Lo stile di Elsa Peretti

È stata celebre modella per fotografi come Helmut Newton e musa di stilisti del calibro di Halston: incarnazione dello stile degli anni Settanta, Elsa Peretti è stata una socialite e celebre firma dei gioielli iconici realizzati per Tiffany & Co. nell’arco di una collaborazione lunga oltre quarant’anni.

Ha ballato con Warhol allo Studio 54, ha abbandonato gli agi di una famiglia blasonata per andare in cerca della propria indipendenza e ha vissuto nella Spagna di Franco e nella New York dell’era disco: Elsa Peretti è un’icona di stile che, col suo carisma e la sua personalità a dir poco esplosiva, ha impresso un segno indelebile nella storia del costume del Novecento.

Bella e sofisticata, il suo stile iconico trova sublime espressione nei capi di Halston: un’amicizia lunga una vita la legò allo stilista, autorevole interprete dello stile Seventies. Largo quindi a lunghi abiti fluidi, impreziositi da drappeggi e tagli audaci, per capi che ricordano i pepli delle dee greche. Un’eleganza unica, che strizza l’occhio all’American Style di cui Halston è stato interprete privilegiato, tra suggestioni disco-glam e virtuosismi stilistici forse mai superati.



E nello stile della it girl non potevano certo mancare i gioielli: Elsa Peretti scoprì di avere un talento naturale nel design del gioiello nel 1969, quando posava ancora come modella. Dapprima disegnò i gioielli per le collezioni di Giorgio di Sant’Angelo e dello stesso Halston, prima di firmare, nel 1974, il contratto per Tiffany & Co., grazie al quale l’icona raggiungerà la fama mondiale: largo a bangles preziosi e allo stesso tempo semplici, per linee essenziali e moderne. Uno stile tutto da copiare, per autentiche dive contemporanee.

Characters: l’eleganza maschile in mostra a Pitti Uomo

Sarà presentata nell’ambito di Pitti Uomo 91 la mostra “Characters” di Sutor Mantellassi: una serie di iconici ritratti in bianco e nero, realizzati dal fotografo Ruediger Glatz, celebrano l’eleganza declinata al maschile. Personalità forti e tripudio di stile negli uomini ritratti: artisti, designer, registi, giornalisti, ma anche sarti, trendsetter ed esperti d’arte hanno posato per l’obiettivo di Glatz.

La mostra, curata da Alberto Salvadori, Direttore del Museo Marino Marini di Firenze, celebra lo stile in chiave maschile, attraverso alcune personalità illustri. Protagonisti degli scatti sono icone contemporanee, dall’artista tedesco Sandro Kopp al sarto gallese Timothy Everest, dal bassista Saturnino Celani allo stesso Ruediger Glatz, passando per Carlos Baker, fondatore del brand Jan and Carlos, James Sleaford, giornalista francese, Beau Stanton, artista americano, Johann Haehling von Lanzenauer, curatore d’arte, Massimo Montesano, avvocato, Thomas Erber, trendsetter e Jean-Pierre Marois, regista: gli uomini di carattere vengono celebrati dallo storico marchio di calzature, prediletto da Ezra Pound, Giovanni Spadolini, Henry Fonda e Gabriele D’Annunzio, solo per citarne alcuni.

“Questa mostra è un’incredibile collezione d’immagini. Ritratti di uomini legati da un tratto comune: la passione”, racconta l’Amministratore Delegato del marchio Anton Magnani, “Ognuno con la propria ossessione, la propria forza interiore, espresse attraverso uno sguardo, un gesto, ad offrire la certezza della propria coscienza personale. Ognuno di loro rappresenta quella passione che è il tratto che hanno in comune con gli uomini che ogni giorno creano le scarpe di Sutor Mantellassi, ognuno dei quali vive la propria passione con la stessa intensità e con lo stesso piacere che vivono i nostri clienti indossando un paio di queste favolose, uniche, scarpe di Sutor Mantellassi”.



La mostra, che avrà luogo nella prestigiosa Palazzo Gianfigliazzi, in Lungarno Corsini 4, sarà inaugurata il prossimo 10 gennaio e resterà aperta al pubblico da mercoledì 11 a venerdì 13 gennaio 2017.

Lea T. ed Irina Shayk protagoniste della nuova campagna pubblicitaria Givenchy

Una distesa di sabbia fa da sfondo alla campagna pubblicitaria Givenchy primavera/estate 2017. Dopo essere stato scelto da Roberto Cavalli, il deserto diviene protagonista anche della ADV firmata Riccardo Tisci per Givenchy: eletto topos indiscusso della moda per la prossima stagione estiva, il deserto si conferma location ideale per campagne pubblicitarie dal fascino unico.

E nell’immensa distesa di sabbia bianca si ergono come protagoniste assolute due icone della moda: Lea T. ed Irina Shayk, che posano per Givenchy quasi struccate, immortalate in tutto il loro splendore e nella loro naturale bellezza. Una dual campaign iconica, che celebra lo stile della maison Givenchy tra passato e presente: non mancano suggestioni lady like nelle borse preziose dal piglio bon ton, declinate ora in un inedito color melanzana. I capi svolazzano invece impalpabili tra le dune del deserto.

Gli scatti della nuova campagna pubblicitaria, realizzati dal duo creativo di Mert & Marcus, immortalano lo stile Givenchy e la bellezza delle due muse scelte da Riccardo Tisci. Figura controversa e affascinante, Lea T. (pseudonimo di Lea Cerezo), è stata la prima top model trans. Classe 1981, la bellissima modella è nata a Belo Horizonte, in Brasile, figlia del calciatore Toninho Cerezo. Personaggio dallo charme quasi tragico, la vita di Lea T. è costellata da sofferenza, fino alla scelta di dare voce alla sua natura femminile.

