SNOB e McLaren in un tour indimenticabile. Testimonial Miriam De Nicolò alla guida della McLaren GT in viaggio da Milano al cinque stelle lusso Grand Hotel Victoria di Menaggio
SNOB magazine, progetto di lifestyle e cultura dell’editoria indipendente, è lieto di annunciare un progetto senza precedenti con il prestigioso brand di automobili McLaren. Unione di due icone d’eleganza, innovazione e prestigio, che ha dato vita ad un’esperienza straordinaria sigillando mondo dell’automotive sportiva e del lifestyle.
A bordo di una McLaren GT, Miriam De Nicolò, Direttore Responsabile di SNOB e volto selezionato da McLaren, scardina totalmente il preconcetto che vede un’auto dalle altissime prestazioni sportive, pilotata solo da uomini ed addetti al settore. La McLaren GT è il nuovo carattere della Grand Tourer, superleggera, una bellezza da togliere il fiato ma soprattutto facile da guidare. In questo tour che tocca le città di Milano e Menaggio, con meta il cinque stelle lusso Grand Hotel Victoria, Miriam De Nicolò è riuscita a fondere eleganza e potenza, grazia e prestazione, sfidando le convenzioni.
Appassionata di velocità e stile, Miriam De Nicolò è il volto di questa esperienza unica che racconta la giornata di una giovane imprenditrice donna. Attraverso il video diretto dal regista Giovanni Piscaglia (autore del capolavoro “Van Gogh tra il grano e il cielo” distribuito in 50 paesi del mondo), diventa d’ispirazione per le donne che desiderano unire la potenza delle auto sportive all’eleganza senza tempo. L’accoglienza del Grand Hotel Victoria di Menaggio, il 5 stelle sito sul Lago di Como, è simbolo della ricercatezza e del dettaglio, del lusso dotato di ogni tipo di comfort.
Ludovica Rocchi, Brand Director del Gruppo R Collection Hotels di cui fa parte il Grand Hotel Victoria afferma “È stato un immenso piacere per il Grand Hotel Victoria Menaggio partecipare a questo prestigioso progetto, nel quale condividiamo la costante ricerca dell’eccellenza italiana, la passione per l’innovazione e la cura dei dettagli in una visione di rendere l’esperienza dell’ospite unica e sorprendentemente piacevole“.
McLaren GT, dal design audace ed elegante, ha qualcosa in più rispetto alle auto della sua categoria, ha linee leggere, aerodinamiche, fluide e corpo scolpito, ma soprattutto è significativamente più leggera delle competitors. Le porte diedrali offrono non solo una spettacolare firma visiva quando sono aperte, ma sono state ottimizzate per essere utilizzate in aree di parcheggio ristrette. Il tetto panoramico aumenta la luminosità all’interno del veicolo e regala un tocco di personalità in più, come l’elegante nappa interna beige, che la fa somigliare ad un elegante salotto.
Dalla caotica Milano con una guida comfort, perfetta per la città, Miriam De Nicolò ha assecondato la potenza del motore V8 biturbo da 4,0 litri che produce 620 CV, accelerando in modalità sportiva; spinta dal “launch-control” la McLaren GT passa dai 0-100km/h (0-62mph) in 3.2 secondi (0-60mph in 3.1 secondi) e 0-200km/h (0-124mph) in 9.0 secondi, con una velocità massima di 326km/h (203mph).
Una guida piacevole e coinvolgente, prestazioni esaltanti ed eccellenza dinamica che contraddistinguono la supercar McLaren GT, unita al caratteristico disegno moderno e raffinato, ma soprattutto alla capacità di bagagli che la rende unica nel suo genere e che permette anche di sceglierla per lunghi viaggi, come per questo tour.
Volto protagonista del tour Snob – McLaren, Miriam De Nicolò, si è fatta così portavoce di contenuti esclusivi che promettono d’essere un impegno condiviso per comunicare eccellenza, innovazione, e prestigio di una supercar scelta del mondo femminile, consapevole ed esigente.
Questo progetto ha offerto ai lettori di SNOB e ai grandi appassionati McLaren, un accesso privilegiato al mondo èlitario delle supercar, e un dietro le quinte di una esperienza unica, che continueremo a svelare nei prossimi capitoli su tutti i canali ufficiali di SNOB.
Milano non si ferma mai, è come quegli androidi di Alien che fanno tutto il lavoro ininterrottamente, giorno e notte, mentre gli altri, gli esseri umani, riposano. Ma a differenza loro è buona, perchè ci regala un’altra settimana dedicata a cosa? Al disegno. Dal 25 novembre al 3 dicembre, potrete godere dei capolavori di artisti del XX secolo, parte della Collezione Ramo che ne conta ben 700, presso le migliori gallerie di Milano, gratuitamente.
Tra un caffè in centro e una passeggiata per negozi, avrete l’occasione unica di vedere da vicino quello che rimane custodito con cura maniacale e certosina, in caveau dedicati, i disegni di Umberto Chiodi, Giorgio De Chirico, Umberto Boccioni, Alighiero Boetti, etc… selezionati per l’occasione da artisti emergenti, che avranno l’onore di accompagnare la loro opera a quella del loro idolo, mentore, maestro.
Accompagnati dalla curatrice della MDW, Irina Zucca Alessandrelli, abbiamo iniziato il percorso dal Museo di Storia Naturale, dove espone l’artista francese Mad Meg, con opere su carta di due metri e mezzo, una collezione intitolata “Patriarchi”, una denuncia dell’uomo maschilista. Sono giganti insetti travestiti da uomo, e accomunati da comportamenti bizzarramente simili, come l’impollinatore che identifica la figura femminile come mera incubatrice; o il cercatore d’oro con la testa di mosca, che riprende una vecchia fotografia di Bernard Otto Holtermann che nel 1872 trovò nella sua miniera la pepita d’oro più grande del mondo; uno sfottò alla smania ossessiva di ricchezza, che viene paragonata allo sterco cui la mosca si avvicina.
I disegni di Mad Meg sono realizzati a pennino e china, con una esposizione del particolare fatto con incredibile minuzia; le opere sono messe inoltre in relazione alle specie catturate dalla sezione entomologica del Museo di Storia Naturale, in accordo con i protagonisti della serie d’artista; sono insetti stecco giganti della Malesia, bruchi, crisalidi, lepidotteri notturni adulti, impollinatori come il bombo comune, l’ape legnaiola, l’ape domestica o da miele con esemplari di tutte le caste (regina, fuchi e operaie) e alcuni frammenti di favi, mosche della famiglia delle Sirfidi e alcuni tra i coleotteri più ricercati dai collezionisti, i carabi e le cicindele.
