È l’emblema dell’alta sartorialità italiana nel mondo. Un marchio storico, quello di Capucci, in cui si fondono eleganza estrema e lusso.
Il marchio fondato da Roberto Capucci che rese celebre la griffe con la sua linea a scatola, ora si accinge a vivere una nuova epoca.
Nel lontano 1951, Capucci sfilò per la prima volta a Firenze, sotto la protezione del marchese Gian Battiste Giorgini. Ritenuto troppo giovane per sfilare, il riscatto del couturier avviene qualche giorno dopo, quando, riuscì a trionfare presentando la sua collezione nella dimora privata del marchese Giorgini, vendendo completamente tutti i capi.
I suoi abiti – scultura furono esposti nei musei più prestigiosi del mondo (Palazzo Pitti di Firenze e Victoria & Albert di Londra solo per citarne alcuni) e hanno vestito icone del cinema come Marilyn Monroe e Gloria Swanson.
È notizia di pochi giorni fa, la nomina di Mario Dice alla direzione creativa della linea prêt-à-porter della maison, già lanciata durante la passata settimana della moda di settembre e che sembra non abbia trovato ancora una sua filosofia.
Mario Dice, designer dell’omonimo brand fondato nel 2007, deve il suo successo come professionista a Kevin Carrigan affermato professionista della Maison CALVIN KLEIN a New York.
A soli 14 anni, inizia a lavorare la griffe e, ritornato in Italia, affianca le Sorelle Fontana dove affina le tecniche del know now che gli permetteranno di collaborare con Gattinoni, Trussardi, David Koma e krizia.
Il suo stile è sobrio e dinamico, sobrio e casual.
Mario debutterà ufficialmente da Capucci a Milano, in settembre, con la collezione primavera-estate 2017: “Vogliamo fare un passo alla volta per sondare le reazioni del mercato e dei clienti. Crediamo nelle potenzialità di un marchio storico come Capucci che negli anni ha vestito principesse, volti del jet set internazionale e donne ricchissime ed esigenti, come lo sono le clienti di oggi, sempre più proiettate verso un mondo di lusso e artigianalità“, ha sostenuto Capucci.
Ieratiche come marmoree sculture, atemporali come le opere d’arte che impreziosiscono un museo, misteriose ed iconiche: le creazioni di Roberto Capucci costituiscono un unicum nel panorama della moda.
Enfant prodige, ad appena 26 anni fu definito da Christian Dior «il miglior creatore della moda italiana»: Roberto Capucci, classe 1930, vanta una carriera a dir poco sfolgorante. Nato a Roma, dopo aver frequentato il liceo artistico e l’Accademia di Belle Arti, dove si forma con i maestri Mazzacurati, Avenali e de Libero, nel 1950, a soli venti anni, inaugura il suo primo atelier, in via Sistina, grazie all’aiuto della giornalista Maria Foschini, che fu per lui Pigmalione ante litteram. L’anno seguente presenta le sue creazioni a Firenze, presso la residenza di Giovanni Battista Giorgini, inventore della moda italiana.
Audace sperimentatore, le sue collezioni riflettono il suo viscerale amore per l’arte. Le geometrie e i volumi arditi e altamente scenografici traggono ispirazione dalla natura, con le sue molteplici espressioni. Il Nove Gonne, creato nel 1956, è forse l’abito più conosciuto del periodo iniziale dell’opera di Capucci: trattasi di un semplice abito in taffetà rosso che si sviluppa in ben nove gonne concentriche con tanto di strascico sulla parte posteriore. Si dice che il couturier sia stato ispirato dal gioco di cerchi concentrici che si sviluppa sulla superficie dell’acqua lanciandovi un sasso.
Nel 1958 crea la Linea a scatola, un’autentica rivoluzione, per cui nel settembre dello stesso anno viene insignito a Boston con la massima onorificenza, l’Oscar della Moda quale migliore creatore di moda, insieme a nomi del calibro di Pierre Cardin e James Galanos. Nel 1961 inizia la conquista della Francia, ove il couturier presenta le proprie creazioni; l’anno seguente inaugura il suo atelier al n. 4 di Rue Cambon, a Parigi. Negli anni parigini la sua ricerca e sperimentazione proseguono fino ad abbracciare materiali insoliti, quali la plastica, le fibre hi-tech, il plexiglass e il metallo.
In quel periodo abita al Ritz, come Coco Chanel, ed è acclamato come una vera celebrità. Le sue clienti vengono soprannominate «le capuccine». Pochi anni più tardi, nel 1968, viene costretto a rientrare in Italia da alcuni problemi familiari. Qui apre un nuovo atelier in via Gregoriana e presenta le sue collezioni nel calendario della moda organizzato dalla Camera Nazionale dell’Alta Moda. Nello stesso anno disegna i costumi di Silvana Mangano per il film Teorema di Pier Paolo Pasolini. Intanto continua a sperimentare e utilizza per le sue creazioni anche paglia, rafia e sassi, che mixa alla seta e all’alluminio, per la realizzazione di capi dal potente impatto scenografico. Ricordano le crisalidi certi abiti-scultura di Capucci, tra corazze di seta plissettata e ali lavorate, in un gioco di ardite sovrapposizioni e giochi barocchi, che modellano i tessuti e le sete come arabeschi, petali e ventagli, per capi che ricordano gli origami. Non semplice moda, non mera creazione di capi legati alla caducità delle tendenze stagionali, ma arte allo stato puro: il suo è un design onirico, caratterizzato da tagli astratti, continua sperimentazione e ricerca di tessuti e forme nuove. Tra i materiali usati spiccano il taffetà, il mikado, il Meryl Nexten, una particolare fibra cava.