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Irina Shayk, nata in Russia trent’anni fa, è emblema di una femminilità esplosiva. Considerata da più parti come una delle donne più belle del mondo, la statuaria top model è stata al centro del gossip anche per le sue storie d’amore, come quella che ha vissuto al fianco di Cristiano Ronaldo e, ora, quella con l’attore Bradley Cooper, da cui starebbe aspettando il primo figlio.

Demna Gvasalia eletto “uomo dell’anno 2016”

È Demna Gvasalia l’uomo dell’anno 2016: lo stilista viene incoronato dal quotidiano Business of Fashion come la personalità più influente nel fashion system. Il direttore creativo di Balenciaga e Vetements si sarebbe contraddistinto negli ultimi dodici mesi per le sue competenze tecniche, ma anche per l’incessante ricerca e sperimentazione, oltre che per la passione caratterizzante il suo lavoro.

Business of Fashion, quotidiano online diretto da Imran Amed, ha eletto Demna Gvasalia «Person of the year» per l’anno appena conclusosi: lo stilista sarà immortalato nella cover del numero di gennaio. Gvasalia, nato in Georgia 36 anni fa, si è formato presso la Royal Academy of Fine Arts di Anversa, celebre scuola che annovera tra i suoi studenti personalità del calibro di Dries Van Noten e Ann Demeleumeester. Nel 2007 Gvasalia debutta alla fashion week di Tokyo e, due anni più tardi, diviene direttore creativo della linea womenwear di Maison Martin Margiela, dove resta fino al 2013.

Successivamente diviene senior designer per le collezioni femminili di prêt-à-porter di Louis Vuitton. In seguito lo stilista fonda, insieme ad altri sette creativi, il brand Vetements, che coniuga suggestioni avanguardistiche ad ispirazioni tratte dallo streetwear: il decostruttivismo diviene per la prima volta protagonista assoluto, tra volumi oversize ed innovazione nei tessuti e nelle texture. Il brand nel 2015 è tra i finalisti del LVMH Young Fashion Designer Prize Award.

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Nell’ottobre 2015 arriva la svolta e, conseguentemente, anche la fama internazionale: dopo l’uscita di Alexander Wang, Gvasalia viene nominato direttore creativo di Balenciaga. Lo stilista debutta ufficialmente sulle passerelle parigine nel febbraio 2016 con la collezione donna autunno/inverno 2016-2017. Contemporaneamente il designer continua a sorprendere con le collezioni Vetements, che attirano sempre più l’attenzione del fashion biz. Una carriera in continua ascesa per lui, considerato the next big thing della moda mondiale.

Elsa Peretti: elogio della semplicità

C’è chi lo stile lo copia e c’è chi invece lo detta: il nome di Elsa Peretti domina il fashion system da oltre cinquant’anni. Designer di gioielli dal fascino unico, modella, ma anche filantropa ed icona di stile, Elsa Peretti ha influenzato la moda a partire dagli anni Settanta: il suo stile unico e il suo storico sodalizio con Tiffany & Co. costituiscono uno dei pilastri del gusto, pietra miliare nella storia del costume e della moda.

Arbiter elegantiae e trendsetter ante litteram, Elsa Peretti dalla vita ha avuto davvero tutto, complice anche una personalità eclettica ed un carattere granitico: non aveva certo bisogno di denaro Elsa, nata in una delle famiglie più ricche d’Italia. La ribellione le scorreva nelle vene e, anziché portarla ad adagiarsi sugli allori del lusso, la condusse verso orizzonti lontani ed inusitati. La socialite abbandonò le sicurezze e gli agi che le venivano garantiti in Italia e partì da sola alla volta della Spagna, con una valigia piena di sogni e ambizioni. Una tra tutte, trovare se stessa.

Nata a Firenze il primo maggio 1940, Elsa è la figlia minore di Ferdinando Peretti e Maria Luisa Lighini. Suo padre è un ricco industriale, fondatore dell’Anonima Petroli Italiana (API). La giovane studia a Roma e poi in Svizzera, dove dapprima si mantiene dando lezioni di italiano e successivamente lavorando come istruttrice di sci a Gstaad. Nel 1963 il trasferimento a Milano per studiare interior design: qui Elsa lavora per l’architetto Dado Torrigiani. L’anno seguente abbandona la sua famiglia conservatrice e si trasferisce a Barcelona, dove tenta i primi vagiti di una carriera nella moda: sensuale e statuaria, per Elsa si spalancano immediatamente le porte del fashion system. Ma la famiglia, fortemente conservatrice, non approva quella scelta e i genitori non le parlano per anni.

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A sinistra, Elsa Peretti in Stephen Burrows; foto di Charles Tracy, Montauk, New York, 1972. A destra, l’icona posa per Helmut Newton indossando un costume da coniglietta disegnato da Halston. New York City, 1975.


