Chi non ha mai visto “Laguna blu“, meraviglioso film dove una Brooke Shields in tenera età ne interpreta la protagonista? Chi non ha mai sognato di perdersi in quel mare azzurro e profondo e di vivere lo stesso amore appassionato? Laguna blu è entrato nella memoria collettiva per la storia, l’ambientazione, le magnifiche location e la bellezza degli attori stessi.
Brooke Shields era perfetta per il ruolo di ragazza ingenua, della bella che non sa di essere bella, ed è a questo romantica timidezza che Philosophy by Lorenzo Serafini si ispira per la collezione primavera estate 2017.
Fedele allo stile vittoriano, così come l’epoca in cui il romanzo da cui prende spunto viene ambientato, la collezione Philosophy by Lorenzo Serafini propone una femminilità delicata; il designer immagina le sue donne sperdute in un’isola deserta, le immagina gioiose nella loro solitudine, le vede danzare vestite di maglie di cotone dalla trama vissuta, arse dal tempo, fluttuare in abiti fluidi e asimmetrici.
Metà sirena metà corsara, la donna Philosophy prende dall’epoca vittoriana la palette colori, le ruches, le balze, i pizzi, e dagli anni ’80 i dettagli forti, le cinture oversize, gli stivali, che la fanno sembrare una sexy pirata naufragata in mare ma in gran stile.
Vicina al mare, il suo elemento naturale, la donna Philosophy indossa fantasie tropicali e abiti dalle spalline sottilissime in pizzo sfumato, come il manto delle acque, le ruches ricordano le onde spumose che regolano lo scorrere del tempo.
E’ una primavera estate 2017 da cui lasciarsi trasportare, una collezione raffinata, discreta come una dama 19mo secolo, sensibile come il gusto di Lorenzo Serafini.
Guarda qui l’intera sfilata Philosophy by Lorenzo Serafini primavera estate 2017:
Donne che ispirano le donne, la collezione di Alberta Ferretti Primavera Estate 2017 è un tripudio di grandi personalità femminili.
La storia ci racconta che dalle loro debolezze sono riusciti a nascere grandi elementi di forza, personaggi eclettici, complessi e misteriosi, le donne che rimangono nei secoli fino ai giorni nostri hanno creato mode e lanciato nuovi stili.
Elisabetta di Baviera, conosciuta come Sissi, era ossessionata dal culto della bellezza, si faceva cucire gli abiti addosso per esaltare al massimo la snellezza del corpo, l’acconciatura a “corona” fu da lei ideato e tutte le donne aristocratiche del tempo la imitarono a tappeto. La sua figura ha ispirato registi, fotografi, pittori, e la sua fama odierna si deve principalmente al film di Ernst Marischka che interpretò l’enigmatica Romy Schneider.
Sono donne che non temono la sofferenza, donne che non hanno paura di esibire i propri sentimenti, donne che si espongono, così le vuole Alberta Ferretti che sottolinea:
” Con questa collezione ho voluto introdurre la passionalità nella mia narrazione di moda. Ho seguito una pulsione istintiva che mi ha portato ad aggiungere alla mia visione romantica della femminilità quel carattere appassionato delle donne che, dichiarando apertamente la propria femminilità, aggiungono solarità e calore al proprio carattere perché più libere e senza complessi. Per questo ho utilizzato anche quell’accento dell’eccentricità che valorizza il loro corpo e il loro carattere.”
E’ una collezione di abiti iperfemminili che intersecano la propria natura con altre culture e tradizioni, pur mantenendo il proprio dna.
Così come succede al Tree of 40 fruit, l’unico albero al mondo capace di produrre, da solo, 40 diverse varietà di frutti. E’ a primavera che si mostra in tutta la sua bellezza, come le donne nella stagione dei fiori, quando scoprono le gambe, l’albero si colora di fiori bianchi, rosa, rossi e viola, per poi partorire vellutate pesche, succose ciliegie, e ancora mandorle e albicocche. La donna Alberta Ferretti è tutti questi fiori, tutti questi frutti, così diversi, ma provenienti da un unico albero genealogico.
