Cara Delevingne: moda, addio

La notizia è di quelle clamorose ed è destinata a suscitare uno stuolo di polemiche. Cara Delevingne, una delle modelle più famose al mondo, ha dichiarato di voler ritirarsi dalle passerelle ad appena 23 anni.

Volto storico di maison come Yves Saint Laurent e Burberry, la top model inglese, classe 1992, si è detta vittima di un forte stress causato dalla vita frenetica a cui sono sottoposte le modelle. La grave forma di stress le avrebbe addirittura causato una forma di psoriasi.

Sguardo felino ed inconfondibile, folte sopracciglia che hanno fatto tendenza, la modella britannica è uno dei volti chiave del fashion biz. Una carriera iniziata nel 2009, a soli 17 anni, la Delevingne ha calcato le passerelle di Chanel, Fendi, Versace, Burberry, Victoria’s Secret ed è da molti ritenuta l’erede legittima di Kate Moss. Apparsa sulle copertine delle riviste più prestigiose, ritratta dai fotografi più famosi al mondo, Cara Delevingne è la modella che guadagna di più in assoluto.

Blasonata quanto basta, discendente dei baroni Faudel-Phillips, la top model non teme di apparire politically uncorrect con le sue dichiarazioni rilasciate in un’intervista al Times, secondo cui le pressioni imposte dal lavoro di modella l’avrebbero portata ad odiare il proprio corpo.

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Cara Delevingne su Vogue, luglio 2015

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Vogue UK, gennaio 2014


Niente peli sulla lingua per Cara, che si è sentita a suo dire a lungo sfruttata: femminista convinta, la top model britannica ha definito disgustoso il modo in cui ragazzine giovanissime siano costrette a posare in modo ammiccante, in un mondo fatto di enormi pressioni, competizione e sacrifici. Una vera e propria stigmatizzazione del fashion biz, mondo che l’avrebbe costretta a crescere troppo in fretta.

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Vogue Australia, ottobre 2013

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Foto di Peter Lindbergh, Vogue, maggio 2013


Espressività unica, bellezza anticonvenzionale ed un carattere ribelle, la Delevingne ha dichiarato la sua intenzione di volersi dedicare unicamente al lavoro di attrice. Già diversi film all’attivo, il suo è sicuramente un volto che buca lo schermo.

Talitha Getty, icona boho-chic

Una donna di rara bellezza, icona hippie chic ed incarnazione dello spirito bohémien degli anni Sessanta. Talitha Getty è stata protagonista di quegli anni. Le foto che la ritraggono insieme al marito Paul, vestiti con caftani damascati sul tetto di un elegante palazzo di Marrakech, sono diventate simbolo di un’epoca. Una rivoluzione all’insegna del mood gipsy.

Il flower power ha trovato una splendida rappresentante in Talitha Dina Pol. Nata nel 1940 a Giava, all’epoca facente parte delle Indie Orientali Olandesi, Talitha trascorre i suoi primi cinque anni di vita in un campo di prigionia giapponese insieme alla madre, per poi trasferirsi con lei a Londra nel 1945.

Talitha Dina Pol nacque a Giava nel 1940
Talitha Dina Pol nacque a Giava nel 1940

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Uno scatto di Elisabetta Catalano


La giovane ha il dono della bellezza e sogna di diventare un’attrice. Per questo si iscrive alla Royal Academy of Dramatical Art. Sangue misto nelle vene, un viso da copertina ed una bellezza selvaggia, Talitha incanta icone del calibro di Diana Vreeland, Rudolf Nureyev e Yves Saint Laurent, che ne fa la sua musa. Nureyev, dichiaratamente omosessuale, prova per lei una fortissima attrazione erotica, al punto che dichiara di aver pensato di sposarla. Il giornalista Jonathan Meades la definisce “la donna più bella che abbia mai visto”.

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La bellezza di Talitha Getty incantò Diana Vreeland , Rudolf Nureyev e Yves Saint Laurent

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Foto di Elisabetta Catalano, 1968


Nel 1965 avviene l’incontro che segna la vita della bellissima Talitha: ad un party organizzato da Claus von Bülow la ragazza conosce John Paul Getty Jr., magnate americano che sposerà l’anno seguente in Campidoglio, a Roma, indossando una minigonna in velluto bianco bordata di visone. La sua carriera di attrice è decollata qualche anno prima, e la giovane prende parte a sette film. Ma è il suo stile unico a destare l’attenzione dei media.

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Talitha visse a Roma dal suo matrimonio fino alla morte, avvenuta nel 1971
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Il caftano è il simbolo del suo look boho-chic
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Suggestioni folk in questo outfit
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Talitha Getty in uno scatto a Marrakech, Vogue gennaio 1970

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Kimono floreale per Talitha e camicia en pendant per il marito Paul Getty


Emblema dello stile wild degli anni Sessanta, Talitha mixa perfettamente il mood boho-chic con le suggestioni della Swinging London. Un look che privilegia caftani coloratissimi e preziosi e fiori tra i capelli e contaminazioni stilistiche. Frequenti sono i viaggi dei coniugi Getty a Marrakech: proprio questa diviene la location per il celebre servizio fotografico realizzato nel 1969 da Patrick Liechfield, che li immortala sul tetto del Pleasure Palace in caftani e gioielli etnici. Una coppia perfettamente assortita anche nel look.

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Sul tetto del Pleasure Palace, 1969
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Talitha e Paul Getty fotografati da Patrick Lichfield per Vogue, 15 gennaio 1970
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Talitha Getty a Roma

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Talitha in posa per Elisabetta Catalano


Nel 1968 Talitha ha una figlia da Getty e poco dopo decide di ritirarsi dal cinema. Una vita fatta di eccessi e finita tragicamente. Nel 1971 Talitha Getty muore nel suo appartamento a piazza d’Aracoeli a Roma, a soli trent’anni, per un’overdose di eroina e barbiturici. Ma il suo charme non smette di affascinare.

Baciami signora Luisa

Sarà Luisa Ranieri a portare sul piccolo schermo la vita della creativa che può essere definita uno dei pilastri dell’imprenditoria nel nostro Paese. A febbraio 2016, infatti, in occasione di San Valentino, andrà in onda la mini serie Rai dedicata a Luisa Spagnoli.


