I suoni con Maninni

INTERVISTA A MANINNI

Talent Maninni
Agency Astarte Agency
Photography Emanuele Di Mare
Styling Diletta Pecchia
Grooming Martina Belletti

I ritornelli aperti, quelli da cantare negli stadi. Maninni ci racconta la freschezza della sua classe 1997, con una consapevolezza di chi il mestiere lo conosce, e annulla così ogni stereotipo di chi vorrebbe incasellarlo nel nuovo prodotto discografico del momento studiato a tavolino. Non lo è, né in quello che dice, né in quello che propone. La sicurezza se l’è conquistata nei palchi calcati con le rock band in giovane età, e in questa epoca di social risulta anticonformista e insolito. Interessato agli obiettivi raggiungibili, non segue le mode e nel suo fa tendenza con il plus di chi non se ne rende conto.

Nel sentirlo raccontarsi traspare pienamente la volontà di sentirsi completamente artefice del proprio destino, ed è perfettamente dentro tutto ciò che fa, dalla produzione in studio, al palco di Sanremo. Imprenditore romantico di se stesso, sogna ma con i piedi saldi sulle mattonelle della casa dove scrive, a Bari, con uno sguardo fisso nel futuro che vuole scriversi da autore della storia, circondato da fidati collaboratori che valorizza con l’umiltà giusta di chi gli obiettivi li raggiunge.

Vi portiamo dietro le quinte di SNOB, e più che un’intervista, sembra di respirare l’atmosfera da soundcheck, fra cavi da sciogliere, e suoni ancora da fare.

Nei tuoi testi si parla spesso di porte, di pareti, di appartamenti. Si respira la capacità di creare ritornelli aperti (da stadio) e cantabili anche in una area circoscritta. Come ti senti in questo periodo della tua vita: sei più in un loft dopo Sanremo, o ti piace ancora l’idea del monolocale?

<< Gli stadi? Ci spero, me lo auguro. Per unire tanti cuori dentro uno stadio, significa che qualcosa di importante è successo davvero. Passo molto tempo in casa, mi piace essere legato alle mie abitudini, ai piccoli gesti che nella vita fanno la differenza. Sono certamente ancora quello di “Monolocale”, tanto che ho deciso di rimanere a Bari e non trasferirmi in una città che magari poteva darmi più opportunità. Voglio restare dove tutto è partito, mi aiuta a ricordare quello che sono, quello che sono stato, e quello che vorrei essere. >>

I tuoi pezzi sembrano scritti chitarra e voce, e poi arrangiati in studio. In alcuni pezzi infatti sembra che l’arrangiamento lasci spazio a dei momenti proprio crudi chitarra e voce, come percepisco possa essere stato al momento in cui li hai scritti. Ci racconti come avviene la scelta degli arrangiamenti e se ti piace dire la tua anche su questo aspetto della composizione?

<< Nasco come musicista, chitarrista nello specifico, anche se mi sono poi avvicinato anche al piano, alla batteria e al basso. I miei pezzi nascono chitarra e voce, o piano e voce. Mi hanno detto tempo fa “Potresti iniziare a scrivere anche su dei beat”, ma preferisco creare da uno strumento. Nel disco ho infatti inserito la versione acustica di “Spettacolare”, mi piacerebbe che chi ascolta quel brano si potesse sentire all’interno di una stanza insieme a me, come se fossimo in studio. Quando scrivo inizio così, chitarra o piano e voce, e poi mando una pre-produzione a Enrico Bruno e Marco Paganelli, i miei produttori. Mi sento fortunato perché danno fiducia a quello che faccio, ho trovato davvero la mia dimensione con loro. Sono maniacale dal punto di vista del suono, e sentirmi circondato da persone che mi lasciano dire la mia è rassicurante; in passato mi sono trovato a dover accettare dei compromessi su quello che proponevo, ma si perdeva l’essenza. Oggi ho trovato la mia dimensione. >>

Rispetto alla proposta musicale attuale si può dire che, nella sua immediatezza, sia proprio la tua l’offerta musicale più anticonformista: non utilizzi auto-tune, e proponi un pop rock con qualche sequenza. Hai mai avuto paura di non essere “di moda”?