Mad Meg sceglie “Studi per archeologi” di Giorgio de Chirico dalla Collezione Ramo, per la terza esposizione della Milano Drawing Week, un’opera che riprende i concetti della grecia classica e dei manichini, esordio dello studio della pittura metafisica, affascinata dal modo che de Chirico ha di rappresentare gli spazi mentali e le allegorie del XX secolo.
“Studi per archeologi” di Giorgio de Chirico
“Patriarchi” di Mad Meg
Proseguendo il giro, alla Galleria Tiziana Di Caro, sita in Via Gioacchino Rossini 3, l’artista Luca Gioacchino di Bernardo all’interno della sua personale, sceglie dalla Collezione Ramo, l’opera di Gianfranco Baruchello, l’artista che cercò per tutta la vita l’interscambiabilità tra natura e arte. Fondò l’Agricola Cornelia spa, dove svolgeva attività di agricoltore dedicandosi alla terra, all’allevamento di bovini e ovini, dove il silenzio di una stanza d’artista era necessariamente interrotto dall’urgenza di un parto di una vacca. E nel seguito lo si vedeva ritornare con un pennello in mano, a disegnare l’opera che aveva appena vissuto sulla propria pelle.
“Ho scelto “Skizo corpus philosophica” poiché trova riscontro con una mia tutt’ora viva ricerca tra la stretta comunanza archetipica tra l’albero e la figura umana.” racconta Luca Gioacchino di Bernardo, attorniato dalle nodose radici dei suoi disegni che nascondono codici indecifrabili, espressioni, frasi oniriche. Radici portate alla luce e vivisezionate come corpi, una specie di radiografia che sembra più rivolta a se stesso che ad un oggetto preso in prestito.
“Skizo corpus philosophica” di Gianfranco Baruchello
Luca Gioacchino di Bernardo
Nella Galleria Renata Fabbri di Via Antonio Stoppani 15/c, troviamo il colore di Serena Vestrucci che, attraverso l’uso del pennarello e della forza che impiega nel colorare su carta, indaga l’aldilà. Lo fa toccando il fondo, stressando la carta fino al punto di rottura. Cosa troveremo al di là del foglio? Cosa si cela dietro un gesto ripetuto, ordinario, superficialmente banale del colorare? La risposta è incorniciata accanto all’originale, il retro si mostra di fianco al davanti, il mistero vicino al reale, l’ignoto accanto a ciò che ci aspettiamo. Ed è questo ignoto che ha colpito l’artista nella scelta de “I vedenti- Eterno dilemma tra contenuti e contenitori” di Alighiero Boetti, che per tutta la sua vita artistica ha ricercati l’aspetto del vedente e del visibile, anche attraverso quest’opera dedicata ai vedenti colpiti da cecità, per alludere a chi non lo è.
“I vedenti- Eterno dilemma tra contenuti e contenitori” di Alighiero Boetti
Serena Vestrucci “Toccare il fondo”
Nello studio di architettura e spazio espositivo indipendente, Spazio Lima, l’installazione unica di Benni Bosetto che ricopre le pareti come carta da parati. Ripetizioni di immagini, corpi e simboli elusivi, segni grafici come codici e linguaggi nascosti, perfettamente coesi con la ricerca verbo visuale di Tomaso Binga, scelta da Collezione Ramo per questa edizione MDW con “Dattilocodice” tavola n.13 del 1978.
Bianca Pucciarelli Menna, la vera donna che si celava dietro il nome d’artista Tomaso Binga, per facilitarsi un percorso artistico al tempo chiuso al mondo femminile, lavora da sempre con la parola scritta desemantizzata, lettere che mescolate insieme, scritte l’una sull’altra, danno vita ad codice nuovo, lontano dal significato corrente che invece distrae, per riappropriarsi interamente della propria identità.
Benni Bosetto
“Dattilocodice” tavola n.13 di Tommaso Binda
Chiude il nostro primo viaggio, il dialogo inedito tra i due Boccioni al Castello Sforzesco.
“Controluce“, opera della Collezione Ramo che l’artista in vita espose ben due volte, la prima con la famiglia artistica di Milano nel 1910, e la seconda nell’estate dello stesso anno presso Palazzo Pesaro a Venezia, fu dapprima proprietà della nota intellettuale e critica d’arte Margherita Sarfatti.
Sullo sfondo, la periferia cittadina, in primo piano, una giovane donna dall’amabile sorriso, avvolta da uno scialle che le accarezza una guancia, e da una luce che penetra la figura e la inserisce, fondendola, con l’ambiente circostante. Trattasi della svolta futurista della compenetrazione dei piani, qui ancora con un tratto a grafite divisionista, ma vicinissima al percorso stilistico che toccherà Boccioni, visibile nei capolavori affiancati de “La madre seduta con le mani incrociate“, 1911 e 1912 appartenute a Collezione Ramo e al Gabinetto dei Disegni del Castello Sforzesco di Milano la seconda.
E’ un’occasione unica di poter vedere per la prima, e forse unica volta (chissà), due capolavori affiancati che hanno generato la rivoluzione futurista.
Lirismo del divismo, “Grand Hotel” illumina nonostante l’età. è il ’32 quando il regista Edmund Goulding raccoglie i più grandi divi del cinema Hollywoodiano e li piazza davanti ad una camera per girare quello che sarà premiato agli Oscar nello stesso anno, come miglior film a MGM, e pellicola scelta per essere conservata nel Nation Film Registry della Biblioteca del Congresso degli Stati Uniti.
Teatro di scena è il Grand Hotel di Berlino, non cercatelo perché non esiste, il set è stato interamente ricreato negli Studios purtroppo, peccato per gli appassionati di cinema che si sarebbero fiondati nelle sontuose stanze dei protagonisti.
Gente che va gente che viene, un tram tram di clienti che fa da sottofondo alle storie che si intrecciano tra i personaggi di diverso ceto sociale. Abbiamo il barone Felix von Geigern ( John Barrymore) che si rivelerà essere un ladro gentiluomo, molto amato per i suoi modi e il suo buon cuore, la ballerina russa, madame Grusinskaya (Greta Garbo), una diva viziata caduta in depressione al calar della carriera, il contabile Kringelein, un uomo dai giorni contati perchè malato di cuore, che decide di vivere i suoi ultimi momenti nello sfarzo totale, l’industriale Preysing, un arrogante panzone e la sua dattilografa, Flaemmchen, la grande Joan Crawford che ruba la scena alla bella Garbo forse a tratti troppo drammatica e teatrale per uno spettatore del 2023.
