Papa Francesco ha spiazzato tutti ieri, parlando del ruolo delle donne nella Chiesa durante l’udienza con l’Unione internazionale delle superiori generali. Per secoli la presenza femminile nelle cariche religiose è stata quasi un tabù, ma Bergoglio è pronto a mettere in discussione la questione. La proposta è quella di permettere il diaconato femminile: si tratta del primo grado dell’ordine sacro, con cui si possono celebrare per esempio i matrimoni e i battesimi. Dialogando con le suore, Francesco ha raccontato di essersi posto la questione qualche anno fa con un «buon, saggio professore». Le donne diacono erano presenti nella Chiesa primitiva, ma il loro ruolo e le loro funzioni sono tuttora sconosciuti. «Mi sembra utile avere una commissione che chiarisca bene questo ruolo» ha detto il Papa nel corso dell’incontro.
Non è la prima volta che la questione del clero esclusivamente maschile e del ruolo della donna nella Chiesa vengono messi in discussione. Sembra che Bergoglio si è sempre interessato alla cosa, probabilmente influenzato dalla sua provenienza sudamericana. Lì le cariche clericali al maschile sono un vero problema per la Chiesa cattolica, tanto da favorire la partecipazione femminile alle sette. Subito dopo la sua elezione, Papa Francesco ha parlato di “teologia delle donne” e in una lunga intervista del 2013 ha dichiarato «Le donne stanno ponendo domande profonde che vanno affrontate. La donna per la Chiesa è imprescindibile. Il genio femminile è necessario nei luoghi in cui si prendono decisioni importanti. La sfida oggi è proprio questa». Ancor prima, nel Congresso Eucaristico di Siena 1994, era stato il cardinale Carlo Maria Martini a proporre di reinserire la figura delle donne diacono nella Chiesa cattolica. Proposta ripresa nel Sinodo dei Vescovi lo scorso ottobre dal reverendo Jeremias Schroeder, presidente della Congregazione benedettina di St.Ottilien, in Baviera, senza però avere alcun seguito.
Riprendendo il discorso sulle donne diacono ieri all’udienza dell’Uisg, Papa Francesco si è detto pronto a coinvolgere le donne nelle posizioni decisionali, auspicando «anche che possano guidare un ufficio in Vaticano». Non si tratta di femminismo, ha concluso il Pontefice, ma di «un diritto di tutti i battezzati: maschi e femmine».
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Il pontificato di Papa Francesco: 3 anni dall’elezione di Bergoglio
Era il 13 marzo del 2013 quando, affacciandosi dalla Loggia delle Benedizioni di piazza San Pietro, Jorge Mario Bergoglio si presentava al mondo come Papa Francesco, con quel saluto confidenziale e ormai rituale: Buonasera. Sono passati esattamente tre anni da quando il vescovo di Roma venuto quasi dalla fine del mondo, come lui stesso si definì quella sera, ha scardinato e ricostruito le certezze della Chiesa. Prendendo il nome di Francesco, il Santo della povertà e della misericordia, passo dopo passo ha promosso la politica dell’incontro e del perdono e oggi risulta difficile, credenti o no, pensare che la sua opera passerà inosservata. «L’unità si fa camminando – ha detto ai giornalisti lo scorso 12 febbraio, dopo aver incontrato Kirill, il patriarca della Chiesa ortodossa russa -. Una volta io ho detto che se l’unità si fa nello studio, studiando la teologia e il resto, forse verrà il Signore e ancora noi staremo facendo l’unità. L’unità si fa camminando, camminando: che almeno il Signore, quando verrà, ci trovi camminando». Seguendo questa filosofia, Papa Francesco ha trascorso gli ultimi tre anni camminando, metaforicamente e letteralmente. Dalla Bosnia alla Bolivia, da Cuba al Messico, giusto per citare alcuni dei viaggi compiuti dal Pontefice solo negli ultimi mesi. Perché nessuno si sentisse solo, perché quegli angoli quasi alla fine del mondo fossero coinvolti come e più dei Paesi che detengono il potere. Tanto da scegliere un luogo ferito, sanguinante e sofferente come Bangui nel cuore dell’Africa per l’apertura dmel Giubileo straordinario della Misericordia. Misericordia che arriverà per scelta di Papa Francesco in tutti i luoghi del mondo e a tutti gli individui compresi, per la prima volta, i detenuti.
Il cammino di Papa Francesco è stato spesso cammino verso l’altro, terminato in abbracci e strette di mano. Così Bergoglio è stato il primo Papa a entrare in un tempio valdese e in una comunità pentacostale, chiedendo perdono per le passate persecuzioni, e il primo Capo della Chiesa di Roma ad incontrare il Patriarca della Chiesa ortodossa. Affrontando a muso duro lo scandalo Vatileaks, è riuscito a non perdere credibilità neanche a livello internazionale, raggiungendo importanti risultati come l’avvicinamento storico tra Stati Uniti e Cuba e la pacificazione in Colombia, tenendo discorsi a Washington e all’ONU. In campo sociale, Papa Francesco si è distinto per l’attuazione più pratica dei precetti evangelici: esemplare in questo senso il gesto di accogliere i profughi in Vaticano, di fare installare delle docce per i senzatetto, di promuovere l’accoglienza di ammalati, indigenti e tossicodipendenti nelle parrocchie. Piccoli passi, certo, verso una maggiore coerenza della Chiesa e una più concreta apertura ai bisogni dell’altro, senza giudizi e condanne. Il cammino di Papa Francesco è ancora all’inizio, ma sicuramente la direzione è quella giusta.
Leonardo Di Caprio, Papa Francesco e Hieronymus Bosch
In attesa di ricevere il probabile Oscar come migliore attore per Revenant, Leonardo Di Caprio è stato ricevuto in udienza in Vaticano da Papa Francesco. Ne hanno dato notizia i mass-media di tutto il mondo. I quali hanno sottolineato la convergenza di vedute tra il divo hollywoodiano e il Sommo Pontefice sulla necessità, non più rinviabile, di richiamare l’attenzione di tutti sui grandi temi dell’ecologia e della salvaguardia del creato.
L’incontro si è concluso, come di consueto, con uno scambio di doni: il Papa ha regalato a Di Caprio un’edizione speciale della sua enciclica Laudato si’, dedicata appunto ai temi ecologici, mentre l’attore ha offerto al Pontefice un volume sui dipinti di Hieronymus Bosch, accompagnandolo con un ricordo personale: «Una raffigurazione della Terra di Bosch era appesa sopra il mio letto di bambino, l’aveva appesa mio padre. Per me ha sempre rappresentato il pianeta e l’utopia ecologica è stata un’ispirazione e una promessa di futuro» e commentando che le immagini di Bosch rappresentano ai suoi occhi un’efficace spiegazione del pensiero del Papa.
Bello e interessante tutto ciò.
Chissà se i due protagonisti dell’incontro si siano accorti di una circostanza, che qui desideriamo evidenziare.
Hieronymus Bosch è stato un grandissimo pittore fiammingo. Visse tra la fine del Quattrocento e l’inizio del Cinquecento a ‘s-Hertogenbosch, da cui deriva il nome, lui che in realtà si chiamava Hieronymus van Aeken, cioè Girolamo di Aquisgrana.
I suoi dipinti sono di una bellezza allo stesso tempo rasserenante e inquietante. Bosch, infatti, avvertì con straordinaria intensità il mistero della natura e della presenza dell’uomo nel mondo e rese con ardite strutture compositive e colori squillanti o tenebrosi questo senso di stupore davanti all’enigma della vita.
Il maestro fiammingo è un pittore davvero originale, anzitutto per la sua epoca. Egli visse fra il tramonto del medio evo e l’alba della modernità, ma, tutto sommato, in pieno rinascimento. Ebbene, se il rinascimento è proporzione, equilibrio, misura, limpidezza, i suoi dipinti sono esattamente l’opposto: in lui trionfa non lo splendore della creazione ma l’assurdità del mondo, non uno spazio matematicamente organizzato ma una spazialità spettrale e deforme, non un ideale di bellezza apollinea ma un’espressività esasperata e grottesca.
Anche per noi Bosch appare singolare e di difficile interpretazione. Ma forse, rispetto ai suoi contemporanei, noi siamo un po’ più fortunati: infatti siamo già stati educati (o, se si preferisce, diseducati) da Darwin, da Nietzsche, da Freud e seguaci a guardare la realtà con gli occhi non dell’evidente immediatezza bensì della trasformazione, del sogno, dell’inconscio, del surrealismo. E dunque le immagini di Bosch ci interpellano con straordinaria incisività, perché ci sfidano a oltrepassare il velo dell’apparenza per cogliere uno straordinario messaggio simbolico dentro il fluire delle cose e della loro opacità.
Interessante è l’interpretazione che Di Caprio ha dato dell’opera di Bosch collegandola con il pensiero di Papa Francesco. Basti pensare, ad esempio, all’inizio della Laudato si’, quando il Papa parla della natura come di una nostra sorella:
«Questa sorella protesta per il male che le provochiamo, a causa dell’uso irresponsabile e dell’abuso dei beni che Dio ha posto in lei. Sia¬mo cresciuti pensando che eravamo suoi pro¬prietari e dominatori, autorizzati a saccheggiarla. La violenza che c’è nel cuore umano ferito dal peccato si manifesta anche nei sintomi di malat¬tia che avvertiamo nel suolo, nell’acqua, nell’aria e negli esseri viventi».
Ecco: i quadri di Bosch sembrano la traduzione visiva delle parole di Francesco, sembrano riprodurre quasi alla lettera quei «sintomi di malattia» che testimoniano con crudele consapevolezza l’avvelenamento del pianeta. Cosa dire, ad esempio, di dipinti come il Giardino delle delizie o le Tentazioni di Sant’Antonio? Da una parte contempliamo la bellezza del creato, dall’altra l’esplosione del male che incendia i cuori umani e l’universo intero. È un monito, quello che promana dai colori di Bosch e dalle parole di Francesco: un monito a considerare la natura non una materia inerte a disposizione di ogni capricciosa ambiguità, ma ad accostarci al mondo con amore, verità e giustizia, rispettandolo nella sua autonomia e nella sua dignità.
E veniamo alla circostanza di cui si parlava precedentemente. Eccola: Bosch chiudeva gli occhi alla luce di questo mondo nel 1516. Quest’anno, dunque, ricorre il quinto centenario della sua morte.
È riecheggiata questa memoria nel dialogo tra Papa Francesco e Leonardo Di Caprio?
Non lo sappiamo.
Ma, se per caso fosse sfuggita ai due illustri protagonisti dell’udienza vaticana, lo facciamo noi per loro.
E, con animo sincero, ringraziamo il grande Bosch per aver donato al mondo i suoi mostri.
Così inquietanti.
E così belli.