Janelle Monáe ha spiazzato tutti indossando nell’ultimo videoclip Pynk(features Grimes) dei bizzarri pantaloni rosa a forma di vagina in seta e tulle, destinati ad entrare nella storia di moda. Janelle appare con una schiera di ballerine al suo fianco, in una location western dai colori sabbia e rosa.
Il videoclip, girato da Emma Westenberg, è colmo di allusioni e simboli femministi ed è una vera celebrazione del “pussy power“. Di uomini non ce n’è nemmeno l’ombra. Già in occasione dei Grammys 2018 , la cantante-femminista aveva affermato: «Sono orgogliosa di manifestare la mia solidarietà, non solo come artista ma anche come giovane donna, alle mie sorelle che in questa stanza lavorano nell’industria della musica: cantanti, autrici, segretarie, uffici stampa, amministratori delegati, produttori, ingegneri e donne di ogni settore del business. Siamo anche figlie, sorelle, mogli ed esseri umani. Veniamo in pace, ma sappiamo che cosa sono gli affari. E a quelli che osassero silenziare le nostre voci noi offriamo due parole: Time’s up».
Nel 2018 si può davvero ancora parlare di femminismo? Sarebbe più corretto parlare di post-femminismo? Nonostante siano passati alcuni anni dalla pubblicazione dei Monologhi della Vagina a cura di Eve Ensler, le donne continuano a battersi per la propria libertà sessuale e a rivendicarla, anche in maniera originale e insolita. In ogni caso, la provocazione di Janelle è stata recepita in maniera altamente positiva dal pubblico e dai social, dove i suoi pussypants stanno circolando con entusiasmo. Tuttavia, in Italia, risulta ancora improbabile e scandaloso vedere allusioni apertamente sessuali in un videoclip tutto al femminile.
Tag: moda
Prada Spirit: la nuova frontiera dello shopping alternative
Prada Spirit è il nome del nuovo e originale progetto retail lanciato da Miuccia Prada e Patrizio Bertelli a Macau, presso lo store cinese Galaxy Mall. Da oggi in poi, è infatti possibile acquistare dei capi firmati Prada in tutto relax, in un comodo angolo appositamente ricostruito come un Bar-Caffé e ideato per la socializzazione dei clienti.
Come un vero e proprio bar tradizionale, è fornito di menu tramite il quale il cliente può ordinare ed acquistare il prodotto desiderato in un’atmosfera rilassata e lussuosa. Il bancone centrale è rivestito completamente da una teca trasparente ed è circondato da alti sgabelli rossi. Il fondale, invece, consiste in una parete-chandelier, con delle lame in perspex sfaccettato.
Il centro Galaxy Mall aveva d’altronde già ospitato un altro progetto di Prada intitolato Silver Line dove era possibile acquistare accessori da viaggio per donna, direttamente all’interno di una porzione di treno. Il nuovo progetto Prada Spirit, in occasione del Capodanno Cinese, farà ben presto tappa in altre importanti città: Pechino, Shanghai, Hong Kong, Taipei, Singapore, Seoul, Vancouver e Costa Mesa.
Intervista a Gian Paolo Barbieri: la fotografia è una profonda testimonianza della condizione umana
Gian Paolo Barbieri nasce nel centro di Milano, da una famiglia di grossisti di tessuti dove, proprio nel grande magazzino del padre, acquisisce le prime competenze inerenti la fotografia di moda. Muove subito i primi passi nell’ambito teatrale diventando attore, operatore e costumista; in seguito, gli viene affidata una piccola parte non parlata in ”Medea” di Luchino Visconti. Ed è proprio il cinema noir americano ad incuriosirlo sulla gestione della luce e il senso di movimento, che rende gli attori e i personaggi ancora più affascinanti e dotati d’immensa autorità. A Parigi, inoltre, assiste il celebre fotografo di Harper’s Bazaar, Tom Kublin. Le campagne commerciali di Barbieri contribuiscono a definire la moda degli anni ’80 e ’90 dei marchi più famosi: Yves Saint Laurent, Chanel, Givenchy e Vivienne Westwood, Gianni Versace, Valentino, Giorgio Armani, Gianfranco Ferré.
I suoi ritratti si differenziano per una naturale e straordinaria eleganza. Cos’è, per lei, l’eleganza?