<< Ma sai, ho un concetto molto chiaro di quello che è la moda. Seguire le mode non ti porta ad essere di moda; mentre lo fai qualcuno le ste già cambiando. Non ho reference chiare, non voglio somigliare a nessuno. Ammetto però che, quando sei sotto i riflettori, la paura di non essere alla moda c’è. A Sanremo ho sentito dire di essere “OLD”: a dire il vero ho apprezzato questa caratteristica, mi piace essere diverso dagli altri. La moda è ciclica, certe cose poi ritornano, e se vuoi essere autentico devi anche prenderti il rischio di non essere a passo coi tempi. Di recente ho ascoltato l’ultima di Tananai, e ho apprezzato che abbia scelto un arrangiamento con tutti gli strumenti: sembra paradossale, ma pare sia percepita come una cosa “moderna”. >>

Quanto realmente di tuo può esserci in questo momento, sotto contratto con una major? Abbiamo tanto sentito parlare di scelte vincolate, di libertà espressiva ridotta una volta nel sistema. Quanto del Maninni di 5 anni fa c’è oggi? Riesci appunto a sentirti autentico?

<< Ai discografici che dettano le regole vorrei ricordare che la musica è di chi la fa e poi di chi la ascolta, non di chi la sponsorizza. Se esistono le radio, le labels, è perché c’è un artista che quelle cose le ha create. Da questo punto di vista mi sento fortunato perché il team con cui lavoro crede in quello che faccio, sono libero. Non potrei mai fare questo mestiere senza sentirmi libero: fare musica è l’unica cosa che mi appassiona davvero nella vita, e voglio sentirmi così. >>

Total look Noskra
Shoes Dr Martens
Jewelry Aneis

Il pop rock che ti caratterizza ha lasciato spazio ad una ballad a Sanremo quest’anno (anche questa scelta anacronistica, e rispettosa della tradizione Sanremese). Molti altri concorrenti hanno puntato su brani veloci, quasi scritti apposta per tik-tok. Oggi, con il senno di poi, pensi di aver portato il brano giusto?

<< Alle pagelle dei giornalisti questa cosa delle poche ballad venne detta. Sapevo con cosa mi stavo scontrando, ma se avessi portato un pezzo più “social” non sarei soddisfatto di quello che ho fatto a Sanremo. Ho portato me stesso al 100%, non ho avuto paura del confronto. Le canzoni con ritmi più incalzanti magari performano di più sugli streaming, ma la musica non si misura con i dischi di platino. La musica ti fa rivivere quel momento, magari dopo anni che non ascolti quel pezzo. Ha bisogno di tempo. Tempo che non abbiamo più, con questi ritornelli da 15 secondi da usare da Tik Tok, che magari oggi vanno e domani sono superati. >>

Insomma, punti sulle canzoni che restano.

<<Sì. Il tempo è fondamentale: serve a farci capire delle cose, a farci affezionare. Comunque Maninni non è solo ballad, ma anche pezzi movimentati. Sono cresciuto con la musica rock: Vasco ha scritto “Sally”, ma anche “Rewind”>>.

Nella tua storia c’è anche un talent, Amici, qualche anno fa. Oggi, dopo un po’ di esperienza in più ed una bella visibilità nazionale, consiglieresti ad un ragazzo giovane di prendere parte ad un talent ?

<< Ma piuttosto suggerirei a quel ragazzo di chiedersi se è davvero pronto per un talent >>. 

Sentirsi pronti è una percezione soggettiva, e anche un po’ falsata quando si è giovani. Come ci si sente pronti? 

<< Se sei pronto lo senti. Il talent è un contenitore incredibile, ma è il contenuto quello che conta. Ti espone ad un pubblico vastissimo e comporta dei rischi anche psicologici. Se sei troppo giovane, c’è il rischio di schiantarsi contro qualcosa. Se sei pronto invece il talent ti può dare qualcosa. Io ho fatto un tentativo, rimpiango solo di aver avuto 18 anni, ero troppo giovane. Forse avrei aspettato un paio di anni. Prima di arrivare a quello step lì devi aver mangiato tanta merda. Se non arrivano le delusioni non impari nulla. >>

Il tuo nome viene spesso associato alla terminologia “indie rock” online. Come definiresti la musica indie oggi?

<<Indie per me non dipende dall’etichetta discografica ma significa essere indipendenti, non seguire schemi precisi per scrivere canzoni, non imporsi determinati tipi di sound, sei indipendente da quello che c’è fuori. Io sono un cantautore POP. >>

Quindi il termine POP non ti spaventa. 

<< No, anche i Maneskin per me sono POP. La musica POP è popolare, i Pink Floyd sono POP. Se Gilmour avesse cantato con l’autotune avrebbe spaccato ugualmente. >>

Raccontaci come è accaduta la tua partecipazione a Sanremo. Siamo curiosi di capire i retroscena, e se ti va dacci qualche dietro le quinte. Siamo SNOB, e anche un po’ curiosi.

<<Serata cover del venerdì, abbiamo bucato col van. Siamo rimasti fermi per mezz’ora, interviste spostate, un delirio. Col van fermo per strada però, provavo a scrivere il nome della mia canzone sui vetri, mentre pioveva, al contrario, per farla leggere da fuori. >>

Insomma, marketing anche nella cattiva sorte!

<< Non sono bravo col marketing in realtà, mi dico sempre che dovrei essere più social. >> 

Sei un artista Pugliese di origine, quindi non posso non pensare a tutto quel filone più legato alla scrittura in dialetto. Nei tuoi brani sento più una tendenza milanese, anche nella pronuncia vocale. Un tentativo in pugliese?

<< I Negramaro non hanno avuto bisogno di cantare in leccese, ma tutti sanno che sono Salentini. Non ci ho mai pensato, anche se parlo in dialetto a volte con gli amici >>.  

Hai un piano B nella vita? Qual è?

<< La musica può coprire tutti i piani, A,B,C,D. Mi piace molto stare anche dietro le quinte. Ho prodotto anche altri artisti, se non dovessi essere protagonista potrei produrre altri. Male che vada, andrò a suonare ai matrimoni. >>




Intervista a Tiziano Russo: racconto una realtà inventata

Tiziano Russo è ben conosciuto nel panorama musicale per aver diretto i video di artisti italiani come: Mina, Dardust, Nino Frassica, Chiara. Recentemente, è stato ospite con Boosta e Violante Placido presso Milano Film Festival, dove ha reso omaggio al grande Antonioni con lo spettacolo “Attraverso il Deserto, il Deserto Rosso“. Tra gli ultimi lavori, spiccano quello per i Negramaro in “Fino All’Imbrunire” e Francesco Gabbani in “La mia versione dei ricordi”.


Da dove nasce la passione per la sua attività? C’è, in particolare, un aneddoto?


Esiste in realtà un momento particolare della mia vita che coincide con l’inizio del mio sguardo su questo mestiere: una collana di 120 VHS del Corriere della Sera, grandi opere cinematografiche da collezionare; le acquistai tutte. Credevo di avere tra le mani un tesoro da difendere, senza conoscere bene i registi e i film. Ma giorno dopo giorno iniziai a divorarli e a studiarli, specialmente Polanski e Kubrick.


Ci sono dei registi che sente più affini al suo modo di vedere il mondo?


Seguivo molto Polanski. Crescendo, ho cambiato i modelli da seguire: da Sorrentino a Refn, da Iñárritu a Roy Andersson, non Wes. Cambiano i registi, ma restano i film. Non seguo un regista da seguire, anche se aspetto l’uscita di un autore in particolare, ma preferisco seguire le opere, i temi e le idee.


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L’ultimo videoclip dei Negramaro s’ispira ad un film di di François Ozon, in cui il bambino dotato di ali diviene metafora dell’amore che fin dai primissimi momenti di vita è aspirazione alla libertà. Com’è, invece, il suo rapporto con la libertà creativa?


Il video è esattamente la mia personale espressione di libertà: libero dai canoni audiovisivi, di ispirarsi a un film in particolare, di cambiare stile. Con l’ultimo video dei Negramaro ho voluto proprio questo, mettermi in gioco e azzardare un nuovo stile registico da allegare a un brano musicale. Credo di aver indirizzato il mio percorso su una strada artistica e creativa nuova. E mi piace.


In che modo riesce a conciliare la libertà creativa con la commissione dei lavori?


Una domanda delicatissima. Dipende molto dagli artisti e da chi commissiona il lavoro. Sicuramente ti scelgono per lo stile, e averne uno è già un gran passo avanti e facilita il rapporto regista/artista. Cerco di ascoltare molto la volontà del discografico, ma so ben di dover difendere le mie idee e i miei gusti. Il punto d’incontro è sempre il risultato migliore, quasi come quello tra artista e volontà del pubblico.


