.
Ma la sua vita non è sempre stata così rosea, ha infatti subito una gravissima violazione della privacy.
Qualcuno fece circolare in rete alcune foto che la ritraevano in intimità, erano alla portata di tutti, sotto gli occhi tutti. Era stata privata della sua sfera personale, della sua vivacità e, perché no, della sua identità.
Mi colpì moltissimo, Diletta Leotta aveva subito una profonda umiliazione.
Volevo trattare la notizia, lo feci ma non fu piacevole.
Pochi giorni prima Tiziana Cantone si era uccisa a causa di un suo video erotico che qualcuno aveva “saggiamente” postato e che aveva decretato la fine della sua libertà.
Tutti, nessuno escluso, tutti noi siamo colpevoli della morte di Tiziana Cantone.
Lo scrivo tra queste righe, lo scrivo col cuore in mano, affinché nessuno di noi possa subire una violenza di questo tipo.
Quell’articolo (chi volesse leggerlo può cliccare qui) fu per me l’inizio di una battaglia contro la prepotenza e i soprusi che ancora oggi, nel 2017, subiamo.

Infatti, nuovamente, Diletta Leotta è vittima di abusi.
Mentre raccontava a Sanremo la sua triste esperienza, la conduttrice Caterina Balivo postava il tweet: “non puoi parlare della violazione della #privacy con quel vestito e con la mano che cerca di allargare lo spacco della gonna“.
A difenderla Maria De Filippi, quest’anno co-conduttrice accanto a Carlo Conti: “Nel 2017 mi vesto come mi pare. Concentrarsi sull’abito e non sul suo messaggio è come dire che è giusto che ti violentino perché hai la minigonna. Non diamo spazio a queste polemiche: è come tornare indietro nel tempo“.

E mentre la rete si scagliava contro il sessismo della Balivo, un secondo tweet di scuse sembrava circolare alla velocità della luce.

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La Balivo ha risolto così una disputa che ha fatto molto discutere, una disputa che possiede profonde radici storiche e che non trova ragione, ancora, nel 2017.
Invidia? Rancore?
Nessuno conosce le ragioni che hanno spinto Caterina Balivo, conduttrice di DettoFatto, a un giudizio profondamente ingiusto e gratuito.
E, sopratutto, a un giudizio preoccupante, perché è davvero preoccupante che oggi una donna debba essere etichettata per come veste.
La rete, perplessa sulle affermazioni della Balivo, si chiede: “se Diletta Leotta ha meritato la violazione della privacy a causa del suo vestito, allora le donne che indossano minigonne meritano lo stupro?“.

NOEMI: L’ENERGIA IN UN ACCORDO

Bella, solare, energica… così Noemi, tornata alla ribalta con la partecipazione all’ultimo Festival di Sanremo ed un nuovo album “Cuore d’artista” già entrato nella playlist dei suoi affezionati fan (e non solo). Un mix di accordi ben suonati e parole scritte che arrivano dritte al cuore, proprio come lei!

Noemi, un nuovo album e reduce dal Festival di Sanremo. Come è andata?

“Direi bene, anche se sono abbastanza critica con me stessa. La prima sera ero molto emozionata e la voce tramava, ma nelle altre mi sembra sia andata molto meglio. Il bilancio sullo scorso Festival è comunque molto positivo, sono felice di come è andata”.

“La borsa di una donna”, un titolo particolare per una canzone speciale. Perché hai scelto questo tema?

“ “La borsa di una donna” è un brano che ho sentito mio da subito, fin dal primo ascolto mi ha colpito tantissimo la delicatezza di un testo scritto da una penna maschile, che sapesse descrivere così profondamente il complicato mondo di noi donne.  Il testo che mi ha proposto Marco era perfetto per me, non ho davvero saputo dire di no”.

Il nuovo album come è nato e da cosa hai tratto spunto?

