Miley Cyrus e lo stile (che non c’è)

Il suo nome è in assoluto uno dei più cliccati su Google. Ex enfant prodige Disney, divenuta famosa grazie al ruolo di Hannah Montana, Miley Cyrus appare molto cambiata dai suoi albori. Classe 1992, all’anagrafe Destiny Hope Cyrus, i tempi di Hannah Montana sembrano ormai un lontano ricordo per la bionda attrice e cantante, che interpretava nel telefilm firmato Disney la tipica ragazza della porta accanto. Ennesima incarnazione del sogno americano, la cantante esprimeva un candore e una spontaneità che rappresentavano la sua cifra stilistica. Quasi venerata da milioni di teenager sparsi in ogni parte del globo, come spesso accade la popolarità ha cambiato Miley Cyrus.

L’abbiamo ritrovata, solo qualche anno più tardi, sbocciata nella sua bellezza: denti ricostruiti alla perfezione, linea invidiabile e capelli corti, la vecchia Hannah Montana aveva lasciato il posto ad uno sguardo che esprimeva ora piena consapevolezza e la malizia tipica dell’adolescenza. E con buona pace di chi gridava allo scandalo, immortalare le acerbe rotondità dell’adolescente Miley sembrava in fondo naturale tributo di lolitesca memoria ad una bellezza in fiore. È risaputo quanto un sano spirito di ribellione e il bisogno di trasgredire caratterizzino da sempre gli anni dell’adolescenza. Ma un polverone si stagliò su Terry Richardson, reo di averla fotografata in scatti sexy.

Seguì Wrecking Ball, la hit che dimostrò il talento della giovanissima interprete. Diretta nel videoclip ancora una volta da Richardson, Miley Cyrus appariva nuda e in lacrime, quasi struggente, abbarbicata sopra una gigantesca palla demolitrice. La canzone parlava della forza dirompente e distruttiva dei sentimenti, e la coreografia nel cemento ben si sposava con il mood del testo della canzone. Tutto sembrava perfettamente in regola ma a ben guardare le avvisaglie di quel che sarebbe accaduto dopo vi erano tutte: unghie finte dall’appeal aggressivo e inquadrature che indugiavano sul fondoschiena della cantante, fino a primi piani che immortalavano la baby diva intenta a leccare il manico di un martello.

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Miley Cyrus nel video di “Wrecking Ball”

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La cantante nei panni di Hannah Montana


Da quel momento trasgredire sembra essere divenuta la parola chiave per la giovane artista, e se a destare scalpore sono i suoi videoclip e i servizi fotografici che la ritraggono nelle principali riviste, i suoi concerti e le sue esibizioni dal vivo mostrano in modo inequivocabile una realtà ancora più inquietante: body sgambati oltre ogni limite, la lingua perennemente in mostra, gambe spalancate a mimare atti copulativi e terga esibite ad ogni costo. Tra pupazzi fallici e twerking, quello che si consuma ad ogni concerto della Cyrus è la quintessenza del cattivo gusto. Manifesto di un’estetica anti femminista, si osserva con dispiacere come il tentativo di affermazione di una giovane artista debba partire ancora una volta dalla mercificazione del corpo femminile.

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Uno scatto di Terry Richardson


La trasgressione, inseguita ad ogni costo e con ogni mezzo, sembra esser divenuta condicio sine qua non della carriera di Miley Cyrus. Risultato paradossale eppure inevitabile di tanta ostentata sessualità è la perdita di ogni sensualità: il sex appeal appare svuotato di ogni contenuto. E se anche star del calibro di Madonna hanno costruito una carriera puntando sulla trasgressione, la cifra stilistica appariva ben diversa: una sottile ed intelligente arte della provocazione si univa a suggestioni che attingevano ad una femminilità mediterranea e ad un’estetica forte, in Madonna era il femminismo a trovare una nuova voce e anche la nudità appariva un mezzo per affermare la personalità dell’artista. Forse la parabola di Miley Cyrus appare più simile a quella vissuta da Britney Spears, che dopo i primi successi che la incoronarono regina incontrastata della top chart, naufragò nelle dipendenze fino al gesto più drammatico, di radersi i capelli in pubblico: ma non è un alibi ritenere certi comportamenti, per quanto estremi, fisiologiche reazioni a seguito di un successo destabilizzante.

In Miley Cyrus la trasgressione sembra essere più una strategia di marketing, studiata a tavolino per far dimenticare Hannah Montana. Diceva qualcuno che le brave ragazze vanno in paradiso ma le cattive vanno dappertutto: questo sembra essere il mantra della vita della giovane artista americana. E se fino a due anni fa faceva capolino agli MTV Music Awards strizzata in un Dolce & Gabbana vintage corredato da un sorriso ancora innocente, oggi di quella ragazza è rimasto ben poco. È stato appena pubblicato un nuovo shoot a luci rosse che la ritrae in pose provocanti che poco o nulla lasciano all’immaginazione: ancora una volta fotografo dello scandalo è Terry Richardson, ma qui l’erotismo è la vera incognita. Quasi palpabile è ormai il tentativo di battere tutti i confini dello scandalo: la luce bianca, da sempre firma di Richardson, viene sparata sul volto della giovane, che appare quasi disorientata nel tentativo di apparire sexy ad ogni costo. Tutto ciò mentre rumours annunciano che l’artista sarebbe pronta a nuove esibizioni live rigorosamente in déshabillé.

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La trasgressione è divenuta cifra stilistica della cantante

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Miley Cyrus durante un suo concerto


In tempi come questi, abbrutiti dalla crisi e dalla minaccia del terrorismo, si avverte sempre più l’esigenza di tornare ad un buon gusto che sembra poco più che un ricordo sfocato. È con crescente nostalgia che si ricordano la leggiadra eleganza degli anni Cinquanta e Sessanta, le crinoline delle gonne, il mistero che celava inconfessabili verità, la sensualità bollente di una scollatura che lasciava immaginare trasgressioni indicibili. Tempi in cui la bellezza era sinonimo di signorilità, in cui la femminilità non era mai urlata ma faceva capolino da piccoli dettagli. L’immortale eleganza di tempi molto diversi da quelli in cui si consuma con nonchalance la parabola discendente di una giovane donna americana.


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La knit couture di EMMElab

La magia di un capo irrinunciabile si unisce alla qualità artigianale del made in Italy per creazioni dall’appeal intramontabile: EMMElab propone una linea per veri intenditori, per un Autunno/Inverno 2015/2016 all’insegna dello stile.

Caldi, morbidi e glamour, i turbanti e le fasce per capelli in maglia sono perfetti per affrontare con eleganza il rigore invernale.