Wallace Beery e Joan Crawford in una foto pubblicitaria del film
La missione del ladro barone sembra andare in fumo, entrato nella stanza della ballerina per rubarle i collier di perle, assiste di nascosto alle angosce della povera donna in procinto di suicidarsi. Colto da compassione sbuca fuori dalle tende e la implora di fermarsi, confessandole di essere entrato furtivamente nella stanza perchè innamorato perdutamente di lei. E nella trappola dell’amore ci finirà sul serio, rischiando così di essere ammazzato dalla malavita che pretende quelle perle promesse. Ma il barone è troppo debole nei confronti del gentil sesso, e cercherà di ottenere quel denaro altrove. Si imbatterà nel povero Kringelein a cui ha regalato la sua amicizia, quell’uomo così solo e così desideroso di vivere; ruberà il cuore alla dattilografa che non ricambia, ormai pronto a scappare segretamente in Russia con la bella ballerina, che miracolosamente ha ripreso a brillare come i vecchi tempi e che vede il Sole in ogni angolo della stanza in bianco e nero.
Grand Hotel è un film romantico che ci ricorda quanto l’amore sia il vero salvatore, un film che denuncia i comportamenti degli anni ’30 nei confronti dei differenti ceti sociali, un film che apre gli occhi sulle vere identità delle persone (la timida dattilografa si scoprirà essere una calcolatrice pronta a vendersi al suo datore di lavoro per soldi, ma presa da compassione accompagnerà il signor Kringelein a Parigi, per gli ultimi suoi giorni di vita e di gloria.
Greta Garbo e John Barrymore (Photo by MGM Studios/Courtesy of Getty Images)
Edmund Goulding ci fa amare il buon ladro, così galante, di rara eleganza e calma, e così prodigo a salvare la vita di una star a fine carriera, ci conduce nelle stanze 170, 164, 168 sbirciando dalle fessure le storie segrete dei clienti d’albergo, ci appassiona con le telefonate d’amore e ci attanaglia trasformando il dramma in un thriller, perchè alla fine, qualcuno muore. Chi?
Il Festival del Cinema di Venezia è finalmente iniziato, lo omaggiamo con questo cortometraggio prodotto da Snob Srl, interpretato dal grande Sergio Rubini, e scritto e diretto da Peppe Tortora.
Un maestro di scuola elementare, dopo essere stato preso in giro dal direttore, davanti alla classe, decide di raccontare ai suoi bambini il significato della parola “Similitudine“. Lo fa con la storia di un uomo di nome Pernillo, un ignorante ma furbo che decide di aprire una scuola per maiali. Sergio Rubini è l’attore protagonista che interpreta il maestro, Roberto Ciufoli interpreta il direttore. L’ambiente è essenziale per dare importanza solo alla narrativa; la musica è composta da Alberto Bof come accento alla narrazione.
Tratto da un racconto di Angelo Tortora Scritto e diretto da Peppe Tortora Il maestro: Sergio Rubini Direttore della scuola: Roberto Ciufoli Bambino: Romeo Ciufoli Aiuto Regia: Jacopo Rosso Ciufoli Direttore della fotografia: Valerio Di Lorenzo Musica originale di Alberto Bof Press Agent Rubini: Saverio Ferragina Supervisione Costumi: Tommaso Basilio Aiuto Costumista: Paola Ragosta Acconciature: Concetta Argondizzo @simonebelliagency Operatore: Andrea D’Andrea Aiuto Operatore: Vittorio Penna Correzione Colore: Claudia Pasanisi Grazie al centro Anziani San Felice di Roma
Una produzione di SNOB Srl Direttore Responsabile: Miriam De Nicolò
Della sua vita privata si sa poco, noi lo conosciamo perchè recita accanto a Sara Jessica Parker, in una delle serie tv più seguite di sempre, “And just like that”, il sequel di “Sex and the city“, ma nella vita reale Sebastiano Pigazzi è un timido, così si racconta, un bambino che scriveva poesie un poco drammatiche, e che oggi ha il cassetto pieno di sogni…nel mondo del cinema.
Buon sangue non mente, perchè Sebastiano Pigazzi è il nipote di Bud Spencer, il nonno forzuto e buono che tutti avremmo voluto, una vita vissuta in America, e il cuore che lo riporta spesso a Roma, la città che ogni tanto fa sentire nostalgia dell’Italia.
Photographer Claudia Pasanisi
EIC/Interview Miriam De Nicolò
Stylist Diletta Pecchia
Grooming Barbara Bonazza
Press Office Agent Matteo Cassanelli – Mpunto
Stylist Assistant Giada Turconi
Press Office Assistant Laura Marazzi
Location Studiocane – Milan
Gilet e pantalone AGARW-UD, camicia ANTONIO MARRAS
Nel sequel di “Sex and the city, “And just like that”, interpreti il fidanzato di Anthony Marentino.Puoi svelarci qualcosa della storia? Sarà una relazione omosessuale, che nasce come un gioco e diventa un amore romantico.
Com’è stato lavorave in un cast così affiattato, di una serie di così tanto successo? Molto divertente, loro sono davvero accoglienti e gentili, mi hanno fatto sentire a casa, pensavo ci sarebbe stata tanta tensione e invece non avuto problemi ad integrarmi.
Hai portato nel tuo ruolo qualche carratteristica della tua italianità? Beh si, il personaggio è italiano, non ho avuto scelta. Lui vorrebbe fare il poeta, scrive testi d’amore in un negozio di New York per un dollaro.
Anche tu ho letto che scrivi poesie… Beh scrivevo di più quando ero piccolo, ma non d’amore, ero un pessimista. Poi ho smesso altrimenti si sarebbe potuto pensare che fossi un Leopardi 2.0 un po’ troppo drammatico con tendenze suicide.
Da piccoli abbiamo un po’ tutti un lato drammatico. Ma io avevo la tendenza ad andare sempre più verso il fondo. Ricordo che mia nonna a un certo punto mi disse: “Guarda che qualche volta puoi scrivere anche una poesia felice!“.
Perchè sei una persona sensibile. Si forse sono un sensibilone.
Tendenzialmente si cerca di coprire questo lato forse perchè qualcuno potrebbe leggerlo come debolezza, quando in realtà è un grande pregio e una grande forza. Sicuramente rende la vita più difficile. Anche se nell’arte può essere un’arma a tuo favore.
sx camicia ANTONIO MARRAS, pantalone ANGELO FRENTZOS dx giacca e pantaloni ANTONIO MARRAS
Attore con il sogno nel cassetto di regia e sceneggiatura. Il mio mondo ideale, ma sai certe cose uno vorrebbe tanto farle, ma richiedono tempo.