Designer Elsa Peretti sits at her desk and looks into the camera. (Photo by Horst P. Horst/Condé Nast via Getty Images), Vogue 1976
Elsa Peretti immortalata nella sua scrivania da Horst P. Horst per Vogue 1976 (Photo by Horst P. Horst/Condé Nast via Getty Images)


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Elsa Peretti è nata a Firenze il primo maggio 1940


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Elsa Peretti in Halston: lo stilista fu uno dei suoi più cari amici


La Spagna all’epoca è sconvolta dalla dittatura franchista. Tuttavia qui Elsa respira una libertà mai sperimentata prima: tutto è nuovo per lei, i marines, le prostitute, i fiori, l’oceano resteranno per sempre impressi nella sua memoria. La giovane si avvicina al movimento della Gauche Divine, la resistenza intellettuale al franchismo. Dopo alcuni anni trascorsi a Barcelona, Elsa vola a New York su consiglio di un agente della Wilhelmina Modeling Agency, l’agenzia che la rappresenta. È una fredda giornata di febbraio del 1968 a fare da sfondo al suo arrivo nella Grande Mela: Elsa arriva a New York con un occhio nero, indesiderato souvenir di un suo amante che non voleva lasciarla andare. Il primo incontro con la Grande Mela è quasi uno shock per lei: uscita indenne dal caos e dagli scioperi che sconvolgono la città, la giovane giunge all’Hotel Franconia, che diviene la sua casa. Elsa non ha un dollaro in tasca ma ha una fede quasi mistica nelle possibilità che a breve le verranno offerte. Nessuno a New York sembra conoscerla e tutti ignorano la ricchezza della sua famiglia di origine: “Sapevamo tutti che Elsa veniva dal denaro ma non avevamo idea di quanto denaro”, dirà Marina Cicogna.

A New York Elsa inizia una carriera di successo: divenuta presenza fissa allo Studio 54, nel suo circolo di frequentazioni spiccano icone pop come Andy Warhol. Elsa è richiestissima come modella. In tanti la immortalano, a partire da Helmut Newton, di cui sarà anche amante: indimenticabile lo scatto che la ritrae sospesa tra i tetti di New York in costume da coniglietta di Playboy. Correva l’anno 1975 e quella foto è entrata di diritto nell’immaginario collettivo, restando impressa indelebilmente come una delle immagini iconiche degli anni Settanta.


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Elsa vive tra eccessi di ogni tipo ed abusa di cocaina: sono gli anni in cui il glam sembra dominare, in un mondo in cui la trasgressione è un must. La giovane adora ballare e frequenta ogni discoteca, dal Le Jardin al Max’s Kansas City al Saint, fino allo Studio 54 e al Paradise Garage. La sua bellezza mediterranea le fa firmare numerosi contratti: la giovane, alta e sofisticata, attrae l’attenzione di designer del calibro di Charles James e Issey Miyake, che la vuole in passerella. Ma solo con Roy Halston Frowick, il primo che Elsa incontra appena arrivata nella Grande Mela, alla fine degli anni Sessanta, sarà amore a prima vista: tra i due nascerà un’amicizia destinata a durare per tutta la vita. Immortalata da nomi illustri, da Newton a Scavullo fino a Salvador Dalí, la ragazza copertina ha una marcia in più rispetto alle colleghe: la sua personalità. “Elsa era diversa dalle altre modelle. Le altre erano grucce, manichini, ma lei aveva stile. Lei faceva suo l’abito che indossava”, ha dichiarato Halston. Tuttavia Elsa odia il lavoro di modella: quasi terrorizzata dalla sola idea di dover posare davanti ad un obiettivo, sfrutta la professione solo per potersi mantenere, dopo essere stata diseredata dalla famiglia d’origine.

A proposito della sua amicizia con Halston, Elsa Peretti dichiarerà: “Ho passato i momenti migliori con lui quando eravamo lontani dalla moda e da quella gente. Poco a poco diventammo amici. A un certo punto la cocaina finì e iniziammo a farci le canne”. Tra i loro amici figuravano lo stilista Giorgio di Sant’Angelo, l’illustratore Joe Eula, Victor Hugo, amante di Halston, ed Andy Warhol. Joe era il più affettuoso del gruppo ed era solito cucinare per tutti. A volte faceva una capatina anche Liz Taylor.

Il primo approccio alla gioielleria risale al 1969: un giorno Elsa confida all’amico Giorgio di Sant’Angelo di voler creare dei gioielli. Per lei è poco più di un hobby, sebbene la passione per i gioielli le scorra già nelle vene. Ad ispirarla nella sue creazioni iniziali sono oggetti apparentemente banali, scorci di una quotidianità che agli occhi geniali di Elsa Peretti sembra assumere i toni di un’epifania pregna di simbolismi arcaici: che sia un vaso di fiori argentato scovato in un mercatino delle pulci o che siano suggestioni prese a prestito dalla natura, quei gioielli creati quasi per gioco ottengono grande visibilità fin dalla prima esposizione pubblica, che ha luogo in una vetrina di Bloomingdale’s. La giovane capisce di avere del talento quando le sue creazioni, presentate durante una sfilata di Giorgio di Sant’Angelo, colpiscono tutti i presenti. Nel 1971 inizia a creare gioielli per l’amico Halston: per quelle creazioni utilizza l’argento, un materiale molto inusuale nell’alta gioielleria, considerato alquanto banale. Quando firma un contratto con Tiffany & Co. come designer indipendente, Elsa Peretti è già stata insignita di un Coty Award (ricevuto nel 1971) ed è già apparsa su Vogue. Sarà proprio Halston, nel 1974, ad accompagnarla al colloquio di lavoro che cambierà la sua vita, con l’allora CEO di Tiffany & Co., Walter Hoving. La designer viene subito assunta ed in breve entra nell’Olimpo: una cover del Newsweek del 1977 la immortala come l’iniziatrice della più grande rivoluzione nel mondo della gioielleria dai tempi del Rinascimento. «Il giorno in cui Elsa è entrata a far parte di Tiffany –ha dichiarato qualche anno fa il presidente e Ceo del brand, Michael Kowalski– noi siamo entrati in una nuova era della nostra storia di innovazione nel design».