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Qual è o quali sono gli aspetti a cui presta maggiormente attenzione nella produzione di un videoclip musicale?


Durante la produzione pretendo che i reparti si conoscano e comunichino tra di loro. La migliore riuscita passa attraverso la comunicazione e lo scambio. I reparti devono ascoltarsi e scegliere insieme al regista le direzione: non si arriva sul set con idee diverse, ma con una grande in comune. Presto molta attenzione affinché tutti lavorino in questi modi; non si è registi solo sul set. La mia attenzione particolare, e spero si noti, è sulla fotografia e la narrazione. Una è più legata alla creatività visiva, la seconda all’idea e all’emotività. Inevitabili.


C’è un suo videocip musicale al quale si sente emotivamente più legato?


No. O meglio, sono molto autocritico e credo che il meglio debba sempre arrivare. ma sicuramente, l’ultimo dei Negramaro è un video che ha un contorno importante e molto personale. Lo rivedo spesso, e questo la dice lunga.


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Realtà e finzione. Come s’incontrano nei suoi lavorI?


La realtà è finzione. Nella realtà tutti fingiamo, e per quanto mi riguardo, nei miei lavori è inevitabile questo connubio. Racconto una realtà finta, inventata: è un paradosso che difendo. Se la puoi sognare, puoi anche raccontarla. E il sogno vive nella nostra realtà.


Se dovesse associare una sola parola al suo linguaggio, quale sceglierebbe? Perchè?


Il mio è un linguaggio lunatico, esprime molto quello che sono. Essere lunatici nell’arte è una gran fortuna: il dono di essere liberi e giustificati.


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L’ultimo suo lavoro l’ha visto confrontarsi con Deserto Rosso del grande Antonioni. Che sensazioni le ha regalato quest’esperienza?


E’ stata una bolla spazio-temporale, di quelle che scoppiano e ti chiedi se l’hai vissuta e vista per davvero. Antonioni è un punto lontano e mi sembra di averlo conosciuto bene, come un grande amico, per pochi giorni. E l’ho conosciuto grazie a un suo film; è questo il nostro senso della vita: essere conosciuti per quello che facciamo. Io ho conosciuto Deserto Rosso e Antonioni. In questo lavoro, Boosta e Violante sono stati due importanti compagni di viaggio. Abbiamo realizzato qualcosa di unico: una nuova forma d’arte, con molti limiti ancora, ma potenziali margini di miglioramento. Ci stiamo lavorando.


Quali sono i prossimi progetti che la vedranno protagonista? Può anticiparci qualcosa?


Non si finisce mai di scrivere, ma bisogna essere bravi a chiudere una storia. Attualmente sto facendo proprio questo. Sono in scrittura e impegnato nella lavorazione di nuovi videoclip per artisti italiani.


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I video di Tiziano Russo si contraddistinguono per la delicatezza delle storie raccontate e l’eleganza delle immagini che si susseguono, dove la malinconia s’intreccia inesorabilmente con la gioia. Ne deriva, quindi, il ritratto della vita in tutta la sua complessità, fatta di volti, dettagli, luoghi, idee ed elementi simbolici. La creatività è l’elemento costante con cui il regista condisce la realtà e la quotidianità, contribuendo all’elaborazione di un linguaggio del tutto personale, che intriga ed incuriosisce.


http://www.tizianorusso.com/

Francesco Lettieri: tra nostalgia, romanticismo ed ironia

Francesco Lettieri è attualmente ben affermato come regista di molti videoclip musicali nel panorama della scena indipendente italiana.


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Nasce a Napoli nel 1985 , una città a cui è ancora estremamente legato. I suoi inizi risalgono al 2006, quando inizia a girare i primi cortometraggi. Nel 2011, “Le storie che invento non le so raccontare” si aggiudica il premio come “Miglior corto autoprodotto” in occasione del Napoli Film Festival.


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Tra i suoi videoclip più noti spiccano: “Cosa mi manchi a fare” ed “Oroscopo” di Calcutta, “Del tempo che passa la felicità” e “La fine dei vent’anni” di Motta, “Completamente” e “Sold Out” dei The Giornalisti .


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La sua carriera come regista di videoclip inizia con Giovanni Truppi : amico ed ex coinquilino. Da lì in poi, Francesco Lettieri è stato contattato sempre più spesso da manager ed etichette discografiche. Ha, inoltre, collaborato con artisti come: Emis Killa, Nada, Luminal, Giorgio Poi e Liberato.