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Amore e genialità i capisaldi della sua vita. Prima moglie di Annibale Spagnoli, sposato in giovane età, poi amante di Giovanni Buitoni, suo partner nella vita professionale, divenuto in seguito amante.
A lei l’Italia deve due grandi esempi di imprenditorialità: la Perugina, fondata insieme al marito e a Buitoni, e la griffe di moda omonima. Fu appunto l’excursus della Perugina a fornire le basi, anche finanziarie, per la nascita della Luisa Spagnoli.
Concreta e testarda, nella drogheria aperta nel centro di Perugia, all’inizio della sua carriera, venne prodotto il primo “cazzotto”, cioccolatino meglio noto a tutti come il Bacio. Non contenta dei traguardi raggiunti, a seguito di un folgorante viaggio parigino, ebbe l’idea di impiantare nella sua terra la produzione della lana d’Angora, ricavata pettinando soffici conigli.
Intorno a tale piglio creativo si sviluppava, inoltre, un nuovo modello industriale. Con la Perugina e la Spagnoli, infatti, il centro produttivo diventava una vera e propria comunità autosufficiente dotata di asili nido, doposcuola, chiesa, strutture sportive e ricreative, a vantaggio delle madri lavoratrici. Tanto che il gruppo industriale divenne ben presto “benefattore” della cittadina umbra.


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Sophia Loren, Tza Tza Gabor, Dalida, Elsa Martinelli e Veruska, le dive che, negli anni 60, non potevano fare a meno dei golfini Luisa Spagnoli. Come documentato nel museo allestito in un’ala dell’azienda, dove tuttora il 90 per cento dei 600 lavoratori sono donne, vero esempio industriale “in rosa”. Attraverso le quattro sale dello stesso è possibile rivivere lo sviluppo della realtà, dagli albori fino ai giorni nostri, grazie a una raccolta di documenti cartacei, oggetti, capi e macchinari atti a evocare la rivoluzione operata dal marchio, che dal 1986 è portato avanti da Nicoletta Spagnoli in veste di amministratore delegato e presidente dell’azienda.


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La visita alla struttura (su appuntamento) è consigliata per documentarsi nell’attesa della fiction che appassionerà le nuove generazioni e arricchirà il patrimonio culturale di quelle che riconoscono la stessa come esempio di passione e imprenditorialità tipiche degli italiani.

Buon compleanno, Mademoiselle Coco!

Ci sono donne che con la propria forza sono riuscite a vincere anche contro le peggiori avversità che la vita può riservarti. Questa è la parabola della vita di Gabrielle Coco Chanel.

Un’infanzia difficile trascorsa a Courpière, la madre, cagionevole di salute, muore quando Gabrielle è solo una bambina, il padre assente, tra infedeltà coniugali e sperpero di denaro.

Gabrielle Bonheur Chanel nasce a Saumur il 19 agosto 1883. La piccola cresce in fretta perché la vita le impone di fare così e quel che resta della sua infanzia lo trascorre presso l’orfanotrofio di Aubazine tra le umiliazioni che le suore riservano agli orfani meno abbienti.

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Maglia nera e immancabile filo di perle: la classe di Gabrielle Coco Chanel in un ritratto di Boris Lipnitzki, 1936


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Ribelle nello scatto di Man Ray, 1935


“Se sei nato senza ali, non fare nulla per impedire loro di crescere”: un simile monito non può che venire da chi le difficoltà le ha vissute sulla propria pelle. Fino a quel primo impiego presso la sartoria di Madame Desboutins, a Moulins. Un impiego modesto, in un atelier del quale la giovane Gabrielle non condivide minimamente lo stile, da lei giudicato pacchiano e volgare; ma lì, dove quella ragazza bruna e dal gusto minimal viene additata come la peggiore delle provinciali, avviene la prima rivoluzione firmata Coco Chanel.

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Una giovanissima Gabrielle, foto di Alex Stewart Sasha 1929


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La stilista fotografata nel suo appartamento da Cecil Beaton, 1965


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Foto di Douglas Kirkland, 1962


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Ancora uno scatto di Douglas Kirkland: la sequenza si intitola “Three Weeks/1962”


Prima l’incontro con Étienne Balsan, ricco giocatore di polo dell’alta borghesia francese, poi l’addio a Madame Desboutins, la burbera titolare. Non un gesto di ubris ma una dichiarazione di stile e di assoluta coerenza con se stessa, per la giovane Gabrielle, che diviene in quel momento Coco. L’amore che Étienne prova per lei le porterà un solido aiuto materiale, ponendosi come deus ex machina per una donna geniale, che meritava per diritto divino di avere un posto nella storia.

Battagliera come nessuna, granitica, leonessa astrologicamente e non solo, Chanel è stata forse la sola designer ad avere attraversato due crisi fortissime ma ad essere riuscita a rialzarsi ambedue le volte.

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La classe di Chanel


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Parigi sullo sfondo


Il secondo amore è forse quello della vita e viene dalla grigia Inghilterra: scandaloso e proibito, perché spesso è così che iniziano le storie migliori. Anche Boy Capel aiuterà Coco, divenuta ormai forse troppo sicura di sé e troppo poco gestibile dal più insicuro Balsan, migliore amico di Capel. Quest’ultimo la aiuterà ad aprire il suo primo atelier a Parigi, al fatidico numero 31 di rue Cambon. Da lì è storia. Ma Coco restituirà all’amante l’intera somma ricevuta in prestito e offrirà per tutta la vita aiuto alla sorella Adrienne.

Durante l’occupazione tedesca Chanel fu la sola ad esser tollerata all’Hôtel Ritz, che restò la sua residenza anche in quegli anni. Generosa anche col nipote e con i suoi numerosi amanti più giovani, durante la vecchiaia, la sua vita ci insegna a non smettere mai di lottare e ad indossare sempre un girocollo di perle, of course.

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Coco Chanel nel suo atelier al 31 rue Cambon, Parigi 1937, foto di Boris Lipnitzki


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Storico ritratto della designer

Gli anni Sessanta secondo Henry Clarke

Uno dei maestri della fotografia del Novecento, precursore dell’emancipazione della donna e autore di scatti passati alla storia: tutto questo è stato Henry Clarke, uno tra i fotografi più prolifici e longevi, le cui foto sono state testimoni di quattro decenni, dagli anni Cinquanta fino ai primi anni Ottanta.

