Patti Smith: la sacerdotessa del rock spegne 70 candeline

Spegne oggi 70 candeline Patti Smith, cantante e poetessa statunitense e icona musicale. Un carisma unico, intriso di suggestioni bohémien e una voce che, dagli anni Settanta ad oggi, non ha mai smesso di ammaliare. Maudite quanto basta per affascinare, Patti Smith è stata tra le protagoniste del proto-punk e della New Wave.

Inserita dalla rivista Rolling Stone al quarantasettesimo posto nella classifica dei 100 migliori artisti di tutti i tempi, camaleontica e ribelle, la sacerdotessa del rock ha attraversato indenne le mode e i tempi, ergendosi a profetessa, sibilla dall’aura mistica che, già nei lontani anni Sessanta, era proiettata in un futuro ancora incerto, che con la sua musica ha contribuito a concretizzare. Bellezza androgina, il suo amore per la poesia trascende gli angusti confini della nativa Chicago e la porta, ancora giovanissima, a New York. Icona punk, conferì alla musica rock suggestioni prese a prestito da quegli stessi poeti che amava tanto.

Patricia Lee Smith è nata a Chicago il 30 dicembre 1946, un lunedì come tanti, se non fosse per la bufera di neve che sconvolge la cittadina statunitense. Sua madre Beverly Smith era una cantante jazz che per sopravvivere aveva dovuto accantonare le proprie ambizioni lavorando come cameriera, mentre il padre Grant Smith era un macchinista negli impianti Honeywell. Prima di quattro figli, Patti trascorre la sua infanzia in povertà, sullo sfondo di un’America perbenista e bigotta. A quattordici anni la giovane è alta 1,75 cm per neanche 50 chili: presa in giro dai compagni di scuola per quel suo fisico pelle ed ossa, disegna, balla e scrive poesie, mentre trova un primo lavoro in fabbrica.

Patti Smith è nata a Chicago il 30 dicembre 1946
Patti Smith è nata a Chicago il 30 dicembre 1946


Patti Smith in uno scatto di Robert Mapplethorpe, 1987
Patti Smith in uno scatto di Robert Mapplethorpe, 1987


Uno scatto di Mapplethorpe risalente al 1975
Uno scatto di Mapplethorpe risalente al 1975


Patti Smith in una foto di Edie Steiner, 1976
Patti Smith in una foto di Edie Steiner, 1976


Appena diciannovenne, nel 1966 Patti resta incinta: il padre del figlio che porta in grembo è un diciassettenne. Troppo immaturo per assumersi le responsabilità di un figlio, il giovane non viene neanche coinvolto da Patti, che nell’anniversario del bombardamento di Guernica partorisce una bambina e la dà in adozione. Sola e senza lavoro, la giovane non può provvedere al mantenimento della figlia: lei, che sognava di diventare insegnante, viene allontanata dal college di Glassboro, New Jersey, e si ritrova senza una meta. “Decisi che non sarei tornata in fabbrica né a scuola. Sarei diventata un’artista. Avrei dimostrato il mio valore”. “Anche se non ho mai messo in dubbio che me ne sarei separata, ho imparato che concedere una vita e poi abbandonarla non è così facile”, dirà a proposito della decisione di abbandonare la bambina. Patti trova rifugio nella poesia, soprattutto nei versi dell’amato Rimbaud.

Nel 1967 decide di partire per New York, con una valigia scozzese gialla e rossa contenente qualche vestito e pochi ricordi. “Nessuno mi stava aspettando, tutto mi aspettava”, ricorderà così il suo arrivo nella Grande Mela. Alcuni suoi amici studiano al Pratt Institute, celebre scuola di arte e design di Brooklyn. Patti spera possano introdurla nel loro ambiente. Ma quando arriva in quella che dovrebbe essere casa loro, trova solo un ragazzo che dorme su un letto in ferro: riccioli bruni e collana di perline sul petto nudo, il ragazzo le sorride dolcemente ma Patti fugge da lì senza chiedergli nemmeno il suo nome. Il ragazzo è Robert Mapplethorpe: i due divideranno la casa e la vita. Ancora ignari del futuro che li attende e del rispettivo successo che otterranno -Patti nella musica e Robert nella fotografia- vivranno un rapporto che travalica l’amore e l’amicizia: anime complementari unite dai medesimi ideali, i due resteranno uniti per il resto della vita.