Elsa Peretti in passerella per Halston
Elsa Peretti in passerella per Halston


LONDON - MARCH 10: A Christies' assistant passes 'Elsa Peretti as Bunnygirl, New York, 1975' by Helmut Newton on March 10, 2008 in London, England. The Collection is owned by Gert Elfering and will go on sale in New York on April 10, 2008. With 135 lots the sale has an overall estimate of 2 to 3 million dollars. (Photo by Cate Gillon/Getty Images)
Elsa Peretti ha lavorato come modella prima di diventare designer di gioielli. Qui ritratta da Helmut Newton a New York nel 1975.


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La ribellione giovanile portò Elsa Peretti a lasciare la sua famiglia d’origine partendo per Barcelona, dove iniziò a lavorare come modella


Iconici e suggestivi, i suoi gioielli rompono con la tradizione ed inaugurano un’estetica inedita: forme caratterizzate da linee essenziali, che traggono ispirazione dalla natura, ma anche dall’architettura o dalle gloriose vestigia del passato; suggestioni neoclassiche ma al tempo stesso fortemente improntate alla contemporaneità, per pezzi unici divenuti dei classici senza tempo.
L’elemento naturale predomina nelle collezioni Starfish e Bean, rispettivamente ispirate alle stelle marine e ai fagioli; le sue forme sensuali rivoluzionano il design del gioiello ed incantano il mondo intero. Da quel lontano 1974 Elsa Peretti ha creato più di 30 gioielli iconici nelle sue collezioni per Tiffany. Artista magistrale dotata di grande fantasia, Elsa Peretti ha esplorato la natura con la sensibilità di uno studioso e la visione di uno scultore. Le viene inoltre riconosciuto il merito di aver conferito nuova dignità all’argento, dandogli il posto che meritava nel design del gioiello. Convinta che l’eleganza sia sinonimo di semplicità, la designer ha sempre prediletto gioielli adatti ad essere indossati tutti i giorni, sdoganando anche i diamanti: la sobrietà con cui la designer usa il diamante ha rivoluzionato il modo di indossare queste pietre preziose. “Penso sempre che la gente mi faccia complimenti per quel che ero e non per quel che sono adesso. Adesso io sono Tiffany”, dichiarerà molti anni dopo Elsa Peretti. Nel 2012 Tiffany ha rinnovato la collaborazione con la designer per altri vent’anni. Testarda e ostinata, Elsa Peretti ha commentato il rinnovo del contratto come la sua “ricompensa per il passato”. Mai nessuna come lei: la designer fece guadagnare alla maison cifre mai toccate prima di allora. “Le persone vengono dimenticate così in fretta, io voglio sopravvivere”, ha dichiarato durante un’intervista.

La vita d Elsa si staglia sullo sfondo dell’era disco: molti dei suoi amici muoiono di AIDS o per l’abuso di sostanze stupefacenti. Nel 1971 la designer decide di dare un taglio al consumo di cocaina. Intanto al suo fianco c’è sempre il fidato Roy Halston, per il quale disegna la linea di cosmetici e le boccette di profumo: come lei stessa ha dichiarato nel corso di un’intervista, tra i due vi era una tensione sessuale mai consumata. Ma il loro rapporto cominciò ad incrinarsi nel 1978: durante quella che doveva essere una serata tranquilla, Elsa litigò furiosamente con lo stilista, dando fuoco ad una pelliccia che questi le aveva regalato. Rimproverandolo di essere troppo freddo ed interessato solo all’apparenza, Elsa Peretti fece una scenata ad Halston. “Al massimo mi chiedeva che cosa indossassi. Ma a mezzanotte non vuoi certo parlare di vestiti”, dirà la designer. “La tua amicizia per me significa molto più di questa fottuta pelliccia”: queste le parole che suggellarono la fine della loro amicizia. Dopo un silenzio di tre mesi i due si rincontrano allo Studio 54 in una notte di aprile: ma il rancore è ancora lì ed Elsa svuota una bottiglia di vodka sulle scarpe dello stilista. Successivamente, stanca di vivere a New York, città che considera “non adatta alle relazioni”, la designer si rifugia in Spagna: qui si innamora di Sant Martí Vell, un piccolo centro della Catalogna. Qui la designer acquista un vecchio maniero che inizia a ristrutturare. Il castello è circondato da un’aura di mistero dal momento che tra quelle mura molta gente nei secoli passati morì di peste bubbonica. All’apice del successo, Elsa Peretti possiede appartamenti a Roma, New York, Montecarlo, Barcelona e Porto Ercole: qui acquista una casa risalente al Sedicesimo secolo affidando l’interior design al genio di Renzo Mongiardino.

Elsa Peretti non si è mai sposata e la sua relazione più lunga è stata quella con Stefano Magini, incontrato nel 1978 e rimasto al suo fianco per 23 anni. Nel 1977, alla morte del padre, reo di averla diseredata, la designer eredita una fortuna. Schiva e riservata, una delle figure più importanti nella sua vita sarà proprio Halston: i due si riconciliarono due anni prima della morte dello stilista, avvenuta nel 1990. Lui andò a trovarla nel suo sontuoso appartamento di Porto Ercole e insieme telefonarono per scherzo al loro comune amico Joe Eula. “Quello che davvero amavo in Halston era l’incoraggiamento che mi diede. Quando ti piace quel che qualcuno fa, è importante dirglielo”.

