Week end a Bologna tra fotografia ed arte

Bologna è come una donna sincera, con i seni morbidi, il sorriso aperto, i modi semplici e il fare bonario. Non si nasconde, non recita, è buona come le sue infinite e caotiche trattorie.
Ci da’ sempre l’occasione di arricchirci di quelle sensazioni profonde che non danno né i quadri nè gli oggetti, ma la vita stessa. Le potete percepire nei vicoli natalizi che agitano la città, tra la folla allegra in cerca di regali, i turisti appaesati, nelle osterie tradizionali dove l’oste si premura che stiate bene, abbiate mangiato meglio e vi siate riparati dal freddo invernale con un buon piatto di cappelletti in brodo.

Forse ci somigliano un po’ tutti se queste piccole coccole ci alleviano i dolori, e in queste piccole gentilezze, Bologna ci regala degli appuntamenti assolutamente da non perdere, quattro tappe in città da raggiungere a piedi.

LA MOSTRA DI VIVIAN MAIER
A PALAZZO PALLAVICINI
Dal 07 settembre 2023 al 28 gennaio 2024 in via San Felice 24 

La mostra di Vivian Maier a Palazzo Pallavicini ci racconta l’architettura urbana tra New York e Chicago negli anni ’50-’60, l’eleganza delle auto e dei costumi, le abitudini e le mode.
La “bambinaia fotografa”, così l’hanno soprannominata quando le sue pellicole furono ritrovate in scatoloni nascosti e accumulati in un box dimenticato, ci svela tutta la bellezza della stranezza, negli scatti delle periferie abitate da prostitute, senzatetto, giganti buoni che guardano una vetrina insieme ad un amico “ordinario”, tanto da ricordare Diane Arbus e la sua ricerca amorevole dei “freak“.

La strada era il suo teatro di posa, non c’è immagine che risulti banale, ogni composizione è scelta per caratterizzare il soggetto, un dettaglio, un gesto, una coppia che si tiene per mano, un bianco che offre delle monetine ad un nero, un edicolante assonato, una coppia di amiche con un collo di pelliccia in volpe un poco macabro, un’elegante signora che guarda lontano. Tutto ci parla con intensità della sua visione del mondo; lo fa senza giudicare, avvicina solo un poco lo sguardo attraverso la sua macchina fotografica, per farci guardare meglio, ma sempre con estrema delicatezza.

Anche nei tagli netti, Vivian Mayer riesce a cogliere il cuore del momento, come nella foto datata 18 settembre 1962 dove una bambina di bianco vestita tiene per la gonna la madre dal tubino nero e le décolleté a spillo. La Mayer qui sceglie di tagliare i volti e concentrarsi sul bianco candido della piccina e il nero serioso della donna, mettendosi all’altezza dei più deboli, di chi necessita di attenzioni e conserva ancora la purezza dell’età.

Credo che con l’avvento del colore e l’utilizzo della Leica (siamo nei ’70), Vivian Maier abbia forse un po’ perso quell’intensità e quella crudezza dei primi tempi in bianco e nero; forse qualcosa è cambiato anche nella sua vita, anche se sul suo conto sappiamo poco o nulla, a parte il suo mestiere di bambinaia che le permetteva di acquistare pellicole e viaggiare parecchio insieme alle famiglie, e che era diventata un’accumulatrice seriale di giornali che trattavano tematiche sociali, politiche, ma soprattutto di cronaca nera. Pile e pile di quotidiani furono ritrovati nelle stanze dove viveva, e altrettante scene del crimine furono immortalate nelle sue fotografie e nei brevi video che in questa mostra troverete.

Il lavoro di Vivian Maier rimane comunque un mistero, qualcuno ancora pensa che sia una trovata di marketing fatta dallo scavatore d’oro di questa artista meravigliosa, ma i suoi autoritratti ci parlano di una donna in carne ed ossa, che ha rinunciato alla maternità per dedicarsi tutta una vita ai bambini degli altri, e che con grande generosità ci ha regalato immagini di un’epoca che possiamo vivere attraverso i suoi occhi, di una New York degli invisibili, di una street photography che ha potenza, ironia, evocazione, allusione, come quel profilo d’uomo col cappello nero, che tiene in mano un giornale da cui si legge solo “Killers”.

GUERCINO
Pinacoteca Nazionale di Bologna
28 ottobre 2023 -11 febbraio 2024

Dopo quasi un secolo di studi dedicati alla figura di Giovanni Francesco Barbieri detto il Guercino, l’esposizione della Pinacoteca Nazionale di Bologna intende fare luce sulle straordinarie doti imprenditoriali, tecniche e organizzative che, sin dalle prime fasi della sua attività, lo portarono a strutturare un atelier prolifico, caratterizzato da complesse dinamiche professionali che rispondevano alle esigenze del collezionismo e del mercato artistico.

Nato a Cento nel 1591, il Guercino studiò dapprima con Benedetto Gennari senior e poi completò la sua formazione tra Modena e Bologna, entrando in contatto con specialisti della pittura murale e con rinomati esponenti della scuola bolognese, tra cui Ludovico Carracci col quale ebbe un rapporto di reciproca stima. Dopo il soggiorno a Roma (1621-1623) su invito di papa Gregorio XV Ludovisi, che ne ammirava le straordinarie abilità di decoratore e la maniera sprezzante e robusta, la fama del Guercino crebbe e, con essa, anche la mole di lavoro che lo portò a organizzare il suo studio come un’azienda familiare e a disciplinare il lavoro dei suoi assistenti, tra i quali vi erano i Gennari e il fratello Paolo Antonio, ognuno con un preciso compito, artistico o gestionale.
Dal 1642 fino alla morte avvenuta nel 1666 il Guercino visse con i suoi familiari nella grande casa studio di via Sant’Alò 3, in cui l’abitazione privata e gli spazi professionali coincidevano.

In una delle sale, sotto una grande teca, è esposto il Libro dei conti (1629-1666), uno strumento insostituibile nello studio del Guercino, che consente di ricostruire con precisione l’attività dell’artista tra il 1629 e il 1666, anno della sua scomparsa. Grazie al prezioso registro è possibile mettere a fuoco la clientela dello studio, la tipologia delle opere prodotte – oltre che dal Guercino anche dal fratello Paolo Antonio Barbieri – e le variazioni dei prezzi nel corso degli anni. L’ultima nota, stesa da Benedetto Gennari il 22 dicembre 1666 ricorda la scomparsa del celebre pittore e la sua importante eredità: “II Sig. Zio Giovanni Francesco Barbieri terminò i suoi giorni, e le sue gloriose fatiche lasciando in tutte le Città d’Italia, et anche fuori memoria eterna della sua Virtù, come della sua bontà e delle sue facoltà ne lasciò Heredi noi Benedetto, e cesare Gennari suoi nipoti”.

Di particolare pregio, il dipinto “Ortolana” del 1655, ci introduce al tema delle specializzazioni praticate nello studio: Paolo Antonio è l’autore del brano di natura morta, con i commestibili investiti da un lume che ne rivela le consistenze e indugia sul sottile pulviscolo delle prugne, riverse accanto alla stadera della venditrice, che fu eseguita in un secondo momento dal Guercino. La tela è ricordata in termini elogiativi da Carlo Cesare Malvasia (1678), che informa della sua originaria collocazione nella villa suburbana dei Ludovisi a Roma, dove giunse dopo essere stata acquistata dal marchese Achille Albergati nel 1655.

Il dipinto “San Giovanni Evangelista” del 1653 circa raffigura il santo mentre sorregge un calice da cui esce un serpente, rievoca l’episodio secondo cui l’apostolo avrebbe bevuto del vino avvelenato rimanendone incolume. La luce, proveniente da destra, illumina i lineamenti delicati del giovane e produce riflessi sulla lamina dorata del calice che acquista un efficace effetto prospettico. Gli allievi del Guercino riproporranno, in quadri da stanza e mezze figure, la partecipazione emotiva e l’intimo raccoglimento espressi in questo dipinto, esposto per la prima volta in un museo.