Hai qualche progettoavviato? La volontà non manca.
Quali sono i temi che vorresti sviluppare? Sicuramente mi piacerebbe trattare il tema della moralità, mette sempre in discussione il giusto e lo sbagliato, vorrei spingere il pubblico a pensare, metterli in difficoltà, credo sia la cosa più interessante che possa regalare il cinema.
Moralità che si è un po persa in questo periodo storico. Si forse si è un po persa. Non sarò io a dire cosa è giusto o sbagliato, ma vorrei mettere in scena personaggi ambigui e lasciare al pubblico l’ultima parola. Un modo per giocare con il cinema, riflettendo.
E tu da che parte stai? Ti senti più buono o cattivo? Come tutti gli altri, qualche momento buono e qualcuno cattivo, direi umano. Troppo spesso nel cinema vediamo separate le due metà, quando nella realtà siamo tutti entrambi i lati della medaglia.
Cè chi ammette di avere una parte piu preponderante rispetto l’altra. Tutti hanno qualche motivazione, nessuno nasce cattivo.
Ti senti un ragazzo fortunato? Molto fortunato, ovviamente tutti hanno vissuto qualche trauma, fa parte della vita, rende tutto più vivo.
E i tuoi traumi li puoi raccontare? I traumi sono intimi, forse sono sempre stato un pò rabbioso, insoddisfatto.
Potrebbe essere il paragone con qualcuno del tuo grado di parentela? No nessuno, non posso paragonarmi a mio nonno.
Hai un anneddoto carino da raccontare legato a tuo nonno Bud Spencer? Ero piccolissimo, e mi ero attaccato ad una bottiglia d’acqua, ingollando senza sosta. Mamma e nonna hanno provato a fermarmi, ma solo il vocione del nonno è riuscito nell’intento, facendomi piangere. Era così imponente.
sx total look ANGELO FRENTZOS, dx total look DSQUARED, bracciale FERSERA
Perchè a tuo parere “Sex and The City” ha un seguito così grande? Perchè parla di quattro donne che vivono la vita in modo un pò provocatorio e ha la capacità di raccogliere ogni tipo di personalità femminile, per cui è facile immedesimarsi. La scelta di girare in una città meravigliosa come New York, che ti sembra di vivere lì con loro, e soprattutto in chiave ironica.
La tua più grande passione oltre al cinema? Stare con amici e persone a cui voglio bene.
Dove ti senti più a casa? A Santa Monica, dove sono cresciuto.
Un luogo dell’italia che un pochino ti manca? Dopo qualche tempo si sente sempre la mancanza di Roma.
Roma o i romani? I romani no, ah ah.
Dovessi scegliere un periodo in cui vivere? Per un giorno? Forse andrei a vedere l’antica Roma.
A fare il gladiatore? No a vederli.
Avessi scelto un mestiere diverso? Il politico.
Sei legato a qualche partito? No, ma trovo sia un’altra forma d’arte che può cambiare la vita a molte persone. Utopico, ma se ben gestita potrebbe aiutare realmente.
Tra le prime roccaforti turistiche dell’impero asburgico, Merano ha ospitato nel passato diverse personalità illustri come la Principessa Sissi, che ancora oggi è amata e omaggiata, e lo scrittore Franz Kafka. Patria di Castelli, Giardini imperiali, e di infiniti svaghi e sport da praticare a cielo aperto, come il trekking, nordic walking, meditazione nei grandi parchi, yoga nei bambuseti ed e-bike, Merano è l’elegante città dove recuperare energia tra le montagne. Per una sosta a Merano, i luoghi più caratteristici sono quelli ricchi di storia e tradizione, assolutamente da visitare e vivere per una vacanza all’insegna del relax.
Hotel Adria
Un elegantissimo palazzo della Belle Époque, conserva tutto il fascino e il gusto di inizio ‘900, nell’architettura e negli arredi, concedendosi una piccola rimodernizzazione laddove necessario. Gli chandelier nel salone appartenuti all’ultimo doge di Venezia, gli stucchi oro dei soffitti, romantiche nature morte racchiuse in cornici ovali, così come i ritratti di nobildonne, le vetrerie in legno antico che espongono preziose teiere in porcellana cinese, tutto parla al passato all’Hotel Adria, il gioiello architettonico in stile Liberty nel quartiere di Maia Alta a Merano.
Nel grande salone del palazzo, tra i dipinti e le applique originali, è possibile leggere la stampa estera, rito mattutino che pare ormai desueto e che invece nobilita come ogni genere di lettura; per gli amanti della notte, un bellissimo angolo bar con capitonnè turchese e lampade Art Nouveau, dove trascorrere le ore chiacchierando davanti ad un Vermouth Belle Époque, con un cubetto di ghiaccio.
La sala colazioni è il ritratto femminile per eccellenza, agghindato di profumatissimi fiori del parco secolare circostante, ha i colori del lilla e del viola; sui tavoli, che affacciano alla grandi vetrate panoramiche, le piccole argenterie per un risveglio coccolato dalle prelibatezze della cucina, muessli e yogurt naturale, frutta fresca, croissant appena sfornati e le dolcissime torte fatte in casa, con i prodotti locali.
Qui tutto parla della più amata, la principessa triste e romantica che era solita annotare tutti i segreti del cuore nel suo piccolo diario, la più fissata con la linea e in perenne dieta, di quelle fai-da-te per ridurre all’eccesso il suo già minuscolo punto vita, colei che nella tabella giornaliera aveva sempre delle lunghe passeggiate che la videro anche qui, a Merano, per lungo tempo: la Principessa Sissi.
La immagino salire con l’ampio vestito di seta color del cielo, nello storico ascensore datato 1914 (una vera rarità per l’epoca), e ancora intatto nel palazzo con la poltroncina interna in gobelin, quel meraviglioso tessuto che ricopre i salotti più graziosi, dalle trame fiorite con i colori più tenui e che ricorda gli arazzi Gobelins, Manifattura storica del XVII secolo. Anche i corridoi omaggiano la bella Principessa, con foto, ritratti e documenti che ne ripercorrono la storia, e una stanza dedicata, la numero 18, Sissi, l’imperatrice.
Hotel Adria è il quattro stelle lusso per chi ha voglia di vivere il fascino del passato con le comodità del presente, come la sua spa con 4 saune, bagno turco salino e aromatico, piscina interna e vasche idromassaggio esterne, zona relax e solarium e trattamenti benessere per dedicarsi totalmente alla cura del corpo e della mente. Un bel regalo da concedersi soprattutto quest’anno in cui cade il 138mo anniversario dell’Adria, progettato nel lontano 1885 e rinnovato nel 1914 secondo i canoni estetici dello Jugendstill. La storia poi lo vede trasformato in un ospedale da campo durante la Prima Guerra Mondiale e riportato alla sua funzione originaria a fine conflitto, per poi passare sotto la cura della famiglia Amort-Ellmenreich, che oggi gli ridona splendore e grazia.
Se avete visto il film “Grand Hotel” del ’32, per chi ovviamente non lo ha vissuto quel periodo, saprete che certi ambienti paiono davvero esser scomparsi, così come alcune atmosfere, ormai sorpassate. Purtroppo. Ma qui al Park Hotel Mignon, dal grande salone dove viene servita la cena, le storie si intrecciano come in un film; il galateo impone l’abito per le signore, i pantaloni lunghi per i gentlemen, un must che dovremmo imporre in ogni albergo che si rispetti. Le voci sono sommesse (Dio sia lodato), le cene si svolgono con ritmo cadenzato, mai a tarda ora, e ogni ospite siede quasi sempre alla stessa tavola, e scambia qualche battuta con il cameriere con cui si ha più simpatia. La liturgia della cena è in nome della cuisine,firmata dallo chef Hanspeter Humml, originario del luogo, ma che porta nel piatto influenze francesi (sono deliziose le salse che accompagnano quasi ogni piatto) e un tocco gourmet ad ogni impiattamento; inoltre si offre la possibilità di scegliere anche un Menu vitale, una cena da 670 kcal per chi non vuole rinunciare alla forma.
Se al momento della cena ci si concede qualche confidenza con l’ospite della camera accanto, perchè la scelta vini è ampia e il pianoforte suona, la colazione si svolge in un clima ancora più lento, per poter assaporare il più importante pasto della giornata. Vi attende una selezione di prelibata pâtisserie, omelette fatte al momento, del puro miele favo direttamente dall’alveare, da gustare masticando la cera d’api che contiene tutte le proprietà nutritive e curative della propoli, e un caloroso invito su carta firmato dalla famiglia Amort-Ellmenreich, per un aperitivo in terrazza. Il tempo sembra essersi fermato al Park Hotel Mignon, i salotti, con i soffitti in legno, sposano perfettamente un design moderno ad elementi vintage; i dipinti alle pareti sono tutte produzioni astratte della signora Ildegard, madre dell’attuale Sissi Amort che porta avanti con uno spirito imprenditoriale e d’accoglienza eccelsi.
Anche la sala bar vi farà venire una certa nostalgia, di quelle serate lette ne “La morte a Venezia” di Thomas Mann, negli ambienti sontuosi del Lido all’Hotel des Bains, quando il narratore rimane affascinato dal giovane Tadzio, quella figura bionda dalle fattezze greche che divenne l’ossessione del protagonista. Un Jalifa Solera Especial dell’azienda Williams & Humbert, uno Sherry appartenente alla categoria “Amontillado” invecchiato 30 anni, o un Pipa XX Glogglhof F. Gojer, il primo vino in Alto Adige prodotto con il sistema del vino Porto con uve di Lagrein affinato nella botti Pipa (tipiche botti in rovere del Portogallo dove viene conservato il Porto), e vi ritroverete a discorrere di tempi passati, costumi in disuso, forme dimenticate, autori illustri e grandi classici, consigliati da Philip, quarta generazione della proprietà e futuro chef del Park Hotel Mignon. E per gli appassionati della fumata lenta, una selezione di sigari a scelta tra Montecristo, Davidoff Churchill, Romeo e Giulietta, da godersi nel grande terrazzo vista piscina.
Fiore all’occhiello è certamente la Spa, 2000 mq di zone intime da dedicare alla cura del proprio corpo, bagni di vapore, ampia piscina coperta comunicante con quella esterna, servita di lettini, ombrelloni, accappatoi, vasca Kneipp, dove sassi di fiume di forma irregolare spremono la pianta del piede favorendo il ritorno della circolazione venosa, ad una temperatura di 12 gradi; vasche idromassaggio, (Sauna Bamboo Hyperthermae, Sauna 4 stagioni, Mediterranean Parcour, grotta Glacier Ice, Aromarium (un bagno turco agli aromi con proprietà disintossicanti e rilassanti), e sudario romano secco (per facilitare l’eliminazione delle tossine e contrastare emicrania, dolori reumatici), confortevoli ambienti intimi dove dormire sotto il canto deli uccelli o dello scrosciare di un corso d’acqua. Per una vera vacanza all’insegna del relax, concedetevi un trattamento corpo come il massaggio integrale Ayurveda, eseguito con olii caldi e tecniche specifiche atte a vitalizzare l’organismo sotto stress e riequilibrare lo stato interiore.
Ogni angolo del Park Hotel Mignon nasconde un’oasi dedicata, come il piccolo laghetto naturale, l’angolo con rocce naturali e doccia, o il percorso con truccioli di pino che collega le zone spa, in 10.000 mq di parco, troverete camminando delle sorprese, sarà un divertente gioco alla ricerca dello spazio più riparato dove godere della perfetta privacy.
Volete vivere un giorno da Principessa? I Giardini di Castel Trauttmansdorff sono un magico labirinto dove avrete il piacere di perdervi; calpesterete lo stesso terreno che un tempo attraversò Sissi, vedrete lo stesso panorama, annuserete gli stessi fiori, parlerete alle stesse specie animali. Qui infatti è presente una grande serra con diverse piante esotiche su cui si posano differenti specie di farfalle tropicali che spuntano in questa zona durante l’anno, da ogni angolo di mondo. E’ uno spettacolo naturale davvero unico, che difficilmente si trova il natura dove la presenza dell’uomo è costante; e il Laghetto di ninfee, il Giardino dei sensi con i suoi fiori profumati; il grande prato acquatico dei fiori di loto; e delle aree dedicate ai simpatici alpaca, moroseta, caprette e insetti dei più bizzarri nel Terrario della Serra, come l’insetto stecca e l’insetto foglia, che farete davvero fatica a scovare tanto sono bravi a mimetizzarsi.