Tanti i generi sperimentati dal genio di Clarke: miriadi di scatti di moda e ritratti di personaggi celebri, il fotografo americano è stato arbiter elegantiae della moda italiana, francese e americana.

Nato nel 1918 in California, a Los Angeles, da immigrati irlandesi, Clarke cresce in un periodo attraversato da numerose correnti culturali. L’esperienza della guerra fa da spartiacque tra il vecchio e il nuovo. Il giovane Henry si avvicina alla fotografia di moda nel 1948, dapprima a New York e poi trasferendosi a Parigi.

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Marina Schiano, 1968


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Ancora la Schiano, 1968


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Editha Dussler in Paulina Trige, 1966


L’immaginario collettivo di quegli anni era dominato dai due fotografi di Vogue Cecil Beaton e Horst P. Horst, entrambi fautori di un’estetica quantomai radicata nella tradizione. Ma si avvertiva sempre più l’esigenza di un cambio di prospettiva, che auspicava un ritorno ad una fotografia più radicata nella realtà. Lo stesso Clarke studiò le foto di Beaton, Horst ed Irving Penn, ma familiarizzò con una macchina fotografica più piccola, la Rolleiflex, a suo avviso capace di portare l’auspicato cambiamento di prospettiva.

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Lauren Hutton in un caftano dorato Thea Porter, Vogue UK, dicembre 1969


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Simone d’Aillencourt, 1966


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Wilhelmina Cooper davanti alla dea Maishasur Mardini in un abito Madame Grès, Jodhour, India, dicembre 1964


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La modella Samantha Jones in un caftano dalle stampe optical Livio de Simone, India, giugno 1967


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La modella Samantha Jones davanti al tempio dei guerrieri Chichén Itzá, Messico, 1968


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Modelle davanti le rovine di Xochicalco, fuori da Guernavaca, in abiti che ricordano i pepli greci, 1968


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Samantha Jones in Emilio Pucci, 1967


Clarke fu allievo del vero rivoluzionario della fotografia di quegli anni, Alexey Brodovitch, presso la New School for Social Research. Fu qui che Clarke imparò forse la lezione più importante: come unire la fantasia che serve alla moda con l’energia tipica del reportage. Nel Dopoguerra imperversava uno stile ancora classico e fortemente radicato nella tradizione. Erano gli anni del New Look di Christian Dior, ma si avvertiva sempre più l’esigenza di dare voce ad un nuovo tipo di donna. Life Magazine aveva tristemente testimoniato il conflitto belli o con drammatici reportage fotografici dalle zone di guerra, ma Vogue continuava a commissionare lavori brillanti a Cecil Beaton, relegando la moda in un mondo che appariva talvolta ovattato e lontano dalla realtà.

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Fotografie come opere d’arte


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Henry Clarke viaggiò in moltissime parti del mondo per il suo lavoro, come l’Iran


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I bellissimi paesaggi dell’Iran ritratti da Henry Clarke in foto suggestive


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Scatti unici a metà tra moda e reportage


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Marisa Berenson spicca in una foto scattata in Iran


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Editha Dussler ritratta come una dea tra le rovine romane di Palmira, Siria


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Isfahan, Iran, Vogue dicembre 1969


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Marisa Berenson in un caftano dorato Tina Leser, 1967


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Ancora la Berenson in caftano Halston, 1969


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Le meravigliose stampe Emilio Pucci, 1966


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Editha Dussler, Vogue giugno 1966


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Veruschka, Vogue 1 Dicembre 1966


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Editha Dussler su una spiaggia deserta, Vogue 1 Dicembre 1966


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Sempre la Dussler, Vogue 1 dicembre 1966


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Veruschka in tunica Pauline Trigére, Marocco 1964


La suggestiva location di Petra, 1965
La suggestiva location di Petra, 1965


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Isa Stoppi per Vogue UK 1966


Una prima rivoluzione iniziò con Irving Penn e  Richard Avedon, che portarono il reportage all’interno della fotografia di moda. Clarke iniziò a scattare foto per stilisti celebri, tra cui Dior, Fath, Balenciaga e Chanel. Le sue foto degli anni Cinquanta sono state spesso paragonate al lavoro di Irving Penn per quanto concerne il concetto di eleganza femminile; ma in Clarke manca quel particolare rigore formale e tecnico, come sostenne Nancy Hall-Duncan. In quel periodo egli stesso si fece promotore del risveglio culturale e stilistico dell’America e dell’Europa, coi suoi celebri scatti per riviste del calibro di Femina, Harper’s Bazaar e Vogue, e coi suoi ritratti di personaggi celebri, come Anna Magnani, Coco Chanel, Truman Capote, Cary Grant, Monica Vitti e Sophia Loren.

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Veruschka in Jean Louis, 1965


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Veruschka posa per Vogue, 2 aprile 1972


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Barbara Carrera, foto del 1971


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Castello San Nicola L’Arena, vicino Palermo, Vogue 1 dicembre 1967


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La modella Barbara Bach fotografata a Villa Trabia, Palermo, in un abito Leslie Fay, Vogue 1 dicembre 1967


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Veruschka in Valentino, 1 novembre 1966


Dalla metà degli anni Cinquanta firmò per David Libermann un contratto di esclusiva per le edizioni francese, americana e britannica di Vogue e iniziò a fare numerosi viaggi che lo portarono in giro per il mondo: Messico, Brasile, Spagna, Portogallo, Turchia, India, Iran, Siria ed Italia.
Ma è il decennio successivo che lo consacra al mito: grazie a Diana Vreeland, editor di Vogue, in questi anni Clarke ha ritratto magistralmente la donna moderna. Questa è la parte forse più interessante e più sottovalutata del suo lavoro, ossia l’essere riuscito, per primo, a ritrarre e testimoniare la portata storica della rivoluzione dei costumi sessuali che stava per avere luogo in quegli stessi anni.