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Elsa Peretti e Giorgio di Sant’Angelo in una foto di Ed Pfizenmaier, 1969


Nel 2000 Elsa Peretti fonda la Nando Peretti Foundation, che porta il nome del padre: l’attività predominante della fondazione è quella di proteggere i diritti civili ed umani con particolare attenzione all’istruzione, ai diritti dei bambini, delle donne e delle minoranze oppresse. La Fondazione nel 2015 ha cambiato nome, diventando la Nando and Elsa Peretti Foundation. Nel 2008 il British Museum ha acquistato 30 creazioni di Elsa Peretti, definendo la sua opera “superba artigianalità avente anche significato simbolico nell’epoca moderna”.

Nel 2013 Elsa Peretti è la prima persona non catalana ad essere insignita del National Culture Award dal National Council for Culture and the Arts (CoNCA). La Fondazione che porta il suo nome ha promosso le arti visive e ha protetto il patrimonio storico e artistico della Catalogna. Numerose le opere promosse, come il restauro della chiesa di Sant Martí Vell.

Sublime incarnazione degli anni Settanta, Elsa Peretti è stata simbolo di uno stile divenuto iconico. Donna libera e ribelle, i suoi gioielli e la sua intera vita rappresentano la parabola di uno spirito libero. “Chiunque sia stato ribelle una volta nella vita non può tornare ad essere convenzionale”, ha affermato la designer. I gioielli disegnati per Tiffany & Co. hanno sdoganato un nuovo concetto di lusso, che unisce suggestioni couture alla semplicità di linee essenziali e minimali. Perché l’eleganza è semplicità.

Boohoo alla conquista di Nasty Gal

Dopo il fallimento di Nasty Gal, che ha chiuso i battenti il mese scorso per bancarotta fraudolenta, si fa avanti Boohoo: l’e-tailer con sede a Manchester avrebbe infatti messo gli occhi sul brand statunitense. Gli asset di Nasty Gal, fondato nel 2006 da Sophia Amoruso, saranno presto messi all’asta. Boohoo proprio recentemente ha ultimato l’acquisto di un altro retailer, Pretty Little Thing: l’acquisizione sarebbe costata circa 3,3 milioni di sterline (pari a circa 3,8 milioni di euro).

Ora il brand britannico starebbe per concludere accordo con Nasty Gal: si tratterebbe di un affare di circa 20 milioni di dollari (pari a circa 19 milioni di euro). Tuttavia l’azienda ha precisato che le trattative cesserebbero immediatamente se dovesse proporsi un altro concorrente disposto a pagare di più.

Nasty Gal era stato fondato nel 2006 da Sophia Amoruso, giovane fotografa che usava eBay per mettere in vendita capi vintage comprati da lei stessa nei mercatini delle pulci: da Yves Saint Laurent a Missoni a Chanel, tanti erano i capi e gli accessori in vendita a prezzi stracciati. Un sito iconico, Nasty Gal, che era entrato di diritto nella classifica dei siti web più amati dagli appassionati di capi vintage.

(Foto: Nasty Gal)
(Foto: Nasty Gal)


Nel 2012 Nasty Gal aveva ricevuto un fondo di 50 milioni di dollari da Index Ventures, tra i cui clienti figurano Net-a-Porter, Asos ed Etsy. Mahmud Kamani e Carol Kane, chief executives di Boohoo, hanno commentato così la presunta acquisizione: “Dovessimo riuscire ad acquisire Nasty Gal, sarebbe una fantastica opportunità aggiungere un brand globale e ben consolidato alla famiglia Boohoo”.

Boohoo, lanciato nel 2006, si rivolge ad un target compreso tra 16 e 24 anni. Il brand avrebbe presentato un’operazione di acquisizione simulata per Nasty Gal. Tale operazione potrebbe durare circa 8 settimane. Il documento sarebbe stato depositato nel Regno Unito lo scorso 21 novembre. Secondo quanto dichiarato da The Business of Fashion, “tra le possibilità c’è anche che il fatto che Boohoo voglia utilizzare Nasty Gal solo per ampliare la propria customer base, reindirizzandone l’url su Boohoo.com. In ogni caso è improbabile che i due store fisici di Nasty Gal a Los Angeles restino aperti”.

Helly Hansen sponsor dello sci svedese

Helly Hansen è il nuovo sponsor della Nazionale svedese di sci alpino. L’azienda norvegese ha appena siglato un accordo triennale con la Federazione Svedese, secondo il quale Helly Hansen vestirà gli atleti svedesi per le stagioni 2016/17, 2017/18 e si concluderà al termine della stagione 2018/19.

“Siamo onorati di avviare questa partnership con il Team svedese di sci alpino e supportare quindi gli atleti nello spingere fino ai limiti le loro performance. Lo sci appartiene al Dna di Helly Hansen. Come marchio leader dei professionisti dello sci, siamo proiettati allo sviluppo continuo delle più alte performance dell’abbigliamento, per garantire all’atleta ogni tipo possibile di vantaggio”, ha dichiarato Paul Stoneham, Ceo di Helly Hansen. “Non vediamo l’ora di costruire una partnership di lunga durata”, ha aggiunto poi Stoneham.

Fondata in Norvegia nel lontano 1877, Helly Hansen so è imposta negli anni come leader dell’abbigliamento tecnico e protettivo, segnando anche importanti traguardi: ben 140 anni fa l’azienda creava i primi indumenti da lavoro impermeabili, mentre nel 1960 brevettava il primo tessuto in pile. Oggi il brand è attivo non solo nello sportswear e nel footwear, ma anche nel settore dell’abbigliamento tecnico da vela e da sci. Helly Hansen è diffuso in oltre 40 nazioni.

