Eterea e suggestiva la collezione presentata da Giada Curti all’ultima edizione di Altaroma: un simbolismo dai risvolti onirici si unisce ad un’estetica influenzata da echi lontani e sontuose antichità. L’arte di Lawrence Alma Tadema ispira alla couturier una collezione impalpabile, che intende celebrare la femminilità in bilico tra sogno e realtà. Una Primavera/Estate 2017 che guarda alle vestigia del glorioso passato, reinterpretandone codici e stili, adattandoli alla contemporaneità: un intento didascalico che trova espressione nell’abito da ballo che si tinge ora di mikado e voile di seta. Impreziosito da bucoliche stampe floreali e finemente decorato con paillettes e striature a righe, l’abito lungo torna in auge e si adatta ora anche alle più giovani. Elementi archeologici si uniscono ad una visione quasi onirica della couture, che ripristina sfarzo e suggestioni luxury, a partire dalla location scelta per il défilé, i sontuosi saloni del St. Regis Rome Hotel, tra ispirazioni Art Déco ed opulenza barocca. Giada Curti riserva attenzione certosina per i dettagli: il particolare diviene portatore di inaspettate epifanie, in un gioco di rimandi storici ed allegorici. In passerella sfila una regina contemporanea che sfoggia copricapi impreziositi da fiori, in una cornice sfavillante, giardino segreto in cui rivivono nostalgici echi di un passato immemore. Le scarpe sfavillanti sono firmate da Valentina Gallo, che interpreta il mood sparkling prevalente nell’intera collezione. Largo a lunghi abiti in impalpabile chiffon di seta e crepe de chine. I gioielli sono firmati invece dall’estro di Alex Carelli: tripudio di ferro che si unisce alla magia di pietre preziose come l’acquamarina, l’ametista e le perle. Le borse piumate esaltano una femminilità sofisticata, vissuta con garbo e charme evergreen.
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GCDS sceglie Caroline Vreeland
Curve da capogiro immortalate in scatti dalle suggestioni vintage: il brand milanese GCDS (acronimo di God Can’t Destroy Streetwear) ha appena svelato in anteprima gli scatti della campagna pubblicitaria Primavera/Estate 2017. Testimonial d’eccezione è la bombastica Caroline Vreeland: viso angelico e curve esplosive, la it girl e cantante statunitense la moda l’ha impressa nel DNA, essendo la nipote della celebre fashion editor Diana Vreeland. Considerata una delle influencer più seguite al mondo e protagonista assoluta della vita mondana di Los Angeles, la bionda Caroline è stata immortalata in scatti ad alto tasso erotico, tra note pop e dirompente sensualità. Proprio al suo stile e al suo fisico esplosivo il brand emergente GCDS si ispira per la campagna pubblicitaria per la primavera/estate 2017: la collezione è stata presentata attraverso un lookbook e un cortometraggio, entrambi realizzati da Jason Lee Parry. La location scelta è la California, patria della modella. E lo stile predominante nella collezione di GCDS è quello tipico di una California girl: largo a costumi e shorts a stampa floreale, silhouette semplici e lineari e dettagli sportswear. Non mancano richiami ai Nineties negli iconici accessori e nel logo del brand, che recita “J’ADORE GCDS”. Rosso e giallo predominano nella palette cromatica, tra tocchi argentati e tripudio di rosa baby: una collezione deliziosa e sensuale, come gli scatti, che immortalano la Vreeland in pose ad alto tasso erotico accanto al modello Adonis Bosso, protagonista maschile della campagna. In lacrime dentro una macchina vintage rosa baby, o ancora immortalata sul letto in pose languide, Caroline Vreeland incarna perfettamente l’estetica del brand. Una sorta di luna di miele sui generis è quella rappresentata nel cortometraggio, girato a Los Angeles: una giovane coppia si ritrova nella cornice del #GCDSHOTEL, sulla scia di un amore dal retrogusto amaro. Il tema prevalente sembra essere la nostalgia: “Nessuno ottiene mai quel che vuole in amore. Lei voleva piangere”, così recita la didascalia sullo schermo. “Eppure lei rideva in quei giorni felici che non ritorneranno. Tutto sembra semplice finché non ci pensi”. Romantico e dark l’amore tra i due protagonisti si consuma in camere arredate in stile rétro.
Adriana Lima è il nuovo volto di Sportmax
Adriana Lima è il volto scelto da Sportmax per la campagna pubblicitaria primavera/estate 2017. La splendida top model brasiliana è stata ritratta da Roe Ethridge in scatti colorati e briosi, che accolgono la stagione primaverile con lo stile iconico del brand italiano. Una campagna pubblicitaria irriverente che immortala la bruna Adriana come una sirena, immersa nelle acque trasparenti di una piscina: sorridente e spontanea, la supermodella sfoggia i capi cardine della collezione, tra colori vivaci e grafismi caleidoscopici.
La campagna pubblicitaria indugia sui dettagli: ecco quindi che, accanto alle foto che immortalano la splendida Adriana Lima, fanno capolino particolari tipicamente estivi, come pesciolini e conchiglie. E proprio il pesciolino rosso diviene simbolo dell’intera collezione, che vede un tripudio di stampe e grafismi optical: la splendida supermodella sorride sott’acqua indossando un abito bianco impreziosito da grafismi che ricordano una spina di pesce e stampe che raffigurano proprio dei pesciolini.
Abbronzatura atomica, sorriso bianco e occhi da gatta, Adriana Lima interpreta alla perfezione il mood di Sportmax per la collezione PE2017: l’acqua diviene protagonista, che sia l’oceano o una piscina in cui scintillano i raggi del sole. Eleganza timeless pervasa da ironia e fluidità dei capi caratterizzano la collezione: glamour e minimalismo si bilanciano perfettamente, in una palette cromatica che indugia nei toni del bianco, del nero e del rosso.
Nata il 12 giugno 1981 a Salvador, Brasile, nelle vene di Adriana Lima scorre sangue portoghese, inglese, spagnolo e italiano. Mamma di due bambine, la splendida top model vanta già 20 anni di carriera alle spalle. Gli scatti di Ethridge per Sportmax la immortalano come una sirena metropolitana, mirabile interprete di una collezione che celebra la joie de vivre e lo stile italiano per eccellenza.
Punk in chiave vittoriana in passerella da Hyun Mi Nielsen
Lontana dalle ninfe silvestri di Dior e dalle piume di Chanel, la giovane griffe Hyun Mi Nielsen ha chiuso la settimana dell’haute couture parigina con le silhouette sobrie e le sue suggestioni gotiche. Minimale eppure suggestiva, la designer presenta una collezione malinconica e grintosa, in un connubio perfetto di note dark e citazioni vittoriane, che preludono ad una personalità esuberante. Largo a corsetti in mousseline di seta bianca ricoperti da tuniche trasparenti, tra veli e pizzi che danno vita a caleidoscopici ricami che tornano poi dipinti su giacche dal piglio grintoso. Quasi un fantasma la giovane donna bionda che sfoggia un abito vestaglia bianco impreziosito da rouches di veli: le ispirazioni gotiche sembrano predominare nell’intera collezione: membro invitato alla settimana della couture parigina, Hyun Mi Nielsen ha chiuso la kermesse. Dopo aver lavorato da Burberry, da Alexander McQueen e da Balenciaga e Givenchy, la designer coreana ha iniziato una carriera da solista. “Adoro creare con le mie mani, la sensazione di toccare. Amo instaurare un dialogo con il tessuto”, così ha commentato la stilista la sua attitudine per l’alta moda. Inquietante e onirica la donna che calca la passerella, tra volumi scultorei e sovrapposizioni teatrali di tulle ed organza effetto piuma. Largo anche a ricami preziosi su giacche lavorate a mano. “E’ una collezione molto personale, in cui esprimo la mia voce. Corrisponde ad un momento triste della mia vita, dopo un licenziamento, quando mi sono rimessa in discussione”, ha spiegato Christine Hyun Mi Nielsen, che ha creato il brand che porta il suo nome nel luglio del 2016, appena sei mesi prima di sfilare alla settimana dell’alta moda. La designer quarantenne di origine coreana è cresciuta a Copenhagen insieme alla famiglia adottiva. Successivamente il trasferimento a Londra, dove ha studiato moda presso il Royal College of Art and Design. Femminilità e dolcezza si uniscono ad un’allure vittoriana dalle suggestioni punk, in una collezione “ispirata a David Lynch”. Poetica e fragile, la donna Hyun Mi Nielsen incanta Parigi.
La couture sparkling di Yuima Nakazato
Giunto alla sua seconda esperienza all’interno del calendario ufficiale dell’haute couture parigina, il designer giapponese Yuima Nakazato ha presentato pochi giorni fa la collezione PE 2017. Un tuffo in una realtà virtuale, divenuta concreta grazie all’apporto delle nuove tecnologie: veniamo proiettati in un universo 3D in cui l’haute couture assume una dimensione fortemente contemporanea senza però perdere di vista il glamour più autentico. Appropriarsi delle tecnologie digitali è vissuta dal couturier nipponico come una necessità ed una scelta obbligata, dettata dalle vorticose trasformazioni che hanno rivoluzionato la società attuale. Similmente, secondo Nakazato, cambia e si trasforma anche il modo in cui la couture stessa dev’essere concepita: lo stilista parte quindi in una esplorazione delle tecnologie moderne nel tentativo di personalizzare la sua alta moda adattandola ai tempi in continuo mutamento. Proprio l’uso dell’high tech consente a Nakazato di creare un corpo di lavoro in cui ogni pezzo è realizzato senza l’aiuto di ago e filo, ma attraverso migliaia di componenti individuali che il couturier definisce “unità”: il risultato è una collezione estremamente originale che si esplica in pezzi iconici costellati di paillettes e cristalli preziosi. I materiali utilizzati sono infatti stati scelti accuratamente in virtù della loro capacità di riflettere la luce, dando vita a caleidoscopici giochi iridescenti, per una collezione dal mood sparkling e dalle note couture. Originale e giovane, la collezione è rivolta ad una clientela capace di abbracciare l’individualismo scegliendo capi che rifuggono dalla massa. Largo a caftani interamente tempestati di microcristalli, outfit perfetti per occasioni speciali. Tuttavia la collezione offre anche numerosi capi di facile portabilità. Ogni pezzo può essere indossato con facilità, adattandolo alle più svariate circostanze: è una svolta nell’haute couture tradizionalmente intesa, che con Nakazato si apre a nuovi territori inusitati pur mantenendo la sua intrinseca identità. L’intera collezione è pervasa da note vintage che strizzano l’occhio all’estetica di Paco Rabanne, talento futurista che oggi sembra rivivere nell’estetica di Nakazato.
La couture controcorrente di Antonio Ortega
Cosa accade se nel panorama dell’haute couture parigina sfila una voce fuori dal coro? La personalità non è mai un difetto ma può anche accadere che un designer si perda in ispirazioni multiformi che lo allontanano dalla sua identità originaria: è questo il caso di Antonio Ortega. Il couturier messicano sembra aver fatto un passo indietro con la sua collezione PE2017, che ha sfilato nel calendario dell’haute couture parigina. Rispetto alla collezione AI2016-17, presentata lo scorso luglio sempre a Parigi, la nuova collezione lascia l’amaro in bocca: l’estetica predominante non lascia dubbi sull’identità dello stilista. Anche stavolta abbondano i colori e i tagli sono caratterizzati da grande originalità, come anche gli inediti patchwork di tessuti e stampe. Ma l’uso di materiali grezzi e la mancanza di costruttivismo dei pezzi che sfilano sulla passerella segna un passo indietro nel percorso del couturier. I capi sembrano essere stati realizzati in un’improvvisata fucina domestica più che in un atelier: Ortega, unico designer latinoamericano presente alla settimana dell’alta moda parigina, si è sempre contraddistinto per la sua carica ribelle e per una personalità fuori dalle righe. Ambizioso e controcorrente, aveva preannunciato così la collezione che ha sfilato pochi giorni fa a Parigi: “Non ci sono dittatori nella moda”. Ortega, residente a Montreal, aveva affermato con orgoglio che la perseveranza era stata la chiave del successo che lo aveva spinto fino ad arrivare alla settimana dell’alta moda parigina. Il colore, da sempre cifra stilistica del suo brand, si unisce a suggestioni escatologiche, in una collezione che intende rappresentare il martirio della bellezza. L’icona di riferimento è Gesu Cristo, come si evince dall’acconciatura delle mannequin, che ricorda la corona di spine del martirio. Un tema particolarmente impegnativo, trattato però in chiave ottimista, tra colori vivaci e capi tagliati al laser. Tuttavia l’ispirazione primigenia avrebbe forse meritato ulteriori approfondimenti: non colpiscono i capi che coniugano inedite note sportswear accanto a rouches e balze. Non affascina la sua couture, privata di fatto di quella che è forse la caratteristica principale e la ragion d’essere dell’alta moda, ossia l’intrinseca e quantomai necessaria capacità di fare ancora sognare. Lo stilista, fervido difensore del multiculturalismo, è vissuto sempre in bilico tra tre culture, quella messicana, quella francese e quella canadese. Formatosi in Messico, nel 2001 Ortega si trasferisce a Parigi, dove studia disegno presso la scuola Chardon Savard. La sua moda politicamente impegnata, che si era contraddistinta per un’impronta di natura culturale, sembra aver subito un passo indietro con una collezione che non fa sognare. E in tempi come questi, sognare è diventata un’esigenza. Toglieteci tutto ma non la couture.