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La New York di fine anni Sessanta è crocevia di mondi e tendenze: qui si incontrano il rock & roll e il beat, il punk e il glam, in club come il Max’s Kansas City come nel mondo underground del CBGB. Patti scandaglia ogni libreria alla ricerca di un impiego: i libri sono il suo buen retiro, l’unico posto in cui si senta a suo agio. La ragazza non ha un soldo in tasca e vive per strada, dormendo dove capita, che si tratti dei vagoni della metropolitana o degli androni dei palazzi. Sognatrice e idealista, si nutre solo di parole e dei versi dei suoi amati poeti: accanto a Rimbaud, la giovane è ossessionata da Sylvia Plath. Spirituale e testarda, l’artista si è autodefinita “una semplice operaia delle parole”.

Proprio quando sta per arrendersi, è il fato a salvarla: Patti è disperata, vorrebbe tornare a casa a Chicago, ma non ha nemmeno i soldi per comprare il biglietto e sarà solo il fortuito ritrovamento di una borsetta dentro una cabina telefonica a permetterle di restare a New York. Patti, che ringrazierà per sempre quella sconosciuta benefattrice -come dichiara lei stessa in “Just Kids”, sua autobiografia edita da Feltrinelli, libro vincitore del National Book Award per la saggistica nel 2010- trova lavoro come cassiera in una delle librerie della catena Brentano, sulla Quinta Strada: qui vende gioielli etnici e manufatti d’artigianato. Quando un uomo molto più anziano le propone di salire a casa sua, la giovane viene salvata ancora una volta dal destino: “Mi guardai in giro con disperazione, incapace di rispondere a quella proposta, quando scorsi un giovane avvicinarsi. Fu come se uno squarcio di futuro si fosse aperto”. Il giovane bruno che fingerà di essere il suo ragazzo è ancora una volta Robert Mapplethorpe: da quel momento i due saranno inseparabili.

Patti Smith e Robert Mapplethorpe a Coney Island, 1969
Patti Smith e Robert Mapplethorpe a Coney Island, 1969


L'artista in uno scatto di Bruce Weber, anni Novanta
L’artista in uno scatto di Bruce Weber, anni Novanta


Patti Smith, foto di Judy Linn, 1969
Patti Smith, foto di Judy Linn, 1969


Patti recita poesie al Mercer Arts Center del Village, lavora inoltre come giornalista musicale e vola a Parigi sulle orme di Rimbaud e Verlaine. Nel 1975 nasce il Patti Smith Group: insieme a Lenny Kaye mette insieme una band di musicisti e dà vita ad uno spettacolo in cui unisce poesia e rock, dando ufficialmente inizio alla corrente New Wave della musica, che la vede come sua vestale. Arriva quindi Horses, il primo disco: la foto di copertina, che la immortala in camicia bianca maschile, è stata scattata da Mapplethorpe. “Io avevo in mente il mio aspetto. Lui aveva in mente la luce. Ancora oggi, quando la guardo, non vedo me stessa. Vedo noi”, ricorderà di quella giornata. L’obiettivo di Mapplethorpe, genio trasgressivo, scandirà ogni momento della vita dell’artista. Quando nel 1989 il fotografo muore, per complicanze dovute all’AIDS, per Patti è la fine di un’epoca: “Quando morì mi chiamò Edward. Il fratello minore di Robert. Diceva di avergli dato un ultimo bacio da parte mia, come mi aveva promesso. Sono rimasta immobile, paralizzata; poi, lentamente, come in sogno sono tornata alla sedia. In quel momento Tosca attaccava la grande aria Vissi d’arte. ‘Vissi d’arte, vissi d’amore’. Ho chiuso gli occhi e intrecciato le mani. La provvidenza aveva decretato che in quel modo gli avrei detto addio”.