Cari ad Alberta Ferretti, per la stagione primavera estate 2017, tornano gli abiti in chiffon, le maniche ricamate in pizzi, balze e ruches romantiche dal sapore vittoriano rese attuali e moderne da strati di cinture in cuoio. I reggiseni si mostrano orgogliosi da sotto i long dress trasparenti, l’organza si abbina ai dettagli maschili dei pantaloni e delle giacche.
I kimono ci riportano nei paesaggi del lontano Oriente, aperti, scollati, mostrando le spalle pallide e avide delle languide geisha. I volumi sono morbidi e fluttuanti e ci confermano quanto nessuno, oltre Alberta Ferretti, possa vestire una donna come solo una donna sa fare.
Guarda qui la collezione primavera estate 2017 di Alberta Ferretti:
Chi lo ha detto che le donne sono sempre in competizione? Esistono luoghi, esistono donne, che si riuniscono solidali, per raccontarsi, per scambiarsi idee ed opinioni, per confrontarsi, in totale libertà, vicine seppur diverse – questi spazi sono le sororities, comunità femminili nate nel lontano 800. Oggi sono i salotti, i club al femminile, ed è a queste confraternite che Au jour le jour si ispira per la collezione primavera estate 2017.
Di cosa si discute? Di musica, di letteratura, di arte e fotografia, ciascuna porta il proprio bagaglio culturale. Cosa ne scaturisce? Un giardino fiorito, dove i girasoli crescono accanto alle rose, dove le diversità si attraggono, una festa di colori e gusti che rende ciascuna donna unica. La collezione Au jour le jour SS17 è esattamente come queste donne, abiti che richiamano epoche diverse, mestieri e personalità delle più disparate, geishe moderne, casalinghe in stile fifties pronte per una serata in discoteque anni ’80.
Tornano mini abiti silver e brillanti, come li sfoggiava Madonna negli eighties, tessuti tecnici, shiny o resinati; le paillettes argentate sfumano su tinte unite o su abiti a balze e vengono abbinati con coraggio su bermuda basket e felpe oversize.
Non mancano nella collezione Au jour le jour primavera estate 2017 gli abiti dal sapore country, print floreali, delicati chemisier in popeline, organza o fancy, fantasie geometriche o a quadretti come una dolce Cappuccetto Rosso perduta nel bosco.
Sono donne romantiche, indipendenti, creative, provocanti, dalla personalità poliedrica e sfaccettata, d’altronde lo diceva anche Oscar Wilde: “Date alle donne occasioni adeguate ed esse saranno capaci di tutto“.
Sfoglia qui la sfilata Au Jour le jour primavera estate 2017:
Siamo stati nel backstage della sfilata, qui il video:
Per quale motivo rinunciare alla propria femminilità, con la scusa del “tanto sono a casa, chi vuoi che mi veda?!”
E se dovessi avere un malore? Vuoi che ti colgano impreparata, in disordine, senza trucco, con i capelli arruffati e con un terribile bisogno di fare tappa dall’estetista? Ricordatevi bene cosa diceva Marilyn Monroe: ”
“Che vergogna quando arrivò l’idraulico. Io lì, tutta nuda nella vasca… e non avevo lo smalto sulle unghie!”
Ecco quindi 3 outfit da indossare in casa, per le freelance, per le casalinghe, per chi semplicemente passa molto tempo tra le mura domestiche ma non vuole rinunciare allo stile.
Evitiamo vi prego babbucce o simili o pantofole De Fonseca con pelo, no ai maglioni logori dal tempo, con buchi sui gomiti, quelli che “non lo butto, lo uso per casa!” – optiamo per qualcosa di comodo, ma con dettagli sexy, che insomma ci ricordi che siamo donne e non sacchi di patate!
Sicuramente nell’armadio tutte avrete una t-shirt bianca e un pantalone tinta unita morbido, magari quello della tuta, un total white perfetto, facile e senza investimenti di denaro.
Per le femme fatale, feline anche a casa e con il desiderio di sentirsi libere, consiglio un body abbinato a maglione large – meglio se di una taglia in più, perfetto se maschile, – caldo, morbido che faccia quasi da vestito e lasci libere le gambe. Per le più freddolose dei calzettoni e si è subito Kim Basinger in “Nove settimane e mezzo“.