Must have del guardaroba femminile, il turbante vanta una lunga tradizione: a partire dagli anni Trenta si è imposto come simbolo di uno stile sofisticato. Sdoganato da icone del calibro di Diana Vreeland e Loulou de la Falaise, il turbante vede oggi una nuova vita, rappresentando un fashion trend più che mai attuale.

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Le collezioni EMMElab propongono pezzi per tutti i gusti: tantissime le varianti di colore e i modelli, perfetti per completare qualsiasi look. Il made in Italy di antica tradizione artigianale trionfa nel brand EMMElab: una attenta e rigorosa selezione dei migliori filati sta alla base della produzione. I turbanti e le fasce sono creati utilizzando esclusivamente filati naturali di pregio prodotti in Italia.

L’anima nonché la mente creativa dietro EMMElab è Francesca Montaldi. Classe 1980, la designer, cresciuta a pane ed uncinetto, mostra rara sensibilità artistica nel progettare pezzi unici che impreziosiscono il guardaroba.

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Calda lana merinos declinata in capi realizzati a mano con tecniche artigianali: presentate con successo alle fashion week di Parigi e Berlino, le creazioni EMMElab coniugano stile e qualità. Il marchio, che nasce a Roma, si impone come leader nella selezione di filati per la realizzazione di accessori preziosi e sofisticati, per una vera knit couture.


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Blake Lively nuovo volto di Peuterey

È Blake Lively è il nuovo volto scelto da Peuterey per la stagione 2015/2016. La bionda attrice americana, resa celebre dalla serie Gossip Girl, è la nuova testimonial dell’azienda italiana.

Una scelta tattica, quella del brand, che, oltre a puntare sulla bellezza della Lively, mira anche ad un’espansione sul mercato nordamericano.

Altezza svettante su un fisico tonico, Blake Lively rappresenta “la donna contemporanea per eccellenza”, secondo Francesca Lusini, Presidente del gruppo Peuterey. Un’azienda giovane, nata nel 2002, Peuterey esprime il lifestyle contemporaneo, tra comfort e stile. Giacche e piumini per lui e per lei, per capispalla dall’appeal metropolitano e moderno.

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Blake Lively sfoggia una giacca Peuterey

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Classe 1987, l’attrice americana è il nuovo volto di Peuterey


Classe 1987, Blake Lively nasce in una famiglia di artisti. Dopo aver raggiunto la fama grazie al ruolo di Serena van der Woodsen nella serie TV americana a Gossip Girl, è stata diretta sul grande schermo da nomi del calibro di Oliver Stone, Ben Affleck e Brett Ratner. Neomamma, sposata con l’attore Ryan Reynolds, Blake Lively è una vera e propria icona di stile.

Seguitissima sui social network, il suo stile è giovane ma sofisticato e ad ogni uscita pubblica regala mise eleganti, che ottengono critiche sempre entusiastiche.

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Blake Lively ha ottenuto la fama mondiale grazie al telefilm Gossip Girl

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L’attrice è considerata una vera e propria icona di stile, grazie ai suoi look sempre perfetti


Scelta vincente, quella di Peuterey, di puntare su di lei per affermarsi oltreoceano. Il brand omaggia l’Italia e le sue bellezze paesaggistiche, a partire dal logo, che rappresenta una delle cime del Monte Bianco. Lo stile del Bel Paese, da sempre sinonimo di eleganza per antonomasia, non perde occasione per imporsi a livello internazionale. Al volto di Blake Lively il compito di continuare la tradizione del Made in Italy.


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Fiona Campbell-Walter: bellezza blasonata

Il suo volto ha incarnato la quintessenza del glamour anni Cinquanta: dotata di una bellezza rara, Fiona Campbell-Walter è stata per oltre tre decenni protagonista delle copertine patinate, del jet set internazionale e delle cronache rosa.

Sensuale come poche, il portamento altero e lo charme sofisticato si uniscono in lei ad una bellezza moderna per i canoni vigenti all’epoca, che la rese musa prediletta di fotografi del calibro di Cecil Beaton.

Fiona Frances Elaine Campbell-Walter, più nota come baronessa Fiona von Thyssen-Bornemisza de Kászon, è nata ad Auckland, in Nuova Zelanda, il 25 giugno 1932.

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Un ritratto di Fiona Campbell-Walter realizzato da Milton Greene, Inghilterra, 1953


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Fiona Campbell-Walter è nata ad Auckland il 25 giugno 1932


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La baronessa Fiona Thyssen-Bornemisza in uno scatto di Henry Clarke, 1962


Suo padre, Keith McNeill Campbell-Walter, è il contrammiraglio della Reale Marina Britannica e la madre è la figlia del baronetto Sir Edward Taswell-Campbell.

Bellissima e altera, la piccola Fiona viene incoraggiata dalla madre a iniziare la carriera di modella. D’altronde, chi meglio di quel volto avrebbe potuto apparire sulla cover di Vogue, chi avrebbe potuto incarnare in modo tanto sublime l’eleganza dei Fifties.

Durante l’adolescenza Fiona incontra a Londra Henry Clarke, che la immortalerà in alcuni dei suoi scatti più belli. Inizia così per la giovane una sfolgorante carriera come modella, che la porterà ad essere definita da Vogue, la Bibbia della moda, “la più bella modella degli anni Cinquanta”. Presto introdotta nell’agenzia ante litteram di Lucie Clayton, fucina di bellezze indimenticabili, insieme a Barbara Goalen e Anne Gunning è stata una delle tre modelle britanniche più famose degli anni Cinquanta.

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Fiona Campbell-Walter posa per Cecil Beaton in una stola Calman Links, Vogue, agosto 1954


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Fiona Campbell-Walter indossa pantaloni e giacca Jacques Fath e foulard Hermès in una celebre sequenza di scatti realizzata da Georges Dambier, Nouveau Femina, giugno 1954


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Fiona Campbell-Walter in Corsica, gonna e blusa Christian Dior, foto di Georges Dambier per Nouveau Femina, giugno 1954


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Come una dea greca, nei drappeggi del telo da spiaggia firmato Givenchy, foto di Georges Dambier per Nouveau Femina, Corsica, giugno 1954


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Vestita Givenchy, in uno scatto di Georges Dambier per Elle, 9 agosto 1954


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Fiona Campbell-Walter in un abito stampato di Jamiqua, foto di Georges Dambier per Nouveau Femina, giugno 1954


Modella prediletta da Cecil Beaton, il ritrattista ufficiale della casa reale britannica, Fiona Campbell-Walter entrò nell’Olimpo della moda, e negli anni Cinquanta poteva contare su numerose apparizioni su Vogue, con un compenso pari a 2.000 sterline l’ora. Ebbe inoltre il raro privilegio di apparire sulla copertina di Life Magazine nel gennaio 1953.