L’eleganza si può paragonare alla bellezza. L’eleganza è cultura. I greci dicevano: “Dove nasce la bellezza nasce la cultura”. L’iconografia della bellezza si fonde sulla visione radicale della libertà. La libertà come la bellezza, non si concede, si prende. Come diceva A. Camus, “La nostra epoca ha nutrito la propria disperazione nella bruttezza e nelle convulsioni”. Noi abbiamo esiliato la bellezza; i greci hanno preso le armi per essa.
Tra le donne che ha ritratto vi è anche la raffinata Audrey Hepburn. Cosa ricorda di lei?
Era il 1969 quando ho fotografato Audrey Hepburn. Eravamo a Roma nello studio di Valentino per Vogue Italia. Lei era molto gioiosa, mi disse che si era appena sposata con il Dott. Andrea Dotti. E’ arrivata con delle pantofole perché così, mi disse, non avrebbe sporcato il fondale bianco. Mi ricorderò sempre della sua estrema eleganza, quell’arte che nasceva dai suoi studi di danza, prima di approdare nel teatro e nel cinema.
Le sue immagini spiccano per un grande rigore formale. Come si pone rispetto all’errore?
Da ogni errore vedo un’opportunità, infatti, molte delle mie fotografie più belle nascono dai miei stessi errori.
Come nasce il suo interesse per la fotografia?
Attratto dal cinema e dal teatro sono andato a Roma. Per pagarmi la pensione, facevo i test ai ragazzi di Cinecittà con la mia prima macchinetta fotografica, poi sviluppavo la pellicola. Nella pensione mi davano il permesso di usare il bagno di notte, dove stampavo le mie foto e al mattino seguente le consegnavo dopo averle posizionate sotto il letto per farle asciugare. Poi un conoscente di mio padre, Gustave Zumsteg, nonché proprietario dell’azienda Abraham di tessuti di Zurigo, mi chiese di fargli vedere le mie fotografie, anche se erano totalmente amatoriali, gliele ho fatto vedere e mi disse: “Tu hai una sensibilità pazzesca e sei tagliato per fare la moda”. Io sono rimasto allibito, non sapendo nemmeno cosa fosse la moda. Dal momento che in Italia non esisteva ancora, le riviste compravano dei servizi fotografici già pronti, confezionati dalla Francia. Da lì, andai a Parigi per lavorare con Tom Kublin: un’esperienza che segnò decisamente l’inizio della mia carriera come fotografo.
Qual è l’aspetto a cui presta più attenzione mentre ritrae in particolare una donna?
Una donna deve essere estremamente femminile, non importa se presenta dei difetti poiché il più delle volte aiutano la fotogenia. Deve attrarre e sedurre chi osserva l’immagine. Lo sguardo è molto importante per me.
Creatività e fotografia di moda. Come si conciliano nei suoi lavori?
Tutte le arti influiscono sulla creatività fotografica. Una buona conoscenza della pittura, scultura ma anche cinema e letteratura, aiutano sicuramente il fotografo a conciliare la moda con la creatività. Per me non esiste la fotografia senza la propria capacità di invenzione. Molti pittori hanno influenzato la mia creatività unendola al mondo della moda come Gauguin, Michelangelo, Hockney, Holbein, Bacon e Rothko.
L’avvento dei social quanto ha influenzato la fotografia di moda?
Completamente. La fotografia di moda, intesa come lo era qualche anno fa, non esiste più in seguito all’avvento dei social. Con essi, infatti, si è persa quella poesia che c’era nell’utilizzare il negativo. E’ cambiato anche lo stile, non essendoci più la moda come era concepita una volta, ossia con dei temi ben precisi che la fotografia rispecchiava. Con i social oggi, ognuno fa quello che gli pare; non viene più rappresentato uno stile, un’eleganza o un modo di essere.
Se dovesse associare una parola alla sua fotografia, quale sceglierebbe?
Metafore della visione.
Fotograficamente parlando, si reputa soddisfatto di ciò che ha ottenuto finora?
Mi reputo abbastanza fortunato perché la fotografia è una profonda testimonianza della condizione umana. Fotografare è guardare in faccia la vita e fare della propria esistenza un’opera d’arte, come citava D’Annunzio.
Ci può accennare i suoi prossimi rendez-vous fotografici?
Sto lavorando su un nuovo progetto fotografico ispirato al poeta inglese Shakespeare, proprio in occasione della celebrazione dei 400 anni dalla sua morte. Prendo infatti ispirazione dalle più famose tragedie e dai sonetti del drammaturgo britannico, per poi trascriverle attraverso il mio occhio.
Inoltre, da quest’anno, è stata costituita la Fondazione Gian Paolo Barbieri; si tratta di un’istituzione culturale no-profit che promuove l’arte, la fotografia e ogni forma di espressione culturale nelle sue diverse realizzazioni attraverso workshop, collaborazioni con istituzioni e attività formative. (www.fondazionegianpaolobarbieri.it).
Gian Paolo Barbieri, tramite la sua sapiente fotografia, la collaborazione a riviste di grande importanza come Vogue America, Vogue Paris e Vogue Germania e grazie ai suoi eccellenti contributi a Vogue Italia con le campagne pubblicitarie dei marchi più noti, ha rinnovato profondamente la fotografia di moda italiana. Il senso di equilibrio, proporzione ed estrema armonia di derivazione classicistica sono il punto di forza del suo linguaggio personale e il riflesso di uno spirito di ricerca artistica, dovuto ad un’incessante curiosità. La sua Fondazione, costituita nel 2016 dallo stesso artista, è un’istituzione culturale che opera nel settore delle arti visive e che persegue finalità di promozione della figura artistica del Fondatore, delle sue opere fotografiche, dell’attività artistico-creativa nonché, più in generale, di promozione della fotografia storica e contemporanea.
La donna forte e romantica di “Marianna Cimini”
Una donna che sa quello che vuole scavalcando i classici canoni estetici, “Oltre il dipinto” è la nuova collezione di Marianna Cimini presentata a Altaroma.
Marianna Cimini
Una femminilità che ha il sapore di “Romanticismo contemporaneo”, una figura di donna energica ma delicata al tempo stesso.
Marianna Cimini immagina così la donna che ha portato sulle passerelle di Altaroma, una figura ispirata al dipinto di Claude Monet, “La Femme à L’ombrelle”, è bastata una luce riflessa sulla tela per far nascere “Oltre il Dipinto”, una collezione che profuma di arte pura.
Finalista nella categoria prêt-à-porter di “Who Is On Next?” 2014, Marianna Cimini non ha deluso le aspettative dei presenti, ammirati dalle splendide creazioni indossate da modelle che calcavano la passerella con passo deciso e sicuro di sé.
“Oltre il dipinto” parla di una donna che nonostante le costrizioni impostale, è consapevole di poterli superare, una trasfigurazione che va oltre i canoni estetici classici, e che attraverso i colori brillanti, i volumi romantici, gli outfit over o scivolati, i maxi cappotti, i macro pixel o i fiori stampati, vuole portare alla luce una nuova figura di donna forte e romantica al tempo stesso.
Il grigio delle rapide pennellate di Monet, si trasforma in bagliori vivaci attraverso dettagli in pelliccia, o le macro pailettes applicate su abiti boxy e top.
“Suzanne” si è svestita da crinolina e corsetti, per indossare una nuova figura di donna con: gonne pencil, pea coat in doppia crêpe di lana, completi giacca-pantalone dal taglio maschile, abiti coulisse reversibili in nylon waterproof, gonne midi e trench in vernice, senza dimenticare l’eleganza e la fluidità dei lunghi abiti in seta.
Marianna Cimini ha riscritto un nuovo pezzo della storia della moda ma anche dell’arte, dando nuova vita e speranza a una donna che vuole andare Oltre il Dipinto!
Guy Bourdin: moda, provocazione e crudeltà
Guy Bourdin è stato sicuramente uno dei fotografi di moda e pubblicità più influenti del ventesimo secolo. Seppur meno noto rispetto al collega Helmut Newton, il suo stile ha profondamente cambiato il linguaggio pubblicitario della moda, tanto da influenzare molti dei fotografi successivi.
Nacque a Parigi il 2 dicembre 1928 al 7 di Rue Popincourt. Abbandonato dalla madre all’età di un anno, fu Madame Maurice Désiré Bourdin che se ne prese cura e lo allevò affettuosamente. Sviluppò una particolare passione per la fotografia durante il servizio militare, a Dakar. Quando ritornò a Parigi, conobbe il grande Man Ray che incise indubbiamente sul suo stile conferendogli un tono inusuale. Nel 1961 sposò Solange Marie Louise Gèze, che morì suicida nel 1971. Dal 1955 al 1987 le sue immagini furono pubblicate su Vogue Paris; fu proprio un editore della rivista a presentare Guy Bourdin allo stilista Charles Jourdan, per il quale realizzò le campagne pubblicitarie delle sue calzature dal 1967 al 1981.
Il fotografo parigino, che rifiutò nel 1985 il Grand Prix National de la Photographie, desiderava che le sue opere venissero distrutte dopo la morte. Durante il corso della sua vita, invece, rifiutò spesso di organizzare mostre o pubblicare libri. Si mantenne sempre ben lontano dalle lusinghe dei suoi tempi e sembra che fosse molto frustrato per la notorietà che aveva acquisito nel settore fotografico. Non fu soltanto un fotografo, ma anche un bravo artista: si dedicò alla pittura fino alla fine.
Guy Bourdin ha sviluppato nel corso degli anni uno stile provocatorio, caratterizzato da immagini dai toni forti e da accostamenti surreali, in grado di spiazzare ed inquietare profondamente l’osservatore. I corpi femminili appaiono spesso sdraiati disordinatamente o frammentati; gambe che passeggiano, mani che si ripetono, corpi alienati ed elementi allusivi conferiscono una generale freddezza emotiva all’intera immagine che sfocia quasi nella crudeltà. Tale visione femminile deriva quasi probabilmente dal trauma infantile legato all’abbandono da parte dalla madre: sia con le donne a intorno a lui che con le modelle dei suoi shooting, si atteggiava con modi di fare spietati. Le modelle che egli seleziona, inoltre, sono quasi sempre dalla chioma rossa, dalla pelle chiarissima e truccate in maniera esagerata come la madre.
La personalità enigmatica e ambigua di Guy Bourdin si riflette perfettamente nell’atmosfera onirica delle sue immagini, a tratti disturbante. E’ stato il primo fotografo a frammentare fino all’estremità il corpo della donna e a costruire un linguaggio ricco di metafore sensuali . L’artista francese è stato in grado di assorbire l’influenza di Man Ray e dei surrealisti Magritte e Balthus, creando uno stile complesso, provocatorio, stupefacente e difficile da decifrare nel settore pubblicitario della moda.
Piero Gemelli: la fotografia di moda racconta un mondo e modi in “apparizione”
Attualmente, Piero Gemelli è considerato uno dei fotografi italiani più importanti a livello internazionale. È noto come fotografo di moda grazie alle innumerevoli campagne e immagini pubblicitarie che ha curato per marchi prestigiosi come Coveri, Shiseido, Revlon, Gucci e Ferrè. L’esperienza a Parigi, New York a Londra è stata particolarmente incisiva per la definizione e il maturare di un linguaggio proprio.
Le sue fotografie trasmettono un senso di solennità ed equilibrio. Qual è o quali sono gli aspetti a cui presta più attenzione mentre fotografa?
Solennità ed equilibrio sono due “sentimenti” che vorrei davvero mi appartenessero. Li sento miei anche se li inseguo e cerco in ogni mia visione e in ogni soggetto che si offre o che scelgo davanti ai miei occhi, ai miei desideri.
La mia formazione è nell’Architettura anche se, appena agli inizi della professione, è stata messa in disparte per la Fotografia; quest’ultima si è offerta come strumento più agile, di grande soddisfazione, di scoperta e racconto di sé.
Io credo che l’attenzione che dai al lavoro che fai debba essere naturale, istintiva e non troppo controllata. L’unico controllo che è giusto e doveroso operare è quello relativo all’esecuzione tecnica di ciò che si produce. Se l’idea ha un valore è anche grazie alla tecnica, corretta e controllata, con cui è prodotto.
Quando e come nasce la sua passione per la fotografia? Ce ne può parlare?
Ho iniziato a fotografare da ragazzino per ricordare viaggi, momenti di festa, genitori, per poi passare al liceo, a fotografare compagni di scuola e le prime fidanzatine. In quei ritratti ho introdotto l’emozione e il coinvolgimento emotivo. Oggigiorno, anche nel lavoro più strettamente professionale, cerco di mantenere sempre quello stesso coinvolgimento affinché l’atto fotografico possa essere occasione di conoscersi e raccontarsi.
Quali sono i fotografi che attualmente reputa fonte d’ispirazione?
L’ispirazione credo che nasca da una sintesi di tutto quanto è visto e vissuto, e fare nomi di possibili artisti come fonte di ispirazione non credo sia esaustivo; alla fine, tutto e tutti possono ispirare così come nessuno può risultare fonte d’ispirazione. Ogni lavoro, ogni fotografia, così come ogni prodotto artistico anche di non fotografi, lavorano nel tuo inconscio, ma è solo la tua personale coniugazione che dà a loro un valore nuovo; allo stesso modo, il mio stesso lavoro è stato sin dagli inizi occasione di emozioni e suggestioni per molti che, in un meraviglioso gioco di ping-pong, poi diventano essi stessi fonte d’ispirazione per me ed altri.
Che posizione occupa la creatività nei suoi lavori?
Senza di essa, nessun lavoro potrebbe essere definito creativo.
Che posizione occupano, invece, i dettagli nelle sue immagini?
L’opera, ossia il prodotto del proprio lavoro di creativo e di artista, contiene nient’altro che i dettagli che tra molti possibili sono stati selezionati ed enfatizzati per comporre il proprio personale racconto.
Come crede che sia possibile conciliare la libertà e la creatività con le richieste dei clienti?
Il valore del professionista dipende proprio dalla capacità di farlo; egli sa fare propria una commessa di lavoro e la sviluppa caratterizzandola con il proprio stile e la propria linguistica; diversamente, sarebbe solo un abile tecnico e un semplice, pur bravo, esecutore di creatività altrui. Infatti, non avrebbe alcun senso scegliere e pagare un professionista.
Il suo modo di concepire la fotografia è rimasto inalterato negli anni o ha subìto cambiamenti?
La fotografia, come ogni altra cosa della vita, è concepita in modo sempre dinamico perché la conoscenza, l’esperienza, le gioie, i dolori della vita fanno vedere e valutare ogni cosa in modo sempre diverso ed interessante. Tutto ciò è bello e difficile: coniugare chiarezza e coerenza di pensiero con nuove e diverse opinioni in un modo evolutivo e non condizionante.
Quanto hanno influito le sue esperienze all’estero nell’elaborazione di un linguaggio fotografico personale?
Voglio essere sincero: la mia fotografia, il mio linguaggio personale, la qualità del mio lavoro mi hanno offerto l’occasione di essere apprezzato all’estero, e quindi è forse più giusto dire quanto il mio lavoro e la credibilità professionale abbiano influito nel modo di vivere l'”estero”. Sicuramente molto.
Dove si dirige l’attuale fotografia di moda?
La fotografia di moda, come tutta la fotografia non pedissequamente descrittiva, racconta un mondo e modi in “apparizione“. sa leggere i segnali del cambiamento, li cavalca e li comunica fino a diventare racconto di una realtà prossima, di nuovo gusto ed orientamento culturale. Così fa oggi e così farà sempre. L’unica vera evidente novità è che il digitale, gli smartphone, tablet vari hanno dato accesso alla fotografia a tutti, permettendole di divenire un nuovo linguaggio globale e senza eccessivi filtri; tutto ciò da una parte, comporta una valanga di immagini sovrapposte e spesso confuse e non sempre di alta qualità; dall’altra, ha dato però la possibilità di far emergere talenti, quando validi, e di offrire loro un modo migliore di farsi strada e conoscere. Personalmente, seguo i social come Facebook e Instagram poiché sono convinto della loro forza di aggregazione e informazione.
Quali sono i prossimi appuntamenti di questo 2017 che la vedranno protagonista?
Gli appuntamenti migliori sono spesso quelli al buio, dove la sorpresa si arricchisce dell’attesa. Il 23 ottobre, all’interno del programma “Archivi aperti“, ci sarà un evento organizzato da Rete Fotografia (http://www.retefotografia.it/) in occasione della settimana della fotografia a Milano, dal 23 al 29 ottobre.
Gli ultimi mesi di quest’anno saranno invece dedicati all’organizzazione e preparazione di eventi, mostre, interventi e talk che sono in calendario per il 2018. Per aggiornamenti su questi appuntamenti e non perdere le novità si può fare riferimento ai miei account sui social e ai comunicati stampa in rete.
La fotografia di Piero Gemelli si contraddistingue per una straordinaria eleganza: in ogni sua immagine è, infatti, evidente la ricerca di equilibrio e geometria dettata dai suoi studi in Architettura. I suoi ritratti sono solenni e intimi al tempo stesso. Egli è creativo ma rispetta la tecnica, e ciò gli dà vanto affermando la sua impronta personale nel mondo della fotografia di moda internazionale.
http://www.pierogemelli.com/
https://www.facebook.com/Piero-Gemelli-1287913677984528/
https://www.instagram.com/pierogemelli/
La donna esotica di Cristiano Burani – collezione SS 2018
La collezione Cristiano Burani Primavera Estate 2018 è l’esperienza di un viaggio, come quella che fece Paul Gauguin quando fuggì a Tahiti per coltivare l’arte come lui la intendeva: selvaggia e primitiva, come le donne dell’isola. Una missione artistica, una collezione che la ricorda con i colori vivaci dei fiori, con la florida bellezza delle donne locali.
La Primavera Estate 2018 di Cristiano Burani sfugge alla fatica e si rifugia tra le braccia di Madre Natura, godendone a pieno le libertà, la donna veste leggera con i tulle plissettati, le nuance vitaminiche la accendono, i cow boy boots la portano a spasso per le foreste inesplorate.
I colori neon, come l’azzurro delle gonne plissé, ricordano i cieli oliosi dell’isola polinesiana cara a Gauguin, le stampe floreali la sua nuova casa, le frange multicolor dei maxi marsupi sono le code dei pappagalli.
La maglieria è lavorata a mano ed è la tessitura di reti che lasciano intravedere il corpo della donna, quasi fosse un peccato coprirla; ciò che appare pelliccia in realtà è denim, ciò che sembra non è, una collezione carica di energia e mistero, quasi fosse un messaggio di nuova speranza.
Che sia questa la strada Cristiano Burani?
POTREBBE INTERESSARTI ANCHE:
CRISTIANO BURANI TRA STREETWEAR E GRUNGE – FW 17/18
CARAMELLOSA LA DONNA CRISTIANO BURANI SS17 ALLA MILANO FASHION WEEK
MILANO FASHION WEEK: LA SFILATA CRISTIANO BURANI PRIMAVERA – ESTATE 2016
FASHION EDITORIAL “JUSTIFY MY LOVE” STARRING JUSTINE MATTERA
ALBERTA FERRETTI, IL RITORNO ALLA SEMPLICITÀ – COLLEZIONE SS 2018
Addio a Pierre Bergé: ex socio e compagno storico di Yves Saint Laurent
Lutto nel mondo della moda: si è spento, all’età di 86 anni, il celebre imprenditore francese Pierre Bergé. Malato da anni di miopatia, si è spento nella sua residenza a Saint Rémy-de-Provence, in Francia. A darne la triste notizia è stata la stessa fondazione Pierre Bergé-Yves Saint Laurent.
Bergé, nel 1961, è stato cofondatore della rinomata Casa Yves Saint Laurent Couture. Dopo la sua chiusura, è divenuto presidente della Fondazione Pierre Bergé-Yves Saint Laurent. Oggigiorno, l’imprenditore francese viene ricordato soprattutto per la sua lunga relazione sentimentale con il socio Yves Saint Laurent. Anche dopo la sua fine, avvenuta in maniera ufficiale nel 1976, Bergé rimarrà al fianco del compagno fino alla sua morte avvenuta nel 2008 per colpa di un tumore al cervello. La sua passione per il grande couturier è durata innumerevoli anni, nonostante i vizi risaputi di YSL. In merito al suo amore folle, diceva: «Yves aveva bisogno di fare le esperienze anche estreme che si facevano nella Swinging London. A me diceva sempre che ero noioso, troppo preciso. Mi amava molto, su questo non ho mai avuto dubbi, però io non bevevo, non mi drogavo, facevo una vita molto normale».
Pierre Bergé è stato nel corso della sua vita un uomo provocatorio, amante dell’arte e della cultura. Egli stesso si autodefiniva un “artista mancato”. In occasione di un’intervista, durante la quale gli è stato domandato cosa avrebbe fatto se avesse avuto 20 anni, ha affermato: “Non lo so. Forse farei il terrorista. Poi guardo a quello che succede oggi e capisco l’inconsistenza di questa affermazione. Però ne apprezzo la provocazione. Viviamo in un’era di politically correct, termine odioso che per me rappresenta la morte dell’intelligenza. Bisogna tornare a essere radicali e a seguire le proprie convinzioni senza paure, fino in fondo”.