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Veruschka in Emilio Pucci in un editoriale voluto da Diana Vreeland, ambientato sulle rive del Tanganica, Tanzania, Vogue 1 gennaio 1965


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Veruschka in una villa a sud di Roma, con un caftano giallo e una pashmina Ken Scott, novembre 1965


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Istanbul, Turchia, Vogue dicembre 1966


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Cherry Nelms in top e gonna Brigance fotografata in Portogallo, Vogue giugno 1952


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Ancora Sherry “Cherry” Nelms a Olhao, Portogallo, con un bikini Calypso, Vogue giugno 1952


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Cherry Nelms a Palermo, gennaio 1955


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Abito in seta Bonnie Cashin, 1952


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Moyra Swan in total look Anne Klein e cappello Cerruti, Spagna, 1969


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Abito gipsy di Donald Brooks, Spagna 1969


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Editha Dussler a Göreme, Turchia, abito di Chester Weinberg, dicembre 1966


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Viviane, 1974


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Altro scatto ambientato in Cappadocia, Göreme, Vogue 1 dicembre 1966


Le foto di Clarke degli anni Sessanta hanno per protagonista una donna moderna, che viaggia in tutto il mondo, indipendente, autosufficiente, sicura di sé. Scatti a colori ricchi di suggestioni etniche, con location mozzafiato. La sua donna è una dea indiana vestita di sari e caftani preziosi, una sacerdotessa che danza per raccogliere il favore degli dei. Cosmopolitismo ante litteram nelle sue foto che ritraggono donne gipsy, vestite secondo i costumi e le tradizioni dei singoli Paesi. Styling elaborati per nuove dee del sole, o zingare extra lusso che girano il mondo cavalcando un mulo, o ancora donne dall’eleganza moderna e rivoluzionaria, ritratte in costumi da bagno Emilio Pucci. Amante del barocco siciliano, celebri sono i suoi scatti ambientati a Palermo, Monreale e Bagheria. Su consiglio della contessa Consuelo Crespi, editor di Vogue US, scattò spesso in antichi palazzi della Capitale, come in quello di Cy Twombly. Suggestive le sue foto all’Eur, ad Ostia, ma anche in Turchia, Iran, tra le rovine di Argira, in Messico tra i templi maya ed aztechi e in Portogallo. Foto come reportage etnografici, con una partecipazione talvolta attiva della popolazione locale, come nello scatto con Isa Stoppi tra gli indios. Capolavori di una modernità impensabile per l’epoca.

L’arte azteca e amerindia, suggestioni indios e rovine di templi induisti diventano protagoniste e si rivelano le location più idonee per dar vita ad insuperabili capolavori di stile. In questo periodo Clarke ritrae modelle del calibro di Veruschka, Marisa Berenson, Benedetta Barzini, Marina Schiano, Isa Stoppi, Simone d’Aillencourt. Un cambio generazionale notevole, per un fotografo che aveva iniziato invece negli anni Cinquanta, ritraendo una femminilità assolutamente diversa. Proporzioni, set, outfits e location: tutto è in mirabile equilibrio nei suoi scatti, vere e proprie opere d’arte.

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La modella Isa Stoppi


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Marisa Berenson in Sardegna indossa un costume Pucci, 1967


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Un altro scatto con la Berenson nelle coste della Sardegna, 1967


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Benedetta Barzini in Emilio Pucci, 1968


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Veruschka in Givenchy, 1966


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Marisa Berenson e Benedetta Barzini nella casa romana di Cy Twombly in abiti Valentino, 1968


Nonostante i numerosissimi viaggi, Clarke restò per tutta la vita residente a Parigi, e morì nel sud della Francia nel 1996. Una retrospettiva sul suo lavoro fu allestita al Musée Galliera di Parigi tra l’ottobre 2002 e il marzo del 2003.

Madonna, auguri alla Regina del Pop

È la pop star che ha maggiormente influenzato la cultura visiva e musicale nonché la moda degli ultimi trent’anni. Simbolo di trasgressione ma anche raro esempio di come si possa gestire con intelligenza un successo senza precedenti, quando si ha faticosamente lavorato per raggiungerlo.

Madonna Louise Veronica Ciccone compie 57 anni il 16 agosto, ma non è invecchiata affatto dai suoi esordi. La stessa sfrontata esuberanza di Holiday, il suo primo grande successo del 1983 e la stessa sensualità di Like a Virgin, canzone che l’ha resa un mito.

Madonna ha creato un nuovo modo di concepire la bellezza: non particolarmente alta, l’origine italiana appariva chiara nei suoi lineamenti marcati e nelle curve, ha costruito un’immagine di sé sofisticata e glamour, mirabile manager di se stessa ed esempio vivente di come una grande self-confidence possa tradursi in reale bellezza fisica.

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È il carisma a fare la differenza e lei ne ha sempre avuto da vendere. Icona del post femminismo e della fratellanza universale, dell’amore gay e promoter dichiarata di valori come il rispetto e l’amore per il prossimo, Madonna è un’artista da record, entrata anche nel Guinness dei Primati come la donna ad aver venduto di più nella storia della musica.

Arrivata a New York nel 1977, appena diciannovenne, compare in Born to be alive di Patrick Hernandez. Sensualità prorompente, ironia e autoironia, nel 1985 recita da protagonista in Cercasi Susan disperatamente. Nello stesso anno, ancora acerba ma perfettamente consapevole, posa nuda per Playboy e Penthouse e cita la Marilyn de “Gli uomini preferiscono le bionde” nel video di Material Girl. Indimenticabili le sue performance, come il tour scandalo in cui si fa crocifiggere. Capace di trasformare in arte la più sfrontata ma mai sterile provocazione: in Like a Prayer fa scandalo con un video giudicato sacrilego dal Vaticano, in cui simula amplessi con una statua sacra e riceve le stigmate. Tra le suggestioni mediterranee e blasfeme del videoclip, censurato in Italia, la diva anticipa anche lo stile tipico di Dolce & Gabbana, di cui sarà per molti anni musa iconica e testimonial.

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Ape regina per vocazione ed indole, influencer e trendsetter, Madonna ha rivendicato sempre valori quali l’autonomia e la fratellanza. Splendida musa di Jean Paul Gaultier, lo stilista creò per lei il corpetto a cono nel 1990, protagonista indiscusso del tour Blonde Ambition Tour.