Santa Maria Maddalena e San Paolo Eremita rispettivamente del 1652-1655 erano parte di una serie di quattro dipinti che il Guercino, secondo quanto tramanda Carlo Cesare Malvasia, che avrebbe eseguito per arredare la sua casa bolognese in via Sant’Alò. Esemplari dell’attività tarda, le opere testimoniano il perdurare dell’interesse per il paesaggio a cui il pittore concede un ruolo predominante. I toni accesi e contrastati della fase giovanile si trasformano in delicate tonalità pastello, testimonianza del rinnovato interesse classicista stimolato dall’incontro con la pittura di Guido Reni, il cui approfondimento avvenne col trasferimento del Guercino a Bologna nel 1642.


IRIDE
Via Caduti di Cefalonia, 2/d

C’è una parte del nostro corpo che vede ma che noi non possiamo guardare realmente da vicino. I nostri occhi. Che osservano e indagano, ma che lo specchio non riporta fedelmente. Di questo misterioso mondo che è l’iride,
nello studio Limbo Gallery di Bologna, sito in via Caduti di Cefalonia, potrete ottenere l’immagine ingrandita, nelle sue infinite sfumature, colori che non avreste immaginato, figure astratte e lapilli, aurore boreali, crateri e lune. L’iride diventa una vera e propria opera d’arte, e con un piccolo servizio aggiuntivo, potrete richiedere anche la lettura ad una iridologa legata al progetto; sì perchè se è vero il detto che “gli occhi non mentono”, l’esperta leggerà lo stato di salute dei vostri organi interni, fegato, reni, stomaco etc. e alcuni tratti del vostro carattere, similmente allo studio della fisiognomica.



OPERA UNICA
Via Caduti di Cefalonia, 2/d

In Via Caduti nel centro storico di Bologna, Marco Onofri ha fondato il progetto “Opera Unica“.
Non solo per nostalgici, Opera Unica è un bellissimo regalo che potrete fare a voi stessi o alla vostra famiglia, un ritratto intimo in bianco e nero, una foto stampata che vi racconta senza filtri, attraverso gli occhi di un fotografo che fa della gentilezza la sua firma. Marco Onofri riesce davvero a catturare quel tratto che cercate di nascondere e che in fondo, come spesso succede, vi rende invece speciali, unici. Uno sguardo malinconico, un sorriso spontaneo, un accenno di timidezza, Opera Unica sarà il ritratto onesto e fedele a voi stessi, che potrete portarvi a casa subito, scegliendo i diversi tipi di stampa.

Da Opera Unica i ritratti di famiglia accolgono anche i vostri amici a quattro zampe, simpatici cagnetti pelosi che negli scatti ricordano le ironiche immagini di Elliott Erwitt, il grande fotografo statunitense che ci ha lasciato il mese scorso. Momenti di grande ilarità, divertimento e grande commozione, da Opera Unica vivrete un’esperienza, unica.

LOVE HATE

PHOTOGRAPHY Marco Onofri
ART DIRECTION Roberto Da Pozzo
STYLING Camilla Fioravanti
HAIR STYLIST Carlo Ruggiu
MAKE UP ARTIST Vania Cesarato

STARRING Amelie Zalaiti, Myriem Boukadida

DIGITAL ASSISTANT Riccardo Pasciucco

Total look Alexander McQueen
Total look Krizia  
sx Dress Philosophy by Lorenzo Serafini
dx Bra, skirt Ermanno Scervino, Caban Maison Margiela
sx Dress 19:13 Dresscode
dx Total look Dolce & Gabbana

Alice Carli, il cambiamento che porta al progresso

EIC/ Interview Miriam De Nicolò
Photography Marco Onofri
Art Director Roberto Da Pozzo

Vintage Necklace Coppola e Toppo



Tulipani bianchi, mandarini, post-it a forma di cuore, come il piccolo portagioie rosso, una brocca di cristallo per l’acqua, una fila di evidenziatori perfettamente distanziati tra loro, un piccolo mazzetto di biglietti da visita con degli appunti lasciati a penna, un cahier in velluto fucsia con la scritta “obsession”, dei bellissimi posaceneri in argento dove stanno delle sigarette sfuse, questi gli oggetti parlanti che ricordo dal tavolo di Alice Carli. 

CEO e general manager di fashion, lifestyle e luxury goods, Alice Carli è una globetrotter e sceglie la sua dimora nel centro di Milano, in un elegante appartamento che parla molto di sé e delle sue radici; i lampadari hanno la “r” moscia, heritage parigino della nonna paterna, stessi rimandi per i soffitti a cassettoni e il parquet a quadri; nel grande salone in cui la luce è protagonista, la libreria Libelle Baxter in montanti laccato nero e rafia, separa la zona living dal lungo tavolo studio in marmo. Sul tavolo in vetro Gae Aulenti per Fontana Arte, il libro “Sirene” di Marco Glaviano, un Ginori con ortensia verde-lilla, un piatto in porcellana firmato Fornasetti e delle piccole scatole patisserie di Marchesi, azzurro Tiepolo. 

Il colore pare essere il comune denominatore delle stanze in casa Carli, che mentre posa per il nostro servizio fotografico indossa una imponente collana Dior Vintage e mi racconta della nonna centoduenne che chiede di fare la manicure, il giorno prima di andarsene. Disciplina e rispetto, più che semplice vanità, sono quindi nel dna di questa donna che, nella sua manìa del controllo (rimette al loro posto gli oggetti che il fotografo muove per scattare le immagini) ci lascia scoprire le sue passioni. E il suo brillante sorriso, come nell’immagine in bianco e nero che la ritrae nella foto di Nikola Borisov, o la sottoveste in raso nero di Rossella Jardini che ci accoglie all’entrata, lasciata cadere da un faretto dello stesso colore. 

Ma è nella dedica che le scrivono dietro ad una sua foto, che comprendiamo quel lato di Alice che invano e purtroppo nasconde: 

T’insegneranno a non splendere. E tu splendi invece“.

Quali sono i fondamenti di un manager d’azienda?  

Sono un direttore d’azienda da ormai 25 anni, i fondamentali sono la parte più strategica e dalla mia, un driver enorme sull’innovazione e sulla progettualità. 

Il tema dell’ innovazione che mi segue con la curiosita da quando ero bambina, è quello che nell’arco degli anni mi ha permesso di rimettermi in gioco, ho ripreso a studiare a 39 anni ad Harvard specializzandomi nel settore della strategia e dei trend post Pandemia, sono tematiche importanti oggi, che necessitano di approfondimenti e ricerche. E’ avvenuto durante il lockdown, un momento di grande chiusura di mercati e non avevo la minima intenzione di stare ferma a guardare, avevo l’esigenza di studiare e capire dove stava dirigendosi il mercato.

E sostenibilità è oggi un’altra key-word importante, perché se il digitale aveva soverchiato i canoni geografico/commerciali, la pandemia ha soverchiato i canoni di qualunque dimensione, l’etica per esempio, che è diventata importante per fortuna, superando la sola estetica. 

Un esempio di azienda che risponde a questi canoni? 

Diverse. Certamente quelle con cui collaboro, perchè guidate da grandi leader visionari da cui ho modo di imparare ogni giorno. Sono Advisor per la Sostenibilità per il SCR500 da Kaufmann & Partners di Francesco De Leo Faufmann; Direttore Generale di  GAIT-TECH Srl, la neonata ma già premiatissima a livello internazionale start up in cui la biomeccanica è al servizio della salute delle donne che stanno sui tacchi;  Advisory Board Member per la digitalizzazione d’azienda e lo shift verso un posizionamento Rigenerativo per Image Regenerative Clinic, dove il Professor Carlo Tremolada, PhD, ha brevettato Lipogems, un lavoro sulle cellule staminali, una bellezza che accompagna e non distrugge.

Quante ore ha un giorno? 
Dipende. 24, ma se mi alleno la mattina anche di più.

Come approcci per la prima volta all’interno di un brand già avviato per lanciare nuove strategie di marketing?
Ascoltando tantissimo, intervistando tutta la prima linea, leggendo i numeri e se esiste una proprietà, sicuramente ascoltando loro in primis, se esiste un management, ascoltando loro e se esiste un archivio o una storia, studiandola approfonditamente. Una visione nasce dagli studi di tendenze e dal matrimonio con l’heritage del marchio. 

Era il tuo sogno sin da bambina o avresti scelto anche un altro mestiere? 
Forse avrei scelto la ricerca scientifica in ambito medico. Me ne sono resa conto durante l’intervento molto serio che ha subìto mio padre, ho pensato che l’innovazione in ambito medico non è un plus ma una conditio sine qua non. 

L’innovazione è sempre progresso? 
 Spesso, non sempre. La verità sta nel mezzo, come spesso accade. E peraltro il progresso fa spesso paura, è un elemento dirompente, non ben accetto. Quanto meno da tutti.

Dall’analisi di numeri e statistiche, che cosa vuole il mercato?
Verità e trasparenza. Davvero la pandemia ha cambiato il modo di comunicare delle aziende. Se oggi una società dichiara di essere sostenibile, deve dimostrarlo anche attraverso lo stile di vita dei propri dipendenti. Il consumatore è sempre più pretenzioso e sempre più curioso, se un tempo esisteva il customer service, ora il servizio clienti sono i social media, sono la linea WhatsApp, avere una persona dietro quel numero di telefono e non più un robot, è un servizio più inclusivo finalmente. 

Hai dichiarato diverse volte di aver accantonato la tua vita privata per dedicarti totalmente al tuo lavoro .
Dopo i 30 anni è evidente che il mio lavoro sia anche parte di me. Quando si lavora con amore e passione, le rinunce si alleggeriscono. Oggi ciò che è cambiato è il mio privato, che rimane per l’appunto una questione intima, non alla luce del sole. 

Amore e Odio 
Amo mia madre, mia nonna, i miei amici, il mio lavoro, la mia coach, anzi le mie coach e me stessa. 
L’odio è una perdita di tempo, l’ho sentito su di me molte volte, ma dobbiamo già lottare contro le malattie, le violenze, le ingiustizie… io non ce l’ho mica la voglia di odiare. 

Quando hai sentito d’esser stata “odiata”? 
Quando sei una persona con dualismi molto forti, seppur rimanendo coerente, ce lo si aspetta. 
Sono molto forte ma nell’intimo fragile, molto dolce, ma anche molto decisa, tenera ma tenace, una resiliente. Come la disciplina del Garuda infatti.

La tua coach Sorbellini ti ha descritto come una donna testarda.
Direi disciplinata. Però lei di me può dire quel che vuole, è da anni la mia guida.

E tu come ti descriveresti?  
Determinata, dolcissima e protettiva. 

Domanda di rito, quanto sei Snob? 
Sembro molto snob e non ho ancora capito perché. Eppure mi dicono tutti di essere empatica. Probabilmente la mia immagine trasmette un distacco totale, ma in realtà sono una persona estremamente aperta. Anzi, non potrei essere così change maker, così proiettata. E la parola snob oggi dovrebbe essere antesignana, non una colpa. 
Non a caso voi lo fate in modo ironico, provocatorio. 

Per noi infatti ha un’accezione molto positiva rispetto a quella popolare. Per noi snob è colui che sceglie l’eccellenza. 
Se per Snob si intende la capacità di discernere qualità ed eccellenza, allora io vivo di quello, sempre nella speranza di poter vivere un mondo diverso, dove ci sia una capacità e una possibilità di espressione totale. 

Il progetto “Followers” di Marco Onofri in mostra presso Senape

Per la prima volta nel suo studio/galleria SENAPE, per la prima volta a Cesena, Marco Onofri presenta la mostra “FOLLOWERS” con le stampe 60×90, la serie di scatti già esposta in anteprima al Mia Photo Fair di Milano.

Un progetto “aperto” ed in continuo sviluppo che ci racconta cosa succede quando tra modelle e seguaci viene eliminato il computer di mezzo, lo scudo per i critici, lo spioncino per i più timidi, il mezzo dei fanatici e la finestra sul mondo per i più giovani…

Il risultato è uno strabiliante quadro dove i veri protagonisti sono proprio i FOLLOWERS che, intorno ai corpi nudi delle modelle, mostrano le loro espressività senza veli: c’è chi ride beffardo, chi si copre gli occhi, chi si masturba, chi giudica, bambini incuriositi, madri che allattano e addirittura un cane al guinzaglio che alza il muso verso la donna nuda. Sono scene di vita quotidiana che noi stessi viviamo nella penombra e che il fotografo rivela attraverso uno stile personale, fatto di luci soffuse di camere d’albergo.

Marco Onofri è un fotografo che ha esposto precedentemente i suoi lavori al Fotofever Art Fair di Parigi, alle Officine delle Zattere a Venezia, alla Romberg Arte Contemporanea di Milano e in altre prestigiose gallerie; il suo approccio alla fotografia è artistico ed ispirato alle opere di Sarah Moon e Paolo Roversi.


 

Qui alcune foto della serie “Followers”:

 

Schermata 2016-05-16 alle 16.00.15

Schermata 2016-05-16 alle 16.00.25

Schermata 2016-05-16 alle 16.00.44

Schermata 2016-05-16 alle 16.00.52

Schermata 2016-05-16 alle 16.01.04

Schermata 2016-05-16 alle 16.01.17

 

Diversi gli aneddoti in merito al backstage: boati maschili, donne svenute per l’emozione, panettieri in tenuta da lavoro che hanno raggiunto il set dopo il turno, lo zabettìo delle ragazze, le domande imbarazzanti dei bambini, questo durante i preparativi, fino a quando l’entrata in azione del fotografo obbligava al silenzio, un silenzio meditativo.

Lo stesso Marco Onofri appare in un cameo, interpretando un se stesso “follower” di fronte ad una ragazza nuda che fuma, in una posa naturale, totalmente a suo agio nei panni che non indossa.

Quando gli chiedo in quale tipo di “follower” si riconosce, risponde:

“Amo la naturalezza, non le pose imposte – sono affascinato dalle donne sicure di sé perché sento, in fondo, che “non c’è presa di coscienza senza dolore” – citando Carl Gustav Jung-.

 

 

Qui alcune foto del backstage scattate da Marta Tomassetti:



 

Le foto dell’evento presso lo studio/galleria Senape, Cesena:

 

(reportage di Marco Montanari)

 

Tutto su “Followers” alla pagina Facebook

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MIA PHOTO FAIR 2016 – IN MOSTRA LA FOTOGRAFIA D’AUTORE

Mia Photo Fair 2016 – in mostra la fotografia d’autore

Il MIA Photo Fair 2016, Fiera Internazionale della Fotografia d’Arte, è arrivato alla sua sesta edizione.
Conclusosi lunedì 2 maggio 2016 ha ospitato negli spazi The Mall di Milano 80 gallerie con 230 artisti provenienti da tutto il mondo.

Obiettivo del MIA, dalla sua nascita, è quello di “rivendicare la necessaria dimensione commerciale della fotografia d’arte” così come ci ricorda l’ideatore e direttore Fabio Castelli attraverso il motto
Se non c’è un prezzo da pagare, allora non ha valore” – frase di Albert Einstein scritta a caratteri cubitali tra gli stand.

In questa dimensione commerciale la politica ha sempre fatto sentire la sua presenza ingombrante, così come succede in ambito cinematografico ad esempio; la costruzione di un evento di tale portata prevede una serie di processi di scelte e selezioni e, vagabondando tra gli stand del MIA, rimane il dubbio se siano frutto di una scelta obbligata o se il valore della fotografia d’arte stia lentamente scomparendo.

In un pot-pourri di maestri della fotografia e giovani autori, andiamo a vedere alcune delle proposte del MIA:

Body Land” è la serie di Arno Rafael Minkkinen, con un chiaro rimando alle opere di Francesca Woodman.
Il fotografo, da più di quarant’anni, lavora con il proprio corpo, attraverso degli autoscatti, per comprendere il legame uomo/natura; il risultato sono fotografie in cui il senso di questa ricerca vede l’amalgamarsi tra l’essere umano con la Madre Terra.
Senza alcuna manipolazione digitale, le foto acquistano un tono surrealista, i corpi divengono alberi e ad essi si fondono, le schiene ponti su un paesaggio lacustre.

Photo & Contemporary – Torino.

"Body Land" di
“Body Land” di Arno Rafael Minkkinen


La galleria Still di Milano presenta una serie fotografica del maestro dello yachting photography, Carlo Borlenghi. Una vita passata a fotografare barche nel loro ambiente già poetico per definizione – il mare – con un’espressività personale e originale. Borlenghi ha il potere di fermare un’onda nell’attimo esatto in cui questa riempie l’obiettivo, la luce sulle increspature dell’acqua sembrano dipinte, il cielo è carico quasi sul punto di esplodere e quel punto bianco, quella barca in mezzo al mare, il pensiero di un viandante solitario.

Carlo Borlenghi


Monica Silva, fotografa di origine brasiliana, affronta il tema dei conflitti religiosi. Ispirata dall’opera di Caravaggio “Cena in Emmaus”, riunisce ad una tavola carica di simboli quattro religioni- ebraica, buddista, cattolica e musulmana – con ironia e colore; un messaggio che invita all’unione e alla fratellanza.

Galleria Bianconi, Milano

Sacro Pasto (Cena di Emmaus)
Sacro Pasto (Cena di Emmaus) – Monica Silva


ES_SENZA è la serie del fotografo italiano Settimio Benedusi che recupera dal cassetto della memoria le foto di sé bambino in compagnia del padre. Attraverso l’uso di Photoshop, il linguaggio attuale, Benedusi rimuove la figura del padre, la testimonianza di una presenza/assenza, mentre il bambino che è stato, rimane fisso nell’immagine. Una lettura profonda ci porta a riflettere sulle difficoltà che la vita ci pone, a partire dalla perdita dei cari, un destino comune a tutti e impossibile da evitare; forse il dolore più grande che, nonostante tutto, ci lascia ancora in piedi, come quel bambino nella foto, perchè la vità va avanti ed è la nostra forza.

Galleria Still – Milano

Es_senza - Settimio Benedusi
Es_senza – Settimio Benedusi


Vera scoperta di questo MIA Photo Fair è il talentuoso Marco Onofri, che presenta il progetto Followers. “Cosa succederebbe se tra le donne che posano nude sui social network e i fedeli seguaci si togliesse di mezzo il mezzo?” Tolto un computer, rimane la realtà – ed è qui che entrano in scena i soggetti che prima si nascondevano tra fake e commenti anonimi. Moralizzatori, mamme, erotomani, studenti, bambini e addirittura cani, sono i veri protagonisti dello scatto, con le loro espressioni che parlano di una verità nota a ciascuno di noi, followers a nostra volta.
Una lode per il tema scelto, di grande attualità e per essere riuscito a renderci parte dell’opera stessa.

Romberg Project Space– Latina

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Followers – Marco Onofri


Questi sono alcuni tra gli esempi pionieristici di questa edizione del MIA Photo Fair, piccola testimonianza in una fabbrica di racconti che rimarranno nell’ombra.
Il MIA Photo Fair rimane ad ogni modo la più grande Fiera fotografica di respiro internazionale in Italia, e da’ un valore aggiunto alla città di Milano, ma quanti “pezzi di storia” darà alla luce?

Sullo sfondo i grandi maestri, Bert Stern, Mario De Biasi, Herb Ritts – tutto il resto è noia.



MIA – Milan Image Art Fair 2016
The Mall – Milano Porta Nuova
P.zza Lina Bo Bardi
28 aprile – 2 maggio