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“La capacità ed esperienza nello sviluppo innovativo e professionale dell’abbigliamento sci sono da sempre fattori chiave nella scelta di un fornitore ufficiale e Helly Hansen soddisfa in pieno queste caratteristiche. Avere come partner Helly Hansen significa ottenere tutto il necessario supporto, considerato il lavoro e l’impegno dell’azienda su questo versante”: così si è espresso Tommy Winter, direttore della nazionale svedese di sci alpino. “Dopo 29 anni trascorsi con lo stesso fornitore di abbigliamento, siamo davvero eccitati da questo cambiamento e fare squadra con il marchio norvegese”, ha aggiunto poi Winter.

Patti Smith: la sacerdotessa del rock spegne 70 candeline

Spegne oggi 70 candeline Patti Smith, cantante e poetessa statunitense e icona musicale. Un carisma unico, intriso di suggestioni bohémien e una voce che, dagli anni Settanta ad oggi, non ha mai smesso di ammaliare. Maudite quanto basta per affascinare, Patti Smith è stata tra le protagoniste del proto-punk e della New Wave.

Inserita dalla rivista Rolling Stone al quarantasettesimo posto nella classifica dei 100 migliori artisti di tutti i tempi, camaleontica e ribelle, la sacerdotessa del rock ha attraversato indenne le mode e i tempi, ergendosi a profetessa, sibilla dall’aura mistica che, già nei lontani anni Sessanta, era proiettata in un futuro ancora incerto, che con la sua musica ha contribuito a concretizzare. Bellezza androgina, il suo amore per la poesia trascende gli angusti confini della nativa Chicago e la porta, ancora giovanissima, a New York. Icona punk, conferì alla musica rock suggestioni prese a prestito da quegli stessi poeti che amava tanto.

Patricia Lee Smith è nata a Chicago il 30 dicembre 1946, un lunedì come tanti, se non fosse per la bufera di neve che sconvolge la cittadina statunitense. Sua madre Beverly Smith era una cantante jazz che per sopravvivere aveva dovuto accantonare le proprie ambizioni lavorando come cameriera, mentre il padre Grant Smith era un macchinista negli impianti Honeywell. Prima di quattro figli, Patti trascorre la sua infanzia in povertà, sullo sfondo di un’America perbenista e bigotta. A quattordici anni la giovane è alta 1,75 cm per neanche 50 chili: presa in giro dai compagni di scuola per quel suo fisico pelle ed ossa, disegna, balla e scrive poesie, mentre trova un primo lavoro in fabbrica.

Patti Smith è nata a Chicago il 30 dicembre 1946
Patti Smith è nata a Chicago il 30 dicembre 1946


Patti Smith in uno scatto di Robert Mapplethorpe, 1987
Patti Smith in uno scatto di Robert Mapplethorpe, 1987


Uno scatto di Mapplethorpe risalente al 1975
Uno scatto di Mapplethorpe risalente al 1975


Patti Smith in una foto di Edie Steiner, 1976
Patti Smith in una foto di Edie Steiner, 1976


Appena diciannovenne, nel 1966 Patti resta incinta: il padre del figlio che porta in grembo è un diciassettenne. Troppo immaturo per assumersi le responsabilità di un figlio, il giovane non viene neanche coinvolto da Patti, che nell’anniversario del bombardamento di Guernica partorisce una bambina e la dà in adozione. Sola e senza lavoro, la giovane non può provvedere al mantenimento della figlia: lei, che sognava di diventare insegnante, viene allontanata dal college di Glassboro, New Jersey, e si ritrova senza una meta. “Decisi che non sarei tornata in fabbrica né a scuola. Sarei diventata un’artista. Avrei dimostrato il mio valore”. “Anche se non ho mai messo in dubbio che me ne sarei separata, ho imparato che concedere una vita e poi abbandonarla non è così facile”, dirà a proposito della decisione di abbandonare la bambina. Patti trova rifugio nella poesia, soprattutto nei versi dell’amato Rimbaud.

Nel 1967 decide di partire per New York, con una valigia scozzese gialla e rossa contenente qualche vestito e pochi ricordi. “Nessuno mi stava aspettando, tutto mi aspettava”, ricorderà così il suo arrivo nella Grande Mela. Alcuni suoi amici studiano al Pratt Institute, celebre scuola di arte e design di Brooklyn. Patti spera possano introdurla nel loro ambiente. Ma quando arriva in quella che dovrebbe essere casa loro, trova solo un ragazzo che dorme su un letto in ferro: riccioli bruni e collana di perline sul petto nudo, il ragazzo le sorride dolcemente ma Patti fugge da lì senza chiedergli nemmeno il suo nome. Il ragazzo è Robert Mapplethorpe: i due divideranno la casa e la vita. Ancora ignari del futuro che li attende e del rispettivo successo che otterranno -Patti nella musica e Robert nella fotografia- vivranno un rapporto che travalica l’amore e l’amicizia: anime complementari unite dai medesimi ideali, i due resteranno uniti per il resto della vita.


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La New York di fine anni Sessanta è crocevia di mondi e tendenze: qui si incontrano il rock & roll e il beat, il punk e il glam, in club come il Max’s Kansas City come nel mondo underground del CBGB. Patti scandaglia ogni libreria alla ricerca di un impiego: i libri sono il suo buen retiro, l’unico posto in cui si senta a suo agio. La ragazza non ha un soldo in tasca e vive per strada, dormendo dove capita, che si tratti dei vagoni della metropolitana o degli androni dei palazzi. Sognatrice e idealista, si nutre solo di parole e dei versi dei suoi amati poeti: accanto a Rimbaud, la giovane è ossessionata da Sylvia Plath. Spirituale e testarda, l’artista si è autodefinita “una semplice operaia delle parole”.

Proprio quando sta per arrendersi, è il fato a salvarla: Patti è disperata, vorrebbe tornare a casa a Chicago, ma non ha nemmeno i soldi per comprare il biglietto e sarà solo il fortuito ritrovamento di una borsetta dentro una cabina telefonica a permetterle di restare a New York. Patti, che ringrazierà per sempre quella sconosciuta benefattrice -come dichiara lei stessa in “Just Kids”, sua autobiografia edita da Feltrinelli, libro vincitore del National Book Award per la saggistica nel 2010- trova lavoro come cassiera in una delle librerie della catena Brentano, sulla Quinta Strada: qui vende gioielli etnici e manufatti d’artigianato. Quando un uomo molto più anziano le propone di salire a casa sua, la giovane viene salvata ancora una volta dal destino: “Mi guardai in giro con disperazione, incapace di rispondere a quella proposta, quando scorsi un giovane avvicinarsi. Fu come se uno squarcio di futuro si fosse aperto”. Il giovane bruno che fingerà di essere il suo ragazzo è ancora una volta Robert Mapplethorpe: da quel momento i due saranno inseparabili.

Patti Smith e Robert Mapplethorpe a Coney Island, 1969
Patti Smith e Robert Mapplethorpe a Coney Island, 1969


L'artista in uno scatto di Bruce Weber, anni Novanta
L’artista in uno scatto di Bruce Weber, anni Novanta


Patti Smith, foto di Judy Linn, 1969
Patti Smith, foto di Judy Linn, 1969


Patti recita poesie al Mercer Arts Center del Village, lavora inoltre come giornalista musicale e vola a Parigi sulle orme di Rimbaud e Verlaine. Nel 1975 nasce il Patti Smith Group: insieme a Lenny Kaye mette insieme una band di musicisti e dà vita ad uno spettacolo in cui unisce poesia e rock, dando ufficialmente inizio alla corrente New Wave della musica, che la vede come sua vestale. Arriva quindi Horses, il primo disco: la foto di copertina, che la immortala in camicia bianca maschile, è stata scattata da Mapplethorpe. “Io avevo in mente il mio aspetto. Lui aveva in mente la luce. Ancora oggi, quando la guardo, non vedo me stessa. Vedo noi”, ricorderà di quella giornata. L’obiettivo di Mapplethorpe, genio trasgressivo, scandirà ogni momento della vita dell’artista. Quando nel 1989 il fotografo muore, per complicanze dovute all’AIDS, per Patti è la fine di un’epoca: “Quando morì mi chiamò Edward. Il fratello minore di Robert. Diceva di avergli dato un ultimo bacio da parte mia, come mi aveva promesso. Sono rimasta immobile, paralizzata; poi, lentamente, come in sogno sono tornata alla sedia. In quel momento Tosca attaccava la grande aria Vissi d’arte. ‘Vissi d’arte, vissi d’amore’. Ho chiuso gli occhi e intrecciato le mani. La provvidenza aveva decretato che in quel modo gli avrei detto addio”.

Oltre ad essere considerata un’icona mondiale della musica rock, Patti Smith nel corso degli anni si è anche imposta come icona di stile: il suo stile apparentemente trasandato, all’insegna dell’effortlessy-chic, l’ha resa uno dei volti più amati dai fotografi di moda. Ad immortalarla, oltre a Mapplethorpe, anche Richard Avedon, Annie Leibovitz e Bruce Weber, solo per citarne alcuni. Quel suo fisico androgino ed esile (il ventre le si squarciò durante la prima gravidanza) e la personalità eclettica fin dagli esordi la resero una it girl ante litteram. Ancora oggi, alla veneranda età di 70 primavere, l’artista mostra fieramente un volto privo di ritocchi e un’eleganza degna di nota: rimandi grunge e suggestioni boho-chic caratterizzano il suo stile, dai capelli, sapientemente lasciati sale e pepe, alle giacche maschili indossate sopra i jeans, Patti Smith ha davvero molto da insegnare.

Bella Hadid eletta “Modella dell’anno”

Bella Hadid è la regina delle modelle: la statuaria sorellina di Gigi Hadid è stata incoronata dal sito Models.com come modella dell’anno che sta per concludersi. La top model ha sbaragliato la concorrenza nella classifica annuale redatta dal sito, considerato un’istituzione nel mondo della moda.

Il 2016 sarà un anno da ricordare per Bella Hadid, che si è definitivamente affrancata dalle scomode vesti di sorella minore della più famosa Gigi, diventando nota a livello internazionale come it girl e come top model. La consacrazione ufficiale arriva grazie alla classifica di Models.com, che la elegge regina delle passerelle.

Occhi verdi, lunghi capelli castani e fisico perfetto, Bella Hadid (all’anagrafe Isabella “Bella” Khair Hadid) è nata a Los Angeles il 9 ottobre 1996 dall’ex modella olandese Yolanda Foster e dall’operatore immobiliare palestinese Mohamed Hadid. Da piccola Bella prende parte a numerose gare di equitazione a livello agonistico, ma è costretta a rinunciare ad intraprendere una carriera come cavallerizza professionista giacché la giovane è affetta dalla sindrome di Lyme, malattia diagnosticata anche alla madre e al fratello.

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Bella Hadid è nata a Los Angeles il 9 ottobre 1996


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La top model durante l’ultima sfilata di Victoria’s Secret


Nel 2014 Bella Hadid si trasferisce a New York per studiare fotografia presso la Parsons School of Design. Volto da madonna e fisico scultoreo, la giovane ben presto inizia la carriera di modella, firmando un contratto con la IMG Models: nel 2014 debutta alla settimana della moda di New York sfilando per Desigual. Dopo appena un anno è una delle top model più richieste: innumerevoli le cover ottenute su riviste del calibro di Harper’s Bazaar, Elle, Allure, Glamour e Vogue. Nel corso del 2016 la splendida valchiria ha debuttato come Angelo di Victoria’s Secret, monopolizzando l’attenzione durante la sfilata parigina. Con 9 milioni di follower su Instagram e un patrimonio personale che ha superato i 3 milioni di dollari, Bella Hadid è ormai una delle top model più quotate del mondo.