“Cuore d’artista” è un progetto a cui tengo molto perché a questo punto della mia carriera per me era importante tornare alla nostra musica, al pop italiano. Ho avuto la fortuna di lavorare con due persone con cui ho un grande feeling sia musicale che emotivo: Celso Valli (produttore del disco) e Gaetano Curreri. Queste collaborazioni hanno sicuramente apportato un valore aggiunto al mio progetto discografico”.
Sul palco trasmetti grinta, positività, determinazione: una volta scesa da li come è Noemi?

“Esattamente così! Sono una persona semplice, molto ironica ed esuberante”.

Cosa ti ha spinto alla musica nella tua vita (oltre ad un ovvio innato talento)?

“La musica mi ha permesso di trasformare le mie emozioni in canzoni. Ho trovato una strada per riuscire a comunicare con il mondo esterno”.

Da concorrente di X Factor a coach in The voice. Come ci si sente dall’altra parte della barricata?

“Sicuramente preferisco cantare e mi sento più a mio agio come concorrente che come coach… c’è sempre da imparare. Il ruolo del coach non è per nulla facile ma ho cercato di impegnarmi, di immedesimarmi in loro e di instaurare un buon rapporto. Spero di avergli trasmesso quello che so e di aver lasciato loro qualcosa. Dopo tre edizioni, sono molto affezionata al programma, e ancora oggi sono in contatto con i ragazzi, anche con quelli che non sono arrivati oltre le battle”.

Cosa pensi del panorama artistico musicale in Italia odierno?

“Ci sono tantissimi giovani che pensano che fare il cantante sia un lavoro semplice. Invece bisogna continuamente confrontarsi con il mondo e lavorare moltissimo”.

Con chi ti piacerebbe duettare?

“Ho tante colleghe splendide, ma sicuramente con Laura Pausini”.

Artista internazionale preferito/a?

“Adoro Janis Joplin, Erykah Badu, Amy Winehouse”.
Nella tua carriera annoveri anche una nomination agli Word Music Award. Un importante traguardo…

“A volte mi sembra ancora di sognare, non so, sento davvero di non dover dare mai nulla per scontato in questa vita incredibile”.

Parlando di traguardi, quali sono i tuoi prossimi obiettivi/progetti?

“Ora sto girando l’Italia per il firma copie dell’album. Il contatto con i fan per me è importantissimo. Infatti non vedo l’ora di portare sul palco anche questo nuovo album. Sto preparando il tour e spero a breve di comunicarvi tutte le date”.

Cosa è per te la musica?

“La musica è la mia vita da quando a 7 anni ho iniziato a suonare il pianoforte. Da piccola volevo fare addirittura il direttore d’orchestra, mi mettevo in piedi davanti allo stereo, infilavo un cd di musica classica e fingevo di dirigere”.

Nel tuo percorso universitario cinema e sceneggiatura: ti piacerebbe fare cinema?

“Cinema? Non saprei! Però mi sono più volte dedicata alla sceneggiatura e alla regia dei miei videoclip, mi diverte molto ed è sicuramente una mia grande passione”.

Un sogno?

“Solo uno? Tra i mie sogni, sicuramente c’è quello di avere un figlio. Un altro invece che ho da sempre sarebbe girare il mondo, magari andando a suonare in altri Paesi, in qualche posticino raccolto, per esempio a New Orleans in uno di quei club che trasudano storia, il tutto accompagnata  dalle persone che amo. E poi chissà, mi piace pensare che il bello debba ancora venire”.

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Festival di Sanremo 2016: il resoconto della prima serata

Martedì 9 febbraio 2016 ha avuto inizio la 66esima edizione del Festival di Sanremo che, a leggere i dati Auditel, si è rivelata un po’ sottotono rispetto agli anni precedenti. Sono stati infatti solo 11.134.000 i telespettatori che si sono sintonizzata su Rai 1, totalizzando il 49,5% di share.

Ad affiancare il conduttore Carlo Conti alla sua seconda edizione, i tre co-conduttori Virginia Raffaele che ha impersonato Sabrina Ferilli, Madalina Ghenea, splendida negli abiti Alberta Ferretti e l’attore Gabriel Garko.

 

Gabriel Garko, Madalina Ghenea e carlo Conti sul palco dell'Ariston. (fonte lapresse.it
Gabriel Garko, Madalina Ghenea e carlo Conti sul palco dell’Ariston. (fonte lapresse.it)

 

 

Virginia Raffaele saluta calorosamente il conduttore carlo Conti
Virginia Raffaele saluta calorosamente il conduttore carlo Conti (fonte davidemaggio.it)

 

 

La bellezza di Garko, secondo alcuni sempre più artefatta, non è bastata per rimediare la sua presenza/assenza sul palcoscenico dell’Ariston: impacciato, insicuro, teso. Nessuna parola di cordoglio in memoria dell’anziana donna deceduta a causa l’incidente avvenuto nella villa in cui soggiornava l’attore e la delusione cresce.

L’effervescente Virginia con un po’ di brio ha risollevato le sorti di un programma che della monotonia aveva fatto il suo punto di forza. E alla faccia di chi l’accusa di fare soldi sulle spalle degli altri; il talento della Raffaele esplode anche quando in un momento delicato in cui in Italia si vota per la Stepchild adoption, dice: “Si lamentano perché la presenza di Elton John sarebbe uno spot al matrimonio gay. E quando arrivano i Pooh allora che è, ‘na marchetta all’INPS?”

 

Elton John ospite d'onore al Festival di Sanremo 2016 (fonte Repubblica.it)
Elton John ospite d’onore al Festival di Sanremo 2016 (fonte Repubblica.it)

 

La giunonica Madalina, dal canto suo, ha dimostrato di avere la giusta dose di ironia e capacità di adattamento. Ha dimostrato non solo di essere una donna bella e sensuale, ma anche di avere intelligenza da vendere: non a caso parla più lingue lei che del nostro Presidente del Consiglio Matteo Renzi.

Ma passiamo ai cantanti in gara. Nella prima serata si sono avvicendati 10 big della canzone italiana, quattro dei quali a rischio di eliminazione. Irene Fornaciari canta “Blu”, una canzone dedicata ai profughi di guerra che perdono la vita nelle nostre acque. Il messaggio è importante e diretto, ma ciò  non basta per salire in alto nelle preferenze. Stessa sorte spetta ai Dear Jack, Bluvertigo e Noemi.

È andata meglio al rapper napoletano Rocco Hunt, Giovanni Caccamo in coppia con l’ex allieva di Maria De Filippi Deborah Iurato, Stadio, Lorenzo Fragola, Arisa e Enrico Ruggeri che per il momento sono salvi.

Il parterre degli ospiti ha visto un Elton John disinvolto che ha preferito tacere sulle adozioni gay preferendo alle inutili polemiche o sermoni, parlare di solidarietà.

 

Laura Pausini ospite d'onore durante la prima puntata del Festival di Sanremo 2016
Laura Pausini ospite d’onore durante la prima puntata del Festival di Sanremo 2016 (fonte Pagina Ufficiale Fb Laura Pausini)

 

 

Poi arriva lei, la donna dei record Laura Pausini che canta sul palcoscenico dell’Ariston alcuni brani del suo repertorio dagli esordi ai giorni nostri. La cantante di Faenza, emozionata, indossa la giacca della finale del ’93 e in chiusura canta “Simili” un brano che sembra voglia inviare un messaggio di apertura alle unioni civili: “Siamo simili, dobbiamo proteggerci non dividerci.”

In realtà, anche i nastri rainbow posizionati sulle aste dei microfoni avevano il medesimo scopo. Messaggi timidi e velati che sembra non abbiano gradito in tanti.

Infine il trio di comici Aldo, Giovanni e Giacomo che festeggiano i loro primi 25 anni di attività, hanno appioppato al pubblico il solito sketch che non mancava proprio a nessuno e per tale motivo, l’assenza di Checco Zalone è stata avvertita con maggior ridondanza.

Se è vero che il cavallo si vede alla fine della corsa, dobbiamo attendere le prossime serata per affondare un giudizio più veritiero.