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I suoi inizi nel campo del cortometraggio sono stati essenziali per dare un’ impronta narrativa ai suoi videoclip, dove è evidente l’esigenza di voler raccontare qualcosa. La realtà e la quotidianità sono restituite agli occhi degli osservatori attribuendo grande attenzione ai dettagli o facendo ricorso ad una prospettiva insolita .


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I suoi soggetti sono, spesso e volentieri, avvolti da un’atmosfera in bilico tra il romanticismo e la malinconia. L’osservatore si ritrova, così, facilmente attratto o incuriosito dalla presenza di un bambino paffuto o da una ragazza che ride e canticchia: scene quotidiane che si trasformano nel pretesto per raccontare una storia. Ciò che sorprende è l’assoluta versatilità del regista napoletano: Francesco Lettieri riesce a raccontare brillantemente le sue storie in chiave ironica, con occhi nostalgici o in maniera semplice e spontanea, senza fronzoli.


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http://www.francescolettieri.com/

Flavio & Frank: “continuiamo a respirare musica e fotografia insieme”

Flavio & Frank rappresentano il connubio perfetto tra arte, musica e fotografia. Le loro immagini sono costruite attentamente a partire dall’equilibrio cromatico.

“Livography” è il nome dell’evento che avete presentato a Lecce, Milano e infine a Bari. DI cosa si tratta?

Liveography è il format che abbiamo immaginato pensando all’idea di un live della fotografia proprio come succede nella musica. Il nostro lavoro ci porta a passare intere giornate in studio, tant’è vero che lo consideriamo come fosse il nostro ambiente domestico; da qui l’idea di aprire le porte di casa ai nostri amici e conoscenti. Tra di loro ne individuiamo alcuni, ai quali scattiamo un ritratto che nell’arco della serata-evento viene stampato incorniciato ed appeso. I nostri ospiti prendono parte attiva ad una mostra che li vede allo stesso tempo attori e spettatori; l’ambiente è informale, fatto di divani, birre, vinili e mestiere. La prima data che ha avuto luogo a Lecce nel nostro quartier generale, ha generato un forte interesse. Ciò ci ha dato la possibilità’ di riproporre il nostro Livography a Bari e Milano. Nuove tappe sono in programma.

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La vostra ricerca fotografica, così come i vostri lavori, riguardano soprattutto il ritratto. Come vi ponete nei confronti del soggetto da ritrarre?

Instauriamo da subito un rapporto sul set con il soggetto, cercando di raggiungere l’intesa attraverso il dialogo che ci porta ad avere quelle informazioni fondamentali che ne definiscono i tratti essenziali della sua personalità. Crediamo profondamente che il mestiere del ritrattista non possa prescindere dal raggiungere prima di tutto la giusta complicità’ con il soggetto da fotografare, e quando questo accade, fa la differenza e ne andiamo fieri.

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Come nasce il vostro interesse per la fotografia? Raccontateci un aneddoto.

Non c’è stato un vero e proprio momento in cui è nato l’interesse verso questo mestiere, tutto si è evoluto in maniera naturale, siamo fratelli e figli di un fotografo, per noi era “normale” respirare fotografia sin da piccoli. Forse l’interesse vero e proprio è sorto quando terminati gli studi abbiamo affinato i nostri gusti estetici, trovato i nostri punti in comune e resi conto di avere chiare le idee sul nostro futuro lavorativo di coppia.

Come conciliate il lavoro in due?

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Con la stessa naturalezza con la quale 10 anni fa abbiamo iniziato a lavorare insieme. Sul set non facciamo differenza di chi sta dietro l’obbiettivo e il lavoro finale è sempre il frutto di una simbiosi perfetta. Siamo diversi ma complementari. Le nostre visioni ed approcci diversi, le differenze caratteriali convergono in una direzione comune, arricchiscono e danno al nostro risultato un valore aggiunto.

Musica e fotografia. In che modo questi due mondi si incontrano e trovano un punto di convergenza nella vostra fotografia?

La musica ha sempre accompagnato le nostre scelte e contaminato il nostro lavoro. Continuiamo a respirare musica e fotografia insieme. Molti dei nostri amici erano e sono tuttora musicisti e abbiamo mosso i nostri primi passi da ritrattisti fotografandoli. Ad oggi, quel percorso si è evoluto a tal punto da averci permesso di fotografare quasi tutti i musicisti del panorama italiano che continuano ad affidarsi al nostro occhio.



Social e fotografia. In che cosa la fotografia è stata influenzata dall’avvento dei social?

Sicuramente i social hanno contribuito ad un processo positivo che ha portato ad una sorta di democratizzazione fotografica. Noi stessi li adoperiamo quotidianamente nella fase di ricerca e “promozione”. Tuttavia, è innegabile che abbiano anche contribuito ad una sovrapproduzione di materiale visivo, con la conseguente perdita di valore intrinseco che la fotografia porta con sè sin dalla sua nascita.

Ci sono dei fotografi a cui vi ispirate o che hanno segnato il vostro cammino fotografico?

Rankin, senza dubbio ha lasciato un segno nel nostro quotidiano sin da quando abbiamo avuto l’opportunità di fare palestra sui suoi set. Eugenio Recuenco per gli stessi motivi. Guardiamo anche a chi ha fatto la storia: da David Bailey a Irving Penn, dalla Leibovitz ad Avedon, a Diane Arbus.

Bianco e nero. Che spazio occupa nelle vostre scelte fotografiche?

Abbiamo da sempre cercato di ottenere il giusto equilibrio cromatico, quindi il colore è alla base della nostra produzione fotografica. Negli ultimi tempi il bianco nero sta iniziando ad avere un ruolo significativo e tendiamo ad utilizzarlo sempre di più nel ritratto: lo stesso approccio che riserviamo al colore lo riproponiamo nelle sfumature di grigio del bianconero. Per quanto concerne il bilanciamento di luce e ombra, sia nel colore che nel bianconero adottiamo lo stesso modus operandi.

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Se doveste utilizzare una sola parola o immagine per definire la vostra fotografia, quale preferireste?

Poprock.

Ultima domanda. In che direzione intendete proseguire?

Ci definiamo attenti osservatori della realtà che innegabilmente ci influenza quotidianamente. Ne seguiamo attivamente il flusso cavalcandone l’onda cercando di mantenere integra per quanto possibile la nostra identità. Siamo anche noi curiosi di scoprire dove quest’onda ci porterà.

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La fotografia di Flavio & Frank è capace di tradurre attentamente in immagini la musica dei soggetti fotografati, dimostrando una peculiare attenzione verso il mood degli artisti ritratti. Attraverso la loro sensibilità fotografica e l’intesa che giorno dopo giorno hanno raggiunto, sono stati in grado di elaborare un linguaggio del tutto proprio. Non resta, quindi, che augurarli una carriera ricca di nuove sfide ed altri stimolanti traguardi.

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NOEMI: L’ENERGIA IN UN ACCORDO

Bella, solare, energica… così Noemi, tornata alla ribalta con la partecipazione all’ultimo Festival di Sanremo ed un nuovo album “Cuore d’artista” già entrato nella playlist dei suoi affezionati fan (e non solo). Un mix di accordi ben suonati e parole scritte che arrivano dritte al cuore, proprio come lei!

Noemi, un nuovo album e reduce dal Festival di Sanremo. Come è andata?

“Direi bene, anche se sono abbastanza critica con me stessa. La prima sera ero molto emozionata e la voce tramava, ma nelle altre mi sembra sia andata molto meglio. Il bilancio sullo scorso Festival è comunque molto positivo, sono felice di come è andata”.

“La borsa di una donna”, un titolo particolare per una canzone speciale. Perché hai scelto questo tema?

“ “La borsa di una donna” è un brano che ho sentito mio da subito, fin dal primo ascolto mi ha colpito tantissimo la delicatezza di un testo scritto da una penna maschile, che sapesse descrivere così profondamente il complicato mondo di noi donne.  Il testo che mi ha proposto Marco era perfetto per me, non ho davvero saputo dire di no”.

Il nuovo album come è nato e da cosa hai tratto spunto?

“Cuore d’artista” è un progetto a cui tengo molto perché a questo punto della mia carriera per me era importante tornare alla nostra musica, al pop italiano. Ho avuto la fortuna di lavorare con due persone con cui ho un grande feeling sia musicale che emotivo: Celso Valli (produttore del disco) e Gaetano Curreri. Queste collaborazioni hanno sicuramente apportato un valore aggiunto al mio progetto discografico”.
Sul palco trasmetti grinta, positività, determinazione: una volta scesa da li come è Noemi?