Uscite dal letto, volete coprirvi ma non avete sottovesti a portata di mano? Semplice, avete il permesso di rubare la camicia al vostro lui! E’ un indumento sexy, pratico e che vi lascerà il suo profumo addosso.
Unica regola: i capelli devono essere sciolti e ribelli, proprio come dopo una notte d’amore …
(foto David Bellemere – immagini dei capi @Trendfortrend)
(foto Helmut Newton – immagini dei capi @Trendfortrend)
(foto David Bellemere – immagini dei capi @Trendfortrend)
Una capsule collection ispirata al cinema e ai film che hanno lanciato la moda della camicia – Xacus presenta a Pitti Uomo 90 la collezione A Shirt A Star.
Il cinema come bagaglio creativo a cui attingere, le idee al brand Xacus non mancano: per questa speciale collezione sono stati realizzati sei modelli in tutto, quattro per uomo e due per donna, dedicati ai film e alle star del cinema che hanno trasformato e segnato il ruolo della camicia nel mondo fashion.
Intramontabile la camicia per i business men come ci ricorda Michael Douglas in “Wall Street”, che interpreta uno spietato e cinico finanziere il cui unico obiettivo nella vita è il denaro. Xacus la realizza in un tessuto antipiega, il Wrinkle Free, in grado di garantire un aspetto impeccabile a qualsiasi ora del giorno. Per instancabili!
Da sempre, l’unico uomo in possesso del codice <00> a concedergli l’autorizzazione di uccidere, ha indossato la camicia bianca!
Stiamo parlando di James Bond, il raffinato agente segreto goloso di Martini Dry “shaken, not stirred”, seduttore incallito, la cui interpretazione rimane nella memoria collettiva quella dell’attore scozzese Sean Connery.
Xacus dona omaggio al personaggio con la “white shirt” per eccellenza, quella “evening” di tessuto inglese della migliore tradizione D&J Anderson con titolo extra fine da 200/2: un pregiato satin di cotone abbinato ad un plastron tessuto su speciali telai artigianali svizzeri.
Per chi ama lo spirito androgino della protagonista di “À bout de souffle” (Fino all’ultimo respiro)- film del 1960 scritto e diretto da Jean-Luc Godard – Xacus ha dedicato la camicia da donna rubata all’armadio maschile. I polsi sono destrutturati e la vestibilità ampia e comoda per un look moderno e attuale; le righe sono sottili e i bottoni in madreperla naturale, il giusto tocco muliebre.
Ancora più avventuriera la donna che sceglie “The linen blouse“, la camicia Xacus ispirata al film “La mia Africa“, che a sua volta prende spunto dalla vita della scrittrice danese Karen Blixen.
Per affrontare le temperature del Kenya, la sofisticata lady interpretata da Meryl Streep indosserà una camicia in lino di Normandia, tinto in filo, collo alla coreana, polsi destrutturati e doppia tasca con pattine sul davanti, per esaltarne il carattere sahariano. Grande importanza assume il tessuto per questo capo, ottenuto dal trattamento in capo Beluga.
60 anni di podio della camiceria in Italia e nel mondo, Xacus stupisce festeggiando con classe e omaggiando il cinema e le radici del prodotto. A Shirt A Star, la capsule collection presentata a Pitti Uomo 90 farà storia.
Uomo britannico in trasferta, Daks per questa collezione primavera-estate 2017 vola in India, tra i profumi speziati e le interminabili distese di sabbie bollenti.
Nella terra del fuoco l’uomo Daks sceglie i filati pregiati, il cashmere, il madras, le lane leggere, il cotone e la seta. Le tonalità ricordano le sfumature del deserto e i bagliori della notte: i grigi diventano quasi argentei, i marroni come terra bruciata e i verdi di una tonalità petrolio.
Filippo Scuffi, direttore creativo di Daks, sceglie una linea dal taglio formale, abiti completamente sfoderati, predilige la comodità e la libertà di movimento, ma è molto attento ai dettagli. L’argento dona luce all’outfit attraverso gli accessori: grandi bracciali indiani, lunghe collane, shopper e piccoli zaini ; le scarpe sono sprovviste di stringe e talvolta indossate come pantofole.
Libertà e avventura sembrano essere le parole chiave della collezione Primavera Estate 2017 Daks, per un uomo dallo spirito libero, alla ricerca di se stesso.
MIAORAN SFILA ALLA SETTIMANA DELLA MODA UOMO A MILANO
Ichthyophobia è il tema della collezione primavera estate 2017 Miaoran – la paura dei pesci.
La fobia dei pesci si risolve stando a contatto gradualmente con essi, così il designer aiuta il fobico vestendolo di strati, con tessuti che catturano la luce e ricordano il lento incresparsi delle onde.
In passerella un enorme telo bianco crea un’acquario umano dove i modelli sfilano come creature acquatiche – sgargianti i colori che vanno dall’azzurro schiuma di mare al denim profondo, dal grigio ardesia al corallo pallido, fino ai candidi avorio.
I volumi giocano un ruolo fondamentale in questa collezione Miaoran, i bomber sono corti in vita e profilati, le camicie sono lunghe oltre la vita, i top squadrati e i cappelli quasi una firma dello stilista.
Molluschi, cetacei e ctenofori compaiono sui soprabiti avorio, il tessuto macramè diventa una rete piena di pesci, l’uomo Miaoran un enigmatico uomo di mare.
Interessante scoperta la collezione uomo JUNLI per la primavera estate 2017.
Una collezione che si ispira alle installazioni di Anselm Kiefer, pittore e scultore tedesco.
Linee e geometrie, una rigorosità sobria e discreta, fatta di tonalità di grigio e neri.
Cemento e fumo, gli elementi underground che ricordano la collezione P/E 2017 JUNLI, la morbidezza dei capi in contrasto con la serietà dei colori, tagli vivi: contrapposizioni e destruttrazioni, sono le parole chiave che creano di questo brand le nuova tendenze in fatto di moda dell’uomo moderno.
Partendo dal rigore del nero, Richmond per la collezione primavera estate 2017, si tuffa in un multicolor fluo che tocca il verde acido, il giallo, il fucsia.
Il fitting è comodo e dalla praticità sportiva, con qualche capo sartoriale, soprattutto le giacche.
Materiali ricercati, pelli e stampe dal forte impatto visivo, l’uomo Richmond non passa certo inosservato.
Talvolta scalzo o dimentico di qualche capo, è un uomo attento alle mode ma mai vittima; noncurante del tempo che passa, impegnato, nel suo armadio non mancano mai i capi basic del maschio ribelle, giubbino in pelle compreso.
MILANO MODA UOMO: ANTONY MORATO E L’UOMO VOGUE INSIEME PER PRESENTARE IL CORTO “BISOGNA AVER CORAGGIO”
Si è svolto durante la settimana della moda maschile l’evento esclusivo di presentazione del corto “Bisogna aver coraggio“.
Presso le sale de “La Triennale di Milano” è stato lanciato il cortometraggio “Bisogna aver coraggio”, diretto da Elisa Fuksas e interpretato da Alessandro Roja, attore divenuto famoso grazie alla serie di “Romanzo criminale”.
Il corto, della durata di 5 minuti, prende il nome dalla prima frase della 19ma scena del primo atto del Don Giovanni. Rivisto in chiave moderna, ma utilizzando le musiche mozartiane, racconta dell’uomo dissoluto, in questa fase (im)punito, che sfugge alla vendetta della donne tradite.
Bisogna aver coraggio, o cari amici miei, e i suoi misfatti rei scoprir potremo allor.
Un groviglio di baci aprono e chiudono il cortometraggio, una manifestazione edonistica della propria personalità che non frena di fronte alla moralità rinfacciata.
“Bisogna aver coraggio” sarà in concorso al Fashion Film Festival Milano, fondato e diretto da Constanza Cavalli Etro, evento internazionale a cui parteciperanno i fashion movies di tutto il mondo, con le loro diversità stilistiche e concettuali.
Antony Morato con queste importanti collaborazioni, vuole sottolineare l’importanza che rivolge al mondo del cinema, già manifestatosi lo scorso anno con il restauro in digitale de “Il Giardino Dei Finzi Contini” di Vittorio De Sica – sempre insieme a L’Uomo Vogue e Istituto Luce-Cinecittà.
Nobili iniziative quindi quelle che spingono il brand Antony Morato, fondato da Lello Cardarelli e che lo portano in cima alla piramide del mondo della moda, uno spazio dove l’arte ed il cinema sono gli ingredienti fondamentali di un successo fatto di codici, cultura e innovazione.
Sabato 11 giugno alle ore 11.00 si inaugura la mostra “Gli ori di Parma. L’industria, il cibo, il lavoro” presso Palazzo Pigorini, una monografica di Francesco Maria Colombo che racconta le eccellenze del territorio (catalogo Skira Editore).
I prodotti parmigiani sono noti in tutto il mondo: il culatello, il parmigiano, il prosciutto di Parma, ma quanti hanno saputo rappresentarli donandogli personalità? Nessuno finora. E’ la fotografia colta di Francesco Maria Colombo che restituisce a delle cose inanimate la giusta dignità.
E’ l’eleganza armoniosa e semplice di un biondo spaghetto, la croccantezza cristallina del sale, la geometria architettonica delle macchine industriali, la sinuosità levigata delle tome di formaggi, oltre ai ritratti veri degli uomini che vi lavorano, la forza della fotografia di Colombo.
Abbiamo parlato con lui del progetto e della sua ricerca fotografica:
Come nasce il progetto/mostra “Gli Ori di Parma”?
Nasce da una commissione dell’Università di Parma, che ho accolto con grande piacere. L’idea era quella di un viaggio articolato dentro una realtà che coincide con un mito (Parma come capitale italiana del cibo) e che però è molto più complessa di quanto si creda. La tradizione convive con la ricerca scientifica e con l’aggiornamento dell’industria, altrimenti l’eccellenza è impossibile. E come fotografo ho cercato di costruire una narrazione degli aspetti molteplici di questa realtà fatta di tante cose, la materia che diviene nutrimento, il gesto dell’uomo, il valore iconico della macchina.
Come rendere vivi e interessanti degli oggetti inanimati?
In realtà i soggetti non sono sempre inanimati, perché gran parte del progetto è dedicato alle persone che «producono» gli ori di Parma, e dunque ci sono parecchi ritratti, e parecchie foto in cui viene colto l’aspetto gestuale. L’oggetto inanimato ha una duplice valenza: da un lato rappresenta una forma, una struttura, rapporti di colore e di texture che hanno in sé un portato estetico; dall’altro contiene un senso espressivo che sta al fotografo di far sprigionare. Le cose parlano, bisogna solo stare attenti a capirne il linguaggio segreto.
Quanto conta la cultura fotografica per raggiungere tale scopo?
In questo progetto ha contato moltissimo. Credo che fare una narrazione per immagini della realtà industriale senza avere alcuni punti di riferimento in testa, Hein Gorny o Jakob Tuggener per esempio, sia limitativo. Questa mostra è piena di rimandi alle avanguardie informali, in alcuni casi esplicitamente citate.
Parma nei suoi ricordi
Parma è una città che amo moltissimo, è un forziere colmo di arte, figurativa e architettonica innanzitutto, ma anche musicale, poetica e cinematografica (basti pensare a Bertolucci padre e figlio, Attilio e Bernardo). E’ una città dalla quale ho scritto tante volte per il «Corriere della sera» e nella quale ho diretto concerti che ricordo con piacere. Entrare nel mondo della produzione del cibo, che non conoscevo minimamente, è stato un viaggio emozionante.
Qual è il suo genere fotografico preferito e perché?
Mi sento molto libero di seguire i miei interessi, che grazie al cielo sono plurimi (del resto la fotografia è parte della mia vita, ma ci sono anche la scrittura e la direzione d’orchestra!). Nel caso di Parma ho accettato la proposta perché venivo da un libro di ritratti a persone famose («Sguardi privati. Sessanta ritratti italiani», ed. Skira, 2015), e ho voluto cambiare genere completamente, sporcandomi le mani e divertendomi moltissimo. Ma ho già cominciato un progetto completamente diverso, dove l’essere umano sarà del tutto assente.
Quanto c’è di autobiografico in quello che fotografa?
L’autobiografia del fotografo, soprattutto nel genere del ritratto, è un tema dibattutissimo. Per me la fotografia, che è entrata tardi nella mia attività professionale, dopo la scrittura e la musica, ha significato soprattutto uscire da me stesso, proiettarmi in una realtà che ha qualcosa di indipendente, di oggettivo e di affascinante proprio perché diversa dai miei giri mentali. Ma nello stesso tempo sono io che la vedo così, attraverso una modalità di rappresentazione che contiene certamente una sfumatura autobiografica.
La prima cosa a cui pensa quando sta per scattare una fotografia?
Avrò tolto il tappo dell’obiettivo?
Il tipo di elaborazione che adotta nelle sue foto?
Scatto in digitale e uso varie fotocamere (Hasselblad, Nikon e Leica, secondo i diversi generi di fotografia). Nel digitale l’elaborazione è parte essenziale nella costruzione dell’immagine, pensiamo solo alla gestione del colore o al viraggio in bianco e nero. Cerco di non abusarne, ma se una macchia di colore, in una foto non di reportage ma di fine art, stona col resto, non esito a correggerla.
La sensazione a lavoro finito, dopo una giornata di shooting
Dopo un giorno passato a fotografare cantine e centinaia di culatelli appesi, ti assicuro che ho fame.
Da cosa trae ispirazione per i suoi progetti?
La curiosità verso la vita è una cosa inesauribile dentro di me. Viaggio moltissimo, incontro molte persone, e non ho mai smesso di coltivare quel vizio irresistibile che è lo studio, lo studio della storia dell’arte, della letteratura, della musica, del cinema. E’ facile che nascano idee, quando nulla ti è estraneo.
Esiste realmente una differenza tra still life e ritratto? O il soggetto è solo un dettaglio su cui far lavorare la luce?
La persona ritratta è autore del ritratto, quanto e forse più che il fotografo. Il ritratto nasce da un’interazione delicatissima che comprende seduzione, sfida, complicità, antagonismo, abbandono. E tutto questo il fotografo da solo non può assolutamente farlo.
Il momento più difficile di una sessione fotografica
Nel caso dei ritratti ho il mio metodo, senza del quale non saprei da che parte cominciare. Ho bisogno di silenzio assoluto, di nessuno intorno, di condividere con la persona ritratta un tempo tutto nostro, che permetta l’emersione dei pensieri segreti e delle emozioni. E ogni volta hai paura di sbagliare, o di fare una cosa ordinaria, perché non sai mai se si stabilirà «quel» contatto che è la sostanza intima di un ritratto riuscito.
Quanto del suo lavoro come direttore d’orchestra ha influenzato il lavoro in qualità di fotografo?
Sono due cose completamente separate e credo che rispondano a due zone del cervello che non si parlano molto fra di loro. Quando lavoro come musicista il fotografo non esiste più, e viceversa. Non ho mai capito perché, ma è così.
La differenza tra dirigere un’orchestra e dirigere un soggetto sul set?
L’elemento comune è semplice: senza un processo di seduzione, che è molto sottile e molto fragile, quasi impalpabile, non riesci a ottenere niente né dall’orchestra, né da chi sta davanti alla fotocamera. Ci sono le resistenze, ovviamente, ed è questione di sapere cosa dire, quando e come, e in che modo (con la parola, con lo sguardo, con un gesto). E quando le resistenze cadono, baby, it’s magic.
“Gli ori di Parma. L’industria, il cibo, il lavoro” di Francesco Maria Colombo a cura di Gloria Bianchino ed organizzata dall’Università e dal Comune di Parma
Palazzo Pigorini – Str Della Repubblica 29 A PARMA
sarà aperta dall’11 giugno al 17 luglio
dal 2 al 25 settembre, con ingresso libero
Il catalogo è pubblicato da Skira, 160 pagine, euro 35,00