Un fisico longilineo, assai diverso dai canoni del tempo, che prediligevano donne piccole di statura e formose, e un volto raffinato, dalla bellezza struggente. Fiona Campbell-Walter posò per Henry Clarke, John Deakin, Frances McLaughlin-Gill, John French, Norman Parkinson, Milton Greene. La sua espressività e il suo charme conferirono un’allure inimitabile ai capi Valentino, Dior, Schiaparelli, Balenciaga, Madame Grès, Lanvin, Jacques Fath e Nina Ricci.

Bellezza rubata alle tele neoclassiche ma al contempo proiettata verso il futuro, posò come una dea greca vestita solo di un telo da spiaggia in cachemire firmato Givenchy, per scatti modernissimi firmati dal genio di Dambier, nel 1954. Nei favolosi Swinging Sixties è ancora lì, a posare in abitini a trapezio e stampe optical. Gli anni che passano non ne scalfiscono in alcun modo la perfezione del volto, anzi sembrano arricchire il suo sguardo di una nuova consapevolezza. Nel 1966 posa per il numero di febbraio di British Vogue, immortalata da David Bailey.

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La baronessa in uno scatto di John French, 1951


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Fisico longilineo e volto perfetto, Fiona Campbell-Walter iniziò a posare come modella durante l’adolescenza


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A Versailles in un abito in velluto firmato Balenciaga, foto di Frances McLaughlin-Gill per Vogue, novembre 1952


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Fiona Campbell-Walter ritratta da Georges Dambier per Elle presso i bouquinistes, Parigi, 1953


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Fiona Campbell-Walter è stata una delle modelle più famose degli anni Cinquanta


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Fiona Campbell-Walter, Julia Clarke e Hardy Amies, foto di Norman Parkinson, 1953


La vita sentimentale di Fiona Campbell-Walter è stata alquanto movimentata. La splendida mannequin è stata la terza moglie del barone Hans Heinrich Thyssen-Bornemisza de Kászon, che sposò nel settembre 1956, con una cerimonia-lampo che ebbe luogo, incredibilmente, appena 12 ore dopo il loro primo incontro, avvenuto sulle nevi di St.Moritz. Dopo le nozze la baronessa Thyssen si ritirò dal lavoro e si trasferì nella nuova residenza, Villa Favorita, sulle sponde del lago di Lugano. Gli ingredienti affinché Fiona Campbell-Walter divenisse in quel periodo protagonista indiscussa del jet-set internazionale c’erano tutti: bellissima, ex modella di fama mondiale, la sua era una vita all’insegna della mondanità e del lusso, tra feste e ricevimenti esclusivi. Dal matrimonio col barone Thyssen nacquero due figli, Francesca Thyssen-Bornemisza, nel 1958, e Lorne, nel 1963. Philippe Halsman la immortala nello stesso anno in scatti che profumano di eternità, nella sublime location di Villa Favorita, immersa nell’arte dei preziosi dipinti collezionati dal marito.

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Uno scatto di Henry Clarke, 1951


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Uno scatto di John French risalente agli anni Cinquanta


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La bellezza sofisticata ed altera di Fiona Campbell-Walter


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Nel settembre 1956 Fiona Campbell-Walter sposò il barone Hans Heinrich Thyssen-Bornemisza de Kászon


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Dopo le nozze la baronessa Thyssen si ritirò a Villa Favorita


La baronessa in un celebre scatto di Henry Clarke, 1965


Ma poco tempo dopo la nascita del secondo figlio il matrimonio naufragò, nel 1965. Scontando le conseguenze di un divorzio difficile e chiacchierato, Fiona prese con sè i figli e si trasferì a Londra. Ma l’amore torna poco tempo dopo, nella sua vita. È nella primavera del 1969 che la sua nuova liaison irrompe prepotentemente alla ribalta della cronaca rosa. La baronessa si innamora di Alexander Onassis, figlio di Aristotele, di ben 16 anni più giovane di lei. La relazione, duramente osteggiata dal padre di lui, si interruppe in modo drammatico, con la prematura scomparsa del giovane, che perse la vita nel gennaio 1973 in un incidente aereo.

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Ancora bellissima, nel 1965 la baronessa divorziò e si trasferì a Londra coi figli Francesca e Lorne


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Nella splendida cornice di Villa Favorita, a Lugano, immortalata da Philippe Halsman, 1963


La baronessa von Thyssen-Bornemisza è stata regina del jet set internazionale per oltre tre decenni


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Fiona Campbell-Walter in uno scatto di Henry Clarke


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Ancora bellissima, oggi la baronessa si dedica ai nipoti e conduce vita ritirata


Da allora Fiona Campbell-Walter si dedica alla protezione degli animali e ai nipoti. Molto rare sono le uscite ufficiali dell’icona di stile, sempre al fianco della figlia Francesca, divenuta arciduchessa d’Austria a seguito del matrimonio con Lorenzo d’Asburgo-Lorena: ancora bellissima, il portamento altero e lo sguardo fiero sono rimasti inalterati. Fiona Campbell-Walter ha sdoganato con nonchalance i capelli bianchi, nuovo trend che conferisce una nuova luminosità al suo volto ancora splendido. Oggi la baronessa conduce una vita riservata, tra Vienna e le isole greche, lontana da quei riflettori che per tanto tempo l’hanno seguita passo passo, in ogni fase della sua vita.

(Foto copertina: Henry Clarke)


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Diane Pernet: la vestale dello stile

Un velo in pizzo nero nasconde in un alone di mistero la sua figura, maestosa, leggiadra, affascinante: un senso innato per lo stile l’ha resa arbiter elegantiae dall’indiscutibile autorità nel fashion biz, giudice inflessibile nel decretare le sue sentenze sull’estetica contemporanea. Definire Diane Pernet non è impresa semplice: fashion designer, brillante giornalista e critica di moda, icona di stile, talent scout, blogger tra le più seguite al mondo e, ancora, fotografa e cineasta: il nome di Diane Pernet è oggi sinonimo di stile.

Pelle di porcellana, labbra rosso lacca e un volto dalla bellezza austera, che ricorda Anjelica Huston. Comunica quasi una forza ancestrale, la sua figura di nero vestita, presenza fissa nel front-row delle sfilate più interessanti: sacerdotessa della moda, vestale di quel buon gusto che oggi appare quasi un miraggio, il suo senso innato per la bellezza l’ha resa talent scout dal fiuto eccezionale nello scovare e valorizzare designer emergenti. Attenta alle tendenze, trendsetter ella stessa, dopo avere dato prova di eccellere in discipline eterogenee, Diane Pernet ha messo il suo blog, visitato quotidianamente da milioni di utenti, al servizio dei giovani, facendosi pigmalione, talvolta quasi deus ex machina, nella promozione del talento e della tanto cara meritocrazia, oggi in via di estinzione.

Acclamata come una diva della moda, la sua vita privata è avvolta nel mistero: nessuno conosce esattamente la sua età. Nata a Washington sotto il segno della Bilancia, la lunga e sfolgorante carriera di Diane Pernet inizia negli anni Ottanta, a New York: è qui che la futura icona muove i primi passi come stilista e costumista. Cresciuta a Philadelphia, dopo aver studiato Filmmaking presso la Temple University si trasferisce nella Grande Mela, dove lavora inizialmente come fotografa di reportage. Ma la sua strada è un’altra. A un suo boyfriend dell’epoca basta un’occhiata per capire che il design Diane lo ha scritto nel DNA.

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Diane Pernet è critica di moda, giornalista, talent scout e blogger tra le più autorevoli al mondo


Il suo stile trae ispirazione da un background prettamente cinematografico: ad influenzarla sono nomi come Anna Magnani, Sophia Loren, Lucia Bosé, e l’atmosfera dei film di Pasolini, Visconti, Fellini, Truffaut, Buñuel, Cassavetes, Michelangelo Antonioni, Joseph Losey.

Dopo essersi iscritta alla Parsons School of Design e al prestigioso Fashion Institute of Technology, abbandona gli studi dopo appena nove mesi per aprire la propria linea di abbigliamento. Per ben 13 anni Diane Pernet lavorerà con successo al marchio che porta il suo nome. Uno stile austero e minimale caratterizza il suo brand, in netto contrasto con le tendenze degli anni Ottanta. Ma la Grande Mela dei primi anni Novanta, tra lo spettro dell’AIDS e la criminalità diffusa, non riesce più a darle gli stimoli estetici che le sono da sempre necessari, come parte integrante della sua stessa essenza: il futuro è a Parigi, la capitale per antonomasia dello stile. Qui Diane Pernet scopre il suo talento anche come giornalista: in breve diviene fashion editor per Joyce Magazine, Elle.com, Vogue.fr, oltre che costume designer per il film di Amos Gitai Golem l’Esprit d’Exile, del 1991. Inoltre approda anche al cinema, apparendo in due capolavori quali Prêt-à-porter di Robert Altman e La nona porta di Roman Polanski.

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Uno scatto che immortala la bellezza di Diane Pernet, che ha iniziato la sua carriera a New York come fashion designer


All’età di 28 anni Diane Pernet incontra il suo primo grande amore, Norman, che sposa in una cerimonia in cui indossano entrambi dei jeans. Ma lui perde la vita in un drammatico incidente stradale. Diane ha appena 31 anni ed è già vedova. Da quel momento decide che il nero sarebbe stato suo compagno di vita. La mantilla di tradizione spagnola diventa must have del suo look: dal pizzo allo chiffon, le sue mantille sono disegnate per lei da Filep Motwary. Iconica e unica nel suo stile, a metà tra suggestioni orientali e note del Barocco siciliano, quasi una Madonna, nella sua inconfondibile acconciatura stile Pompadour, il suo velo nero è divenuta la sua firma nonché la sua cifra stilistica.

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Nel febbraio 2005 Diane Pernet ha fondato il suo blog “ASVOF”, “A Shaded View On Fashion”


Pioniera di internet, di cui ha saputo intuire fin dal principio l’immenso potenziale comunicativo, nel febbraio del 2005 fonda il suo blog di moda ASVOF (A Shaded View on Fashion), che tratta di stilisti emergenti, ma anche di cinema, design e architettura. Spontanea e quasi naïf nel suo viscerale bisogno di bellezza, alla costante ricerca di nuove forme di espressione, alla base del suo blog vi è un bisogno primordiale: comunicare. ASVOF nasce come un diario personale le cui foto venivano dapprima scattate dalla stessa Pernet con la videocamera del suo telefonino. Divenuto in breve tempo punto di riferimento a livello internazionale per chiunque avesse voglia di dire la sua in fatto di stile, il suo blog si è imposto come mezzo per una moderna rivoluzione culturale, avente come fine ultimo quello di restituire l’arte alle masse.

Diane Pernet è ideatrice anche del festival ASVOFF (A Shaded View on Fashion Film), il primo festival annuale al mondo ad occuparsi di cortometraggi di moda, avente sede presso il Centre d’Art Georges Poumpidou di Parigi. Dopo aver ottenuto un impressionante successo, altre edizioni del festival sono state organizzate a Barcellona, Milano e Tokyo. Curatrice nel 2010 di CineOpera, una rassegna di film del regista Michael Nyman, organizzata presso Corso Como, a Milano, e di una mostra di arte e moda presso il New York Art Fair, Diane Pernet ha collaborato come co-curatrice al festival di Moda e Fotografia di Santiago de Compostela nel 2007. Pluripremiata per l’impegno da lei profuso a favore dello stile, nel 2008 è stata invitata presso il Metropolitan Museum di New York, dove il suo blog è stato riconosciuto come uno dei 3 blog di moda più influenti al mondo. Dal 2007 al 2012 è stata co-direttrice di ZOO Magazine.

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Musa iconica, la sua inconfondibile mantella in chiffon nero è divenuta la sua cifra stilistica


Diane Pernet si definisce integra ed idealista: in un mondo in cui apparire sembra essere il mantra universale, lei si dichiara fortemente convinta che il talento e la passione contino ancora nell’industria del fashion; contraria a ogni gerarchia, quasi un’anarchica dello stile, ha più volte dichiarato che le sarebbe piaciuto incontrare Madame Grès, mentre considera Catherine Baba la persona più elegante al mondo. Dopo aver sviluppato quasi un’idiosincrasia per i pantaloni, nel suo guardaroba troviamo solo abiti e maxi gonne, meglio se di Boudicca o Isabel Toledo.

Contraria ad ogni regola in fatto di eleganza, amante delle scarpe, delle borse e dei cappotti, i suoi stilisti preferiti sono Rick Owens, Dries Van Noten, Gareth Pugh e Ann Demeulemeester. Cinefila e cineasta, tra le sue amicizie più intime spicca Rossy de Palma, musa di Pedro Almodovar. “Dress to please yourself” è il suo monito: perché lo stile è qualcosa che alberga nell’animo.


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5 inviti alle vendite private da non perdere! E’ caccia all’affare

Milano, manca poco alle feste e, a seguito del cambio stagionale, gli uffici stampa e gli showroom offrono, per pochi eletti, occasioni da non perdere con le proprie vendite private.


Per chi ha letto la saga I love shopping, e visto il film omonimo, ricorderà Becky Bloomwood impazzire per gli Special Sale, happening dove, con sconti esclusivi riservati alla stampa e a pochi eletti, si possono conquistare capi e accessori a prezzi decisamente inferiori rispetto alle stesse collezioni distribuite nei negozi. Si tratta perlopiù di svendita di campionari o di giacenze di magazzino.
Ciò che viene romanzato da Sophie Kinsella è in realtà usualità per chi naviga nel settore della moda e ha l’opportunità di coinvolgere i propri amici e parenti che, nel gergo, vengono definiti i “Family & friends”.
Un fenomeno che ovviamente prende piede nell’unica Capitale della moda italiana con tanto di gruppi su Facebook e mailing list che svelano date, giorni e indirizzi dove vengono svolte.
D-Art segnala le 5 imperdibili svendite e occasioni presenti in città nei prossimi giorni.

1. Dal 27 al 28 novembre avranno luogo, in via Eustachi 23, i Sample Sales di Marios, brand per trend setter contemporanei, fondato dal duo greco polacco composto da Mayo Loizou e Leszek Chmielewski. Ai sui albori è stato finanziato da un’azienda giapponese che ha dato ai designer l’opportunità di avere una vetrina a Tokyo, affermandosi come contenitore multiculturale con ampie ambizioni. Forte di un’attenta ricerca, la sua identità si concentra su volumi e materiali sperimentali. L’equilibrio creato dal sapiente mix si sviluppa in abiti no gender, altamente funzionali, dalla chiara impronta urban.
Concettualmente legato al mondo dell’arte e della fotografia, ogni collezione si ispira a un artista e viene scattata da visionari fotografi contemporanei.


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2. Le vendite private di Lucio Vanotti, invece, si svolgono nell’affascinante studio del designer. Occasione per fare affari e entrare nell’aura minimalista e asettica che circonda il brand. Solo su appuntamento.
Diplomatosi alla Marangoni, a seguito di svariante consulenze, ha lanciato il suo marchio di cui l’imperativo è l’ispirazione al purismo. Ogni silhouette viene ripulita grazie a una progettazione matematica che dà vita a creazioni seasonless, prodotte in parte nel segno dell’italianità sartoriale. Ogni collezione è un insieme di capi combinabili tra di loro, sia per l’uomo che per la donna. Utilitarismo e lontananza da tutti gli elementi ornam si denotano negli outfit sospesi nel tempo, in grado di custodire e abbellire tridimensionalmente la mutevole struttura corporea.


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3. Focalizzandoci sulle occasioni nell’ambito degli accessori approdiamo al multisfaccettato brand IURI che inaugura lo spazio espositivo ampliato, nel cuore di via Tortona. Ispirato dalle geometrie presenti nel panorama artistico e architettonico, con i suoi calzini dai contrasti bicolor è entrato nel cuore della collettività. Lana merino, cotone egiziano e fibre naturali per un prodotto artigianale e Made in Italy che, negli ultimi tempi è affiancato da un’ampia gamma di cappelli e t-shirt.


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4. Il luxury estremo, con sconti fino al 70%, si può trovare solo alla vendita speciale di Ettore Bugatti. Abbigliamento, accessori e pelletteria, uomo e donna, dell’omonimo brand di automobili che, fino al 29 novembre, si potranno vantaggiosamente conquistare nello showroom di Piazza Sant’Ambrogio. Un’occasione unica per accedere con molta più facilità alle proposte da sogno di altissima manifattura ambite dai fanatici del bello di tutto il mondo.


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Ph. Luca Patrone



5. Dalle vendite speciali ai prezzi vantaggiosi di Koinè, temporary store, aperto fino al 24 dicembre che funge da contenitore espositivo per molti brand emergenti dell’eccellenza del Made in Italy, molti dei quali non ancora approdati nel capolouogo meneghino, che decidono di vendere le proprie collezioni attuali e immediatamente precedenti a costi decisamente inferiori.
Situato in piena Porta Romana offre assortimenti continui e un’ampio range di categorie merceologiche in grado di stuzzicare la curiosità dei clienti. Si spazia, infatti, dalla cosmesi ai gioielli e dagli abiti alle calzature per acquisti degni dei migliori total look.


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Le reali Becky Blomwood, dunque, grazie alle dritte di D-Art non possono assolutamente perdere l’opportunità di “alzare i tacchi” e dedicarsi a una settimana di intenso shopping nel massimo rispetto delle proprie finanze.



(Presentandovi con questi inviti, potrete accedere alle svendite. Solo per i lettori di D-ART)

Alla Triennale di Milano si sfoglia “Il Nuovo Vocabolario della Moda Italiana”

Dal 24 novembre 2015 al 6 marzo 2016 La Triennale di Milano presenta  Il  Nuovo  Vocabolario  della  Moda  italiana.  Una  mostra – dedicata ad Elio Fiorucci – unica nel suo genere, nata dall’esigenza di riconoscere e celebrare l’Italia della moda contemporanea e i suoi protagonisti. Marchi e creativi che negli ultimi 20 anni hanno rinnovato e recuperato il DNA culturale, tecnico e tecnologico della tradizione, riscrivendolo in un linguaggio del tutto originale.

 

 

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Il nuovo vocabolario della moda italiana analizza questo linguaggio e la nuova natura della moda italiana attraverso il lavoro dei suoi protagonisti e le loro molteplici espressioni. Dal prêt-à-porter allo streetwear, dalle calzature agli occhiali, dai bijoux ai cappelli: un inedito vocabolario di stile e produttività. La mostra è un’accurata messa in scena del tratto di storia recente del made in Italy, a partire dal 1998, l’anno che segna il concreto passaggio a un mondo interconnesso dal web, alle nuove forme della comunicazione;  dieci anni prima della grande crisi globale del 2008, che investe le economie occidentali e mette in crisi i paradigmi economici, sociali e culturali della post-modernità. Il 1998 è l’anno spartiacque tra il “prima” e il “dopo”; tra chi ha attraversato la crisi rigenerandosi e chi ne ha tratto la spinta per intraprendere un percorso autonomo.

 

 

Elena Ghisellini Pochette “Rainbow Flag”,  © Foto Francisco Montoya
Elena Ghisellini Pochette “Rainbow Flag”,
© Foto Francisco Montoya

 

 

Oltre cento realtà tra le più importanti del panorama contemporaneo partecipano alla mostra con i propri prodotti e progetti. Sono stilisti e marchi, selezionati con l’approccio didattico-scientifico di un sistema a fasi successive dai curatori Paola Bertola e Vittorio Linfante insieme con il Comitato Scientifico della mostra (presieduto da Eleonora Fiorani e composto da Silvana Annicchiarico, Gianluca Bauzano, Patrizia Calefato, Enrica Morini, Domenico Quaranta e Salvo Testa), e avvalendosi di un nutrito gruppo di “advisor” esperti del mondo della moda (comunicatori, stilisti, giornalisti, produttori, distributori…). Perché “vocabolario”? Per sintetizzare, illustrare, definire le caratteristiche  fondanti  del  made  in  Italy  contemporaneo,  oggi ancora in fase di scrittura e di evoluzione.

 

 

Carolina Melis 2014
Carolina Melis 2014

 

 

Se da una parte il “fatto in Italia” è riconosciuto nel mondo come eccellenza, dall’altra è tipicamente rappresentato da marchi e stilisti affermatisi sino agli anni Novanta, negando in un certo senso la sua capacità di rigenerazione. Eppure, confermando la storica attitudine all’auto-organizzazione italiana, una nuova generazione sta scrivendo da tempo un linguaggio riconfigurato della moda italiana. Questo grazie alla valorizzazione di risorse accessibili in Italia e scomparse altrove: l’attitudine progettuale diffusa, i patrimoni di cultura materiale, le piccole reti di laboratori, le manifatture periferiche», spiegano i curatori Bertola e Linfante. “Vocabolario”, dunque, nel suo significato di “repertorio di termini e locuzioni” è il mezzo per definire e cristallizzare il nuovo linguaggio del made in Italy.

 

 

N3M / NoiTreMilano  Mocassino “Boccioni” P/Eestate 2016 © Foto courtesy NoiTreMilano
N3M / NoiTreMilano
Mocassino “Boccioni”
P/Eestate 2016
© Foto courtesy NoiTreMilano

 

 

Per valorizzare il contenuto progettuale dei capi, degli accessori e per esprimere con forza il concetto di “vocabolario”, la mostra è strutturata in un percorso composto da Lemmi che sintetizzano ognuno un concetto tipico e rinnovato del made in Italy. Per esempio: Materia, Costruzione, Ornamento, Dettaglio, Laboratorio, ognuno  caratterizzato da istallazioni che illustrano il prodotto e il relativo processo creativo, dal cartamodello, agli accessori, dalle prove di lavorazione alle componenti.

 

 

 

Elena Xausa Babel
Elena Xausa Babel

 

 

La mostra è articolata in 3 macro sezioni:

 1. Vocabolario: qui i prodotti sono organizzati intorno a concetti chiave, così da rappresentare i diversi approcci progettuali che ricontestualizzano gli elementi archetipici del prodotto italiano.
 2.   Narrazioni:   dove   viene   tracciata   la   mappa   del   sistema   di produzione culturale e comunicativa che ruota intorno alla moda: fotografia, illustrazione, nuovi media, editoria, video-arte.
 3. Biografie: è la sezione che concentra la narrazione sulle storie dei singoli stilisti e marchi cui si deve il nuovo linguaggio della moda made in Italy.

 

Fonte: La Triennale di Milano

Fabio Rusconi collezione primavera-estate 2016

FABIO RUSCONI PRESENTA LA COLLEZIONE SPRING/SUMMER 2016

 

Per la stagione Primavera-Estate 2016 Fabio Rusconi si avventura in viaggi lontani, scegliendo mete affascinanti e colorate dalla natura. Esplora deserti rocciosi, giungle tropicali e souk colorati da spezie profumate e pungenti, lasciandosi affascinare da tutto ciò che incontra.

Il risultato è in una palette di colori che nasce da una base di toni naturali del cuoio, dai chiari color carne alle calde terrecotte e scuri tabacchi, fino ad intingere nel banco completo delle spezie. I colori vegetali opachi sono sperimentati su vacchette e camosci impalpabili e pelli nabukate perforate o lisce. Le nappe sono morbide e le vernici hanno toni naturali, speziati ma anche pop. I metallici hanno tonalità ottone, rame e argento satinato.

Gli animalier sono presentati su basi colorate o sofisticati neutri.

 


Chanel Métiers d’Art a Roma

Sfilerà il primo dicembre nella cornice di Cinecittà la collezione Métiers d’Art di Chanel 2015/16 intitolata Paris-Rome. Le due capitali saranno unite dallo charme della storica maison francese: Roma è la location scelta da Karl Lagerfeld per presentare la sfilata, negli storici studios di Cinecittà.

Inoltre, sempre nella medesima sede, sarà presentato l’ultimo cortometraggio girato da Lagerfeld e dedicato alla vita di mademoiselle Coco: protagonista è Kristen Stewart, nei panni di Gabrielle Chanel. Nel corto spicca Géraldine Chaplin: l’attrice, alla sua quarta interpretazione della couturiere che ha rivoluzionato i canoni della moda, sarà con la Stewart protagonista di “Once and forever” -questo il titolo del corto.

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Nel cast del film anche Jérémie Elkaïm, François Marthouret, Amanda Harlech, Jamie Bochert, Jake Davies, Baptiste Giabiconi e Laura Brown. Kristen Stewart è un nome molto caro a Lagerfeld, che l’ha scelta come volto della collezione occhiali Primavera/Estate 2015 e ora come testimonial della campagna pubblicitaria Métiers d’Art.

L’attrice statunitense, classe 1990, divenuta celebre per il suo ruolo di Bella nella celebre saga Twilight, si trova molto a suo agio nei panni di Coco Chanel, almeno a giudicare dalle prime foto del backstage, appena diffuse: tatuata quanto basta, in un inedito ma quantomai riuscito mix di elementi contemporanei e tocchi vintage, lo stile ribelle sfoggiato dalla Stewart ben si sposa con la personalità esplosiva di Gabrielle Coco Chanel, la cui vita ricca di ostacoli, disfatte e vittorie, ha incantato generazioni di fashion victims. Il corto prevede scene di backstage che si alternano alla narrazione, in un gioco di epifanie. Imperdibile l’appuntamento del primo dicembre a Roma.


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Borse Autunno/Inverno 2015-2016

Si dice che nell’inconscio rappresentino un simbolo sessuale; certamente nell’immaginario collettivo sono l’ossessione femminile più diffusa, seconda solo alle scarpe: le borse sono protagoniste assolute delle tendenze per l’autunno/inverno 2015-2016.

Coloratissime, declinate in tutte le forme e tutti i modelli, stravaganti e bizzarre, sobrie e classiche, le proposte viste sulle passerelle di Milano, Londra, Parigi e New York ci mostrano una grande varietà di scelta.

Bauletti da viaggio sfilano da Louis Vuitton, mentre Dolce & Gabbana, accanto al consueto mood a tema religioso, propone inedite borse decorate con disegni che omaggiano il tema della collezione autunno/inverno 2015-2016: la mamma diventa protagonista assoluta, per secchielli e clutch che inneggiano all’amore filiale, tra disegni che ci riportano all’infanzia e fiori stilizzati.





