Milano, per la Storia del Cinema italiano, ha sempre avuto un ruolo di primo piano, sia come set per le pellicole che come spazi di produzione.
Le vicende che legano la Settima Arte al capoluogo lombardo sono al centro della mostra Milano e il cinema, allestita nelle sale al pianterreno di Palazzo Morando dall’8 novembre 2018 al 10 febbraio 2019. Curata da Stefano Galli e organizzata dal Comune di Milano e Direzione Musei Storici (nell’ambito dell’iniziativa Novecento italiano), con il patrocinio della Regione Lombardia e con la collaborazione di archivi storici fotografici ed editoriali, la mostra si propone come un percorso storico, per luoghi, ma soprattutto per film, del rapporto che lega Milano al Mondo del Cinema italiano. Si tratta di un racconto fotografico, condotto in particolare attraverso rare foto di scena effettuate durante le riprese o tramite fotogrammi delle pellicole, ma anche con l’esposizione di manifesti originali, locandine e memorabilia vari, che rendono ragione di quanto Milano, prima dell’ascesa romana, fosse la vera capitale italiana della Settima Arte.
Fino a circa quindici anni fa, Corso Vittorio Emanuele era un pullulare di sale cinematografiche, dall’Odeon in Via Santa Radegonda fino all’Excelsior della Galleria del Corso, ma anche in zone più distaccate non mancavano i luoghi di proiezione, dal mitico Maestoso di Piazza Lodi al Colosseo di Piazza Cinque Giornate e allo Splendor di Viale Gran Sasso, oltre ai numerosi cinema d’essai e a luci rosse di cui Milano era piena. Al giorno d’oggi, l’esplosione di Netflix e il concentrarsi delle sale nei grandi multisala di periferia e dell’hinterland hanno inferto un colpo mortale a questi vecchi cinema, spesso costretti a chiudere per trasformarsi in grandi store di brand di moda o, addirittura, lasciati al degrado e all’abbandono, come prova il caso del De Amicis di Via Camminadella. Alcuni resistono, l’Odeon, il Colosseo, il Ducale di Piazza Napoli, così come, tra le sale minori, l’Ariosto e il Beltrade di Via Oxilia. Bene, la mostra non vuole essere una rievocazione nostalgica dei tempi che furono, ma un racconto di quanto Milano ha dato al Cinema, e quanto esso ha dato alla metropoli.
In origine, infatti, sin da fine ‘800, Milano era stata la prima città italiana a installare proiettori in sale destinate al pubblico e a importare l’invenzione francese dei fratelli Lumiere: la prima venne realizzata a Turro, tra gli attuali Viale Monza e Via Bolzano, con una maestosa copertura che arrivò dalla Stazione Trastevere di Roma, in via di ristrutturazione. Per tale motivo, iniziò a svilupparsi una nuova industria cinematografica, con piccole case di produzione e teatri di posa, di cui i più famosi erano collocati accanto alla chiesa di San Cristoforo, in quello che oggi è un distretto creativo, mentre allora era una zona ampiamente periferica e malfamata. Tale industria iniziò a lavorare a numerosi film muti, con attrici famose come Lyda Borrelli, e sopravvisse fino all’ascesa del regime fascista. Mussolini, nel nome della retorica trionfalista, decise di spostare a Roma l’industria cinematografica italiana, fondando quella che, oggi, è Cinecittà. Milano conobbe circa vent’anni di declino ma, dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, in città, rinacque una fiorente filiera di produzione cinematografica.
Il percorso fotografico della mostra parte proprio da qui. A fine anni ’40, i film “dei telefoni bianchi”, così chiamati per gli apparecchi di bachelite adoperati dagli attori per chiamarsi durante le riprese, non vennero più girati solo a Roma, ma anche a Milano. La vera esplosione, però, avvenne con gli anni ’50, quando Milano tornò a essere luogo di produzione e set per tantissime pellicole, e il neorealismo diede una svolta a questa tendenza. Si creò una dicotomia, quasi un duello, tra Milano e Roma. Se la capitale rimase il luogo privilegiato per la produzione dei grandi kolossal o per i capolavori di Rossellini, Germi e De Sica, Milano divenne un luogo di cinematografia indipendente e un set per tantissimi film e attori che fecero Storia, dallo stesso De Sica a Lucia Bosè. I film degli anni ’50 erano pellicole per lo più di evasione, storie d’amore, costruite sullo sfondo di una città ancora alle prese con la ricostruzione post-bombardamenti, come provato dal primo film del maestro Michelangelo Antonioni, Cronaca di un amore, ma non mancarono anche pellicole che raccontavano il boom economico della città, come Miracolo a Milano, di Vittorio De Sica. Da citare anche uno degli episodi più comici del nostro cinema, come Totò, Peppino e… la malafemmina, la cui scena cult è quella con i due protagonisti napoletani, Totò e Peppino De Filippo, che, cercando di fare i settentrionali, chiedono, in Piazza Duomo, a un “ghisa” informazioni in un grammelot misto di francese, partenopeo ed espressioni più o meno lombarde. Di questo periodo sono anche le prime comparse, sul grande schermo, di quelli che sarebbero stati numi tutelari dello spettacolo milanese, come Dario Fo e Franca Rame.
Gli anni ’60 segnarono l’esplosione di un cinema diverso, più legato ai cambiamenti della città, sia dal punto di vista urbanistico che da quello demografico: irruppero, nella Storia del Cinema, i primi fenomeni migratori dal Sud verso il Nord, ed emblematico è Rocco e i suoi fratelli di Luchino Visconti, così come il personaggio milanese del “cumenda”, l’uomo arricchitosi con il boom economico che, dal nulla, era diventato ricco, magistralmente interpretato da Tino Scotti e che avrebbe fatto scuola per gli anni ’80, con i personaggi interpretati da Guido “Dogui” Nicheli, ma anche per imprenditori che avrebbero scalato le vette del potere politico in nome del “mi consenta” o del “ghe pensi mì”. La protagonista, però, rimase sempre Milano, non più solo una città legata al centro produttivo, ricco e dei locali, ma anche dei quartieri periferici e dei casermoni dormitorio in cui Rocco e i fratelli vivono e scoprono la vita autentica, oltre che delle industrie, come l’Alfa Romeo del Portello, dove molti meridionali realizzarono il loro sogno d’integrazione che li ha portati, talvolta, a essere più milanesi dei milanesi stessi. Il film di Visconti è un caso archetipico, ma anche altre pellicole immortalarono una Milano “in fieri”: è il caso di Ieri, oggi, domani, sempre di De Sica, da molti ricordato per il celebre spogliarello di Sophia Loren davanti a Marcello Mastroianni: i due attori hanno girato anche alcune scene a Milano, in particolare una che li raffigura a bordo di una bellissima spider nera, simbolo del miracolo economico, sul cavalcavia che conduce da Rogoredo a San Donato, sullo sfondo del nuovo centro direzionale ENI, chiamato Metanopoli. Forse un altro simbolo, per antonomasia, della Milano che cambiava e che diveniva, ancora di più città internazionale, cosmopolita e accogliente.
Negli anni ’60 e all’inizio dei ’70, Milano fu anche il set per molti film di protesta, legati alla contestazione giovanile, ma anche il luogo privilegiato per nuovi terreni di ricerca e sperimentazione cinematografica, come l’animazione, in cui spiccò il genio di Bruno Bozzetto e nel cui solco vennero create trasmissioni televisive cult per tanti bambini di allora, come Carosello, lo spettacolo dopo cui i nostri papà e le nostre mamme dovevano sempre andare a letto.
Gli anni ’70, per Milano, furono un periodo molto vivo, ma, spesso, anche drammatico, con una contestazione sempre maggiore e, sovente, con scontri tra esponenti di opposte fazioni. In un momento come questo, accanto al cinema più legato al sociale, si affiancò un genere, quello “poliziottesco”, in cui si raffigurava la Polizia come unico rimedio contro il crimine dilagante: titoli come Milano Calibro 9 segnarono un’epoca, con attori come Tomas Milian, Luc Merenda, Gastone Moschin, Barbara Bouchet e molti altri. Di questo periodo, sono esposte, in mostra, alcune locandine storiche.
Gli anni ’80 segnarono la nascita della “Milano da bere”, per citare uno spot di un noto amaro, e varie pellicole misero in evidenza il fenomeno della scalata sociale sullo sfondo dei cantieri del nuovo centro direzionale di Porta Garibaldi, come Yuppies dei fratelli Vanzina. Tra gli attori compaiono i nomi di Massimo Boldi, Jerry Calà ed Ezio Greggio, che frequentarono la vera fucina cinematografica della Milano degli anni ’80, ovvero il Derby di Via Monte Rosa. Questo locale divenne, con il passare del tempo, un vero e proprio cabaret, da cui presero le mosse attori come il simbolo degli anni ’80 milanesi, Renato Pozzetto, Cochi Ponzoni, Teo Teocoli, ma anche un figlio di emigrati pugliesi che, meglio di altri, interpretò alla perfezione il ruolo del nuovo milanese “cient’ pe’ cient'”: Diego Abatantuono. Di quest’epoca, spiccano le foto di scena del capolavoro di Pozzetto, Il ragazzo di campagna, con Artemio che arriva in Piazza San Babila in trattore, o quelle di Un povero ricco, con la bellissima Ornella Muti in short che attende lo stesso Pozzetto a Porta Venezia. Di Abatantuono meritevoli sono le foto di Ecccezzziunale… veramente, soprattutto quella che lo ritrae insieme agli amici storici del Derby, Boldi, Teocoli e Ugo Conti.
La logica conclusione della mostra sono le immagini della Milano della droga e dello sballo di Fame chimica (2003), ma anche di quelle di Call me by your name (2017) di Luca Guadagnino, in cui la meraviglia di Villa Necchi Campiglio si fonde con l’atmosfera fatata in cui vivono i borghesissimi e annoiati protagonisti, o ancora di più, a chiusura del cerchio, la scena degli Sdraiati (2017) di Francesca Archibugi, con la battaglia tra vecchi e giovani che si svolge sullo sfondo di una futuribile Piazza Gae Aulenti.
Milano e il Cinema
Palazzo Morando, Via Sant’Andrea 6, 20121 Milano
Orari: martedì-domenica 10.00-20.00; giovedì 10.00-22.30
Biglietti: 12,00 € intero, 10,00 € ridotto
Info: www.mostramilanoeilcinema.it; 02 88465735