Muhammad Alì, tra Malcom X e Donald Trump

Si ripete spesso che lo sport è formativo, che insegna regole e valori, e che forma i giovani. E che i veri campioni lo sono dentro e fuori dal campo.


Cassius, come molti afroamericani che lottavano per il riconoscimento dei diritti civili e contro la segregazione razziale si unì al movimento afroamericano Nation of Islam, quella di Malcom X, e cambiò legalmente il suo nome.
Nel 1967, tre anni dopo la conquista del campionato mondiale, Alì si rifiutò di combattere nella Guerra del Vietnam e per questo, fu arrestato e accusato di renitenza alla leva e privato del titolo iridato. L’appello di Alì fece strada sino alla Corte suprema degli Stati Uniti d’America, che annullò la sua condanna nel 1971. La sua battaglia come obiettore di coscienza lo rese un’icona nella controcultura degli anni sessanta.


Prima dello storico incontro con Foreman, Mohamed Alì incontrò degli studenti che gli fecero alcune domande.
Tra questi, uno studente gli chiese se lui fosse davvero “il più veloce”, e se questa velocità riguardasse solo il pugilato. Alì rispose di si e che la velocità è una forza che hai dentro.
Allora, incalzando, lo stesso gli chiese avesse potuto “battere” la poesia più corta mai pubblicata che era di sole quattro parole. Alì guardò i ragazzi e disse “la mia poesia ha solo due lettere”: “we” (noi).


Con l’avvicinarsi delle Olimpiadi pochi di noi possono scordare l’emozione di quella fiamma olimpica accesa da Muhammad Ali, nato Cassius Marcellus Clay Jr.: l’ultima sua battaglia, quella mano che a fatica era tenuta ferma, con braccio immobile, combattendo contro i tremori dell’alzheimer. 
E ci saremo augurati, per quel grande combattente che ha insegnato agli ultimi, ai diseredati, agli afroamericani come ai sudafricani a combattere per i propri diritti dentro e fuori dal ring, rispettando le regole, che quella fosse l’ultima sua battaglia. 
Gli avevamo augurato, in cuor nostro, di trascorrere l’ultima parte della sua vita “riposandosi”.
Ma sarebbe stato innaturale per lui.


L’ultimo suo atto pubblico è stato scrivere di suo pugno un messaggio di risposta a quel Donald Trump che ha proposto – da candidato presidente – di chiudere le frontiere ai musulmani.
Anche per Alì è stato troppo.


“Io sono un musulmano e non c’è niente di islamico nell’uccidere persone innocenti a Parigi, San Bernardino, o in qualsiasi altra parte del mondo. I veri musulmani sanno che la violenza spietata dei cosiddetti jihadisti islamici va contro gli stessi principi della nostra religione.
Noi come musulmani dobbiamo resistere a coloro che usano l’Islam per portare avanti i propri programmi personali. Essi hanno alienato molti dall’imparare a conoscere l’Islam. I veri musulmani sanno o dovrebbero sapere che va contro la nostra religione provare a costringere qualcuno a convertirsi all’Islam.
Credo che i nostri leader politici devono usare la loro posizione per sensibilizzare alla comprensione dell’Islam e chiarire che questi assassini hanno influenzato negativamente le opinioni dei cittadini su ciò che l’Islam è veramente.”


Ecco. Quando diciamo genericamente che si deve essere campioni nello sport e nella vita, ai giovani basterà ricordare questo grande pugile, capace di combattere senza risparmiarsi, e di un’infinita tenerezza.
E dovremmo semplicemente sapergli dire grazie. E scusa per il male che ti abbiamo fatto.

Morto Muhammad Alì, addio al campione di pugilato

Vola come una farfalla, pungi come un’ape” è una delle frasi di Muhammad Alì che si rincorrono sui social da questa mattina. Questa mattina che è stata sconvolta dall’annuncio della scomparsa del campione. Nato Cassius Clay, la leggenda del pugilato Muhammad Alì è morto stanotte all’età di 74 anni in un ospedale di Phoenix in Arizona, dove era stato ricoverato giovedì 2 giugno. Le sue condizioni di salute non sembravano così gravi, ma l’età del campione unita al morbo di Parkinson che lo affliggeva da trent’anni hanno fatto sì che la situazione degenerasse.


Campione del mondo di pesi massimi, oro olimpico a Roma nel 1960, Alì non era solo un grande sportivo ma anche un simbolo del movimento di liberazione dei neri negli Stati Uniti. Nel 1964, dopo la conversione all’Islam, ha cambiato il proprio nome dicendo “Cassius Clay è un nome da schiavo. Io non l’ho scelto e non lo voglio. Io sono Muhammad Ali, un nome libero. Vuol dire amato da Dio. Voglio che la gente lo usi quando mi parla e parla di me“. Da allora si è sempre battuto, dentro e fuori dal ring, sfidando anche il governo americano quando ha rifiutato l’arruolamento nell’esercito per motivi religiosi. Un lottatore su tutti i fronti, che ha combattuto strenuamente anche la battaglia contro la sua malattia. La sua mano tremante nell’accendere la torcia olimpica nel 1996 ha reso noto al mondo che soffrisse del morbo di Parkinson, ma per molti anni ha continuato a mostrarsi in pubblico per combattere le sue battaglie. Solo negli ultimi anni Muhammad Alì si era ritirato a vita privata, e nelle rare apparizioni pubbliche sembrava sempre più debole e sofferente. A ricordarlo con affetto la sua famiglia (è stato sposato quattro volte e ha nove figli). La figlia Laila gli ha dedicato un commovente ultimo saluto su twitter, pubblicando una foto del campione con la nipotina e scrivendo “Adoro questa foto di mio padre e mia figlia Sidney da piccola! Grazie per tutto il tuo amore e tutte le tue attenzioni. Sento il tuo amore e lo apprezzo“. Seguita a ruota da celebrities e giornalisti, fan e avversari storici che hanno espresso il loro cordoglio per la morte di Muhammad Alì.