In questa campagna referendaria abbiamo sentito di tutto. I toni sono stati quelli apocalittici dei momenti spartiacque e delle “scelte definitive”. Il tutto – nella tradizione della classica comunicazione manichea italiana – è stato notevolmente amplificato dalla diffusione di messaggi e contenuti via web e social network.
È stato detto che in caso di vittoria del NO: gli ospedali sarebbero stati chiusi, otto banche sarebbero fallite, le farmacie prese d’assalto, deriva autoritaria, impossibili nuove riforme, mafiosi impuniti perché nominati senatori, Italia fuori dall’euro, sangue infetto negli ospedali, debito pubblico fuori controllo, interessi alle stelle, ma anche “fase nuova della politica”, riforme vere, più democrazia, meno immigrati, basta con la sottomissione all’Europa.
È stato detto che in caso di vittoria del SI: PIL alle stelle, più occupazione, banche salve, Italia veloce, 500miliardi (poi diventati milioni) di risparmio ogni anno, ma anche che si sarebbero evitate ogni genere di sciagure, manco fossimo alle porte delle piaghe d’Egitto.
Abbiamo visto ogni genere di “compagnie di viaggio”: sul fronte del NO Travaglio ineditamente con Berlusconi e Brunetta, Grillo (la cosa sorprende meno) con Casa Pound e Forza Nuova, e tutti assieme a Marco Rizzo del PCI, la Lega Nord di Salvini e Fratelli d’Italia, con ANPI e qualcuno del Pd che non ha fatto mancare la sua adesione.
Sul fronte del SI abbiamo visto assieme i Verdini, i D’Anna, gli Alfano, i partiti delle autonomie insieme a Renzi, renziani della prima seconda terza e ultima ora, ma anche JPMorgan, FMI e qualsiasi istituzione c’entrasse meno che nulla.
I costituzionalisti sono stati davvero bipartisan: ne abbiamo contati in pari misura (anche per peso, spessore e autorevolezza) da entrambe le parti. Come si dice degli economisti, alla fine qualcuno che ci azzecca nel mucchio lo trovi sempre.
Nella rincorsa da tutte le parti al terrorismo psicologico ed alla polarizzazione estrema da fine del mondo e giudizio universale (quasi fossimo in un sistema bipolare chiuso e perfetto) guru della comunicazione e politici di ogni genere, specie, colore ed età si sono dimenticati che l’Italia ha un popolo strutturalmente di moderati, e che certi toni – che tanto si addicono al web in cui sono efficaci e pare facciano gruppo – non solo non aiutano le campagne, ma allontanano le persone dal voto. Il popolo italiano ha mostrato di votare secondo coscienza e lontano dalle indicazioni di partito in tutte le occasioni referendarie importanti, dall’aborto al divorzio ai referendum recenti.
A questo popolo io dico che dobbiamo andare a votare, perché è una scelta importante e non ci possiamo consentire il lusso di dire, il giorno dopo, che non “io non c’ero”. Vorrei che il mio popolo potesse scegliere sulla base di un testo, semmai letto “in parallelo”, tra la Costituzione attuale e quella proposta, e che prendessimo tutti atto che si vota su questo, e solo su questo.
Io, per precauzione e per chi volesse, la allego.
Il giorno cinque dicembre, la mattina ci alzeremo tutti comunque col sole (dietro o davanti alle nuvole). Usciremo di casa e andremo a lavorare come sempre. Non ci saranno dittatori né ospedali chiusi, non ci saranno file ai bancomat, non diminuiranno né aumenteranno gli immigrati, non avremo grazie a questo referendum più soldi in tasca, né il nostro PIL aumenterà vorticosamente, e nemmeno il nostro debito pubblico.
Se ci sarà una migliore legge elettorale (per la quale NON si vota) dipenderà da quello che farà il Parlamento il giorno dopo. Se ci sarà instabilità politica, un nuovo governo, questo non dipenderà dal Referendum Costituzionale, ma da quello che deciderà di fare il premier Matteo Renzi.
Il 5 dicembre ci vedremo per strada, come sempre, e ci prenderemo il nostro caffè, andremo al lavoro. E l’Italia serenamente sarà quella che tutti insieme decideremo con questo Referendum. Buon voto a tutti, qualsiasi sia la vostra convinzione politica e qualsiasi sia la vostra scelta di voto.
Riforma costituzionale
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Referendum, tra auto sfondate e cataclismi annunciati
Avevamo avuto tutti la sensazione che questa campagna referendaria fosse – un po’ a tutti – sfuggita di mano. Se ne serviva una (ennesima) occasione, Napoli, mai parca di partecipazione a queste sfide di “campagne oltre ogni immaginazione”, ce ne ha offerta una.
Il caso dell’auto del sottosegretario Lotti viene così commentato sul web “Sfondate le auto private del sottosegretario Luca Lotti e del consigliere Madonna durante una affollatissima manifestazione sul Referendum a Napoli. I leoni da tastiera iniziano a prendere coraggio ma restano dei vigliacchi.”
Cos’è avvenuto? Che l’auto (una Audi A4 nera) era stata parcheggiata in un posto isolato alla Doganella con uno zainetto in piena vista. La cosa non giustifica l’atto in sé in alcun modo, anche in zone in cui i furti in auto sono all’ordine del giorno. Forse qualcuno degli accompagnatori del sottosegretario avrebbe potuto anche mostrargli semplicemente qualche premura in più suggerendogli un posto meno appartato e di non lasciare lo zainetto in piena vista. E non c’è alcuna ghettizzazione “di quartiere” in questo. A mia madre lo stereo in macchina lo hanno rubato sfondando il vetro a via Crispi e in pieno giorno.
Ma cosa ha a che fare questo atto, criminale e deprecato quotidianamente dai cittadini comuni tutti i giorni, con il Referendum? Assolutamente nulla. Esattamente come quel Massimiliano Fedriga, deputato della Lega Nord, che arriva a sostenere che “con il Si avremo nuovamente casi di sangue infetto” (probabilmente di origine meridionale?) a causa della sottrazione di alcune potestà in tema di sanità alle regioni. O come il “bisogna votare No contro l’immigrazione”.
Così come ovviamente niente hanno a che fare coloro che il giorno della lotta alla violenza sulle donne, prima si mettono il logo sui social network e poi insultano la Boldrini e la Boschi sulle loro pagine. Sì, anche questa è violenza. Ma qualcuno non glielo ha spiegato.
La verità è che ormai viviamo in un clima generale di comunicazione tossica in cui vince chi grida più forte, chi la spara più grossa, chi è – sostanzialmente e bipartisan – più violento.
Abbiamo catastrofi annunciate da entrambi i fronti, da decenni di futura ingovernabilità se vince il No, a derive autoritarie se vince il Si. In realtà la governabilità deriva dalla classe politica eletta, e quindi è qualcosa che attiene più alle leggi elettorali ed ai cittadini che non all’esito del referendum. In realtà la deriva autoritaria è qualcosa che attiene più alla gestione ed alla vita dei partiti ed alle leggi elettorali che non a questa riforma.
Ma qualcuno ha scelto – per semplicità e incompetenza – che i cittadini debbano essere spaventati. Eppure – come ci ricordano spesso analisi, studi, sondaggi e statistiche – il popolo italiano è fatto di una maggioranza silenziosa e moderata. Che in definitiva, col senno di poi e a mente fredda e bipartisan, comunque vada, sceglie sempre con adeguata saggezza un panorama di eletti che rappresenta, comunque, il paese reale. E che ha votato “fuori dagli input di partito” nei casi in cui contava davvero. Come per l’aborto, il divorzio e la Repubblica. Che piaccia o meno a quelli delle “derive autoritarie” o dell’ingovernabilità.
Forse sarebbe il caso di parlare – con pacatezza e moderazione – e spiegare le ragioni nel merito a quel popolo (enorme) di moderati silenziosi e indecisi. Ma pare di chiedere troppo a chi si bea, ormai, di parlare solo a se stesso ed alle proprie (sparute) folle osannanti.
Per approfondire meglio proprio il tema della comunicazione referendaria, ho intervistato Mauro Cristadoro della TWIG – azienda specializzata nell’analisi dati e nella comparazione dei risultati.
Ascolta La social reputation del #ReferendumCostituzionale” su Spreaker.
I loro dati parlano chiaro: due mondi che si contrappongono, che non si parlano, che non dialogano, in cui ciascuno ormai parla solo al proprio pubblico.
Referendum costituzionale 2016: 8 punti cardine della riforma
A ottobre gli italiani saranno chiamati a votare il referendum costituzionale, ma per cosa si vota esattamente? Cosa cambierebbe con la riforma costituzionale proposta dal ministro Maria Elena Boschi? Ruolo e organizzazione del Senato, superamento del bicameralismo e nuova suddivisione delle competenze Stato/Regioni: ecco gli 8 punti principali della riforma che voteremo al referendum di ottobre.
1. La fine del bicameralismo perfetto. Se la riforma costituzionale diventasse realtà, l’approvazione delle leggi e la fiducia al Governo spetterebbero solo alla Camera dei Deputati. Questa diventa l’unico organo eletto dai cittadini a suffragio universale diretto, e assume la responsabilità unica di approvare le leggi ordinarie e di bilancio e di accordare la fiducia al Governo.
2. La riforma del Senato. Che ruolo assume allora il Senato? Si chiamerà Senato delle Regioni e sarà un organo rappresentativo delle autonomie regionali, composto da 100 senatori (rispetto agli attuali 315) e potrà esprimere pareri e proporre modifiche ai progetti di legge approvati dalla Camera. La suddetta, però, potrà rifiutare di applicarli. La funzione principale del Senato sarà quella di fare da punto di incontro tra lo Stato, le Regioni e i Comuni. Scomparirà anche la figura dei Senatori a vita: Carlo Azeglio Ciampi, Giorgio Napolitano, Mario Monti, Carlo Rubbia, Renzo Piano ed Elena Cattaneo resteranno in carica ma non saranno poi sostituiti.
3. Elezione del Presidente della Repubblica. Altra modifica della Costituzione riguarda l’elezione della massima carica dello Stato. Se al referendum costituzionale dovesse vincere il Sì, non parteciperebbero più i delegati regionali ma solo le Camere. Per l’elezione sarebbe necessaria la maggioranza dei due terzi dei componenti per i primi quattro scrutini, i tre quinti fino al sesto scrutinio e la maggioranza dei tre quinti dei votanti a partire dal settimo.
4. Soppressione del Consiglio Nazionale per l’Economia e il Lavoro. La riforma costituzionale del ministro Boschi prevede l’abolizione dell’organo, che ha una funzione consultiva in merito alle leggi sull’economia e sul lavoro ed è formato da 64 consiglieri. Abolirlo è un’abrogazione totale dell’articolo 99 della Costituzione.
5. Competenze Stato/Regioni. Il referendum di ottobre tratterà anche il ritorno di alcune materie di competenza dello Stato, come trasporti e navigazione, produzione e distribuzione dell’energia, sicurezza sul lavoro, ordinamento delle professioni, giusto per citarne alcune.
6. Referendum abrogativi e leggi d’iniziativa popolare. Cambiano i numeri necessari ai cittadini per proporre l’abrogazione di una legge o la creazione di una nuova. Se i cittadini che propongono il referendum sono più di 800mila, basterà che vada a votare il 50% più uno dei votanti alle ultime elezioni politiche (quindi non più il 50% degli aventi diritto). Per proporre una legge di iniziativa popolare serviranno 150mila firme, il triplo di quelle previste in questo momento.
7. La nomina dei Giudici della Consulta. I cinque giudici della Consulta non saranno più eletti dal Parlamento riunito a Camere congiunte, ma dalle singole Camere separatamente. Alla Camera dei Deputati ne spetteranno tre, al Senato gli altri due.
8. L’equilibrio nella rappresentanza. Nel testo della riforma costituzionale si legge: “Le leggi che stabiliscono le modalità di elezione delle Camere promuovono l’equilibrio tra donne e uomini nella rappresentanza”.