Stampe optical viste da Fendi, Andrew GN e Just Cavalli, che propone anche un mood cartoon. Dolcezza e romanticismo nelle fantasie bucoliche viste da Blugirl, mentre Olympia Le Tan porta in passerella una clutch ispirata al breviario.

Mood folk protagonista delle collezioni Stella Jean e DSquared2: le borse sono a mano, fatte di lana intrecciata e decorata con suggestioni andine da cui fanno capolino piume e dettagli furry. Quasi un omaggio agli indios, la freschezza della lana colorata e decorata con motivi aztechi conferirà al nostro inverno nuove note.

Ma la parola d’ordine per questa stagione è solo una: osare. E le passerelle ci propongono idee assolutamente originali: dall’orsacchiotto abbarbicato sullo zainetto, visto da Moschino, al disco volante di Au Jour Le Jour; dalle suggestioni inquietanti viste da Tod’s al lucchetto gigante, ancora una volta portato in passerella da Jeremy Scott per Moschino, fino al maglione con apposita tasca posteriore di Chanel. Il concetto tradizionale di borsa sembra ormai tramontato: largo a forme nuove e bizzarre, per stravaganze che divengono must have.

Semplicità e pulizia hanno caratterizzato la collezione di Laura Biagiotti, mentre Alberta Ferretti propone suggestioni barocche, con bauletti impreziositi da decorazioni.


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Gloria Vanderbilt: il lusso e lo charme

Lusso, eccessi, charme: quando si sente il nome di Gloria Vanderbilt queste sono alcune delle immagini che vengono subito alla mente. Ereditiera di un’immensa fortuna, socialite tra le più brillanti del suo tempo, musa, icona di stile, artista e, ancora, modella e designer, Gloria Vanderbilt ha incarnato la quintessenza dello stile e della bellezza, rappresentando per oltre mezzo secolo uno dei volti più conosciuti del jet set internazionale.

Habitué del mitico Studio 54, modella ritratta da fotografi del calibro di Richard Avedon, Gordon Parks, Louise Dahl-Wolfe, Horst P. Horst e Francesco Scavullo, negli anni Settanta, dopo una vita consacrata all’arte e alla bellezza, declinata in ogni sua forma, divenne fashion designer. Il lancio della sua linea vedeva il cigno, simbolo di candore, come logo. Occhiali, profumi e una linea di abbigliamento di cui ancora ricordiamo i celebri jeans: il nome di Gloria Vanderbilt è stato sinonimo di stile per oltre trent’anni.

Gloria Laura Vanderbilt è nata a New York il 20 febbraio 1924 da Reginald Claypoole Vanderbilt e dalla sua seconda moglie Gloria Morgan. Bellissima già da neonata, fu battezzata come cattolica. Alla morte del padre, avvenuta quando la piccola ha appena 18 mesi, Gloria eredita un patrimonio immenso, stimato in circa 5 milioni di dollari.

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Gloria Vanderbilt in Bill Blass, foto di Francesco Scavullo per Town & Country, 1969


Gloria Vanderbilt tra i modelli di jeans disegnati da lei. Foto di Evelyn Floret, 1979


Uno scatto del 1958
Uno scatto del 1958


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Gloria Vanderbilt nel suo appartamento a South Penthouse, 10 Gracie Square. Foto di Richard Avedon, New York, 1956


Durante la sua infanzia frequenti sono i viaggi da e per Parigi, con la madre e l’amatissima governante Emma Sullivan Kieslich. Un ruolo importante nell’infanzia della piccola fu rivestito dalla sorella gemella della madre, Thelma, che fu amante del Principe di Galles. La madre di Gloria ha le mani bucate, e ciò rappresenta un pericolo per la gestione dell’immenso patrimonio di cui la piccola Gloria non può beneficiare fino alla maggiore età: è per questo che interviene Gertrude Vanderbilt Whitney, zia di Gloria dal ramo paterno. Appassionata di scultura e filantropa, Whitney chiese la custodia della nipote, scatenando un processo che all’epoca destò notevole scalpore. La giovane Gloria si trovò così, ancora bambina, a dover testimoniare davanti ad una giuria, nella posizione forse più traumatica per una bambina: quella di dover scegliere tra la madre e la zia. Alla fine fu quest’ultima ad avere la meglio: la piccola Gloria crebbe nel lusso della residenza di Gertrude, divisa tra Long Island e New York. La storia del processo divenne anche il tema della miniserie trasmessa nel 1982 dalla BBC “Little Gloria…Happy at Last”, che ottenne ben sei Emmy e un Golden Globe.

1942
Una foto del 1942


Gloria Vanderbilt, New York, December 1953. Photographed by Richard Avedon.
Gloria Vanderbilt, New York, Dicembre 1953. Foto di Richard Avedon.


Gloria Vanderbilt con i suoi figli Carter e Anderson Cooper


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Wyatt Emory Cooper e Gloria Vanderbilt con i figli Anderson e Carter. Foto di Jack Robinson per Vogue, New York, giugno 1972


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Gloria Vanderbilt nel suo studio, foto di Horst P. Horst, 1975


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Gloria Vanderbilt ritratta da Horst P. Horst per Vogue, New York, 1975


Gloria Vanderbilt divenne una fanciulla bellissima: occhi a mandorla e labbra carnose su un viso perfetto la resero adatta a posare come modella per numerosi magazine. Apparve su Vogue, Town & Country, Life Magazine e Harper’s Bazaar. Brillante negli studi, frequentò le migliori scuole, fino alla Art Students League di New York, dove sviluppò un notevole talento artistico. Al compimento della maggiore età, quando poté finalmente impadronirsi dell’immenso patrimonio ereditato dal padre, Gloria tagliò completamente fuori la madre, pur non smettendo mai di supportarla economicamente, facendola vivere in una lussuosa residenza a Beverly Hills, dove la donna morì nel 1965.

La bella Gloria studiò recitazione alla Neighborhood Playhouse con Sanford Meisner come maestro. Dotata di un immenso talento artistico, presto si impose come pittrice, dando anche numerose mostre. I suoi dipinti furono acquistati, a partire dal 1968, da Hallmark Cards e da Bloomcraft e Gloria iniziò a dipingere con successo ceramiche e oggetti per la casa. Simbolo del lifestyle e del lusso coniugato allo stile, il suo appartamento di New York è stato a lungo rappresentato dai principali magazine di interior design: piastrelle patchwork e un’eleganza che si traduce in maestosa opulenza, la lussuosa residenza è stata location di alcuni degli scatti più celebri che ritraggono la socialite.