In vita, si è molto battuto per la difesa dei diritti degli omosessuali, lottando sempre al fianco del compagno. Sempre durante un’intervista, egli ha dichiarato: “L’omosessualità è quello che è, non è una deviazione o una malattia. Yves aveva un po’ paura a parlare di questo, era un giovane timido venuto dall’Algeria. Ma io l’ho aiutato ad andare avanti per la sua strada. Volevo che diventasse il centro del mondo“.
Katie Grand: chi è la regina delle stylist
E’ in assoluto la stylist più famosa e amata, con una carriera sfavillante alle spalle e un gusto unico: Katie Grand è nata nel 1971 a Leeds da un ricercatore e da un’insegnante. I genitori si separano quando lei ha solo sette anni e da allora abita col padre; cresciuta a Birmingham, la piccola Katie scopre il mondo della moda a dodici anni. Intanto a scuola è bravissima in matematica, storia ed inglese. “Verso i quindici anni decisi che volevo fare qualcosa attinente all’arte o alla moda”, afferma la stylist, che iniziò a prendere lezioni di scultura, disegno e ceramica. Il primo lavoro risale all’adolescenza: “Quando avevo diciassette anni ottenni un internship presso la stilista inglese Katharine Hamnett. Frequentavo il college a Birmingham e andai a Londra per una settimana. Kate Moss era sulla cover di The Face. Pensai che non avevo mai avuto idea di cosa fosse uno stylist prima ma sembrava qualcosa di molto interessante”, così Katie Grand ricorda i suoi primi passi nella moda. “Volevo essere alla moda”, ricorda Katie. Considerata una secchiona, studia alla prestigiosa Central Saint Martins, che abbandona però quando il fotografo Rankin le chiede di aiutarlo con il lancio di Dazed and Confused, magazine dove Katie Grand lavora come fashion director per tutto il corso degli anni Novanta. Nel 2000 lancia Pop, fashion magazine che vede nel quarto numero Madonna in copertina. Il successo è mondiale: vengono vendute 80.000 copie della rivista, che include come cover girl nomi come Beyoncé e Victoria Beckham. Tra le icone di stile predilette dalla stylist la celebre fashion editor Isabella Blow, Lauren Hutton, Carlyne Cerf, Sofia Coppola. La sua carriera fu in costante ascesa fino alla direzione di Love; tante le collaborazioni illustri, da Louis Vuitton a Prada, per cui ha curato numerose sfilate, fino alla linea disegnata per Hogan. Considerata dal Daily Telegraph “una delle stylist più potenti del mondo”, Katie Grand vanta tra le sue amicizie Madonna, Stella McCartney, Luella Bartley, Miuccia Prada e Giles Deacon. Celebre il servizio fotografico in cui riuscì a convincere Elizabeth Hurley a posare nuda sulla cover di Pop a sole sei settimane dal parto. Sposata al bassista Steve Mackey, il suo stile iconico è ancora apprezzatissimo dai fashionisti di ogni parte del mondo.
Maki Oh: quando la moda profuma d’Africa
Un’estetica che arriva da lontano e ci viene tramandata attraverso suggestioni tribali ed atmosfere esotiche: Maki Oh è un brand di womenswear che nasce in Nigeria ed unisce le tradizionali tecniche africane ad un design fortemente contemporaneo. Fondato nel 2010 da Maki Osakwe, il brand esplora le culture tribali in un suggestivo sincretismo con la moda occidentale. Caratterizzato da un forte senso di identità, Maki Oh esplora pattern tridimensionali, in una dimensione ecosostenibile che punta a preservare la cultura d’origine. Una donna innamorata, in attesa del suo uomo, sotto il cielo stellato di Lagos: questo il mood che ispira la collezione autunno/inverno 2017-2018 del brand. Una storia affascinante, che si perde in sentieri inesplorati tra le luci notturne della città. Non mancano pattern iconici, che ricordano i graffiti che impreziosiscono i mezzi pubblici, accanto a slogan come “No Condition Is Permanent”: la palette cromatica abbraccia stampe optical e nuance fluo, tra tocchi metallici dal sapore glam e sparkling che conferiscono ad alcuni outfit uno charme che ben si adatta alle sere invernali. Maxi dress stampati si alternano a capi glitterati, pensati per una donna giovane e seducente. Non mancano suggestioni che strizzano l’occhio alla lingerie, tra colori vibranti e mix & match dal sapore boho-chic. Maki Oh vanta tra le sue fan personalità del calibro di Michelle Obama, Lupita N’yongo, Solange Knowles, Leelee Sobieski, Alek Wek, Thandie Newton ed Azaelia Banks, che ne hanno più volte indossato le creazioni. Le creazioni del brand sono apparse su magazine come Forbes, Elle Magazine, Interview Magazine, The Fader, Glamour, Paper Magazine, Nylon. Suggestioni luxury caratterizzano gli outfit impreziositi da texture metallizzate, che si alternano alle stampe iconiche dei capi da giorno. Nel 2014 la Casa Bianca ha formalmente invitato Maki Oh come designer prediletto dalla First Lady dell’epoca, Michelle Obama, accanto a Diane von Furstenberg e Jason Wu: primo ed unico brand africano ad essere invitato alla Casa Bianca, Maki Oh è stato finalista al primo LVMH Prize per giovani fashion designer.
Lo stile di Sofia Sanchez de Betak
Sguardo penetrante, volto affilato e charme da vendere, Sofia Sanchez de Betak è uno dei volti più amati del fashion system. Icona di stile contemporaneo, regina dello street style con un passato da art director e fashion consultant, ora la it girl è anche il volto di Roger Vivier.
Nata a Buenos Aires, all’anagrafe Sofia Barrenechea (il suo cognome da nubile), l’icona fashion abita a New York. La sua carriera nella moda inizia duranti gli studi universitari in Argentina: dapprima Sofia diviene Junior Art Director per lo studio fotografico di Urko Suaya. Successivamente la giovane lavora per Time Out Magazine, concentrandosi sulle tematiche di viaggio.
Dopo la laurea viene assunta da Lloyd & Co e si trasferisce a New York. La prestigiosa agenzia le commissiona lavori per brand di lusso, da Estée Lauder a Derek Lam, da Marni a Just Cavalli, fino a Chloé, Tiffany & Co, Jimmy Choo, Belstaff, Ermenegildo Zegna, Swarovski, Tamara Mellon, solo per citarne alcuni. Tante le campagne pubblicitarie che l’hanno immortalata; inoltre grazie al suo stile iconico, Sofia è apparsa su Vogue, Marie Claire, Flair, Tatler, Town & Country, Harper’s Bazaar, Vanity Fair e molti altri magazine.
Presenza fissa negli eventi più esclusivi del mondo, è stata inclusa diverse volte da Vogue tra le donne meglio vestite del mondo. Dopo aver lavorato molti anni nel fashion biz, Sofia ha lanciato il proprio shop, sul sito www.chufy.world: da qui l’icona vende le sue creazioni, ispirate dai suoi viaggi in giro per il mondo. Considerata una delle dieci donne più influenti dell’Argentina, il suo gusto unico per la moda l’ha resa brand Ambassador di numerosi brand, tra cui Chanel, Valentino, Rodarte, Chloe, Mary Katrantzou, Peter Pilotto, Michael Kors, Zara, Jason Wu.
Sposata ad Alexandre de Betak, famoso organizzatore di eventi, si è imposta negli anni come una delle it girl più copiate del mondo: protagonista indiscussa dello Street style, l’icona è presenza fissa nei front row delle sfilate e musa di numerosi designer, a partire da Roger Vivier, per cui è la testimonial della collezione Primavera/Estate 2017. Influencer seguitissima su Instagram, grazie al suo stile sofisticato ed eclettico è diventata una icona apprezzatissima dalle fashioniste di ogni parte del mondo.
Immortalata da Quentin Jones per la campagna primavera/estate 2017 di Roger Vivier, la musa interpreta per l’occasione una viaggiatrice indomita, dallo spirito globetrotter. «È bella e intraprendente, iperattiva e calma, argentina e cosmopolita, raffinata e cool. Ed è per questo che è così amata: lei è unica, affascinante, oltre le mode», così ha descritto Sofia Ines de la Frassange, ambassador di Roger Vivier.
SFOGLIA LA GALLERY: