Text Maria Vittoria Baravelli
I will always look for you hoping never to find you / you said to me at the last leave
I’ll never look for you always hoping to find you / I answered you (Michele Mari).
Esistono amori travolgenti, teatrali, irragionevoli, irrequieti e nostalgici. Esistono amori che è bene non rivelare a nessuno nemmeno alla persona amata. Esistono amori che sono in realtà sublimazioni e che per questo di fatto non esistono.
Anche se Jean-Luc Godard ci insegna come l’amore prediliga al linguaggio delle parole quello dei sentimenti, noi non ci accontentiamo mai. Vogliamo parlare, parlare, parlare ed alla fine sale un gran vento che non ci permette di sentire alcunché. È solo il nostro corpo, il nostro involucro, la nostra pelle, lo strumento più sensibile per abitare la complessità del reale che si configura come una interferenza che ci salva e ci sottrae agli automatismi della smaterializzazione in un mondo digitale sempre più fatto di pixel e codici.
Del resto la fine del XX secolo resterà nella storia dell’arte, della fotografia anche nel diritto, come l’epoca in cui la riflessione giuridica ha dovuto riscoprire il corpo e considerarlo come uno spazio ed uno strumento per esercitare la propria libertà, la propria auto affermazione in modo assoluto.
È passato circa un anno da quando il mondo si è spinto oltre al nostro futuro prossimo. Il metatarso ha di fatto aperto la corsa ad una dimensione nuova, a chi l’avrebbe riempita per prima e quindi meglio di tutti gli altri.
Chat GPT ci ha dimostrato quanto possa auto generare una poesia d’amore in meno di 7 secondi seguendo stili di scrittori che amiamo.
Ma può un algoritmo, un sistema di ricerca emozionarsi per il profumo delle rose?
E in questo scenario il mondo analogico, la nostra esistenza e l’amore che fine hanno fatto?
Veronica Gaido in questi scatti indaga il corpo che ne è la soglia; sconfina ed unisce istanze che forse non dialogherebbero e racconta della nostra figura attraverso immagini frutto di una elaborazione digitale.
Corpi reali che diventano virtuali. Entità virtuali che rimandano all’esistenza del qui e ora. Presenze che Veronica sdoppia, modifica, sovrappone, accosta ed intreccia. A volte le allontana dimostrando che la vita è così. Raccontando tutte le possibilità di una persona di essere “infinita” come amava dire Pasolini.
Attraverso la lunga esposizione Veronica usa la macchina fotografica alla stregua di un pennello ed esplora il movimento e la luce. Il corpo come strumento attraverso cui conosciamo il mondo e l’altro, quella frontiera che come in una danza, ci porta ad allontanarci o avvicinarci da una persona che quando viene amata smette di somigliare a tutte le altre.
E se davvero oggi viviamo in un lento diradarsi del confine che separa un dato oggettivo da un vissuto soggettivo, ciò che vediamo, sentiamo, tocchiamo è veramente reale?
La storia della filosofia ci ricorda le mille domande poste sui fenomeni esistenziali e le poche risposte date di conoscere a noi esseri umani.
Siamo davvero come diceva Platone nel suo Simposio, alla ricerca di qualcuno che ci completi? Due anime diverse che si abbracciano per ritrovarsi intere? Oppure aveva ragione il maestro americano Philip Roth nell’affermare che noi esseri umani nasciamo completi ed “è l’amore che ci spezza”?
L’amore e la separazione, Ti amo, ti odio.
L’avvicinamento e allontanamento, un lento continuo ed incessante. Corpi che si incontrano e che si separano. Corpi che si abbracciano. Perchè quando abbracciamo qualcuno abbiamo l’opportunità di far ripartire il mondo da capo.
Un ritmo incessante e indomabile che non riusciamo a controllare, proprio come i battiti cardiaci che ci infondono la vita.
E allora il corpo è la soglia. Può essere frontiera o barriera. È l’essere e l’avere. È l’essere stato e l’aver avuto. Alla domanda di una giornalista “il corpo è tutto”? La poetessa Patrizia Cavalli rispondeva “Il corpo è tutto è dove sperimentano la conquista e la perdita”
Ti amo, ti odio. Ti ho avuto e ti ho perso. La lontananza, lo spazio che mi è dato per poterti avere ancora.