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Gloria Vanderbilt Cooper in una foto di Francesco Scavullo, anni Sessanta


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Gloria Vanderbilt intenta ad abbronzarsi, Junction City, Kansas, 1941


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Gloria Vanderbilt in Fortuny Delphos e gioielli di Rita Delisi. Foto di Richard Avedon per Vogue Italia, 1970


Gloria Vanderbilt modeling her Fortuny dress and Rita Delisi necklance. Photo by Richard Avedon. Vogue, 1969.
Gloria Vanderbilt posa nel suo abito Fortuny dress con una collana di Rita Delisi. Foto di Richard Avedon. Vogue, 1969


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Gloria Vanderbilt in un abito Fortuny Delphos. Foto di Richard Avedon, 1970


La sua carriera nella moda è iniziata negli anni Settanta, dapprima con il marchio Glentex, per cui disegnò una linea di sciarpe. Nel 1976 il designer indiano Mohan Murjani le propose di lanciare una linea di jeans usando il suo nome come logo. Più stretti di quelli che si usavano all’epoca, i jeans firmati Gloria Vanderbilt furono un successo senza precedenti: seguiti da una linea di abbigliamento e profumi, ben presto il logo col nome della socialite divenne sinonimo di lusso e qualità, che oltrepassò i limiti della moda fino a comprendere liquori e accessori di vario tipo. I diritti sui jeans furono poi acquistati nel 2002 dal gruppo Jones Apparel. Dal 1982 al 2002 L’Oréal lanciò otto fragranze col nome di Gloria Vanderbilt. Nel 1978 la Vanderbilt lanciò la propria compagnia, GV Ltd., con sede a New York. Nel corso degli anni Ottanta accusò i suoi partner e il suo avvocato di frode e, dopo un lungo processo, vinse la causa. I suoi jeans attillati rappresentano ancora oggi un autentico must have: tanti sono i siti di moda vintage che propongono modelli ormai rari e preziosi.

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L’interno dell’appartamento della Vanderbilt


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La camera arredata in stampa patchwork nell’appartamento della socialite


Gloria Vanderbilt's apartment - portrait of her mother
Il ritratto della madre di Gloria Vanderbilt


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Le celebri decorazioni nell’appartamento di New York


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Gloria Vanderbilt a 17 anni, foto di Horst P. Horst, New York, 1941


Gloria Vanderbilt quindicenne ritratta da Louise Dahl-Wolfe per Harper's Bazaar
Gloria Vanderbilt quindicenne ritratta da Louise Dahl-Wolfe per Harper’s Bazaar


Gloria Vanderbilt ritratta da Francesco Scavullo, 1968


Autrice di quattro memoriali e di tre romanzi, contributor del New York Times, di Vanity Fair ed Elle, nel 2001 la Vanderbilt ha inaugurato la sua mostra d’arte dal titolo “Dream Boxes” presso il Southern Vermont Arts Center di Manchester. Un successo di pubblico e critica, la mostra è stata seguita nel 2007 da un’altra esposizione. Inoltre Gloria Vanderbilt ha fatto molto parlare di sé per il suo ultimo romanzo, dal titolo “Ossessione: un racconto erotico”. Recensito dal New York Times come il “libro più piccante mai scritto da una ottuagenaria”, trattasi di fatto di un libro a luci rosse, i cui protagonisti fanno ampio uso di fruste, corde di seta, insieme ad ortaggi vari, usati in metodi assolutamente non convenzionali.

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Gloria Vanderbilt nella cucina del suo appartamento, foto di Horst P. Horst per Vogue, New York, 1975


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Gloria Vanderbilt fotografata da Gordon Parks per Life Magazine (1954)


Gloria Vanderbilt. foto di John Rawlings, 1945
Gloria Vanderbilt. foto di John Rawlings, 1945


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Gloria Vanderbilt in un abito Mainbocher, foto di Richard Avedon per Harper’s Bazaar, 1955


Gloria Vanderbilt ritratta da Gordon Parks, 1952


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Uno scatto risalente agli anni Quaranta


La bella ereditiera non smette di sorprenderci. D’altronde, come ogni icona che si rispetti, anche la Vanderbilt non si è fatta mancare una vita sentimentale alquanto tumultuosa: appena diciassettenne sbarcò ad Hollywood, dove convolò a nozze con l’agente Pat DiCicco, nel 1941. Ma il matrimonio lampo fu seguito, appena quattro anni dopo, da un divorzio, in cui l’ereditiera dichiarò di essere stata vittima di violenze e abusi da parte del marito. Nel 1945 Gloria sposò il conduttore Leopold Stokowski. Nel 1956 il terzo matrimonio, con il regista Sidney Lumet. Infine, il quarto ed ultimo matrimonio, con l’autore Wyatt Emory Cooper, celebrato nel dicembre 1963. La coppia ebbe due figli, Carter Vanderbilt Cooper, morto suicida nel 1988, dopo essersi lanciato dal quattordicesimo piano dell’appartamento di famiglia, e il giornalista della CNN Anderson Hays Cooper. Wyatt Cooper, forse l’unico amore della sua vita, morì nel 1978.

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Gloria Vanderbilt ritratta da Horst P. Horst. ca. 1961


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Gloria Vanderbilt ritratta da Francesco Scavullo, anni Cinquanta


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Gloria Vanderbilt ritratta da Horst P. Horst, 1970, abito patchwork di Adolfo.


Gloria Vanderbilt, foto di Richard Avedon 1955
Gloria Vanderbilt, foto di Richard Avedon 1955


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Gloria Vanderbilt, foto di Horst P. Horst, 1966


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Bellissima ed elegante, Gloria Vanderbilt è un’icona di stile, una designer di successo ed un’artista di fama mondiale


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Gloria Vanderbilt in uno scatto risalente agli anni Cinquanta


L’ereditiera è nata a New York il 20 febbraio 1924


Gloria Vanderbilt mantenne sempre una relazione fatta di stima ed affetto reciproco col fotografo Gordon Parks, fino alla morte di quest’ultimo, avvenuta nel 2006. Inoltre ebbe relazioni con Marlon Brando, Frank Sinatra, Howard Hughes. Truman Capote rivelò di essersi ispirato a lei per il celebre personaggio di Holly Golightly, protagonista dell’indimenticabile romanzo Colazione da Tiffany. Grande amica di Diane von Fürstenberg e della commediografa Kathy Griffin, al compimento del suo novantesimo compleanno, il 20 febbraio del 2014, le collezioni dei suoi dipinti sono state esposte nella galleria di 1stdibs presso il New York Design Center. Oggi la celebre icona appare completamente diversa, a causa di una serie di interventi di chirurgia estetica. Il suo nome resta però legato ad un periodo storico forse ineguagliabile, quanto a stile ed eleganza. Per nostalgici doc.


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