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Puntualmente come ogni anno, sono arrivati i risultato dei Model of The Year Awards 2016, assegnati da Models.com: una giuria composta da 250 esperti ha decretato il trionfo di Bella Hadid, eletta Modella dell’Anno: a giudicare le modelle un comitato formato da designer, fotografi, make up artist e casting director, cui si aggiungono i lettori del sito, che assegnano un premio tutto loro. A trionfare quest’anno è stata Bella Hadid, seguita da Kendall Jenner, che è risultata la preferita dei lettori del sito. Seguono nella classifica Lindsey Montero e Imman Hamman.

La moda anni Novanta rivive su Instagram

Quando si ripensa agli anni Novanta tante sono le immagini che tornano in mente: l’avvento delle supermodelle, la moda punk, le serie tv divenute cult, l’heavy-metal… E se nel lontano 1990 Linda Evangelista dichiarava orgogliosamente di non alzarsi dal letto per meno di 10mila dollari al giorno, tanti sono coloro che hanno trascorso la propria adolescenza guardando in tv Beverly Hills 90210 o ascoltando la musica dei Nirvana.

Se siete nostalgici doc non preoccupatevi: da oggi ci pensa Instagram a proporvi una selezione dei migliori momenti degli anni Novanta. Moda, glamour ma anche costume, per viaggiare nel tempo e tornare al decennio d’oro. Si chiama Nineties Moments il nuovo account Instagram interamente dedicato agli anni Novanta: un tuffo nella moda e nello stile di quegli anni, per riviverne gli eccessi e i trend.

Come non citare a questo proposito le supermodelle, da Cindy Crawford a Claudia Schiffer, da Naomi Campbell e Linda Evangelista a Christy Turlington e Kate Moss, solo per citarne alcune. Vengono ora riproposti interi servizi fotografici che immortalano le celebri top model, ma anche copertine e backstage di sfilate, da Versace a Chanel. Gettonatissime e amate come dei personaggi e non solo alla stregua di anonime mannequin, le supermodelle sdoganarono i Nineties come una delle età d’oro della moda.

Kate Moss in una foto di Juergen Teller, Vogue UK
Kate Moss in una foto di Juergen Teller per Vogue UK, anni Novanta


Nineties Moments nasce dalla mente creativa di due berlinesi, che hanno fatto del vintage uno stile di vita: Vincent Mank e Jayme Miller gli anni Novanta li hanno vissuti intensamente. I due creativi all’epoca lavoravano infatti in un’agenzia londinese, appartenente a Mario Testino, autore di alcuni tra gli scatti più iconici degli anni Novanta e del Duemila. Immancabili sull’account le sue foto, che figurano accanto a scatti firmati da illustri fotografi, come Matt Jones, Nathaniel Goldberg, Mario Sorrenti e Juergen Teller. Un account che sta raccogliendo proseliti da parte di numerosi professionisti del fashion biz e nostalgici di quel periodo. Un successo senza precedenti per il duo berlinese, che ha riportato in auge anni indimenticabili e ricchi di glamour.

Jordan Barrett: chi è il modello dell’anno

Occhi di ghiaccio, labbra carnose e capelli biondi: Jordan Barrett è stato eletto dal sito models.com modello dell’anno che sta per concludersi. Australiano, venti anni, per Jordan Barrett la consacrazione a modello dell’anno è un riscatto da una vita non esattamente patinata: il padre Adrian nel 2013 è stato arrestato con l’accusa di essere a capo di una banda internazionale di narcotrafficanti dedita allo spaccio di cannabis. Sarebbe stato sgominato un giro di affari di quasi 9 milioni di euro: il padre di Jordan è stato condannato a 8 anni di carcere.

Nato a Byron Bay il 24 novembre 1996, Jordan è alto 1,85 cm. Grande fotogenia e fisico scultoreo, il giovanissimo modello è stato giudicato il volto più interessante del momento. Le porte della moda si sono aperte per lui in maniera del tutto inaspettata: a soli 14 anni il giovane è stato notato in un negozio mentre cercava un accendino sul bancone. Approcciato da un uomo, inizialmente Jordan temeva di essersi cacciato in qualche guaio, dal momento che è vietato vendere accendini ai minori di 18 anni: ma colui che credeva si trattasse di un agente di polizia era in realtà un agente della celebre IMG Models.

Da lì per il biondissimo Jordan si spalancano le porte del fashion biz e in breve il giovane modello si impone come uno dei volti più ricercati per copertine e sfilate. In breve arriva la prima cover di Vogue: mentre il padre viene condannato ad 8 anni di carcere, il giovane Jordan conquista contratti milionari.

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Jordan Barrett è nato in Australia nel 1996


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Il giovanissimo modello è considerato l’erede di Leonardo Di Caprio


Con oltre 442mila followers su Instagram e il nuovo titolo di Modello dell’anno, Jordan Barrett si appresta a divenire uno dei nomi di punta del 2017. Il modello vanta una lunga scia di cuori infranti, da Paris Hilton a Lara Stone a Suki Waterhouse. Bellezza efebica e sguardo trasparente, Jordan Barrett è considerato il nuovo Leonardo Di Caprio.


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