Oltre ad essere considerata un’icona mondiale della musica rock, Patti Smith nel corso degli anni si è anche imposta come icona di stile: il suo stile apparentemente trasandato, all’insegna dell’effortlessy-chic, l’ha resa uno dei volti più amati dai fotografi di moda. Ad immortalarla, oltre a Mapplethorpe, anche Richard Avedon, Annie Leibovitz e Bruce Weber, solo per citarne alcuni. Quel suo fisico androgino ed esile (il ventre le si squarciò durante la prima gravidanza) e la personalità eclettica fin dagli esordi la resero una it girl ante litteram. Ancora oggi, alla veneranda età di 70 primavere, l’artista mostra fieramente un volto privo di ritocchi e un’eleganza degna di nota: rimandi grunge e suggestioni boho-chic caratterizzano il suo stile, dai capelli, sapientemente lasciati sale e pepe, alle giacche maschili indossate sopra i jeans, Patti Smith ha davvero molto da insegnare.

RICCARDO SIMONETTI: BLOGGER FROM BERLIN

Non fatevi ingannare dal nome. Se all’apparenza può sembrare italiano lui è 100% tedesco e non un tedesco normale pensi un’icona dello stile Made In Berlin. A Milano è approdato la scorsa fashion week e ha fatto sfacelo. Questa edizione ritorna, sempre più fashion, sempre più chic e con la sua milionata di followers. Seguitelo!


Riccardo Simonetti: un nome italiano ma tu sei tedesco. Quali sono le tue origini? 
“In realtà sono al 100% italiano. Mio padre è un gelataio di Forno di Zoldo (nelle vicinanze di Cortina) mentre mia mamma è di Salerno. Anche se sono cresciuto in Germania siamo stati molte volte dai parenti in Italia perché loro vivono ancora tutti li”.


Cosa pensi di queste origini?

“Sono un grande fan dell’ “italian life style” e cerco di venire in Italia ogni volta che sono libero da impegni e, naturalmente, sono orgoglioso delle mie origini. Quando ero ragazzino tante persone mi consideravano quasi diverso per questo motivo, ma per me era un plus, in quanto amo la capacità intrinseca del vostro popolo di sviluppare un interesse profondo nella moda, nell’arte e in tutte le cose belle della vita. Questo forse perché gli italiani crescono circondati da tutto ciò… è fantastico”.


In Germania oggi sei un blogger seguitissimo. Una grande soddisfazione… 

“Ho sempre sognato di fare parte di quella che io definirei “cultura pop”. Ecco perché fin dall’età di quattro anni iniziai a recitare e da adolescente divenni modello e ospite presso un programma radiofonico. Sono sempre stato consapevole che per raggiungere i miei obiettivi e sogni avrei dovuto lavorare molto duramente. Ma non mi sono mai fermato. Aprii il mio blog nel mio ultimo anno di scuola: voleva essere come una sorta di diario in cui poter raccontare il mio pensiero e la mia visione di stile. Ora funziona molto bene e sono contento delle opportunità di lavoro derivate, dei miei fans e di essere fonte di ispirazione per altre persone”


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Cosa rappresenta per te la moda?

“La moda ha un enorme impatto su come mi sento. E’ importante per me perché comunica ciò che sono prima ancora di ogni altra cosa. Mi piace davvero esprimere i miei sentimenti attraverso un abito e non c’è niente di meglio che una sessione di shopping per ritrovare la giusta carica”.


Quali sono i tuoi stilisti preferiti?

“Non ho un designer preferito ma mescolo tutto quello che mi piace (anche se ho un occhio di riguardo per le linee couture di Versace, Saint Laurent e Dolce e Gabbana). Non servono un sacco di soldi per un vestirsi bene, tutto ciò che serve è un po ‘di creatività. A volte mi piace indossare un pezzo unico couture mentre altre volte trovo i miei migliori look in un negozio di carnevale. L’importante è sentirsi a proprio agio non curandosi del pensiero degli altri”.


Quando crei un outfit a cosa ti ispiri?

“Alla musica che ascolto in quel momento o ad film. Insomma passo da Lana del Rey, triste ma romantica, a una Lady Gaga teatrale dal 2008. Essere “fun” è però sempre importante nella scelta di un look”.


Come definiresti il tuo stile?

“Non convenzionale, unisex con un tocco rock. Le mie icone di stile personali sono Michael Jackson, Lady Gaga, Lindsay Lohan e Axl Rose e credo si possa vedere la loro influenza nei miei outfit quotidiani su instagram.”.


Quest’anno parteciperai per la seconda volta come icona di stile alla MFW. Cosa ne pensi di “questa” Milano?

“Partecipare alla MFW la prima volta è stato estremamente stimolante perché qui regna lo stile. Vedete paillettes, tacchi alti e il puro glamour per le strade, incontrare persone come Carine Roitfield o Anna dello Russo, li accanto a te…tutto stupendo. Milano mi ha molto ispirato nello scegliere i miei look e sono sicuro che anche questa mia seconda “visita” lascerà il segno!”.


Hai  un sogno?

“Essere un “intrattenitore”. E fare emozionare… con la moda ovviamente”.


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ph: Daniele Trapletti

ANARCHYTECTURE: VIAGGIO AL CENTRO DEL ROCK FIRMATO SKUNK ANANSIE

A pochi giorni dalla sua uscita il nuovo disco del gruppo britannico è già in vetta alle classifiche

Poche parole ma tanti sorrisi. Così gli Skunk Anansie, capitanati dalla loro leader indiscussa Skin, hanno incontrato nei giorni scorsi i loro fans italiani, dopo l’uscita ufficiale lo scorso 15 gennaio di “Anarchytecture”, sesto lavoro della band britannica, secondo dopo la loro reunion avvenuta nel 2012 con l’incisione di Black Traffic.


Quest’anno, ancor più di allora, il rock ritorna a battere forte in ogni singolo pezzo cantato dalla “pantera nera”: in ogni brano intensi riff si uniscono alla voce acuta e profonda di Skin, per dare vita ad una compilation che traccia dopo traccia scuote e infiamma l’anima di quanti amano le sonorità rock. Un rock che in perfetto stile Skunk Anansie amalgama heavy metal con influenze punk rock e ibride funk, proprio come piace a loro che, mai come ora, sono apparsi nella loro forma più splendida con Cass al basso, Ace alla chitarra e Mark Richardson alla batteria. La formazione al completo dunque, capitanata da una Skin che, come sempre, trascina il gruppo, sicura e caparbia come non mai, consapevole di quella sua voce inconfondibile alla quale anche David Bowie, il mito, in una sua performance live, riproponendo Milk is my sugar, (uno dei successi supremi degli Skunk Anansie) aveva riservato il giusto onore con uno “Scusate Skin forse l’avrebbe cantata meglio”. Una sorta di benedizione quella di Bowie che diede ancora più forza ed al gruppo rock britannico.


Con Anarchytecture oggi gli Skunk Anansie ritornano e confermano ancora una volta quell’acclamata bravura e la loro unicità come gruppo che ama l’anarchia pur essendo consapevole di come essa, in fondo, non possa esistere nel nostro sistema. Da queste fondamenta trae origine il titolo del nuovo album, perfetta dichiarazione dell’antitesi tra anarchia e architattura. Un concetto interpretabile da ognuno in modo personale, proprio come per ogni singolo membro della band, per il quale “Anarchytecture” assume significati diversi, pur avendo come perno il concetto dello scontro di due cose diverse, capace di generare vibrazioni che gettano il seme della creatività. E in questa sorta di anarchia mista a razionalità e coerenza il gruppo britannico sta già scalando le classifiche di mezzo mondo, collezionando sold out ai concerti ( il 17 febbraio all’Alcatraz di Milano, il 14 luglio a Pistoia, il 15 a Roma e il 17 a Piazzola sul Brenta) e infiammando i cuori dei fans. Come lo scorso sabato allo store Mediaword del Centro Commerciale le Due Torri di Stezzano, in provincia di Bergamo, dove oltre 600 rockers hanno osannato i loro miti. E loro hanno risposto con sorrisi e gentilezza, dimostrando come anche le rock star hanno un lato tenero. Antitetesi perfetta, un’altra volta… in perfetto stile Skan Anansie.

ph: Daniele Trapletti

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I migliori backstage di Milano Moda Uomo: Richmond

Il backstage della sfilata evento, tributo a David Bowie, che documenta la nuova era della casa di moda, oramai diretta da Saverio Moschillo,


E’ la forte creatività pronta a unire miti e icone per una collezione in grado di segnare la storia, parola di Saverio Moschillo, nuovo direttore creativo della Maison. E lo stesso mito di David Bowie accompagna l’ultima sfilata Richmondche gli rende omaggio attraverso la selezione musicale.
China girl per le fantasie geometriche dal sapore asiatico che inaugurano la nuova identità del brand sempre più proiettato a rivisitare i capi essenziali del guardaroba donando loro l’intramontabilità.
E’ una collezione che cromaticamente vive nella Space Oddity grazie alla palette di colori composta dal blu navy, burgundy, rosso denso nero e grigio melange. La fusione della materia avviene grazie alle combinazioni contrastanti presenti negli accessori, come gli stivali e le stringate rinforzati in cuoio naturale con cuciture a vista.
Quello di Richmond è uno Starman che non disdegna il suo lato rock prestando, però, sempre attenzione a uno stile di vita rigoroso, intuitivo e eclettico proprio come quello dell’artista recentemente scomparso.


Scatti in esclusiva di Matteo di Pippo.


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Milano Moda Uomo: Ermanno Scervino reiventa il Dandy contemporaneo

Teschi e scritte manifesto come Wild e Heroes: il nuovo dandy firmato Ermanno Scervino non è solo vanità.

La collezione autunno/inverno 16-17 attinge allo sport per l’utilizzo di tessuti tecnici e al glam attraverso le ruches delle camicette. Il parka military-chic con cappuccio in pelliccia e il robe manteau impreziosito di cristalli, elevano la collezione a livelli altissimi.

Del resto siamo sempre stati abituati all’opulenta eleganza dello stilista italiano che, senza troppi eccessi, è riuscito a far catalizzare l’attenzione dei media sulle sue collezioni.

Principe di Galles sui pantaloni dalla linea sartoriale e cappotti con manicotti in pelliccia bastano per disegnare un uomo di buone maniere, sofisticato e intelligente.

I pullover si dipingono di righe in stile marinière e il denim spalmato ci rivela un uomo dall’animo rock.

Insomma, svariate ispirazioni per un unico obiettivo: rivelare al mondo il vero volto del dandy contemporaneo.

Toni cupi compongono la collezione. Un elegante blu notte è il re indiscusso della collezione ma non mancano un evergreen come il nero e tonalità più scintillanti come il grigio che si veste di filati laminati. Ad alleggerire il progetto dello stilista, il verde e il cammello.

Ultima parola spetta agli accessori, curati nei dettagli anch’essi. Tracolle in pelle, stringate e sciarpe corpose delineano il profilo di una collezione da vero gentleman.

 

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Cavalli: il ritorno di Dundas tra vintage e rock

Fantasie animalier, paillettes e lamé per un effetto rock del tutto inaspettato.

Il ritorno di Peter Dundas in Roberto Cavalli non poteva che portare ad esiti davvero sorprendenti.

Una collezione contaminata, quella dello stilista norvegese che è riuscito a creare un filo conduttore tra wild, rock e vintage senza cadere nella banalità di tale scelta.

Nel prossimo autunno/inverno 16-17 il glam rock degli anni settanta rivive nei jeans leggermente scampanati sul fondo e nelle pellicce over in stampa animalier.

Il velluto è il tessuto principe della collezione seguito dalla pelle, dal popeline, dalla pelliccia, lane e seta.

Cosa dire dei ricami? I fili d’oro disegnano libellule, stelle e fiori di cardi su maglioni e bluse leggere come nuvole.

Abuso di dolcevita e giacche dalla linea slim abbinate sapientemente a maxi sciarpe jacquard: questa è la strada percorsa da Dundas  per un perfetto stile old school dal risultato davvero sorprendente.

Immancabili le giacche in pelle con inserti in pelliccia di leopardo  e i maxi coats con revers in vello di animale.

Gli accessori si presentano in linea con il mood della collezione. Avvincenti risultano le sneakers proposte in velluto ricamato e in patchwork di pelle. Gli zaini in cavallino e gli occhiali squadrati conferiscono un tocco di contemporaneità al lavoro di Dundas.

 

 

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Italy Fashion Roberto Cavalli
Roberto Cavalli by Luca Bruno Ph

 

A model wears a creation for Roberto Cavalli men's Fall-Winter 2016-2017 collection, part of the Milan Fashion Week, unveiled in Milan, Italy, Friday, Jan. 15, 2016. (AP Photo/Luca Bruno)
Roberto Cavalli by Luca Bruno Ph

 

Peter Dundas by Luca Bruno Ph
Peter Dundas by Luca Bruno Ph

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La provocazione sfila da Rick Owens

È stata in assoluto la sfilata più discussa e controversa della settimana della moda di Parigi. Ha monopolizzato l’attenzione dei media e ha diviso l’opinione pubblica, tra detrattori convinti ed ammiratori entusiasti. Certo è che in tempi come questi, in cui la spettacolarizzazione è divenuta un valore assoluto da perseguire con tutti i mezzi, la moda sembra essersi adattata a tale meccanismo. Purché se ne parli, sembra essere il mantra dominante; e il confine che separa l’avanguardia artistica dal mero sensazionalismo sembra divenire sempre meno netto.

Dissacrante, alternativa, ermetica, la collezione Primavera/Estate 2016 di Rick Owens è stata protagonista assoluta della fashion week parigina. C’è chi ci ha visto espliciti richiami sessuali, chi non ne ha compreso il significato e chi, semplicemente, ha deciso di godersi lo show, dalle coreografie assolutamente inedite.

Lo stilista statunitense non è nuovo ad audaci provocazioni: lo scorso gennaio fece sfilare uomini fieramente senza slip, destando scalpore, nel segno di quell’unione tra rock e concettuale che da sempre caratterizza il suo stile. Ribelle, anticonformista, Rick Owens è uno che il sistema lo combatte davvero: la sua linea stilistica è talvolta una critica neanche troppo velata nei confronti di certo fashion biz patinato. I lustrini di Los Angeles erano lontani da lui, nella sua infanzia vissuta tra tossicodipendenza e solitudine: da qui la sua moda intellettuale e scandalosa.

Si intitola “Ciclope” la collezione che sfila a Parigi per la Primavera/Estate 2016, e l’ispirazione attinge alla mitologia greca. Una sartorialità decostruita, per capi essenziali e basic. Ma quel che colpisce l’occhio, prima ancora degli outfit che sfilano in passerella, sono le “imbracature umane”: donne che indossano altre donne, per una coreografia forte e provocatoria. Le modelle sfilano a testa in giù, abbarbicate a cavalcioni le une sulle altre. Rigenerazione, solidarietà femminile, fratellanza universale e un pensiero per il grembo materno, a cui si deve la vita: questi sembrano essere i temi dominanti.

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Rick Owens : Runway - Paris Fashion Week Womenswear Spring/Summer 2016

Rick Owens : Runway - Paris Fashion Week Womenswear Spring/Summer 2016

I capi sono essenziali: cappotti dalle linee sartoriali, crop tops, asimmetrie sfilano addosso a modelle che si alternano a ginnaste professioniste. La palette cromatica varia dal grigio al nude, fino al verde e all’arancione. Tra i materiali usati spiccano il nylon, la seta, il cotone e la maglia, alternata alla pelle e al jersey, per interessanti giochi di luce.

Secondo il casting director Angus Munro, Rick Owens è maestro nel raccontare storie che nessun altro vi racconterà: genio del politically uncorrect, il vestito umano sembra essergli stato ispirato da una foto di Annie Leibovitz raffigurante Leigh Bowery, eclettico rappresentante del fashion biz nonché artista concettuale. Non più donne bambole, sembra implorare Owens, ma donne forti capaci di andare oltre le rivalità, in un disegno di fratellanza universale. Il dibattito sulla controversa coreografia resta tuttavia aperto, e sono molti coloro che continuano a chiedersi se se ne sentisse realmente il bisogno.

(Foto copertina Getty Images)


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La moda concettuale di Hussein Chalayan P/E 2016

Speciale Fashion Week: Costume National Primavera/Estate 2016

E’ il cinema italiano a ispirare la dark lady di Ennio Capasa.


La contemporaneità tinta di nero, misteriosamente drammatica, guida l’interprete della collezione di Costume National.
Una sfilata che prende il via con l’installazione visiva e riflessiva di Riccardo Previdi “Maha Mantra”. A comporre l’opera immagini e tracce audio ricercate attraverso i social e gli stock online, talvolta prive di autore. Il loro scopo è quello di far capire agli ospiti come, molto spesso, ciò che condividiamo non evoca più un’esperienza, bensì è atto unicamente a riempire il display di uno smartphone, di un tablet o il desktop di un computer.
L’avventura di Antonioni e A bigger splash di Guadagnino sono le suggestioni, provenienti dal grande schermo, che guidano Capasa.
Il rock cardine della Maison si fonde con la morbida sensualità delle luci soffuse e dei chiaroscuri contrastati.

La fluidità asimmetrica e i tagli maschili dei look proposti svelano tessuti altamente ricercati, come la stampa glitter gessata su doppio canvas in viscosa e il denim nero giapponese.


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Il flash rosso spezza le monocromie del bianco e nero che, però, celano a sorpresa un’anima silver.
Hollywood non è mai stata così vicina ed ecco come la borsa Black, in crosta nera con attacco in metallo, insieme ai sandali con tacco a spillo e agli occhiali da sole over, completa l’aura da vera diva del noir.


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GEORGINA MAY JAGGER LIKE MINNIE

La fashion influencer Georgina May Jagger protagonista e promotrice di una mostra in onore della celebre Minnie

Il conto alla rovescia è iniziato: dopo mesi di preparazione il 18 settembre la tanto attesa mostra dedicata all’amata fidanzata di Topolino prenderà il via, in concomitanza con la settimana della moda londinese. Protagonista indiscussa di questo progetto Georgina May Jagger, la 23 enne figlia dell’icona del rock  Mick Jagger e della stupenda Jerry Hall. Modella, fotografa e fashion influencer Georgina è oggi una delle icone di stile più seguite da mezzo mondo e, in quanto tale, non poteva non essere innamorata di colei che, prima di ogni altra, è stata essa stessa riferimento di stile: Minnie. Ebbene sì, perché il tanto amato cartoon Disney, creato nel 1928 dalla geniale mano di Walter Disney, già ai tempi interpretava lo spirito più anticonformista delle ragazze americane che in quella gonnellina a pois e quel fiocco nero in testa vedevano il segno tangibile della rivoluzione allora in corso in quel Paese, gli Stati Uniti, in cui la libertà di pensiero, di parola e di stile erano dogmi da portare avanti con il massimo della determinazione.

Ecco perché “Minnie style” non poteva che essere il nome di quella mostra che fino al 22 settembre 2015 presenterà una Georgina May Jagger inedita, truccata e agghindata proprio come la fidanzata di Topolino e vestita di abiti che, mai come in questa occasione, propongono una Minnie in carne ed ossa. Lei, Georgina, di tutto questo progetto è apparsa più che entusiasta, al punto di cimentarsi non solo come modella ma anche come fotografa.

Sono sempre stata una fan di Minnie“ ha dichiarato Georgia May ”e sono quindi elettrizzata all’idea di lavorare su questo progetto che metterà in luce con entusiasmo e creatività come la cultura pop può influenzare la moda”.

Parole sante quelle della modella inglese che con questo progetto ha così dimostrato come ancora una volta, generazione dopo generazione, il mito Disney si conferma come l’identificazione di una realtà “colorata, a tratti esilarante ma pur sempre elegante” o semplicemente l’interpretazione perfetta di quella componente irriverente che ogni femmina possiede. Generazione in generazione. Tutto nel segno della moda. 

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