Sfila a Parigi la couture di Ziad Nakad
Se prediligete una couture che si snodi in uno stile semplice, magari intriso di suggestioni daywear, allora la sfilata di Ziad Nakad non fa decisamente al caso vostro: il couturier libanese, che ha presentato la collezione PE2017 nel calendario della haute couture parigina, ama invece abbondare in cristalli e pietre preziose, per uno stile caratterizzato da sfarzo ed opulenza quasi regali. La couture rivive con Nakad nel suo significato più autentico che trova espressione in sontuosi abiti da sera la cui realizzazione avrà reso necessarie ore ed ore di lavoro artigianale. Un’alta moda che si rivolge alle donne e che ne diviene amica, carpendone segreti e necessità, per uno stile da red carpet: in passerella sfila una parata di abiti da sogno, per una principessa contemporanea che nulla ha da invidiare alle protagoniste delle fiabe. La settimana dell’alta moda parigina da qualche anno a questa parte accoglie numerosi designer libanesi, ultimi portatori di un’allure oggi in netto declino in Europa e in Occidente. Da Elie Saab a Zuhair Murad fino a Tony Ward, lo sfarzo e il lusso sembrano prediligere il Libano, come terra elettiva nel cui DNA scorre uno stile evergreen. In un trionfo di chiffon, tulle ed organza sfilano collezioni che riportano la couture al glam originario: questa stagione occhi puntati su Ziad Nakad. Lo stilista, che sembra essere nato per la couture, porta sulle passerelle parigine un tripudio di capi da gran soirée perfetti per le amanti del lusso. Ma con lui nulla è scontato, a partire dalle silhouette, che vedono un’alternanza di gonne a ruota, proporzioni a sirena e jumpsuit interamente tempestate di cristalli ed indossate con un mantello en pendant: la collezione abbonda in materiali pregiati tra cui seta, crepe di seta, gazar, organza, tulle e pizzi. I tagli sono originali ma raramente vengono scoperte le gambe, eccezion fatta per qualche spacco. Cristalli, paillettes, piume, petali e foglie impreziosiscono i capi principeschi, con decorazioni rigorosamente handmade e preziose lavorazioni artigianali. Una couture mai banale che riesce nel talvolta arduo tentativo di offrire, accanto al lusso all over, variazioni e spunti inediti. Astenersi amanti del minimalismo.
La vestale di Antonio Grimaldi incanta l’Haute Couture parigina
Una dea, vestale di un’eleganza senza tempo calca la passerella di Antonio Grimaldi: il couturier romano, ex allievo di Fernanda Gattinoni, ha sfilato nel calendario ufficiale dell’haute couture parigina in qualità di membro invitato, patrocinato dall’ex direttore creativo di Givenchy, Riccardo Tisci. Un ingresso trionfale per Grimaldi, che porta nell’haute couture parigina il suo stile iconico, intriso di soave leggiadria e di sontuosa eleganza.
Sofisticata ed altera, la donna immaginata dal couturier si staglia sullo sfondo di un tempio, di cui diviene sacerdotessa e depositaria di formule millenarie: nella mirabile location del Salone Imperiale dell’Hotel Westin di Parigi, che un tempo accolse il genio di Yves Saint Laurent, ha avuto luogo un défilé suggestivo, il cui protagonista assoluto è stato lo stile, declinato su pepli monospalla impreziositi da intarsi e drappeggi. Pathos e poesia si alternano come fil rouge di una collezione PE2017 che omaggia il padrino di Grimaldi con un cuore cucito su un completo pantalone impreziosito da frange, outfit che apre il défilé, e sulla felpa nera che lo stesso couturier indossa a fine sfilata.
Ad ispirare Grimaldi è Afrodite, la dea dell’amore e della bellezza, che trova incarnazione nelle sue donne dal fascino algido e dall’allure mistica: sobrietà ed equilibrio di ispirazione neoclassica si ergono come principi cardine dell’estetica di Antonio Grimaldi. Sfilano lunghi abiti da sera in impalpabile chiffon di seta plissettata, tra linee pulite e geometrici virtuosismi stilistici: l’ispirazione ellenistica predomina, tra lavorazioni di alta sartoria e charme pudico. L’Olimpo trova incarnazione nelle donne che si alternano sulla passerella: tra citazioni letterarie ad alto impatto scenografico e suggestioni allegoriche passiamo in rassegna il vasto corollario delle divinità, in bilico tra l’imperitura forza della giusta Atena e l’ineluttabilità di un destino di cui tessono i fili le Moire.
A metà tra un’amazzone e una cariatide, sfila la donna Grimaldi, sfoggiando trasparenze seducenti e corpetti caratterizzati da microreti ricamate rigorosamente handmade. Una carrellata di 30 uscite in cui l’estro creativo del couturier romano trova espressione nei ricami e nelle lavorazioni preziose: dal suo atelier di Largo Argentina, lo stilista si è imposto all’attenzione del jet set internazionale, vestendo teste coronate e capi di Stato. Tra i suoi clienti le principesse degli Emirati Arabi e molte celebrities italiane ed internazionali, tra cui Moran Atias, Ornella Muti, Fiorella Mannoia. Dopo la sfilata ha avuto luogo un pranzo in onore del couturier, organizzato presso l’Ambasciata Italiana di rue de Varenne da Giada Magliano di Santasilia. «È un momento di svolta per la mia maison», ha ammesso lo stilista.
Romanticismo botticelliano in passerella da Franck Sorbier
Una ventata di aria fresca irrompe nell’haute couture parigina, grazie alla collezione di Franck Sorbier: primizie e leggerezza caratterizzano una sfilata più simile ad una performance live. Suggestioni bucoliche attraversano la passerella, in un tripudio di note silvestri che profumano di primavera. Franck Sorbier non è nuovo a coup de theatre: il couturier da sempre ama sorprendere il suo pubblico, unendo alla couture suggestioni artistiche e ardita sperimentazione. Il risultato è eccellente: nella mirabile cornice del Pavillon des Champs Elysées ha avuto luogo la sfilata PE2017. Largo a silhouettes fluide e volumi aerei declinati in una palette cromatica che omaggia l’immaginario poetico dello stilista: tra note silvestri e citazioni botticelliane sfila una primavera contemporanea, in cui dominano toni marroni ed arancioni. Un’ode alla bella stagione prende forma sulla passerella, che diviene quasi palcoscenico di una rappresentazione teatrale in cui la couture è pretesto per dare forma ad un’arte superiore. Una conversazione romantica consumata al chiaro di luna di un lussureggiante giardino diviene set ideale della sfilata, che vede le mannequin alternarsi sull’erba dei prati verdi. Eterea e leggiadra la donna Sorbier incarna alla perfezione il risveglio della natura e dei sensi, in un edonismo lussureggiante. Protagoniste indiscusse del défilé sono le bambine, uno stuolo di baby modelle che conferiscono una grazia senza pari alla sfilata. Candore e poesia si pongono come fil rouge della collezione, caratterizzata da grazia infinita. Ad ispirare la collezione l’opera di artisti come Georges Zipélius, Murakami Saburo ed Adolpe Braun. Nel 19esimo secolo Zipélius dava vita a tessuti caratterizzati da mirabili stampe floreali, immortalate poi dall’arte fotografica di Braun. Oggi le stesse stampe rivivono su seta ed organza nella collezione dello stilista, tra tecniche e pregiate lavorazioni rigorosamente handmade.
Il debutto di Galia Lahav nell’haute couture parigina
E’ tempo di debutti alla Paris Fashion Week: l’haute couture parigina si arricchisce in quest’edizione di nomi nuovi, tra cui spicca quello di Galia Lahav, designer israeliana già molto apprezzata a livello internazionale. Il debutto di Galia Lahav nel calendario dell’alta moda parigina segna una data storica, dal momento che per la prima volta una casa di moda israeliana viene invitata a presenziare nel calendario ufficiale della kermesse. La maison porta il nome della sua fondatrice, che disegna gomito a gomito con la sua assistente Sharon Sever. Una griffe che vanta 30 anni di storia alle spalle: Galia Lahav trent’anni fa scopriva il suo talento per il design di alta sartoria. La sua sensibilità e il suo estro successivamente la portarono a confezionare abiti da sposa e successivamente capi di alta moda. Da Israele la couturier divenne nota e apprezzata a livello mondiale. Il resto è storia: con l’ingresso nel calendario ufficiale dell’haute couture, la sua collezione PE2017 viene finalmente presentata ad un vasto pubblico durante uno degli eventi più importanti a livello mondiale. La collezione, intitolata “Victorian Affair”, punta l’accento sul pizzo di vittoriana memoria. Proprio l’età vittoriana diviene ispirazione prevalente per Galia Lahav, che parte dalla storia inglese lasciandosi influenzare anche da suggestive note da Belle Époque. In un tripudio di maniche a sbuffo e materiali preziosi si stagliano silhouette sensuali e colli vittoriani caratterizzati da caleidoscopici giochi di pizzi sovrapposti. Largo anche a corsetti e lavorazioni pregiate in una palette cromatica che abbraccia i toni del nero, del bronzo e dell’oro, tra tocchi di porpora e rosa antico. L’età vittoriana, nota anche per l’avvento dell’industrializzazione, diviene ispirazione anche per la sperimentazione di nuove tecniche artigianali, che la couturier mette a punto in una sfilata iconica e ricca di charme. Non mancano capi a sirena che enfatizzano la sensualità femminile, tra giochi di trasparenze ardite e omaggi all’Oriente.
La couture sperimentale di Maison Anoufa
Sperimentale e versatile la collezione presentata da Maison Anoufa durante la settimana dell’alta moda parigina. Una maison che vanta una lunga storia alle spalle: correva l’anno 1939 quando in Algeria i coniugi Anoufa aprivano la loro prima boutique. Successivamente, con l’aiuto dei loro figli, la griffe riuscì ad espandersi abbastanza rapidamente, e presto contava ben 3 negozi. Inoltre il brand già all’epoca creò le uniformi delle hostess e del personale aereo di Air Algeria. Nel 1949 la famiglia Anouga emigrò in Francia: qui aprì il primo atelier parigino, che contava all’epoca oltre 100 impiegati e produceva capi per brand del calibro di Chanel e Yves Saint Laurent, solo per citarne alcuni. Nel 1990 il brand è stato chiuso e i figli dei fondatori si sono ritirati. L’unico a scommettere sul glorioso passato della maison è stato il nipote di Bourak Anoufa, Ylan Anoufa, all’epoca troppo giovane per poter prendere in mano le redini del marchio di famiglia. Nel 2010, dopo 20 anni di pausa, Ylan Anoufa ha rilanciato Maison Anoufa insieme ad Anna Neneman. Ylan vanta una lunga esperienza all’interno dei più importanti brand americani ed è considerato uno dei massimi esperti al mondo nel design di moda. Anna Neneman è stata capo di FashionTV per 12 anni e produttrice di moda per brand internazionali: dopo essersi diplomata in fashion management alla Esmod di Parigi, si è imposta come esperta di moda a livello internazionale. I due sono le menti creative dietro Maison Anoufa: un brand che attinge al passato ma non lesina in sperimentazioni ardite. Le collezioni, sempre declinate unicamente nei toni del bianco e nero, sono state presentate in eventi esclusivi, come il Festival del Cinema di Cannes e l’haute couture parigina. Maison Anoufa ha degli showroom a Parigi e Varsavia, e produce anche linee di cosmetici, sportswear e abbigliamento per bambini. Sulla passerella parigina si alternano modelle col volto dipinto: largo a lunghi abiti in pizzo nero, tra trame intricate e giochi di trasparenze. Largo poi alla più ardita sperimentazione, per una collezione futurista e ribelle.