Nel 1995 arriva la memorabile interpretazione di Evita Perón per la regia di Alan Parker, che si rivela un inaspettato successo di pubblico e critica. Nello stesso anno posa per le celebri foto di Mario Testino e poi di Steven Meisel, che la immortala come una biondissima dea in abiti peplo firmati Gianni Versace, per la campagna pubblicitaria di quest’ultimo. Una diva patinata dalle forme esplosive e dalla vita costantemente sotto i riflettori: un’immagine non molto diversa dalla realtà.

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Il 1996 è l’anno della maternità: nasce la prima figlia, Lourdes Maria, avuta dal personal trainer Carlos Leon. Nel 1998 arriva l’amore per il regista inglese Guy Ritchie, presentatole da Sting. Ritchie nell’agosto del 2000 la renderà nuovamente madre, con la nascita del secondo figlio, Rocco.

Arriva il Duemila e se tante sono le meteore che si succeguono nel mondo della musica senza lasciare traccia di sé, Madonna è ancora lì, granitica e più che mai in auge, capace come nessuna di reinventarsi, in una perenne trasformazione. Confessions on a Dance Floor, album del 2005, ce la ripropone tonica come non mai, strizzata in body rosa shocking dalle suggestioni glam anni settanta. In bilico tra un viscerale bisogno di trasgredire e un desiderio di meditazione spirituale, dopo il divorzio da Ritchie ha sdoganato i toy boy. Oggi è musa di Givenchy di Riccardo Tisci e di Fausto Puglisi.

Bellissima anche nella maturità, continua a regalarci emozioni con il suo ultimo album dal titolo evocativo, Rebel Heart. Profetica iniziatrice di un nuovo mondo, negli scenari post atomici proposti nel video di Ghosttown, e giocosa nel duetto con Nicki Minaj, Madonna continua ad essere la Regina indiscussa del pop.

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Patricia Field e lo stile: da Sex & the City in poi

Il suo nome è associato a serie TV di enorme successo, in primis Sex & the City. Alzi la mano chi non ha invidiato il guardaroba di Carrie Bradshaw. L’artefice di tutto ciò è Patricia Field.

Folti capelli rosso fuoco e un sorriso di una simpatia travolgente, è in buona parte grazie al suo contributo come stylist che Sex & the City è diventato un cult. Le avventure delle quattro protagoniste in outfit semplicemente favolosi hanno fatto sognare il pubblico femminile di tutto il mondo.

Audace nel mixare capi classici ad elementi forti, la Field ha dichiarato più volte la sua predilezione per outfit altamente scenografici. In nomination per gli Academy Award e vincitrice del prestigioso Emmy Award per i costumi della celebre serie dell’HBO, la sua boutique a New York è stata per oltre 50 anni meta del turismo per veri gourmet della moda.

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Capelli rosso fuoco e stile da vendere
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Patricia Field è diventata un’icona della moda mondiale grazie a “Sex & the City”
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Proporzioni oversize tipiche degni anni Novanta, quando è stata lanciata la celebre serie

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Carrie in Oscar de la Renta


Nata a New York nel 1941 da genitori di origine greca e armena, Patricia Field ha vissuto a lungo nel Queens. Nel 1966 ha inaugurato il suo store al Greenwich Village, Manhattan. Nel 1970 la designer ha rivendicato l’invenzione dei leggings, capo evergreen della moda fino ai nostri giorni. Nel 1995 il primo incontro con Sarah Jessica Parker, sul set di Miami Rhapsody, fino al successivo Sex & the City, con cui la Field ottiene la consacrazione a guru della moda mondiale.

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Il tutù con una maglia sporty: il gusto nel mixare è tipico della Field
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Patricia Field ha curato i costumi di “Sex & the City”, “Ugly Betty” e “Il Diavolo veste Prada”
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Un celebre look di Sarah Jessica Parker nei panni di Carrie Bradshaw
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Origini greche e armene per Patricia Field

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Turbanti glitterati e un pieno di colore per le protagoniste del celebre telefilm della HBO


Celebri i tutù in tulle e le adorate Manolo Blahnik con cui Carrie saltella agilmente per le vie di New York. Altrettanto famosa l’ossessione per Oscar de la Renta e i suoi abiti da principessa. Dolce & Gabbana, Fendi e la sua celebre baguette, Chanel, Gucci e Ralph Lauren sono solo alcuni dei brand che figurano nella mitica serie tv. “All’inizio, quando chiedevamo di avere in prestito i capi, gli uffici stampa ci chiudevano il telefono in faccia”, ha dichiarato recentemente in un’intervista la Field. Incredibile ma vero, il successo arriva sempre così, in modo inaspettato.

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Patricia Field ha recentemente dichiarato che inizialmente i brand non erano disposti a prestare i loro capi per la serie
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Un fotogramma del film di Sex & the City
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La boutique di Patricia Field a Manhattan è da 50 anni meta privilegiata del turismo dei fashion addicted

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Un look bon ton di Charlotte York


Probabilmente nel nostro inconscio resteranno impresse per sempre le giacche di Miranda, i tailleur super sexy di Samantha, lo stile bon ton prediletto da Charlotte, e la scena in cui Carrie attraversa una New York notturna, immersa da una fitta coltre di neve, indossando una pelliccia sopra il pigiama e dei sandali gioiello sopra i calzettoni di lana: i look creati da Patricia Field sono dei capolavori di avanguardia stilistica.

La sua boutique nell’East Village è un crogiolo di capi colorati, vintage e stravaganti. Ciò che rende i suoi styling unici è il suo talento nel mixare artigianato e capi da passerella, accessori acquistati a poco prezzo ai mercatini e outfit haute couture. Non solo Sex & the City ma anche anche Ugly Betty e Il Diavolo veste Prada figurano nel curriculum di Patricia Field. Una guru della moda che ha regalato sogni a tante donne nel mondo.

Halston, il re del glamour anni Settanta

Chi ha vissuto negli anni Settanta non può non ricordare i suoi capi. Linee pulite ed essenziali si uniscono al glam tipico degli anni Settanta, per capi che divengono emblema di un’epoca. Roy Halston Frowick nasce nel 1932 a Des Moines, Iowa. Già nella prima infanzia crea abiti per la madre e la sorella e ben presto inizia a disegnare cappelli.

Nel 1952 si trasferisce a Chicago, dove frequenta un corso serale presso la School of the Art Institute e contemporaneamente lavora come visual merchandiser per mantenersi agli studi.