SFOGLIA LA GALLERY:
Roberto Capucci al Phladelphia Museum of Art
Abito serpentine in organza tripla, Galleria del Costume di Palazzo Pitti
Una sfilata di Roberto Capucci
Abito Capucci, foto di Philippe Pottier,1962
Abito scultura in taffetà nero e bianco con sovrapposizioni multicolori, presentato nel 1992 a Berlino al Teatro Schauspielhaus.
Una creazione del 1966
Un capo del 1964
Philadelphia Museum of Art
Foto di Barry Lategan, 1982
Un capo del 1965
Restless Sleep (Sham Hinchey e Marzia Messina)
Nel luglio del 1970 presenta per la prima volta il suo lavoro in un museo, a Roma: la location scelta è il ninfeo del Museo di Arte Etrusca di Villa Giulia. Anarchico e scevro da ogni logica di mercato, esteta di antica tradizione, Capucci nel 1980 si dimette dalla Camera Nazionale della Moda e decide di intraprendere un percorso che sia in linea con la propria personalità, divorziando dalle istituzioni per dedicarsi completamente alla sua opera estetica. Il couturier si ritira in una creazione solitaria, avente un solo fine: l’arte. Genio ribelle, aborre le logiche di mercato, come anche le scadenze e il caos tipici delle settimane della moda. Alla base della sua attività vi è una autentica ricerca estetica, per abiti-scultura che sono vere e proprie opere d’arte da indossare. A partire dagli anni Ottanta le sue collezioni non vengono più inserite all’interno di alcun calendario ma vengono presentate come delle personali d’artista. La sua stagione espositiva inizia nel 1990 con la mostra Roberto Capucci l’Arte Nella Moda—Volume, Colore e Metodo a Palazzo Strozzi a Firenze: l’esposizione ottiene un successo senza precedenti e le sue opere vengono contese dai musei più importanti al mondo, tra cui il Kunsthistorihsches Museum (Vienna), il Nordiska Museet (Stoccolma), il Museo Puškin delle belle arti (Mosca), il Philadelphia Museum of Art, la Reggia di Venaria Reale (Torino). Nel 1995 le sue creazioni sono protagoniste della Biennale di Venezia, nell’edizione del centenario 1895-1995. Nel 2005 crea la Fondazione Roberto Capucci allo scopo di preservare il suo impotente archivio, che consta di 439 abiti storici, 500 illustrazioni firmate, 22.000 disegni originali, oltre che di una rassegna stampa completa e di una vasta fototeca e mediateca. Nel 2007 apre il Museo della Fondazione Roberto Capucci presso Villa Bardini, a Firenze. Nell’aprile 2012 la creazione di un concorso, con lo scopo di promuovere i giovani talenti.
Riservato, refrattario ad ogni forma di pubblicità, schivo, Capucci incarna forse l’ultimo dei couturier, i sarti-architetti che, come Cristóbal Balenciaga, hanno elevato la moda ad una tra le più potenti espressioni artistiche. Ribelle ed anarchico, fedele ai valori estetici della vecchia scuola, per Capucci “la moda non esiste”, è un’invenzione, al pari delle tendenze, ed “essere alla moda è già essere fuori moda”. Una personalità forte, che non teme di affermare con forza che, se potesse, abolirebbe lo stesso termine moda dal vocabolario. Maestro di stile, definisce l’eleganza come fascino, mistero, qualcosa che nulla ha a che fare con l’apparenza. Testimone impotente del decadimento dei costumi, giudice inflessibile rispetto alla volgarità imperante nella sua Roma e, più in generale, nella società attuale, Capucci ha più volte ribadito che oggi a suo dire non vi sarebbe alcuna icona di stile.“L’alta moda è morta” —tuonava così pochi anni fa, commentando le sfilate dell’alta moda romana. E proprio lui, che della moda è stato uno dei nomi più importanti a livello mondiale, esordisce spesso e volentieri dicendo: “Di moda non mi intendo affatto”. Gli occhi sagaci rivelano il suo ricchissimo mondo interiore, la sua eleganza è entrata a buon diritto nelle enciclopedie della moda. “Ho un solo vizio: spendo tanto in abbigliamento. Ho 42 cappotti, in tutti i colori, dal bianco al nero e all’arancione”, ammette il couturier in una delle innumerevoli interviste.
Universalmente riconosciuto come uno dei nomi più importanti della moda del XX secolo, Capucci ha vestito teste coronate e star del cinema: da Silvana Mangano al soprano Raina Kabaivanska a Rita Levi-Montalcini, che indossava proprio una creazione del Maestro in occasione del conferimento del Premio Nobel per la medicina del 1986. Nel 2007 è stato inaugurato a Villa Bardini (Firenze) un museo a lui dedicato: «A Roma non c’era posto per me; nessuno m’ha offerto un luogo per la mia Fondazione. Qui, invece, mi hanno steso un tappeto rosso». Commentava così il couturier, la cui attività è iniziata proprio a Firenze, nel 1951. Un nome che, da Roma e dall’Italia, ha conquistato il mondo. “Fai della bellezza il tuo costante ideale” è il monito lanciato da Capucci, summa di tutta la sua attività, dagli anni Cinquanta fino ad oggi.