Beppe Grillo lancia #chiedeteciscusa e #GiuriaPopolare contro i #Giornalisti.
Ma lui – che ha tantissimi lettori e dovrebbe essere responsabile dei contenuti che diffonde – ha mai fatto una rettifica? Ha mai chiesto scusa per una sola delle centinaia di BALLE che ha spammato per anni?
No, lui “la piazza” la conosce bene e ha passato anni fomentando rabbia da tradurre in consenso elettorale per il partito di cui è proprietario unico. Un partito che ha venduto alla gggente come “spontaneo” senza padroni e senza nessuno alle spalle. Poi “qualcuno” ha scoperto la Casaleggio. Hanno negato. Poi è diventata “una cosa normale”.
Si lui la piazza la conosce bene. Sa che basta millantare un complotto, parlare di poteri forti, lobby occulte, e la gggente ci crede. Basta dirgli che “la colpa dei loro mali” è altrove e da attribuire a qualcun altro. Basta promettergli un reddito aggratis senza lavorare per comprarsi le simpatie della gggente. Basta dire che “il debito pubblico” non dobbiamo pagarlo, ma rinegoziarlo.
Certo da uno abituato a condoni fiscali e condoni immobiliari che ti aspetti.
Da uno di cui non è dato sapere quanto incassa dal blog, dalla pubblicità, dove vadano questi soldi.
Da uno il cui movimento politico non è in regola con la legge sui partiti – per cui non può nemmeno chiederli i contributi pubblici – ma afferma che quei contributi “li restituisce”.
Da uno che “vogliamo gli scontrini” e i suoi parlamentari non rendicontano da anni…
Da uno che alle europee #vinciamonoi e non ha mai dichiarato a quale gruppo avrebbero aderito. E poi senza che nessun elettore lo sapesse sono andati con l’UKIP, coi nazisti svedesi. Oggi cambia e vuole andare in ALDE. Gli chiudono la porta in faccia e torna da Farage. E tutte le pecore belanti non si fanno una sola domanda, non assumono mezza posizione critica.
Caro Beppe, volevo scriverti che sei tu che devi #ChiedereScusa. E invece no. Siamo noi che dobbiamo toglierci il cappello di fronte a tanta genialità. Complimenti Beppe. Si certo, dovresti chiedere scusa ai bambini ammalati perché hai convinto alcuni genitori che i vaccini erano un complotto, o che l’HIV non esisteva (ma la rete lo ha dimenticato stai sereno). Ma cosa importa?
Basta che il tuo popolo clikki, che ti applauda, che ti difenda coi paraocchi in rete, che ti renda un eroe. Basta che tu gli dia “i potenti alla forca”, che alimenti questo senso apparente di catarsi collettiva stile VaffaDay. Perché si, che vuoi che sia immaginare un paese governato dai congiuntivi di Di Maio, da un Di Battista agli esteri (lui che voleva dialogare con ISIS), un Carlo Sibilia a Università e Ricerca (lui che ha le prove degli alieni nascosti in Area51). E potremmo continuare… quel governo sarà il tuo capolavoro. E finalmente l’emblema dell’Italia peggiore.
Grazie Beppe per mostrarci il fondo. Si dobbiamo chiederti scusa.
P.s. A proposito di fake news.
Sul blog è uscito un pezzo che magnificava le gesta dell’amministrazione Raggi.
Poi quei membri del complotto della macchina del fango dei poteri forti da mettere alla gogna (i giornalisti, nel caso specifico Repubblica) si son presi la briga di fare un fact-checking
Ovviamente, nessuno ha chiesto scusa per le numerose balle. Quelle sul blog però.
Tag: M5s
In difesa di Virginia Raggi
Scritto da me, con questo titolo, può sembrare fuorviante o strano, ma in realtà lo penso davvero.
Io personalmente Virginia Raggi la difendo. Molto, ma molto meno, il popolo romano.
Certo, i romani avevano un’attenuante. Le classi politiche precedenti di ogni colore, il malaffare, la città lasciata a se stessa, le periferie non ne parliamo, Mafia Capitale (a proposito, dopo tanto clamore 113 persone indagate non sono nemmeno state rinviate a giudizio perché “il fatto non sussiste” o “non costituisce reato”, ma ovviamente è passato in sordina).
Hanno ceduto alle lusinghe ed alle facili promesse di un “pseudo nuovo” che si prometteva rivoluzionario. Eppure quello pseudo nuovo lo conoscevano bene. Sapevano chi era Virginia Raggi e conoscevano le beghe interne e la “qualità” della lunga lista di parlamentari laziali.
Perché dunque oggi attaccare una Virginia Raggi che tutti sapevamo essere quella che si è dimostrata?
Andiamo con ordine: quale novità nel fatto che fosse telecomandata da Grillo e nelle mani della Casaleggio? Lei, scelta con finte selezioni online dove si fronteggiavano Taverna, Lombardi, Di Maio, Di Battista e tutte le fronde di quel micromondo grillino degli ex meet-up che tutti conoscono. Scelta in una guerra di potere interno – che oggi emerge in tutta la sua esasperazione, e decisamente squallore – a caccia di una garanzia di riconferma per quattro comici-sparuti-guerrieri miracolati dal populismo. Scelta anche “aprendo e chiudendo” la possibilità di votare non si sa bene a chi, con dati verificabili da nessuno, e su cui nessuno di quelli anche chiamati a testimoniare in tribunale si presenta a spiegare.
Lei, tutto sommato un faccino pulito telepresentabile. Lei considerata dai “big” dell’ormai archiviato “direttorio” (Chi se lo ricorda? Scelto da chi? Nominato a fare che?) come una “non minaccia” alla loro leadership e visibilità. Già, dopo il “gran rifiuto” di Di Battista che dietro la linea della coerenza malcela le due verità personali: uscire dalla Camera e non pesare più per la corsa al Governo, doversi impegnare nell’amministrare (arte meno mediatica e più problematica). Macché.
Lei che tutti potevano “gestire” per mettere lì “i propri uomini” per rafforzare la propria capacità di rielezione e di potere personale.
Ma “sta porella” cui tutti hanno imposto qualcosa per stare lì, in fondo, che doveva fare?
Certo – lei – non è esente da furberie. Forse la più brillante in Campidoglio (soprattutto a scansarsela in tempi bui) se fosse rientrata come consigliere avrebbe da consigliere concluso la sua carriera. Già, la storia dei due mandati la ricordate? Due turni e poi a casa. È questo che brucia ai Frongia e compagnia. E questo “count down” scuote i movimentisti della prima ora. Quelli che hanno dato forza al Movimento e che oggi “che c’è da raccogliere” (risultati, visibilità e poltrone) rischiano di trovarsi “al secondo mandato e a casa”.
Ma non temete. Come sempre è stato nella creatura Grillina – come nella fattoria degli animali di Orwell – di notte qualcuno (nominato e scelto da nessuno) con sommi poteri cancellerà queste regole con qualche nuova opportunistica eccezione. E noi, qui, attendiamo la prossima.
Dunque la domanda è sempre la stessa, cosa ci si aspettava di più da questa furbetta che si è presentata come innocua, ha semplicemente omesso – piccolo opportunismo che derubrichiamo a peccato veniale – di dire che ha lavorato nello studio Previti (perché nel Movimento dei duri e puri non faceva bello)? Che ha omesso di dichiarare gli incarichi ricevuti da altre amministrazioni pentastellate (e di chi altri potevi fidarti), e che si è presentata come giovane avvocato acqua e sapone che al webbe tanto poteva piacere? Del resto a quella vittoria romana credevano in pochi, ed era un modo per uscirne puliti.
Certo, da un avvocato ci si poteva aspettare qualcosa in più di alcune nomine in abuso di potere in atto pubblico, ma in fondo che ha fatto? Quelli – i Romeo, i Marra, le Muraro – sono solo passate a incassare un credituccio, le hanno detto “nominami…” e lei, ingenua, ha solo assegnato dei ruoli. Del resto, di chi poteva fidarsi?
Scopre poi una polizza a lei intestata. Ovvio che sia “un amore non corrisposto”. Qualcuno – tra cui la Procura di Roma – parla e indaga su un “sistema polizze”. Ma si sa – il concetto è abbondantemente sdoganato – che la magistratura vede il marcio anche dove non c’è, non concepisce un amore non corrisposto. E la macchina del fango dei poteri forti che controllano la stampa di regime è pronto a fermare la rivoluzione. Si sa.
Dunque, da “sta porella”, un po’ tutti – cittadini rimani inclusi – ma che ci aspettavamo?
Che doveva fare, o meglio, che poteva fare?
Un non partito senza classe dirigente, senza persone capaci e formate, senza alcuna selezione, in preda alla guerra di potere interna, dove qualsiasi consiglio e suggerimento è un tassello che guarda altrove… e del resto “dopo anni di malgoverno vuoi che in pochi mesi si risolva tutto?”
Qualcuno potrebbe eccepire “risolvere tutto no, ma almeno una giunta…”
Già, la giunta. Dove nessuno di veramente alto e qualificato si assume la responsabilità di firmare un bilancio e alla terza sostituzione nomini al bilancio i tesoriere della tua campagna elettorale, che con tutto il rispetto non è proprio la stessa cosa.
Intanto ha detto due no pesanti. No alle Olimpiadi – che è tutto un magna magna – e no allo Stadio della Roma, che non costava un euro di soldi pubblici.
Ah no, quel no lo ha detto l’assessore all’urbanistica.
Già Berdini quello che ha detto “su certe scelte sembra inadeguata per il ruolo che ricopre. Sembra impreparata strutturalmente, non per gli anni” e “si è messa in mezzo a una corte dei miracoli”, “s’è messa vicino una banda”.
Il riferimento – spiega Repubblica – sembra essere a quei “quattro amici al bar” – così si chiamava la chat Telegram che comprendeva Raggi, l’ex vicesindaco Daniele Frongia, l’ex capo del personale Raffaele Marra (arrestato per corruzione il 16 dicembre) e l’ex capo della segreteria politica Salvatore Romeo, ora indagato insieme alla sindaca per abuso d’ufficio a proposito della sua nomina (con cui era passato dal ruolo di semplice dipendente a quello di dirigente mettendosi in aspettativa e con lo stipendio triplicato sopra i 100mila euro, poi ridotto a 93mila per l’intervento dell’Autorità anticorruzione).
Insomma, tutti ex, non sappiamo se sempre amici e sempre al bar, e qualche peccatuccio veniale sul quale – in coerente stile italico – ne vedremo ancora uscire fuori di cose. Perché sullo sfondo di questa vicenda quello che rimane è lo scontro “tra ladri di galline” dei big parlamentari di un movimento che ormai ha più correnti che eletti.
Disse Fassino a Grillo “provaci a fare un partito, vediamo se ci riesci”. Prendere voti “alla Grillo” è facile, è fare un partito che è tutta un’altra storia. E di questa mancanza, ancora una volta, davvero la colpa e della Raggi?
Io non credo. Lei al massimo ha colto la sua opportunità. Diciamo un’altra miracolata di quella corte dei miracoli senza arte né parte di un movimento che doveva rappresentare i cittadini, e che invece rappresenta la parte peggiore dell’italietta provinciale.
L’epopea dei rimborsi 5 stelle
Cominciamo dall’ultima bufala.
Secondo il cittadino-deputato Toninelli il Partito Democratico vorrebbe far multare il Movimento 5 Stelle per aver rifiutato i rimborsi elettorali. Il deputato lancia l’allarme su Facebook con preghiera di «massima diffusione».
Secondo la sintesi di Toninelli l’emendamento al milleproroghe direbbe che «chi non si iscrive al Registro dei partiti per avere i finanziamenti pubblici, subisce una multa di 200.000 euro». Ma a rileggere il testo si scopre che l’emendamento dice tutt’altro: «Ai partiti e ai movimenti politici che non ottemperano all’obbligo di trasmissione degli atti di cui al secondo e al terzo periodo del presente comma, nei termini ivi previsti, o in quelli eventualmente prorogati da norme di legge, la Commissione applica la sanzione amministrativa di euro 200.000». e cosa dice il testo di legge emendato? L’articolo 9 comma 4 della legge 69/2012 afferma che i partiti sono tenuti a presentare i documenti relativi alla loro rendicontazione, tra cui «la relazione contenente il giudizio espresso sul rendiconto dalla società di revisione». Obbligo inserito non per ottenere i rimborsi elettorali ma per «garantire la trasparenza e la correttezza nella propria gestione contabile e finanziaria».E scopriamo quindi che il Movimento 5 stelle non è obbligato a chiedere i rimborsi elettorali e non rischia una multa perché non vuole usufruirne ma la rischia semmai perché – caso unico in tutto il parlamento – non presenta un bilancio consolidato.
Mica male per il partito di quel Beppe Grillo che avrebbe “aperto il parlamento come una scatoletta di tonno” e che lo avrebbe reso una casa trasparente.
Beppe Grillo aveva annunciato il politometro per misurare redditi e patrimonio dei politici prima durante e dopo l’attività politica. Nel 2013 Luigi Di Maio dichiarava zero euro, e nell’ultimo anno ha dichiarato 98.471 euro. E così anche i vari Fico (che viveva di rendita a spese di mamma e papà) o Di Battista. Tutti poco distanti dai 100mila euro annui.
Il partito nato nel giorno di San Francesco, e che al Santo avrebbe dovuto ispirarsi (cit. Casaleggio) aveva anche promesso che i propri eletti non avrebbero percepito più di 2500 euro al mese. Poi passati a 3.000, poi ” a discrezione”, ma da rendicontare sul famoso sito. Peccato che da oltre un anno quel sito non sia aggiornato.
Peccato anche dei soldi delle spese di funzionamento dei gruppi parlamentari – cifre spese a discrezione dei gruppi stessi – on si abbia rendicontazione: parliamo di poco meno di 50mila euro a parlamentare all’anno, che assommano nel caso specifico a circa 6 milioni, che per cinque anni di legislatura fanno 30milioni di euro, cui il M5S non ha di certo rinunciato.
Come detto altre volte, il Movimento 5 Stelle afferma in continuazione di aver rinunciato a 45milioni di euro di rimborsi elettorali. E come detto altre volte la cosa sarebbe vera se il M5S rispettasse la legge e avesse davvero diritto a quei soldi. Violando la legge, non presentando i propri bilanci, non può nemmeno fare istanza, figuriamoci ottenere quelle cifre.
Ma c’è un escamotage tutto loro fa rientrare dalla finestra quello cui non si ha diritto che entri dalla porta.
I parlamentari pentastellati richiedono mensilmente circa il doppio, in rimborsi, di un “normale” parlamentare di altri partiti.
Facciamo qualche esempio. Mario Giarrusso a novembre 2015 ha incassato 3.362 euro di quota fissa di indennità (restituendo 1.662 euro) cui ha aggiunto 10.066 euro di “rimborsi e spese varie”: alloggio (francescano) 1.880 euro, 1.182 euro di trasporti (nonostante le agevolazioni!)); vitto, 1.149 euro (ha mangiato il triplo di una famiglia media italiana messa assieme); attività sul territorio, 713; collaboratori, 4.678. Non si allegano ricevute, scontrini, dettagli.
Carlo Sibilia a ottobre ha incassato 3.245 euro di indennità, più rimborsi per 10.516 euro.
Luigi Di Maio, a ottobre ha incassato 3.246 euro, restituendo 1.694 euro ma aggiungendo 10.516 euro di rimborsi, di cui 9.710 euro per «attività ed eventi sul territorio». Nessuna fattura, ricevuta, scontrino.
Normalmente, un parlamentare può legittimamente richiedere questi rimborsi per lo svolgimento della sua attività, ed altrettanto normalmente, questi rimborsi sono mediamente la metà di quelli richiesti dai 5 stelle. Altrettanto normalmente le spese per i collaboratori “regolari” sono pagate direttamente dalla camera di appartenenza, e quindi non figurano in questi rimborsi.
Sia chiaro, è tutto legale, si può fare, la legge lo consente.
Ma la domanda è, ha senso restituire 1.600euro per poi goffamente gonfiare un rimborso spese senza alcuna pezza d’appoggio, per usare semmai quei soldi per finanziare l’attività politica? Non è più lineare mantenere i rimborsi nella misura corretta e reale, e usare i soldi dei rimborsi elettorali per finanziare le attività sul territorio?
Perché alla fine, a ben vedere, il rischio è duplice.
Da un lato 10mila euro per 12 mesi per cinque anni per 120 parlamentari fa circa 72milioni.
Ovvero il doppio di quelli cui il M5S francescano, ha francescanamente rinunciato.
Dall’altro il rischio concreto è che essendo soldi che non vanno al partito ma usati dal singolo parlamentare, questi soldi servano e vengano adoperati per costruire ed alimentare il proprio piccolo orticello personale – e non attività collettive di tutto il partito/movimento (come sedi, sezioni, attività generali).
Raggi, M5s e Roma, storia di un disastro annunciato
Raggirati. È questo l’hashtag che, su twitter, sintetizza e racconta le vicende di questi giorni sull’amministrazione del M5S a guida Virginia Raggi.
“Ho capito bene? Il sindaco M5s di Roma ha detto che deciderà sul suo assessore, indagato per falso e abuso d’ufficio, dopo aver letto le carte? A chi si affiderà la Raggi per emettere la sentenza? Ad un giudice, ad un avvocato? E poi quale sarebbe il suo diritto ad avere le carte di una inchiesta, teoricamente coperta in parte da segreto istruttorio? Barzellette capitoline!” sintetizza Fabio Postiglione.
“Il Fatto in edicola dice che la Raggi o si dimette o chiede scusa. Eh no, troppo comodo, miei cari. L’avete creata voi. C’e concorso di colpa. Facciamo che lei si dimette e voi vi scusate, tanto per cominciare.” è il commento di Aldo Trochiaro.
“Nessuna conferenza stampa, non una dichiarazione in consiglio o una spiegazione che sia una in Campidoglio. Arriva un messaggio della sindaca su un blog di un privato, una dichiarazione sterile dove non spiega nulla in merito al caos istituzionale che sta avvenendo a Roma. Uno scempio politico mai visto.” è la chiosa di Tommaso Ederoclite.
Ma un commento apre la questione ad un differente punto di vista, a firma di Andrea Iannuzzi
“Consiglio non richiesto al Pd (romano e non): ma perché invece di assistere buoni buoni ai pasticci che combinano i 5 stelle, bravissimi a farsi male da soli, continuate a parlare male di loro e ad attaccarli? In questo modo ottenete solo l’effetto di ricordare ai cittadini i disastri che avete combinato voi. Godete in silenzio, se ci riuscite”.
La notizia riportata sull’Huffington Post non è un caso isolato. Scrive Gabriella Cerami “L’Armageddon dei 5 Stelle, almeno a Roma, è rappresentato da una mail che la sindaca di Roma Virginia Raggi avrebbe inviato a Luigi Di Maio e al mini direttorio – Paola Taverna, Gianluca Perilli, Massimo Castaldo e Stefano Vignaroli – per informarli che l’assessore all’Ambiente Paola Muraro era iscritta nel registro degli indagati e che l’intenzione del Campidoglio era quello di attendere le carte e “poi prenderemo provvedimenti”. Mail che rappresenterebbe la prova che anche Luigi Di Maio era a conoscenza, da tempo, dei guai giudiziari dell’assessore capitolino, comunicati alla diretta interessata il 18 luglio e appresi dalla sindaca il giorno successivo. E quindi il gruppo dirigente dei 5 Stelle avrebbe omesso e depistato sul coinvolgimento di Muraro, per dodici anni consulente dell’Ama, nell’inchiesta sui rifiuti. E chi attendeva la prima puntata di Politics su Raitre per conoscere la posizione di Luigi Di Maio resterà deluso, perché non si presenterà.”
Qual è dunque il tema di questo Movimento 5 Stelle che si è presentato come “rinnovamento”, fuori dalle logiche della vecchia politica, con “onestà e trasparenza” prima di ogni altra cosa, con gli streaming per tutto e su tutto divenuti sempre più occasionali sino a scomparire?
Conta che “su tutto decide la rete” sia diventato un direttorio scelto da Beppe Grillo che decide in chiuse stanze? Conta ancora che quegli scontrini pubblicati per i primi mesi siano spariti da un anno?
Conta davvero che – ancora – non ci sia un bilancio pubblico del Movimento 5 Stelle, con un tesoriere, che non ci sia un’assemblea degli iscritti, che – nonostante le sentenze dei tribunali – non siano previste forme di gestione e ammissione del dissenso interno?
E le menzogne e le coperture, sono davvero ancora fatti occasionali? Su Parma il direttorio “non sapeva”, e poi Pizzarotti ha reso pubblici i messaggi e le mail inviate, tutte senza risposta, ma in cui informava ampiamente… su Quarto il trio Fico – Di Maio – Di Battista è apparso in streaming per affermare di non sapere, anche qui smentiti da mail e messaggi. Sapevano e come!
Adesso è la volta di Roma.
Si sapevano. Sapevano ogni cosa. Sapevano delle indagini, delle inchieste, e sapevano soprattutto chi erano quelle persone, da quali ambienti provenivano, quali erano i rapporti personali, professionali e politici pregressi. Sapevano. Hanno mentito, nascosto, sino alla farsa del “complotto dei palazzinari pro olimpiadi”. Sino a quel “se indagano altri, dimissioni subito” ma se indagano uno dei loro, allora è bene leggere le carte. Si, e decidere senza competenze, sostituendosi ai giudici.
L’onestà andrà di moda. E la trasparenza pure. Ma il futuro non è adesso. Almeno nelle aministrazioni 5 stelle.
Ma tutte queste non sono buone notizie. Non lo sono per i romani e per Roma. Non lo sono per le persone in perfetta buona fede che, semplicemente, volevano di meglio, volevano altro. Forse solo volevano rispetto. Ma non sono buone notizie nemmeno per i cari vecchi partiti, di centro destra quanto di centro sinistra.
Ancora oggi, nonostante tutto, se si tornasse a votare a Roma (come altrove) i disastri, le menzogne, la mancanza di trasparenza, il piccolo potentato di pochi che ormai è cosa palese, il fatto che Grillo fomenti la folla e poi si lavi le mani di tutto, non sono sufficienti a far cambiare idea alla maggior parte dell’elettorato.
La ragione è semplice ed è politica.
Non si vince per mancanza di avversari o per la scelta del meno peggio.
La chance dei partiti è ampia, ma a quanto pare sarà ancora un’occasione persa per un vero e profondo rinnovamento e per prendere di petto quella questione morale mai affrontata dai tempi di Berlinguer.
Non bastano gli sfaceli, né che il Movimento 5 Stelle, da solo, mostri ciò che è oltre gli infingimenti di una propaganda tossica e violenta della rete.
Occorre un vero, serio, profondo rinnovamento dei partiti, con spazi a persone nuove, senza pensare – con la solita arroganza e presunzione – che “si può fare ancora un altro giro”.
La sfida della governabilità
In questi giorni sono piovute le più svariate analisi sul voto, in quello stile tutto nostro per cui i CT del lunedì sono anche i politologi del post voto. Personalmente mi ha stupito, e non poco, questo silenzio a sinistra in attesa che Renzi desse l’interpretazione autentica. Dopo di che tutti a ripetere con varie declinazioni il verbo.
Anche questo è segno dei tempi: una sinistra che ci aveva abituato ad essere talvolta anche troppo prolissa e minuziosa nei distinguo e nell’analisi delle virgole maiuscole, si mostra attonita in attesa che venga indicata la via.
E comunque è vero: il voto al M5S non è solo un voto di protesta. È anche un voto di “richiesta di alternativa” e di un ricambio generazionale che non riguarda solo l’anagrafe, ma soprattutto i cognomi (più che i nomi) e la classe dirigente. E conta molto poco che il suo successo non sia “tutto suo”. Se riavvolgessimo il film ad esempio di Roma, e avessimo avuto un unico candidato del centrodestra, è probabile che la debacle per il Pd sarebbe stata più ampia, e che al ballottaggio avremmo visto (per esempio) il duo Meloni-Raggi. E forse in quel caso, non è così scontato che avrebbe vinto la Raggi, o certamente non in misura così dilagante.
Gran parte di questo risultato è stato dovuto al Pd che ha perso, ma anche alla comunicazione del Pd nel polarizzare a tutti i costi il paese in “o con noi o contro di noi”, polarizzando e unendo ciò che non si sarebbe mai unito.
Il Movimento Cinque Stelle non si è candidato tuttavia “a fare politica”. Questo è bene ricordarlo oggi, ma soprattutto tenero a mente per la valutazione di ciò che avverrà domani. Il M5S si è candidato ad amministrare grandi città. Per questo andrà valutato e su questo andrà promosso e bocciato. La campagna elettorale è finita. Anche se non tutti se ne sono accorti.
A Torino Chiara Appendino ha mandato come primo atto il preavviso di sfratto ai vertici di Compagnia di San Paolo e Iren. Adesso attendiamo dalla neo-sindaco, figlia di Domenico, vicepresidente esecutivo di Prima Industrie, i “nomi nuovi” e relativi curricula. Per questi ed i molti altri dirigenti che dovrà nominare, a cominciare dalla giunta.
A Roma è ancora più complesso. Il nuovo sindaco è Virginia Raggi, avvocato che ha fatto pratica allo studio Previti senza menzionarlo quando si è candidata, e che non ricorda bene il suo reddito, ma non cita un paio di consulenze con la Asl di Civitavecchia: ricordiamo però due dettagli, il primo è che Civitavecchia è amministrata da un sindaco Cinque stelle, e il secondo è che a concedere quella consulenza (senza “prendere” il nome dall’elenco predisposto ed in cui la Raggi non figurava) è stata la dirigente Gigliola Tassarotti, che è anche la madre della deputata M5S Marta Grande. Verrebbe da chiedersi cosa avrebbero detto “loro” se fosse successo in casa Pd. Ma è storia.
A lei toccherà nominare la giunta capitolina dopo gli scandali di Mafia Capitale e soprattutto nel quadro di sfiducia generale. Ma non solo. Il comune di Roma ha ottantotto società partecipate, cui la nuova giunta dovrà indicare altrettanti presidenti, amministratori delegati e i vari membri dei consigli di amministrazione. Poi ci sono i direttori generali, la questione olimpiadi (la Raggi ha detto no, poi vediamo, poi decide la rete, poi una consultazione popolare), poi c’è la questione strade e trasporti, una linea della metro da completare. E poi c’è un passivo di dodici miliardi.
Anche nel suo caso attendiamo questi tanti e tanti nomi “nuovi” e i relativi curricula e competenze.
Li valuteremo su questo, serenamente, ma con quel rigore e senza indulgenze che il M5S ha urlato nelle mille piazze d’Italia contro la “vecchia politica dei partiti”.
E tuttavia – a meno che il M5S non decida di “cambiare le regole ad personam” – non potremo beneficiare del voto confermativo per nessuna delle due tra cinque anni: sono entrambe al secondo mandato politico (in quanto ex consiglieri comunali) e quindi non potranno candidarsi.
Ma siamo in Italia, e siamo anche abituati a che si facciano deroghe su tutto. Vedremo anche in questo caso quanto il M5S saprà essere “rivoluzionario”.
Il M5s e la magistratura
Alle volte succede.
Succede che quando sei all’opposizione con tre o quattro consiglieri sia facile gridare agli scandali altrui. Succede che quando sei un partito piccolo – e basta con questa storia di chiamarsi movimenti, associazioni, o mongolfiere che dir si voglia – sia anche facile “filtrare” e verificare.
Succede che, quando il potere non lo hai e non lo gestisci, a nessuno importi infiltrarti, appoggiarti, coinvolgere persone nei tuoi calcoli politici: perché semplicemente non conti.
E alle volte invece succede che quando “cresci”, allora sì che diventi appetibile. E quando diventi “un po’ più grande” di un’aiuola isolata cominciano avvenir fuori le magagne.
E queste sono sempre di due tipi, a restare nell’ambito della sostanziale onestà.
La prima, è quella che qualcuno il pensierino a “infiltrarsi” lo fa, e semmai metti in lista – a volte succede – qualcuno che “appare” onesto e trasparente, e poi quel qualcuno, pur di arrivare, pur di essere eletto, ne combina di cotte e di crude. Spesso – a voler restare nell’ambito della sostanziale onestà – anche a tua insaputa.
La seconda, è che quando amministri compi degli atti, e di questi atti ne rispondi. Eh si, alle volte succede che indipendentemente dal colore politico e dal simbolo elettorale, la magistratura – ordine dello Stato a ciò preposto – debba “verificare” gli atti che l’amministratore pubblico compie. E succede, alle volte, che quegli atti non sempre siano “perfetti”. Per quanto esistono delle garanzie: quegli “avvisi” che appunto ti avvisano che su quell’atto e per quel tale motivo la magistratura sta indagando sul tuo operato.
E succede anche che sia semplicemente questione di tempo: non è che un sindaco possa essere indagato prima di amministrare, né la magistratura possa indagare prima che l’atto amministrativo sia stato perfezionato.
Ora è anche vero che alle volte succede che per anni sia facile ripetere “arrestano voi”, e noi siamo onesti, puliti, fuori dalla casta, e finisce anche che ci credi da solo. Anche quando sai perfettamente che è ben diverso essere opposizione unicellulare o amministrare un comune.
Ma se finisci con il credere al tuo slogan, sbandierato in cento piazze e mille comizi, succede che poi quando tocca a te (perché succede) riprendi slogan da prima repubblica del tipo “contro di noi inchieste come manganelli”, o parli di inchieste politicizzate, a orologeria, o anche torni al concetto di “toghe rosse” a giorni alterni.
Atti dovuti quelli contro i tuoi avversari, atti politici quelli contro la tua parte politica.
Stupisce – o forse no? – che a parlare di inchieste a orologeria e politicizzate sia una giovane avvocato allieva di Cesare Previti che si candida a sindaco di Roma con il Movimento Cinque Stelle.
Difesa d’ufficio che in qualche modo sorge spontanea visto che ormai, settimana dopo settimana, avvisi di garanzia sono arrivati – per le più disparate motivazioni – a tutti gli amministratori del movimento di Beppe Grillo.
Un elenco che va dalla nota vicenda di Quarto – con il seguente imbarazzo di vertici alla Fico e Di Maio ignari di ogni cosa a giorni alterni, anche quando smentiti dai verbali della magistratura – sino a Civitavecchia, e da qui a toccare due sindaci sotto i riflettori: prima Nogarin, sindaco di Livorno, che fa assumere a tempo indeterminato persone da una società che dopo pochi giorni mette in liquidazione, e poi Pizzarotti, per un abuso di potere sulle nomine in teatro.
Una percentuale che, rapidamente, sta arrivando a toccare il 100% degli amministratori a cinque stelle.
Per carità: chi amministra compie atti, e atto dovuto della magistratura è indagare sulla loro correttezza, così come atto di garanzia prima di tutto dei diritti dell’indagato quello di comunicare che è sotto indagine e per quale motivo.
Ma ci si aspetterebbe, da chi sino a ieri è stato irrimediabilmente forcaiolo, nel rivendicare il suo essere “nuovo”, che almeno lasci a casa questo garantismo a giorni alterni, per cui quando tocca a te allora le indagini sono manganelli.
Perché questi sono toni che non fanno bene al paese, alla politica, alle campagne elettorali, e non si addicono, francamente, ad un giovane avvocato. A meno che non abbia argomenti, e non sappia cosa dire, e disperatamente, farebbe miglior figura ad appellarsi alla “clemenza della corte”.
L’ineffabile Di Battista e le unioni civili
“Allora, Unioni Civili, facciamo un po’ di chiarezza, perchè il PD ha fatto un “casino” incredibile negli ultimi giorni”.
Comincia così un video di 6 minuti in cui Alessandro Di Battista “spiega” con lavagna e pennarelli – come in un corso aziendale ma rivolto a bambini di scuola elementare – in cui il parlamentare “dovrebbe” parlare quantomeno ai suoi elettori delle Unioni Civili.
Ebbene in 6 minuti e 9 secondi riesce a nominare:
⁃ 28 volte pd / partito democratico
⁃ 9 volte Fiducia
⁃ 9 volte Renzi
⁃ 7 volte Lega
⁃ 7 volte Cirinnà
⁃ 5 volte M5S
⁃ 3 volte Forza Italia
⁃ 2 volte “partito di maggioranza” (non assoluta ndr)
⁃ 2 volte Centro Destra
⁃ 2 volte PCI (che non esiste più dal 1991 ndr)
⁃ 1 volta Napolitano (sic)
Ma soprattutto riesce incredibilmente a nominare UNA sola volta la sigla LGBT (per dire che dovrebbero protestare con il PD) e non una sola volta “gay, lesbiche, trans”. Non una sola volta i diritti dei bambini, non una le famiglie (arcobaleno e non). Non una il tanto discusso tema della “step child adoption”.
Ora, se lo scopo era chiarire qualcosa sulle Unioni Civili è chiaro che invece l’intento era altro.
E visto che “sognamo” una politica se non “all’americana” quantomenno anglosassone, ai fact-checking dovremmo cominciare a farci l’abitudine, e non vederli come un atto ostile. Specie se i video online restano e tutti possono vederli.
Non c’è un solo momento del video di Di Battista in cui chiarisca la posizione dei 5 Stelle, se non per dire che loro la legge l’avrebbero votata così com’è – il che non spiega ad esempio la questione del “voto secondo coscienza” comunicata da Grillo.
Non c’è un solo momento in cui Di Battista – quando afferma che il Governo avrebbe potuto porre la questione di fiducia – ha chiarito se in questo caso ad esempio “pur di votare la legge” avrebbe votato la fiducia al Governo, oppure se pur di votare contro Renzi avrebbe votato no (pur essendo a favore della legge così com’è).
Si lamenta infine Di Battista che con il “canguro” non ci sarebbe stato dibattito parlamentare, e tuttavia preferirebbe quasi la questione di fiducia che avrebbe lo stesso risultato. Se non forse uno peggiore: far venir meno quella famosa “libertà di coscienza” che hanno invocato in molti votando articolo per articolo.
Se Di Battista voleva fare chiarezza, non ha reso un bel servizio in questa direzione.
Se voleva dire cose ovvie, che sono sotto gli occhi di tutti, e cioè che il Pd ha varie anime interne e su certi temi ha divisioni anche profonde, non serviva la lavagna.
Se voleva attaccare il Pd come male assoluto, ci è riuscito poco e male, perchè quello che ha detto non solo è debole rispetto a quello che sta avvenendo e che viene raccontato meglio dalla cronaca, ma anche perchè la sua posizione e quella del suo partito non sono per nulla alternative nè risolutive.
Qualche suggerimento per la prossima volta:
⁃ stare più sul tema: la parola che scrivi in grande al centro è l’argomento del discorso, e per lui evidentemente il tema era PD.
⁃ la camicia, specie se chiara, meglio bianca, è più efficace
⁃ la luce (molto) meno sparata in faccia
⁃ sei solo davanti a una telecamera, non hai bisogno di urlare: le persone comprendono meglio un messaggio calmo e caldo
⁃ i pennarelli: meglio se nuovi e che non sbiadiscano se scrivi in orizzontale
⁃ il rosso serve per evidenziare e sottolineare, non per scrivere “un’altra posizione” (per quello esistono il verde, il nero…)
Lo capisco che Rocco Casalino come responsabile nazionale comunicazione e che la fidanzata di Di Maio non sono proprio il massimo, anche se entrambi li paghiamo profumatamente noi, ma Benzi (che lavora sempre alla Casaleggio) queste cose le sa bene.
Basta chiedere a lui.
La camorra a Quarto
Sarò ingenuo, ma a me queste polemiche su Quarto stupiscono molto. Forse perché a me queste “infiltrazioni” criminali prive di qualsiasi geografia tanto cara alla Lega non stupiscono affatto.
Scrivevo un anno fa, a proposito del rischio infiltrazioni nelle primarie del Pd, a proposito di Mafia Capitale a Roma e poco prima di tante elezioni amministrative: La criminalità organizzata agisce ed ambisce ad essere e funzionare come una vera e propria istituzione. Chiariva in modo efficace Paolo Borsellino “Politica e mafia sono due poteri che vivono sul controllo dello stesso territorio: o si fanno la guerra o si mettono d’accordo”.
Alla criminalità organizzata interessa entrare nella gestione politica e amministrativa per svariate ragioni quasi tutte rientranti nel “controllo del territorio” in senso lato.
Intanto per “dimostrare” che condizionando la vita politica e amministrativa di fatto “è più potente” dello Stato, che invece di certo non può fare la stessa cosa nello stesso modo con la stessa incidenza.
Da un punto di vista economico la criminalità organizzata ha un interesse preciso nelle amministrazioni locali per svariate ragioni: condizionare appalti, aggiudicarsi gare, ma anche gestire direttamente e indirettamente parte del mercato del lavoro, condizionando assunzioni in municipalizzate, partecipate o aziende vincitrici di appalti nei servizi.
Di cosa ci si stupisce dunque oggi parlando di Quarto? Comune nato nel 1948 per scorporo dal comune di Marano, di cui era frazione. Dalla sua istituzione ha avuto un boom demografico in seguito al terremoto dell’Irpinia del 1980 e al bradisismo di Pozzuoli del 1983, che comportò lo svuotamento del rione Terra a seguito dei numerosi danni alle strutture abitative.
La popolazione allora crebbe dai meno di diecimila abitanti ai circa quarantamila attuali. Abusivismo edilizio e concentrazione criminale inclusi. Un pezzo di quella cintura della città di Napoli che raccoglie circa tre volte la popolazione di Napoli e pesa molto in termini elettorali.
Secondo Berni “La grande anomalia della Campania è la presenza di una criminalità organizzata che controlla in maniera capillare il territorio… Dimensione economica, radicamento sul territorio, capacità di supplenza dell’amministrazione pubblica, reti di complicità, distribuzione del reddito come agenzie del lavoro illegale nelle terre dove il lavoro legale non c’è, fanno delle ecomafie molto più di un’emergenza criminale”.
Ma proprio questa “anomalia” dovrebbe indurre i partiti politici ad un maggiore rigore non tanto e non solo nella selezione della classe dirigente, ma soprattutto nella definizione di regole e codici interni chiari che rendano “sconveniente” non solo il favorire in maniera attiva, ma anche il restare passivi rispetto a certi episodi.
Mi stupisco quindi che qualcuno possa aver creduto anche solo per un momento che potesse esistere un solo partito esente da rischio infiltrazioni. Come se ci potesse essere qualcosa nel dna o per grazia divina ricevuta, che impedisse geneticamente o religiosamente che il singolo candidato, il singolo consigliere, potessero chiedere e ricevere voti criminali.
Certo, sino a che un partito politico è piccolo, marginale, di opposizione, questo rischio si riduce per due motivi: scarsa rappresentanza e scarso potere gestito. Ma quando un partito cresce, il rischio infiltrazione cresce con lui.
Risolvere la questione col semplice garantismo, con una veloce espulsione, con una dissociazione da azioni personali, non risolve certamente il problema. Non lo risolve nei grandi e vecchi partiti come non lo risolve oggi nel Movimento 5 Stelle.
Combattere la criminalità organizzata è atto concreto ben più difficile del semplice slogan elettorale, ed è questione che tocca tutti i partiti politici nel momento della responsabilità, ovvero quando selezionano e scelgono i candidati, e se ne assumono la responsabilità piena, e nel come poi gestiscono “il dopo”. Ma è anche questione che riguarda soprattutto i cittadini, nel momento del voto, nella propria conoscenza delle persone e dei territori. Perché non possiamo più dire “non sapevo” o che è sempre colpa di qualcun altro, semmai della politica marcia, come se questa stesse altrove. Oggi riguarda Quarto, ieri altri comuni. Tra pochi mesi ricordiamocene quando si andrà a votare per altre amministrazioni. Senza pensare che Napoli (come Roma e Milano) possano essere esenti perché grandi. E senza pensare che ci sia un partito o movimento che – in sé – possa essere immune.
Francesco Cenedese su democrazia diretta e M5S
Conosce il ‘sistema operativo’ Rousseau lanciato recentemente da Grillo e Casaleggio? Le sembra valido dal punto di vista tecnico?
Dobbiamo fare due doverose premesse.
La prima è che va dato atto al Movimento 5 Stelle di essere attualmente il partito politico che ha la maggiore interazione con il proprio elettorato ed ancor più ai propri iscritti. Questo è un dato di fatto che nel “mercato politico” ha una sua precisa quotazione. Del resto quale ruolo reale hanno gli iscritti agli altri partiti politici? Almeno formalmente il M5S è alla ricerca e si è dotato di strumenti se non partecipativi almeno dialogici diretti. Il resto – tra cui gli esiti – sono ovviamente discutibili. Esattamente come molto spesso – ed anche in questo caso – il metodo scelto è strumentale a due obiettivi: portare acessi (e quini introiti) al blog di Grillo, e, sempre attraverso questi accessi generare “reputation” politica, ovvero alimentare la percezione di acentralità ed interesse.
La seconda premesa è tecnica. Rousseau non è un sistema operativo, almeno se stiamo alle definizioni tecniche e ci atteniamo ad una proprietà di linguaggio. Casaleggio lo sa bene e gioca sul gioco di parole “sistema operativo” per interndere “il sistema con cui il partito è operativo ed opera”.
Si tratta – semplicemente – di un’insieme di applicazioni, o meglio di un menù di sezioni in cui compiere certe azioni, che vanno dal consultare documenti, commentare, votare… tutti strumenti straordinariamente utili a generare accessi e numero di pagine viste, con un’esponenzialità di cui noi stessi come navigatori non ci rendiamo conto.
Faccio un esempio: per partecipare ad una votazione online vengono effettuati non meno di 11 click, ovvero “11 visualizzazioni di pagina”. Se consideriamo che ne hanno fatte oltre 66 in un anno e che hanno partecipato mediamente 48mila persone… i conti sono presto fatti.
Con la nuova piattaforma i numeri si raddoppiano, se non triplicano.
Concretamente si tratta di un’area ad accesso riservato in cui condividere commentare “partecipare” alle iniziative legislative in Europa, in Parlamento e nei consigli regionali. Uno strumento anche di “contatto” tra gli iscritti, che potranno anche votare, commentare o informarsi.
Da un punto di vista dei materiali non molto più di quanto non sia già disponibile in rete.
Semmai organizzato meglio – da chi conosce i sistemi di social aggregation – e “messo tutto insieme” in un luogo unico che riceverà visite esponensiali in termini di traffico web.
Molte di queste informazioni sono già in tutti i siti di tutti i partiti politici. Qui si può accedere solo se sei iscritto – e non è materiale disponibile al pubblico. In più puoi votare, e va poi declinato il peso e il senso di questo voto caso per caso.
Quali sono i potenziali problemi che vede in Rousseau? Crede sia possibile garantire l’imparzialità visto che il tutto è gestito dalla Casaleggio Associati?
Dobbiamo chiarire. L’unico luogo in cui conterebbe l’imparzialità (meglio definirla neutralità o terzietà) sarebbe nel processo di votazione. Questo è difficilmente garantibile in ogni momento di vita interna di ogni partito politico. Certo, che tutto avvenga in digitale e soprattutto che avvenga su una piattaforma “interna” gestita internamente non è indice di “certezza terza”.
Provocatoriamente potremmo chiedere perchè non usare le piattaforme messe a punto dal PirateParten tedesco, ma la risposta è facile: sarebbe “altrove” e non porterebbe accessi al blog.
Casaleggio ripete spesso che sono votazioni certificate da “un soggetto esterno” che però non certifica alcun risultato, ma solo il rispetto del percorso indicato e che ci siano o meno violazioni esterne della piattaforma, ma non ha alcun modo di certificare il risultato.
Le consultazioni “in sé” sono già manipolate, ad esempio allargando o stringendo gli orari in cui si può votare, o con quanto preavviso comunico una data di votazione è chiaro che “modifico” quanto meno il grado di partecipazione, che quando è più ristretto, tanto più darà un risultato maggiormente ortodosso rispetto alla linea ufficiale, mentre ampliando la partecipazione generalmente aumento il numero dei votanti “critici”. È semplice ingegneria sociale se vogliamo, e chi si ocupa di web e social network queste cose le sa bene.
Oltre questo è chiaro ed evidente il rischio che “uno vale uno” e “decidono i cittadini” siano degli slogan e che poi “il risultato finale” sia qualcosa di scritto altrove e da qualcun altro. Sia chiaro, il tema non è se ciò avvenga o meno o in che misura concretamente avvenga. Il tema è che nessuno garantisce con certezza che non avvenga e che non possa avvenire.
Il recente referendum in Grecia è stato lodato da molti come un esemplare esercizio di democrazia. Lei pensa che sia stato giusto consultare i cittadini su un tema complesso come quello delle negoziazioni tra creditori e lo stato sul debito?
Io credo che sia un bene per la democrazia informare. E un bene per un Paese che i propri politici abbiano ben chiaro che il proprio mandato è a tempo, e che di fronte a scelte che travalicano il destino di una generazione occorrono almeno due cose: un ampio consenso parlamentare (oltre la semplice maggioranza di governo) e un “mandato straordinario” popolare.
Del resto anche da noi è previsto un referendum in caso di modifiche particolari dell’assetto costituzionale, indipendentemente dalle due letture parlamentari. Il che ci riporta al concetto di un “mandato politico straordinario aggiuntivo”.
Fatta questa premessa però la politica dovrebbe impostare la propria comunicazione esattamente in questi termini: spiegare il contenuto della scelta da compiere, e non trasformare (come quasi sempre accade) un referendum in un sondaggio politico su questa o quella maggioranza, o su questo o quel leader. O peggio leggere in questo modo il risultato referendario.
In Grecia oggi, in Italia nel 2016 o 2017 che sia…
Crede sia pratico consultare gli iscritti su temi anche complessi o ‘market sensitive’?
Doveroso. E la domanda – anch’essa provocatoria – è perchè tutti i partiti non lo facciano.
Semmai anche mostrando e proponendo ciascuno un proprio modello differente, alternativo, così che possiamo tutti confrontarci su quale sia il migliore, come migliorarlo e come rendere questi strumenti “imparziali”.
Chiaramente è una provocazione perchè se al popolo del centro destra venisse chiesto se sono a favore o contrari a primarie interne di coalizione, cosa pensate risponderebbero? Se chiedessimo ai cittadini se vogliono che i candidati (italicum o meno) siano scelti con primarie (chiuse o aperte) o dalle segreterie di partito, secondo voi cosa sceglierebbero?
Tutti esiti che minerebbero alla base molte delle scelte politiche dei leader, scelte su cui si basa il loro potere, la propria maggioranza o le proprie clientele.
Molti parlamentari da queste scelte – a torto o a ragione – sarebbero spazzati via. Non che sia un bene o un male, ma è la democrazia, e non la si accetta “a pezzi”.
In questo senso, crede possa funzionare la democrazia diretta proposta dal M5S?
No. La democrazia diretta non esisterebbe, non è mai esistita e non può esistere.
Esistono varie forme di delega, e soprattutto varie forme di controllo e contrappeso dei poteri.
Molti di questi controlli e contrappesi non dipendono solo dalle leggi ma soprattutto dai popoli.
In Inghilterra se un parlamentare non risponde ai giornalisti la sua carriera politica è finita.
Negli Stati Uniti uno scandalo che dovesse uscire anche su un sito o su un blog farebbe aprire un’inchiesta immediatamente. In Francia un servizio televisivo ha mostrato il ministro della sanità che andava a teatro con l’auto di servizio: solo per questo ha pagato settecento euro di multa e ha dovuto chiedere scusa pubblicamente. In paesi come la Germania, la Francia, l’inghilterra, anche i giornali più schierati – dichiaratamente – “danno la notizia”, anche se questa tocca la propria parte politica, con il risalto che merita la notizia in sé, non in base alla propria fede. È questo che i cittadini si aspettano.
Questi sono esempi di controllo democratico. Anche se non sono espliciti in leggi o regolamenti o nella Costituzione. Perchè la democrazia è, in fin dei conti, la percezione che ne hanno nella pratica quotidiana i cittadini e quanta pressione in tal senso riescono ad esercitare sui propri politici a che si adeguino.
I cittadini possono essere sempre abbastanza informati per esprimere una decisione? Uno dei benefici della democrazia rappresentativa è che vi sono degli esperti che si occupano della legislazione in vari settori. Come possono i cittadini fare delle scelte migliori degli esperti?
Quasto sarebbe vero in teoria. Se guardiamo alla prassi abbiamo avuto medici ministri della sanità che sono stati peggiori della storia, ed abbiamo avuto ottimi politici che senza essere tecnici puri hano saputo impostare una visione complessiva che ha miglioratomolto i settori di cui si sono occupati. Abbiamo una presidente della commissione antimafia che sino al giorno prima dichiarava tranquillamente che di mafia non sapeva nulla. E se guardiamo alla composizione delle commissioni parlamentari non sempre abbiamo esperti che le compongono.
Al politico non deve essere richiesto (solo) di essere un tecnico, ma soprattutto di avere una visione politica complessiva, possibilmente almeno di medio-lungo termine.
Per il resto esistono i tecnici e funzionari dei ministeri, i consulenti esterni, le audizioni…
Ed anche qui interviene la partecipazione democratica, e la percezione della democrazia.
Negli Stati Uniti esistono ampi canali aperti attraverso cui i cittadini possono interagine con le commissioni, con i parlamentari, esistono soggetti come lobby (le più potenti in termini elettorali sono quelle ambientaliste e degli insegnanti per esempio) o semplici think-thank che possono interagine sul processo legislativo di singole leggi.
Ecco, usare i nuovi strumenti tecnologicamente disponibili per favorire la partecipazione dei cittadini è qualcosa che da noi va importato in maniera strutturale. Anche perchè i cittadini hanno una formazione, un lavoro, interessi, competenze, che possono essere utilissime in occasioni specifiche e tecniche.
Tutto questo non è certo democrazia diretta, ma non solo è utile ai processi legislativi, ma soprattutto ad un rapporto diretto tra cittadini e Stato e migliora la percezione del concetto stesso di democrazia, per cui diventi parte delle scelte, e senti come tuo anche il dovere del controllo.
Quello di Grillo non chiamatelo razzismo
L’altro giorno Beppe Grillo ha pubblicato sul suo blog un lungo articolo con una serie di proposte in materia di immigrazione. Come spesso fa per i temi più delicati (di recente un delirante attacco complottista verso Monica Maggioni), l’articolo non era direttamente a firma sua, ma “dava spazio” alle proposte di alcuni rappresentanti del MoVimento. A corredo del post una vignetta in stile ventennio, sia da un punto di vista grafico che contenutistico e stilistico.
Il tema non è nuovo sul blog di Grillo, e nemmeno tra i rappresentanti del suo Movimento.
Ne abbiamo parlato ad ottobre 2013, e già allora si trattava di una raccolta di materiali ed esternazioni perfettamente coerenti tra loro e precedentemente ad agosto.
Come scrissi già a maggio 2014 in realtà il tema non è però “un vero e concreto atteggiamento razzista”.
Si tratta piuttosto di una strategia fondata essenzialmente su due concetti: Odio e paura. Se dovessimo sintetizzare in due parole gli elementi che con maggiore facilità attraggono elettorato e sostenitori massimalisti queste sono le due parole chiave.
L’odio verso un qualsiasi diverso, ma anche verso qualsiasi nemico che venga additato come l’origine dei nostri mali: immigrati, euro, Europa, poteri forti, ma anche chi ha un’altra religione o semplicemente la pensa diversamente da noi e ci mette in difficoltà con il suo ragionamento.
Paura è l’altra condizione necessaria: “cosa accadrebbe se…” condito da qualsiasi sciagura vera o presunta purché esprimibile in tre, massimo quattro parole. Anche qui la paura di perdere qualcosa, che sia un diritto, soldi, privilegi, posizione, ma soprattutto certezze, convinzioni, di dover mettere in discussione il proprio modo di vivere e pensare.
Era il 22 aprile di quest’anno quando Grillo scrisse un allarmistico messaggio su Facebook “In arrivo un milione di immigrati. Bisogna agire subito!” rinviando per ulteriori informazioni sulla fantasiosa notizia inevitabilmente al link del suo blog.
A giugno – sempre sul tema immigrazione – è la volta di Di Maio, sulla sua pagina facebook. Una declinazione del tema e delle ricette per gestire questo fenomeno che mostravano tutta l’inadeguatezza del soggetto proponente, per non dire vera e propria ignoranza.
La sociologa e giurista Iside Gjergji sul suo blog sul FattoQuotidiano a proposito dell’ultimo (cronologicamente parlando) post sul blog di Grillo parla di “razzismo a cinque stelle” e scrive: il post del pentastellato consigliere comunale di Torino, Vittorio Bertola, contenente proposte politiche in tema di immigrazione, non avrà procurato neanche un minimo spostamento del sopracciglio destro. Il post non rappresenta, infatti, nessuna novità circa le posizioni (cripto)fasciste e di destra, dunque razziste, espresse da molti esponenti di tale movimento, sia prima che dopo l’alleanza europea con Ukip. Un mix di ignoranza, di razzismo, di linguaggio da bar e di brama populista, mirante a togliere voti e simpatie a forze politiche più simili (almeno rispetto all’idea complessiva di società), ovvero al cartello elettorale Lega Nord-Casa Pound, permea molte parole delle proposte del consigliere.
Lieti che il Fatto – testata da sempre molto vicina al M5S – se ne sia accorto.
Ma qui il razzismo c’entra poco. La questione è differente e più rozza, meno intellettuale, meno concettuale. Ben lontana dai vari “razzismi scientifici” che abbiamo conosciuto e conosciamo [che poi si tratta di una contraddizione in termini dal momento che la scienza se una cosa ha dimostrato è l’infondatezza delle ragioni del razzismo, ma questa è un’altra storia].
Quello di Grillo – e anche più dei suoi “eletti” – non è affatto razzismo. E a dirla tutta anche del tema immigrazione a loro, fondamentalmente, interessa nulla, tanto che anche quando presi in castagna e confutati, non si degnano nemmeno di un minimo di approfondimento o di replica.
Il loro è becero, bassissimo, calcolo politico, demagogicamente parlando allo stato quasi puro. A scrivere questa volta è un consigliere comunale di Torino, altre volte fu Grillo che ricordava che “se avessero detto certe cose avrebbero preso percentuali da prefisso telefonico”.
Qui si tratta di dire banalmente le cose che “tirano il sentiment”, in rete e nella piazza. Prendere i voti dicendo le più amene cretinaggini basta che siano efficaci sul territorio. Per Bertola nè più nè meno che uno spot personale a caccia di qualche votarello leghista. Per Beppe, inseguire Salvini sul suo terreno. Niente di più. È la solita formuletta chimico-matematica del “distillare l’odio, alimentando l’ignoranza e facendola crescere al fuoco lento della paura costante”.
La formula è antica: è la paura del diverso, che diventa immediatamente nemico, cui vengono attribuiti tutti i mali patiti: dalla sua sconfitta il nostro benessere. È così da sempre, sino a Hitler con gli ebrei o con le razze inferiori. Ma almeno quello era razzismo “vero”, che pretendeva e inventava ragioni e fondamenti scientifici al suo fondamento.
Questo è solo e becero accattonaggio di qualche consenso facile.
Distillando odio, alimentando ignoranza e paura.
A Grillo c’è da fare i complimenti però, per riuscire a far stare insieme i neo accattonati voti leghisti, con i precedententi delusi del centrosinitra, che difficilmente avrebbero immaginato di condividere queste posizioni. Ma anche in questo il collante più vecchio del mondo fa il suo dovere: l’odio verso “la politica vecchia e corrotta” è un evergreen che unisce tutti… poi si vedrà.
È una corsa contro il tempo, perchè un consenso così eterogeneo difficilmente lo tieni insieme a lungo, specialmente se “gli altri” fanno qualche riforma, o peggio ancora se con la nuova legge elettorale rischi di prendere tanti voti e molto pochi seggi.
Da qui la spinta delle ultime ore: “andare ad elezioni il prima possibile”, pena scomparire e perdere consenso.
Ma la storia insegna che se vinci le elezioni con un popolo in maggioranza fomentato dall’odio, dalla paura, e intriso di ignoranza e di “false informazioni” con cui hai alimentato questo odio e questa paura, poi, c’è un solo modo per governarlo. E questi tempi ce li eravamo lasciati alle spalle circa settant’anni fa.