Farrah Fawcett in Halston
Farrah Fawcett in Halston


L’anno seguente, nel 1953, inizia la sua attività di creatore di cappelli, riscuotendo grande clamore: Kim Novak, Deborah Kerr e Gloria Swanson sono solo alcune delle star che indossano le sue creazioni. Nel 1957, dopo avere inaugurato la sua prima boutique, si trasferisce a New York, dove inizia a lavorare per la celebre stilista Lilly Daché. Nel giro di un anno viene nominato co-designer della maison, incarico che lascia per passare alla Bergdorf Goodman.

Jerry Hall in Halston
Jerry Hall in Halston


Halston balzò agli onori della cronaca per aver disegnato il cappellino indossato da Jackie Kennedy alla cerimonia di insediamento alla Casa Bianca del marito, nel 1961. Inoltre amarono i suoi cappelli personalità del calibro di Rita Hayworth, Diana Vreeland e Marlene Dietrich.

Pat Cleveland in passerella per Halston
Pat Cleveland in passerella per Halston


Definito da Newsweek come il designer più interessante d’America, nel 1966 passò dalla creazione di cappelli alla creazione di abiti, inaugurando la sua prima boutique in Madison Avenue nel 1968. L’anno seguente, nel 1969, lanciò la sua prima linea di prêt-à-porter, Halston Limited.

Ancora Pat Cleveland per Halston
Ancora Pat Cleveland per Halston


Come egli stesso dichiarò in un’intervista rilasciata a Vogue, ciò che più gli stava a cuore, nella creazione dei capi, era la funzionalità. Odiava tutto ciò che non fosse funzionale, come fiocchi o cuciture inutili; le sue collezioni fin dal principio si distinsero per un minimalismo funzionale. Si trattava di capi eleganti e sexy ma dalle linee semplici e pulite.

Halston su Vogue US 1973, foto di Richard Avedon
Halston su Vogue US 1973, foto di Richard Avedon


Nel 1972 brevettò l’Ultra suede, un particolare tessuto facilmente lavabile anche in lavatrice, comodo e perfettamente adattabile alla silhouette. Il suo halter dress, ideato due anni più tardi, è entrato nei dizionari di moda: quando parliamo di scollatura all’americana, parliamo di Halston, che ne fu l’inventore. La sua donna era una sirena della disco glam di fine anni Settanta. I suoi abiti, perfetti per un party in piscina, erano la perfetta incarnazione del mito americano. Colori caldi come il bronzo, l’oro, l’argento, il fucsia, il blu elettrico e tessuti come il cachemire, il jersey e la seta.

Elsa Peretti in passerella per Halston
Elsa Peretti in passerella per Halston


Il jet set internazionale cadde ai suoi piedi. Tra le sue più fedeli clienti troviamo Anjelica Huston, Lauren Bacall, Margaux Hemingway, Elizabeth Taylor, Bianca Jagger e Liza Minnelli.

Jerry Hall in Halston per Vogue US, 1975
Jerry Hall in Halston per Vogue US, 1975


Dal 1968 al 1973 il fatturato del brand si stima intorno ai 30 milioni di dollari. Nel 1975 Max Factor realizzò la prima fragranza col nome della maison. Secondo Vogue, Halston contribuì a rendere popolare il caftano, disegnando diversi modelli per Jackie Kennedy.

Campagna pubblicitaria Halston, anni Settanta
Campagna pubblicitaria Halston, anni Settanta


Personalità emblematica di quegli anni, Roy Halston fu assiduo frequentatore dello Studio 54 ed intimo amico di Liza Minnelli ed Andy Wahrol. Dopo una vita di eccessi, si ritirò a metà degli anni Ottanta. Nel 1988 risultò positivo al test dell’HIV e morì due anni dopo, nel 1990, per complicanze legate al virus.

Le Halstonettes -come venivano chiamate le sue modelle- tra le quali spicca Anjelica Huston
Le Halstonettes -come venivano chiamate le sue modelle- tra le quali spicca Anjelica Huston


Oggi resta la sua eredità. Il marchio, dopo diverse vicissitudini legate a scelte sbagliate, è stato acquistato nel 2011 da Ben Malka, già presidente del gruppo BCBG Max Azria. Halston continua ad essere sinonimo di stile e si contraddistingue ancora oggi come uno dei marchi più venduti negli Stati Uniti.

Catherine Baba, arbiter elegantiae

Lo stile ce l’ha nel sangue, non solo per il lavoro che svolge ma come modus vivendi. Uno charme che sembra essere stato catapultato nel nostro tempo direttamente dagli anni Trenta e un viso che ricorda le dive del cinema muto e la divina Greta Garbo. Catherine Baba è in assoluto una delle stylist più affascinanti del fashion biz.

Sulla sua vita privata regna il massimo riserbo: nessuno conosce di preciso la sua età e su di lei si sa pochissimo.

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Nata in Australia, Catherine Baba vive a Parigi dal 1996


Può capitare di vederla passare in sella alla sua bicicletta per le vie di Parigi, rigorosamente in turbante anni Venti e tacco a stiletto.

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Una stylist unica con il suo stile che omaggia gli anni Venti e Trenta
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Maglione Diane von Fürstenberg, cappa Vivienne Westwood Gold Label, leggings Leonard Paris, orecchini Catherine Baba pour Nouvelle Affair, gioielli Elsa Peretti per Tiffany & Co., anello Boucheron, scarpe Christian Louboutin
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Top, gonna e cintura Balmain, scarpe Christian Louboutin, occhiali da sole Chloe, turbante Studmuffin NYC at Patricia Field, gioielli Elsa Peretti per Tiffany & Co, rossetto Yves Saint Laurent, Foto di Stéphane Feugere
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A metà tra una zarina e un’attrice di film muti, lo stile di Carherine Baba la rende unica

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Gioielli importanti su capi fluidi e l’immancabile turbante anni Trenta


Trasferitasi a Parigi dall’Australia nel 1996, ha dichiarato a Vogue dell’aprile del 2010 di indossare solo pellicce vintage e pare sia solita rivolgersi praticamente a chiunque con l’appellativo di “darling”.

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Catherine Baba non rinuncia ai tacchi neanche quando pedala la sua inseparabile bici
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Abito Moschino, occhiali da sole Thierry Lasry, collana Lanvin, bracciale Louis Vuitton, anelli di cristallo Baccarat
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Catherine Baba ha lavorato anche nel cinema, creando i costumi di film come “I am Love” di Luca Guadagnino e “My Little Princess” di Eva Ionesco

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Colori caldi e tacco a stiletto


Misteriosa, affascinante, camaleontica, il suo stile è un faro nella nebbia per chi temeva che la classe fosse una prerogativa del passato, ormai estinta. Suggestioni Art Déco e barocche contraddistinguono il suo stile, revival anni Trenta nell’uso spasmodico del turbante, una passione per i tacchi alti, che indossa anche quando pedala la sua inseparabile bici.

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La stylist ha dichiarato a Vogue dell’aprile 2010 di indossare esclusivamente pellicce vintage
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Catherine Baba ha alle spalle una collaborazione con Nouvelle Affaire
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Catherine Baba è originaria dell’Australia e si è trasferita a Parigi nel 1996

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Uno stile da femme fatale


Pellicce vintage ton sur ton, nappine, gioielli etnici elaborati e sontuosi come opere d’arte, sovrapposizioni strutturate, kimono con frange sopra pantaloni neri e cuissard: una cura maniacale del più piccolo dettaglio è ciò che contraddistingue i suoi splendidi outfit, quasi barocchi per colori e stampe pregiate.

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Misteriosa ed eclettica, la stylist indossa spesso capi vintage
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Catherine Baba ha disegnato una linea di orecchini per Gripoix

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Catherine Baba indossa spesso kimono con stampe di ispirazione Art Déco


Broccato di seta, velluto e una fantasia che mixa in un mirabile gioco suggestioni da bazar etnico e capi haute couture, i Roarin’ Twenties sembrano rivivere in questa giovane professionista della moda internazionale. Genialità assoluta nel suo mixare, in Catherine Baba si respira un’eleganza senza tempo ed una femminilità delicata e vintage che lascia talvolta il posto ad una femme fatale ante litteram.

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Suggestioni anni Trenta nel suo stile
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Sovrapposizioni e sapiente mix di stili diversi

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Catherine Baba ad una serata di gala


Come stylist vanta un curriculum di tutto rispetto: ha collaborato con maison del calibro di Givenchy, Ungaro, Balmain e Chanel. I suoi lavori sono stati pubblicati su Dazed & Confused, Vanity Fair e Vogue. Suoi sono i costumi del film My Little Princess di Eva Ionesco e di I am Love di Luca Guadagnino. Inoltre ha collaborato con Gripoix come creatrice di orecchini e con il brand Nouvelle Affaire creando una collezione ispirata all’artista Gordon Flores. Della serie, la classe non è acqua.

Foto di Ellen von Unwerth, Styling di Catherine Baba
Foto di Ellen von Unwerth, Styling di Catherine Baba
Un altro scatto di Ellen von Unwerth con lo Styling di Catherine Baba
Un altro scatto di Ellen von Unwerth con lo Styling di Catherine Baba

Diane von Fürstenberg: una vita da favola

L’incubo di ogni donna è non sapere cosa indossare pur avendo l’armadio pieno di capi. Ci sono donne, invece, che con un solo abito hanno fatto la storia. Non si tratta della favola di Cenerentola, sebbene anche questa potrebbe assomigliare ad una fiaba. È la storia di Diane von Fürstenberg, incarnazione della Pop Art, designer sulla cresta dell’onda da oltre mezzo secolo e businesswoman di successo.

Belga, nata Diane Simone Michelle Halfin, classe 1945, la favola per lei è iniziata a partire dal matrimonio blasonato con il principe Egon von Fürstenberg, celebratosi nel 1969 ma seguito dal divorzio appena tre anni dopo.

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La stilista nel suo studio con alle spalle uno dei ritratti eseguiti da Andy Warhol

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Diane e Egon von Fürstenberg in uno scatto di Horst P. Horst, 1972


Nel 1970 la giovane Diane, all’epoca appena venticinquenne, investe la cifra di 30.000 dollari nella creazione di una linea di abbigliamento femminile. È un successo clamoroso e senza precedenti. Le idee della giovane piacciono oltre ogni aspettativa. È in particolare un abito dal taglio molto semplice ed essenziale, a conquistare centinaia di migliaia di donne: è il wrap dress, l’abito a portafoglio. Uno chemisier stampato molto pratico dalla linea pulita e dalle stampe sofisticate, che lo rendono molto versatile e adatto a qualsiasi occasione.

Il wrap dress mi rese la donna che volevo essere, ha dichiarato la designer in una recente intervista. Suggestioni bohémien nelle stampe optical, il suo celebre vestito ha rivoluzionato la moda dei primi anni Settanta, imponendo come nuovo must have la comodità. Diane von Fürstenberg entra così nel mito e diviene brillante businesswoman nel gestire la sua mirabile carriera.

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In copertina su Newsweek DVF indossa il famoso wrap dress, marzo 1976
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Danielle Zinaic posa per la campagna pubblicitaria Diane von Fürstenberg, 1998
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La designer ancora con il wrap dress, “l’abito a portafoglio” che la rese famosa
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Una giovanissima Diane von Fürstenberg

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DVF fotografata da Elliott Erwitt per Vogue, 1976


Alcune sue creazioni vengono esposte più tardi al Costume Institute del Metropolitan Museum of Art. Creatrice di una linea di cosmetici e pioniera dello shopping postale, che iniziò ad usare nel lontano 1991, Diane nel 1985 si trasferisce a Parigi, dove fonda una casa editrice in lingua francese di nome Salvy. Nel 1993 acquista il monumentale studio che fu dell’artista Lowell Nesbitt, adibendolo a proprio studio nonché abitazione.

Del 1997 è la sua prima autobiografia, “A Signature Life”. Nel 2001 convola in seconde nozze con Barry Diller, magnate della Paramount e della Fox. Nel 2005 le viene conferita un’onorificenza dal CFDA, Consiglio degli stilisti d’America, di cui diviene lei stessa presidentessa nel 2006.

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Belga, classe 1945, Diane ha sposato nel 1969 il principe Egon von Fürstenberg
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In passerella un modello di wrap dress, dalle stampe optical
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Icona della Pop Art, DVF è entrata nella moda nei primi anni Settanta

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Diane von Fürstenberg fotografata allo Studio 54 da Ron Galella, 1978


Leggenda vivente, regina del jet set internazionale, DVF è amica di Oprah Winfrey ed Anna Wintour. Presenza storica dello Studio 54, è stata grande amica di Andy Warhol, per cui ha posato nel 1973. Curiosi gli aneddoti che si celano dietro quel celebre ritratto. Diane desidera uno sfondo bianco, ma casa sua aveva le pareti tappezzate di colori vivaci, e l’unico spazio bianco si trovava nella cucina. Qui però non c’era abbastanza spazio per posare in piedi: da qui la mano sopra la testa con cui è stata ritratta. Non un vezzo, quindi, ma un’esigenza di natura pratica.

Ali Kay, campagna Diane von Fürstenberg 2009
Ali Kay, campagna Diane von Fürstenberg 2009
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Kate Middleton indossa il wrap dress
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Sarah Jessica Parker è una grande ammiratrice di Diane von Fürstenberg

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La top model Cara Delevingne in passerella per Diane von Fürstenberg


Protagonista indiscussa della Pop art, DVF ha avuto davvero tutto dalla vita: apparsa sulla copertina di Newsweek a meno di 30 anni, travolta ad appena 25 anni da un successo inaspettato, il suo brand oggi consta di 85 stores sparsi per il mondo. Inoltre la stilista ha festeggiato lo scorso anno a Los Angeles il quarantesimo anniversario dalla creazione del wrap dress con la mostra “Journey of a Dress”.

Campagna DVF P/E 1983
Campagna DVF P/E 1983

Cybil Shephard indossa un wrap dress DVF nel celebre film di Martin Scorsese "Taxi Driver", 1975
Cybil Shephard indossa un wrap dress DVF nel celebre film di Martin Scorsese “Taxi Driver”, 1975


“La cosa bella dell’invecchiare è che hai un passato”, sostiene Diane, che deve tutto al suo wrap dress: dal suo appartamento sulla Fifth Avenue all’educazione dei suoi figli alla sua indipendenza, la cosa a cui tiene maggiormente.

Eppure la designer ha dichiarato di non indossarlo più, il wrap dress: “Non ho più il punto vita”, ha ironizzato in un’intervista dello scorso anno. Gambe favolose, viso che mostra fieramente qualche ruga, DVF si dichiara apertamente contraria alla chirurgia plastica. Carismatica e dalla personalità granitica, la stilista è molto impegnata nel sociale: da anni è membro di VitalVoices, un’organizzazione che si batte per i diritti delle donne.

Sfilata DVF, A/I 1975
Sfilata DVF, A/I 1975

Jerry Hall in passerella per DVF, 1973
Jerry Hall in passerella per DVF, 1973


Inoltre DVF è grande amante dell’high-tech e ha scritto un articolo per il New York Times in cui ha esaltato le potenzialità offerte dalla rivoluzione digitale e dalle nuove tecnologie. Dichiara felicemente di saper usare l’iPad e l’iPhone e si dice “vecchia abbastanza da aver ballato allo Studio 54 ma giovane da saper mandare una email”. La degna protagonista di una vita da favola.

Auguri a Inès de la Fressange

Spegne 58 candeline Inès de la Fressange. Iconica musa di Karl Lagerfeld, volto storico di Chanel per tutti gli anni Ottanta, Inès Marie Laetitia Églantine Isabelle de Seignard de la Fressange nasce a Gassin l’11 agosto del 1957, figlia del marchese André de Seignard de la Fressange e della modella argentina Cecilia Sánchez Cirez. Aristocratica eleganza, Inès incarna la quintessenza dell’allure parigina.

Tra le più famose mannequin al mondo, adorata da Karl Lagerfeld, discendente di una famiglia dell’antica nobiltà francese imparentata con i celebri banchieri Lazard, Inès dal 1980 al 1989 lavora in esclusiva per Chanel, in un sodalizio storico con Lagerfeld. I rumours sostengono che l’armonia tra i due si sia rotta in seguito alla decisione della modella di accettare di prestare il proprio volto come Marianna della Repubblica Francese, decisione che sarebbe stata sgradita allo snob Lagerfeld, che riteneva questo un simbolo di provincialismo.

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Volto storico di Chanel e icona di stile
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La modella è stata il volto storico di Chanel dal 1980 al 1989

 

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Uno stile minimal-chic per la ex modella, ora designer di successo


Nel 1990 Inès sposa l’imprenditore italiano Luigi D’Urso, da cui ha due figlie. Rimasta vedova nel 2006, dopo ha lavorato come designer e consulente per Jean-Paul Gaultier e come ambasciatrice per Roger Vivier, mette su un suo atelier al numero 24 di rue de Grenelle, nella celebre Rive Gauche di Parigi: qui vende le sue creazioni come anche opere di amici o di persone conosciute durante i suoi viaggi. I suoi capi -biancheria da notte e costumi da bagno, in primis– rivelano una delicata eleganza di ispirazione provenzale.

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In passerella per Chanel A/I 1989-1990
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Musa di Lagerfeld, Inès de la Fressange è nata a Gassin l’11 agosto 1957
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Ancora in passerella per Chanel
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Impeccabile lo stile della storica maison fondata da Gabrielle Chanel
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Campagna vintage Chanel anni Ottanta
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Alta 1,80 m e dal fisico sottile e longilineo, Inès de la Fressange è stata una delle mannequin più famose al mondo
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Chanel Adv, 1987

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Inès de la Fressange in Chanel, Elle ottobre 1986


La modella, sottile e splendida anche in pantaloni a sigaretta e mocassini, si è dichiarata fortemente contraria alla chirurgia plastica. Emblema di un minimalismo chic dal gusto fortemente francese, è ancora oggi una donna bellissima e affascinante. Che dire, très chic.

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Inès de la Fressange posa come Coco Chanel nell’appartamento di quest’ultima, 1981. Foto di Jean-Claude Sauer
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Inès de la Fressange ha inaugurato il suo atelier suo atelier al numero 24 di rue de Grenelle, nella celebre Rive Gauche di Parigi