“Esattamente così! Sono una persona semplice, molto ironica ed esuberante”.

Cosa ti ha spinto alla musica nella tua vita (oltre ad un ovvio innato talento)?

“La musica mi ha permesso di trasformare le mie emozioni in canzoni. Ho trovato una strada per riuscire a comunicare con il mondo esterno”.

Da concorrente di X Factor a coach in The voice. Come ci si sente dall’altra parte della barricata?

“Sicuramente preferisco cantare e mi sento più a mio agio come concorrente che come coach… c’è sempre da imparare. Il ruolo del coach non è per nulla facile ma ho cercato di impegnarmi, di immedesimarmi in loro e di instaurare un buon rapporto. Spero di avergli trasmesso quello che so e di aver lasciato loro qualcosa. Dopo tre edizioni, sono molto affezionata al programma, e ancora oggi sono in contatto con i ragazzi, anche con quelli che non sono arrivati oltre le battle”.

Cosa pensi del panorama artistico musicale in Italia odierno?

“Ci sono tantissimi giovani che pensano che fare il cantante sia un lavoro semplice. Invece bisogna continuamente confrontarsi con il mondo e lavorare moltissimo”.

Con chi ti piacerebbe duettare?

“Ho tante colleghe splendide, ma sicuramente con Laura Pausini”.

Artista internazionale preferito/a?

“Adoro Janis Joplin, Erykah Badu, Amy Winehouse”.
Nella tua carriera annoveri anche una nomination agli Word Music Award. Un importante traguardo…

“A volte mi sembra ancora di sognare, non so, sento davvero di non dover dare mai nulla per scontato in questa vita incredibile”.

Parlando di traguardi, quali sono i tuoi prossimi obiettivi/progetti?

“Ora sto girando l’Italia per il firma copie dell’album. Il contatto con i fan per me è importantissimo. Infatti non vedo l’ora di portare sul palco anche questo nuovo album. Sto preparando il tour e spero a breve di comunicarvi tutte le date”.

Cosa è per te la musica?

“La musica è la mia vita da quando a 7 anni ho iniziato a suonare il pianoforte. Da piccola volevo fare addirittura il direttore d’orchestra, mi mettevo in piedi davanti allo stereo, infilavo un cd di musica classica e fingevo di dirigere”.

Nel tuo percorso universitario cinema e sceneggiatura: ti piacerebbe fare cinema?

“Cinema? Non saprei! Però mi sono più volte dedicata alla sceneggiatura e alla regia dei miei videoclip, mi diverte molto ed è sicuramente una mia grande passione”.

Un sogno?

“Solo uno? Tra i mie sogni, sicuramente c’è quello di avere un figlio. Un altro invece che ho da sempre sarebbe girare il mondo, magari andando a suonare in altri Paesi, in qualche posticino raccolto, per esempio a New Orleans in uno di quei club che trasudano storia, il tutto accompagnata  dalle persone che amo. E poi chissà, mi piace pensare che il bello debba ancora venire”.

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ANARCHYTECTURE: VIAGGIO AL CENTRO DEL ROCK FIRMATO SKUNK ANANSIE

A pochi giorni dalla sua uscita il nuovo disco del gruppo britannico è già in vetta alle classifiche

Poche parole ma tanti sorrisi. Così gli Skunk Anansie, capitanati dalla loro leader indiscussa Skin, hanno incontrato nei giorni scorsi i loro fans italiani, dopo l’uscita ufficiale lo scorso 15 gennaio di “Anarchytecture”, sesto lavoro della band britannica, secondo dopo la loro reunion avvenuta nel 2012 con l’incisione di Black Traffic.


Quest’anno, ancor più di allora, il rock ritorna a battere forte in ogni singolo pezzo cantato dalla “pantera nera”: in ogni brano intensi riff si uniscono alla voce acuta e profonda di Skin, per dare vita ad una compilation che traccia dopo traccia scuote e infiamma l’anima di quanti amano le sonorità rock. Un rock che in perfetto stile Skunk Anansie amalgama heavy metal con influenze punk rock e ibride funk, proprio come piace a loro che, mai come ora, sono apparsi nella loro forma più splendida con Cass al basso, Ace alla chitarra e Mark Richardson alla batteria. La formazione al completo dunque, capitanata da una Skin che, come sempre, trascina il gruppo, sicura e caparbia come non mai, consapevole di quella sua voce inconfondibile alla quale anche David Bowie, il mito, in una sua performance live, riproponendo Milk is my sugar, (uno dei successi supremi degli Skunk Anansie) aveva riservato il giusto onore con uno “Scusate Skin forse l’avrebbe cantata meglio”. Una sorta di benedizione quella di Bowie che diede ancora più forza ed al gruppo rock britannico.


Con Anarchytecture oggi gli Skunk Anansie ritornano e confermano ancora una volta quell’acclamata bravura e la loro unicità come gruppo che ama l’anarchia pur essendo consapevole di come essa, in fondo, non possa esistere nel nostro sistema. Da queste fondamenta trae origine il titolo del nuovo album, perfetta dichiarazione dell’antitesi tra anarchia e architattura. Un concetto interpretabile da ognuno in modo personale, proprio come per ogni singolo membro della band, per il quale “Anarchytecture” assume significati diversi, pur avendo come perno il concetto dello scontro di due cose diverse, capace di generare vibrazioni che gettano il seme della creatività. E in questa sorta di anarchia mista a razionalità e coerenza il gruppo britannico sta già scalando le classifiche di mezzo mondo, collezionando sold out ai concerti ( il 17 febbraio all’Alcatraz di Milano, il 14 luglio a Pistoia, il 15 a Roma e il 17 a Piazzola sul Brenta) e infiammando i cuori dei fans. Come lo scorso sabato allo store Mediaword del Centro Commerciale le Due Torri di Stezzano, in provincia di Bergamo, dove oltre 600 rockers hanno osannato i loro miti. E loro hanno risposto con sorrisi e gentilezza, dimostrando come anche le rock star hanno un lato tenero. Antitetesi perfetta, un’altra volta… in perfetto stile Skan Anansie.

ph: Daniele Trapletti

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Adele: quando la bellezza è curvy

Un viso angelico ed una voce unica: Adele è tornata dopo quattro anni con il suo nuovo singolo, Hello, che è già il pezzo più ascoltato d’autunno, e con ben 30 chili in meno.

Un video struggente, in delicate atmosfere filtrate da una luce seppia, molto retrò, ed un testo strappalacrime: ma Adele Laurie Blue Adkins, classe 1988, non è solo la voce più bella di questo decennio.

Uno stile raffinato l’ha contraddistinta dai suoi esordi: l’immancabile eyeliner, le ciglia finte e una classe oggi quantomai rara l’hanno portata, nel 2012, ad apparire sulla cover di Vogue America.

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Adele è tornata col suo nuovo singolo, “Hello”, mentre il suo nuovo album uscirà il prossimo 20 novembre

Eyeliner e ciglia finte: lo stile Adele
Eyeliner e ciglia finte: lo stile Adele

Adele fotografata da Mert Alas and Marcus Piggott con lo styling di Tonne Goodman per Vogue America, marzo 2012
Adele fotografata da Mert Alas and Marcus Piggott con lo styling di Tonne Goodman per Vogue America, marzo 2012


Ritratta da fotografi del calibro di Mert & Marcus, la sua fotogenia nulla ha da invidiare alle modelle professioniste. Il carisma fa la differenza, e la sua proverbiale simpatia catalizzano l’attenzione ad ogni sua esibizione pubblica.

Consacrata ad icona di stile e bellezza, la cantante britannica non ha nulla da invidiare alle colleghe taglia 40: un volto dai lineamenti perfetti, grandi ed espressivi occhi azzurri e labbra carnose, il biondo caldo di capelli ad onde e la sofisticata eleganza di icone della musica del calibro di Etta James ed Aretha Franklin, sue ispiratrici.

Il suo stile predilige suggestioni vintage, come i capelli cotonati e le unghie finte, tubini neri e pizzo, ma anche capi colorati. I chili in più non ne hanno mai scalfito la bellezza, ma nonostante ciò la cantante ha deciso di sottoporsi ad una dieta vegana, perdendo ben 30 chili. La cantante che ha venduto di più dai tempi dei Beatles adesso è tornata, più affascinante che mai.

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Il servizio pubblicato su Vogue America nel 2012

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Viso perfetto e labbra carnose per la cantante britannica

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Rossetto rosso lacca e sofisticata eleganza

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Adele Laurie Blue Adkins è nata il 5 maggio 1988 a Tottenham, Londra



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