I Giardini di Castel Trauttmansdorff non sono un semplice parco, ma un percorso didattico utile davvero a tutta la famiglia, ai grandi e ai piccini, curato nei minimi dettagli, ricco di attività e di punti di interesse, con zone dedicate a giochi e spazi multisensoriali, un museo a cielo aperto da cui dovrebbero prendere esempio tanti musei italiani e non, per offrire un diversivo che impegni in maniera utile e divertente tutta la giornata. Le Stazioni sensoriali portano il visitatore alla scoperta della natura, ampliando tutti e cinque i sensi, come il percorso a piedi nudi, l’alveare dove poter vedere da vicino il lavoro delle api, la roccia sonora che restituisce le vibrazioni della propria voce, e la Grotta, un percorso sotterraneo che illustra la genesi della Terra.
Ma sono le stanze del Castello che l’imperatrice d’Austria abitò dal 1870 con le figlie Gisella e Marie Valerie; qui Sissi si ritirava a leggere, scrivere il suo diario, annotare le pene che la vita non gli ha negato, come la morte del figlio suicida, il principe ereditario Rodolfo d’Asburgo-Lorena. Ma il Castello è anche testimone delle sue piccole gioie, come la fetta di torta che ogni tanto si concedeva, e che è rimasta intatta fino ad oggi, conservata dalla locandiera che gliela preparò nel 1897, data del suo ultimo soggiorno a Merano. Conservata sotto una teca, dura come la pietra e rosicchiata solo da un topino, la torta della Locanda Sole è uno strano oggetto che racconta quanto l’imperatrice fosse amata dalla gente locale, per la sua personalità umile e aperta, nonostante il rango.
Locale storico di Merano, Forst nacque come distilleria per poi dare vita dopo la ristrutturazione all’edificio che è oggi e alla tipica locanda meranese, con le caratteristiche pareti e soffitti in legno, corna di cervo, documenti e foto originali sulla storia della birra, foto della famiglia che gli diede i natali. Forsterbräu Meran è sicuramente il locale più frequentato della zona, che offre piatti di altissima qualità, non perdetevi i canederli di speck in brodo, le mezzelune ripiene di spinaci e ricotta, servite conformaggio di malga, burro fuso ed erba cipollina, o i classici würstel alla bavarese con brezen e senape dolce. Si trova nel centro della città, un quartiere elegante vicino al teatro, dove fare sosta prima di aver rimpinguato la vostra dispensa di prodotti locali da portare a casa o come goloso regalo per i vostri amici.
Actor Tommaso Ragno Interview by Miriam De Nicolò Photography Martina Mammola Styling Allegra Palloni
Più andiamo avanti nella conversazione, più si comprende che la vita, per Tommaso Ragno, sia uno studio continuo sul mestiere dell’attore, e che queste ricerche siano diventate di natura così ossessiva, da averle incarnate con la sua carne stessa. Cita Sacha Guitry senza saperlo, quando dice che l’attore è pagato per provare sentimenti che non prova: l’intensità arriva già dalla voce. chiudendo gli occhi diviene più profonda e poi attenta, cauta, sibilante, triste quando parla dell’amore, decisa quando si riflette allo specchio.
La differenza tra la realtà del teatro e la realtà del cinema. James Stewart, un grande attore statunitense, diceva: “Nei film si tratta di creare momenti. Nessuno sa come questo accada. Ma il compito è di prepararsi al meglio affinché questi momenti accadano, perché nei film non è la performance a contare come la si intende in teatro. Non è esattamente così. Nei film si va per momenti. La cosa grande del cinema è il potenziale che i film hanno di comunicare le cose visivamente: il cinema ti viene più vicino di qualunque altra cosa, la gente ti guarda negli occhi.” Nel teatro invece, proprio perché la scena, lo schermo è un continuo campo totale si fa un lavoro che comporta l’uso di tutto il corpo, l’elemento tecnico (cavi, telecamere, ciak, etc.) che nel cinema e nella tv è primario in teatro diventa secondario, in teatro è l’elemento umano a esser centrale, è un flusso ininterrotto, in cui sei connesso direttamente al pubblico, che dovresti percepire come tuoi partners, come fossero attori a loro volta che partecipano a creare lo spettacolo.
Come si entra dentro il personaggio da interpretare? Direi in parte alla stregua di un atleta, laddove ciò che muove tutto è il muscolo dell’immaginazione, facendo spazio in sè stessi per lasciare che si manifesti questo fantasma, chiamato per convenzione “personaggio”. Si va a cercare qualcosa che speri venga a sua volta a cercare te. Una sorta di reazione chimica. Di chimica alchemica, alla maniera degli antichi alchimisti.
Hai dichiarato in una intervista “Ciò che mi differenzia è l’immaginazione” E’ questa la miglior qualità di un attore? La qualità più importante sta nel modo di rielaborare le cose che hai imparato. Porto un esempio: tu mi consigli vivamente un libro che hai letto e amato, e che a me invece non piace. Non è il libro a essere buono o cattivo, un libro è buono o meno a seconda di quanto lo è il suo lettore, e questa è in qualche modo una benedizione per i pessimi scrittori e una maledizione per quelli buoni. Mettiamo tu abbia letto “La ricerca del tempo perduto”…
Stai parlando del mio libro preferito, Proust è l’amore della mia vita. Nella vita ci si “incontra” per somiglianze, ecco La Recherche è un libro che ha significato moltissimo per me, l’ho letto la prima volta durante una tournée teatrale in Francia molti anni fa, e mi è sembrata, attraverso l’immenso sforzo linguistico dell’autore una sorta di Divina Commedia contemporanea. E mi torna in mente la descrizione del protagonista che va a teatro a vedere la leggendaria attrice Berma, con aspettative altissime, e ne rimane deluso. Tornerà anni dopo a vederla recitare, e prenderà parte allo spettacolo con una consapevolezza che somiglia a un risveglio, a un satori, semplicemente guardandola senza alcuna aspettativa. Un capitolo incredibile che spiega cos’è la recitazione. È un libro sapienziale, che continua a esser fondamentale nella mia vita di ogni giorno.
La Recherche è vita. Vero. Un dispositivo perfetto per accendere luci in una centrale elettrica.
Hai mai interpretato un ruolo così impegnativo? In Nostalgia di Mario Martone.
Una parte che ti è valsa il premio Nastro d’argento per l’interpretazione di Malomm. Un uomo di malaffare appunto, che incontra il protagonista, Pierfrancesco Favino, in una scena di 9 minuti ricchi di difficoltà perché dovevamo portare sul set le sfumature di due vecchi amici che si incontrano dopo 40 anni, segreti nascosti, colori legati al passare del tempo e ai sentimenti contrastanti tra i due, per di più in dialetto napoletano. Sono felice di averlo fatto con un grande regista come Martone e con un attore di così grande generosità oltre che di immenso talento.
Riconosci di essere un grande attore? Non so esattamente cosa questo voglia dire, e non lo dico per modestia, perché la modestia è sempre falsa. Credo al fare con sincerità quello che mi viene proposto, credo nel lavoro, il lavoro su se stessi soprattutto e credo che si possa fare quasi tutto a patto di impegnarsi e di volerlo. Poi io come tutti dovevo pagare le bollette e potevo farlo con il mestiere che mi ero scelto. Ma anche se si è pagati per sentire sentimenti che non provi, si è anche il tramite fra un mondo di fantasmi e un mondo di vivi. Alla mia età, è davvero molto più appagante fare il mestiere che faccio, rispetto alla gioventù.
Quindi per te lo scorrere del tempo è un regalo? “Il fiore vero di un attore è quando lui invecchia“, è una frase del libro “Il segreto del Teatro No” di Zeami. La gioventù ci abbraccia con i suoi fiori freschi, la bellezza, le cellule che si irradiano, ma nessun fiore, per quanto bello, è eterno, la bellezza vera del fiore sta nel fatto che cade e poi rifiorisce, e quando quella luce comincia a cambiare, quando si va verso l’apogeo della vita, emergono altri fiori, i fiori autentici. Ed è in questo continuo cambiamento che sta il mistero, e ogni età, per chi fa questo mestiere, nasconde un fiore diverso.
Ma Luce non è solo bellezza e gioventù Vero, ma questo non lo sai quando sei giovane, non lo puoi sapere perché l’abbaglio delle cose è fortissimo ed è comprensibile che sia così. Solo oggi, i 55 anni mi hanno regalato la consapevolezza che ciò che mi accade ora, assume decisamente più sapore rispetto a solo 10 anni fa.
Come si spiega l’amore? Non si spiega, secondo me, in fondo accettiamo che esistano anche cose inspiegabili. Forse, ma non ne sono del tutto sicuro, saprei spiegare cos’è un comportamento d’amore, più che un sentimento. Il sentimento d’amore mi pare sia un’entità intermittente, il comportamento d’amore un atto volontario.
Chi o cosa ami? Amo me stesso. Voglio dire che ho cominciato a cercare di amare me stesso come fossi un’altra persona, ad amare di me ciò che nessun altro è obbligato ad amare.
Total look GAëLLE Paris
Quali aspetti di te? Gli aspetti oscuri, quelli meno condivisibili, irriducibili. Ciò che è condivisibile porta con sé qualcosa di superficiale, anche se non privo di valore. Iosif Brodskij in “Dolore e ragione” dice questa cosa: “Se l’arte insegna qualcosa in primo luogo all’artista stesso, è proprio la dimensione privata della condizione umana, essendo la forma più antica, anche la più letterale, di iniziativa privata. L’arte stimola nell’uomo, volente o nolente, il senso della sua unicità, dell’individualità, della separatezza, trasformandolo da animale sociale in un Io autonomo.” Sono molte, moltissime le cose che si possono condividere, un letto, un pezzo di pane, ma non, per esempio, una poesia di Rainer Maria Rilke, non un’opera d’arte o letteraria, che toccano la parte più profonda di noi stessi. Ed è giusto anche che sia così.
Hai mai disprezzato qualcuno al punto di odiarlo? Certo. Me stesso.
Carlo Cecchi, regista teatrale italiano con cui hai lavorato dice che qualche anno fa avevi paura di sedurre e oggi invece questo timore è passato. Il palcoscenico regala una profonda carica seduttiva, che non ha nulla a che fare con l’esibizionismo. Ma si tratta di una seduzione che è somma del contesto, di una certa regia, di un’opera, di un personaggio. Di qualcosa che non sei tu. Ma qualcosa d’altro.
Quale dote vorresti avere di natura? La capacità di amare. Ci si immagina coraggiosi finché non avvengono cose che mostrano magari quanto, in realtà, la viltà, la pigrizia abbiano la meglio sull’idea che si ha di sè. E allora può succedere si diventi coraggiosi per reazione, per dimostrare che non si è codardi. E magari si continua a essere codardi pur avendo mostrato di fatto un coraggio da leoni. Lo stesso, credo, per l’amore. Da giovani si tende ad amare se stessi, uno tende ad amare l’amore di se stesso e il suo amore dell’amore, dell’idea di amore. Ma quella capacità di amare cui ti parlo è qualcosa di attivo, credo, e trova la sua realtà solo nella relazione con l’altro. Che ti mostra la tua piccolezza, o la tua grandezza, a seconda.
Da chi credi d’essere amato? “La cinepresa, ti amerà sempre, qualunque cosa tu faccia”, Michael Caine.
Domanda di rito, quanto sei Snob? Conosci un lettore appassionato di Proust che non sia anche snob?
Al personaggio più romantico e ambiguo che conosciamo, è intitolato il ristorante Valentino Vintage sito in Corso Monforte a Milano.
Di Rodolfo Valentino qui troverete tutto, le foto in bianco e nero con quelle che furono le sue mogli (chissà quante altre amanti ha avuto in segreto), le immagini di backstage con trucco e parrucco appena fatto (qualcuno spiffera che la liason fosse con il make up artist di allora), quelle con lo sguardo magnetico a cui nessuno sapeva resistere. E alle pareti, i più bei manifesti della Belle Époque, quel periodo dove i ristoranti erano immensi saloni a festa, l’eleganza era educazione, e c’era ancora il buon senso della leggerezza.
Da Valentino Vintage, varcando la porta, si cambia epoca; le grandi colonne in stile dorico sotto le grandi arcate, creano uno spazio arioso e maestoso, le poltrone in velluto rosso, le cornici dorate e il pianoforte a coda, regalano un’atmosfera da grande soirée (il grammofono suona ancora le canzoni dell’epoca, ed è subito magia).
Qui m’immagino deliziose cene alla Babette, e non verrete delusi perchè a stuzzicarvi il palato c’è lo chef Emanuel Menna, classe ’98 di origini campane (che è di per sé una garanzia) a Milano da cinque anni. Porta al Valentino Vintage un omaggio all’Italia e alla cucina toscana; da non perdere la tartare di Chianina con funghi pioppini, fonduta di pecorino toscano e tartufo nero, le tagliatelle fatte in casa al caffè Nannini con ragù bianco di cinghiale e cacao, e il tiramisù servito direttamente nella moka classica, rimando alla sua terra d’origine. Per i nostalgici, la “Costoletta alla milanese con maionese allo zafferanno e bietole saltate”, un regalo alla città meneghina; e per gli amanti di Bacco, una bella selezione in cantina, consigliata dal maître Raffaello Rizzi, Antinori e Piccini, pregiati champagne francesi, vecchie annate e vini che non potrete bere altrove, come il Brunello di Montalcino 2015 di Caffè Scudieri Firenze, bottiglie della proprietà che vi consiglio di assaggiare.
Una location di rara bellezza ed eleganza, un’atmosfera magica e una cucina che vi farà sentire a casa, così come il servizio; Valentino Vintage è il nuovo place to be di Milano, da scegliere quando avrete voglia di fare un tuffo nel passato, indossare l’abito da cocktail e immaginare di vivere in un film…con Rodolfo ça va sans dire!
La Maison Romana Aline Oliveira Couture in collaborazione con LSS PARIS, scoperta da Fashion Curator Veronica Sheynina, sbarca nella serata opening della Milano Fashion Week Event Savò dedicata ai Designers emergenti.
Il Brand. Per Aline Olivieira, stilista brasiliana naturalizzata romana, la moda è sempre stata un riferimento importante nella vita. Nata in una città nel Nordest del Brasile, da piccola Aline osservava, con ammirazione, le ricamatrici locali che facevano un lavoro scrupoloso, immaginando quei ricami applicati sugli abiti che lei stessa sognava di creare.
Aline Oliveira prendi spunti da un MoodBoard creato durante un suo viaggio in Messico e dal Castel Sant’Angelo di Roma. La sua collezione è dedicata alle donne determinate e di grande personalità, ispirata dai colori caldi e dal famoso vento Messicano, che lì è molto piacevole perché è gentile, ti accarezza, così come accarezza le numerose palme.
“Dedico questa collezione a donne che, come me, portano avanti le loro famiglie, le case, il lavoro, senza mai arrendersi, credo fermamente che le donne abbiano i superpoteri. Questa collezione è creata per migliorarli “.
COLLEZIONE PRIMAVERA ESTATE 2017 CIVIDINI – RIVIVONO I COLORI SEVENTIES TANTO AMATI DA WES ANDERSON
Avete mai visto I Tenenbaum, film del 2001 di Wes Anderson? Se la risposta è no, il consiglio è una full immersion nella filmografia di questo grande regista, che ha la capacità di disegnare personaggi dai profili dettagliati e coloratissimi, figure che è impossibile dimenticare.
Le sue pellicole sono fedeli alle cromie dei ’70, quindi abbondanza di sabbia, beige, arancioni saturi, e inquadrature simmetriche che rendono ogni scena, un piccolo quadro. E’ alla stramba famiglia dei Tenenbaum che Cividini si ispira per la collezione primavera-estate 2017.
Chi è la donna Cividini? Una piccola Margot (interpretata nel film da Gwyneth Paltrow) dall’eye-liner sporcato e marcato, introversa scrittrice di drammi teatrali, veste capi iconici come la polo affilata con pantaloni gaucho in popeline di cotone o in flessuosi cady di viscosa-seta.
sx I Tenenbaum – dx Cividini SS2017
I protagonisti, nei film di Wes Anderson, sono bambini dalle infinite capacità, talentuosi e obbligati a crescere troppo in fretta a causa di assenza di figure genitoriali di riferimento. Dei superuomini in miniatura vestiti da businessman. Anche nel wardrobe Cividini, i dettagli riportano alla confusione adolescenziale, maniche lunghe a coprire le mani, mix & match coraggiosi, e la stessa fascia da tennis che indossa Ritchie, piccolo campione sportivo, fino all’età adulta.
dettaglio fascia per capelli alla sfilata Cividini SS2017
Tra le proposte primavera estate 2017 di Cividini, la polo è protagonista, abbinata alla gonna plissé soleil, anche i miniabiti omaggiano questo capo iconico dall’allure sportiva, i cardigan leggeri sono in seta e i pantaloni maschili cadono morbidi.
La palette colori sorride al regista statunitense e si riempie di sabbia bagnata, petrolio, papaya, geranio, navy e bianco ottico.
Crescere è un passaggio obbligato, fortuna che con la moda si può ancora giocare!
sx palette colori nei film di Wes Anderson – dx Cividini
Guarda qui tutta la collezione primavera estate 2017 Cividini:
La domanda più gettonata che si pone ad uno stilista è “Da dove prendi ispirazione?” e molto spesso accade che la sua musa sia in realtà differente da quello che noi vediamo.
Lo spettatore osserva con i suoi occhi, con la sua memoria visiva, quello che nella realtà è la trasformazione di ciò che la sua reminiscenza sa.
Piccione.Piccione per la collezione primavera estate 2017 propone il suo bagaglio creativo, che prende riferimenti da movies e fotografia, ma nella varietà di colori che i suoi abiti abitano, le ispirazioni e i collegamenti sono sfaccettati e multiformi, a partire dalla delicatezza cromatica delle immagini di Tim Walker, grande fotografo rappresentante di una realtà onirica.
sx foto Tim Walker – dx Piccione.Piccione SS17
Piccione.Piccione sfila alla Milano Fashion Week un mondo incantato, immagini di una realtà illusoria, fiabesca e brillante. Pizzi, sangalli, ricami, ogni scelta materica è di una delicatezza esasperata e minuziosamente lavorata per stupire, ogni dettaglio femminile conferisce alla totalità dell’outfit una contemporaneità originale.
Fluttuano nella leggerezza degli abiti, le donne Piccione.Piccione, come delle sirene tra le acque del mare; sono vestite con tocchi di menta e verde acqua, rosa e lilla come i fiori, e le stampe sono romantiche rappresentazioni sottomarine, che vanno a impreziosire gli chiffon, i rasi e le sete.
Per la primavera estate 2017 il brand Piccione.Piccione propone un total look dove ogni accessorio completa la collezione: dalle borse con perline, alle collane con conchiglie, fino ai sandali con tacchi elaborati, tutto ricorda l’ambiente marino.
Gli orecchini sono delle cascate di perline bianche o dalle tonalità pastello, sono onde oppure fiori, li si osserva con lo stupore infantile in un mondo adulto. C’è il desiderio, nella collezione SS2017 Piccione.Piccione, che aveva Peter Pan, quello di non crescere mai.
sx foto Tim Walker – dx dettaglio Piccione.Piccione
Guarda l’intera collezione primavera estate 2017 di Piccione.Piccione: