Definito come “il vero ribelle di Hollywood”, Marlon Brando ha rappresentato e rappresenta il simbolo di una cultura giovanile ribelle alle regole e alle convenzioni, un sex symbol di un’America appena uscita dalla guerra, con una forte voglia di cambiamento.
Il suo stile camaleontico è cambiato nel corso degli anni, in un gioco in cui è sempre stato lui a dettare le regole, ad esempio indossando jeans alle prime dei suoi film. Un carisma ed uno charme unici, capaci di rendere il suo iconico biker look fresco come fosse ancora nel suo periodo d’oro. Celebre per la sua rude mascolinità ed il suo sguardo pensieroso, fece sì che ogni ragazzo americano volesse diventare come lui, e ogni ragazza andasse in estasi vedendolo.
Nato ad Omaha, Nebraska, nel 1924, suo padre era un fabbricante di prodotti chimici di origine francese, mentre la madre era un’attrice. Brando, dopo l’Accademia Militare nel Minnesota, dalla quale fu espulso, frequentò la Nuova Scuola per la Ricerca Sociale e si trasferì poi a New York dove iniziarono i suoi studi in Arte Drammatica, diventando poi membro dell’Actor Studio dove fu allievo della acclamata Stella Alder, da cui apprese la tecnica attoriale del cosiddetto “Metodo Stanislavsky”. La sua grande occasione arrivò con il film “Un tram si chiama desiderio”, del 1951, per il quale ottenne la nomination all’Oscar come Migliore Attore.
Il suo inconfondibile stile iconico: Jeans e Maglietta
Jeans, T-Shirt bianca e giubbotto di pelle. Gli abiti indossati nel film “Il Selvaggio” del 1954, lo celebrarono Sex Symbol del momento, a fianco di James Dean e Montgomery Clift. Una chiave di lettura che ben riassume il suo essere fuori dagli schemi, un anti-eroe dallo spiccato lato oscuro. Una simbologia ripresa nel corso della storia del cinema e del piccolo schermo, con figure come Fonzie e Dylan McKay, gli anti-eroi di Happy Days e Beverly Hills 90210.
Per l’interpretazione di questo film, decise di frequentare diverse bande giovanili come quelle della pellicola, metodo Stanislavsky VOTO: 10
Così come molti attori del tempo, Brando possedeva uno stile unico, quasi una firma: il binomio T-Shirt bianca e blue jeans fu uno dei suoi principali look, accostato da un pacchetto di sigarette nella mano; la foto celebre in sella alla sua Triumph rossa del film “Il Selvaggio”, rese la giacca di pelle un must per i giovani, tutti volevano apparire con un’immagine mascolina da bad boy, ed ancora oggi se si sceglie di indossare un chiodo di pelle, sono convinto che si debba ringraziare il mood Brando. Con quel suo innegabile appeal, è diventato una Icona di stile senza tempo.
Brando conosceva anche l’eleganza, sapeva indossare bene un abito e quando lo faceva appariva terribilmente affascinante; nodo della cravatta stretto sopra, giacca abbottonata con rever a lancia, brillantina nei capelli, insomma, non c’è da stupirsi se ancora oggi il suo stile continui ad essere così influente. Come non ricordare la sua interpretazione nel “Padrino” di Francis Ford Coppola, dove durante il provino improvvisò lui stesso il trucco perfetto per Don Vito Corleone.
Il suo è un fascino da gioventù bruciata, molto in voga nel dopoguerra americano, segnato dalla guerra fredda e dall’avvento del nuovo benessere. La genesi di un mito e il ritratto della periferia americana, della sua realtà più vera e della costante voglia di evadere, di andare contro il sistema. Marlon Brando attraversa il XX secolo, riassumendo bellezza e dannazione e si rispecchia nel suo tempo. Il volto della seduzione, della sessualità, del crimine e del male lo rendono uno dei maggiori esponenti del ‘900, lato oscuro che caratterizza purtroppo anche la sua vita privata, i suoi amori, i suoi affetti famigliari e la sua morte nel 2004, solo ed in bancarotta.
Io lo ricordo così:
“Comprendere il pieno significato della vita è il dovere dell’attore, interpretarlo è il suo problema, ed esprimerlo è la sua passione”
Marlon Brando
Bionda, giovanissima e già sulla cresta dell’onda: Valentina Ferragni, sorella minore della più famosa Chiara, è la it girl del momento. Un cognome importante ed un’eredità difficile da raccogliere, per la piccola di casa Ferragni: ma la sua bellezza acqua e sapone ed un fisico atletico l’hanno resa la nuova icona di stile copiatissima dalle teenager.
Con in tasca un contratto come testimonial di Pantene, insieme alla sorella Chiara, ed un milione di follower su Instagram, per la bella Valentina si sono aperte le porte del fashion biz. La giovane è già apparsa sui magazine più prestigiosi del mondo e si è imposta come presenza fissa nei front row delle sfilate.
Da New York a Londra, da Milano a Parigi, Valentina Ferragni monopolizza l’attenzione dello street style con i suoi outfit. Il suo stile alterna con grande nonchalance look casual a capi luxury.
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Fisico atletico per Valentina Ferragni
Un outfit della bionda Valentina
Foto: Melty.it
Valentina Ferragni è diventata una it girl amatissima
Foto: Gioia
Foto: Gioia
Foto: Harper’s Bazaar
Foto Backstagetales.it
Valentina Ferragni
Chiara e Valentina Ferragni in uno scatto di Nima Benati per The Blonde Salad
Un outfit sfoggiato dalla bella Valentina
Lunghi capelli biondi e sorriso perfetto, Valentina Ferragni posa spesso accanto alla sorella Chiara sfoggiando grande disinvoltura. Nelle sue foto la ritroviamo tra bikini mozzafiato e capi dalle suggestioni haute couture. Se è vero che il suo cognome è ormai garanzia di successo, di certo la piccola di casa Ferragni non perderà tempo nell’affermarsi come trendsetter, al pari della sorella, fondatrice del celebre blog The Blonde Salad.
Un fidanzato blogger, Luca Vezil, e una laurea in Linguaggi dei Media, per Valentina Ferragni: neanche a farlo apposta, la giovane it girl ha discusso una tesi sull’influenza esercitata dai blogger nella società di oggi. Sul suo profilo Instagram (@valentinaferragni) la vediamo postare scorci di vita di una ragazza normale, se non fosse per il numero impressionante di follower e gli outfit sfoggiati. I brand più famosi se la contendono, mentre lei, sulle orme della sorella, si appresta a diventare un’icona di stile apprezzata a livello internazionale.
Sovrana storica ed incontrastata icona di stile, Elisabetta II ha da poco spento 90 candeline (qui un pezzo sull’importante compleanno festeggiato lo scorso aprile). Ora ad essere celebrato è anche il suo stile, con tre grandi esposizioni del suo guardaroba reale. I mitici cappellini, i cappotti bon ton ma anche gli abiti indossati nelle occasioni ufficiali e nelle serate mondane: “Fashioning a Reign: 90 Years of Style from The Queen’s Wardrobe” è un evento a dir poco esclusivo. La più grande mostra mai realizzata sul guardaroba di Sua Maestà è stata inaugurata ad Edimburgo lo scorso 21 aprile (compleanno della sovrana), per poi far tappa a Londra e concludersi a Windsor.
La moda secondo Her Majesty: in mostra ben 150 vestiti indossati dalla regina nel corso del suo lungo regno, dal sontuoso abito indossato nel giorno dell’incoronazione ed immortalato da Cecil Beaton in foto storiche fino al celebre vestito da sposa. Un’occasione unica in cui appassionati di storia del costume e amanti della moda possono avvicinarsi allo stile di Elisabetta II attraverso tre mostre esclusive. La curatrice della Royal Collection, Caroline de Guitaut, commenta così l’evento: «In tutto 150 abiti, la più vasta esposizione del guardaroba della sovrana mai allestita». Uno stile evergreen, quello di Elisabetta II: «La regina trascende la moda: fa sì che i suoi abiti riflettano la moda, senza seguirla».
Una full immersion nello stile personalissimo della sovrana più longeva del Regno Unito, in un excursus degno di nota: ognuna delle tappe, che non a caso vengono esposte nelle tre residenze ufficiali della monarca inglese, è dedicata a tre aspetti diversi dello stile della Regina. Ad Holyrood Palace sono stati infatti esposti gli abiti dell’infanzia e della gioventù fino all’incoronazione; a Buckingham Palace si potranno ammirare i preziosi outfit indossati dalla Regina durante gli eventi ufficiali e infine nel castello di Windsor saranno esposte le mise informali sfoggiate da Elisabetta. Molti dei vestiti in esposizione sono stati realizzati da couturier come Norman Hartnell, Hardy Amies e Ian Thomas, fino ad Angela Kelly.
Uno stile personalissimo e spesso assai lontano dai fashion trends, quello di Elisabetta II. La regina, pur non seguendo la moda, è riuscita a fare lei stessa moda, dettando spesso tendenza, a partire dagli ormai celebri cappellini, cifra stilistica del suo guardaroba. Nelle tre mostre che ne celebrano lo stile non mancano i capi più iconici, dal vestitino in pizzo indossato dalla piccola Elisabetta nel giorno del battesimo, nel 1926, fino al sontuoso abito indossato nel giorno dell’ascesa al trono, nel giugno 1953: per l’occasione fu Norman Hartnell, suo stilista prediletto, a disegnare per lei un abito in duchesse di seta color avorio, impreziosito da decorazioni di fili d’oro e d’argento raffiguranti i simboli dell’Impero britannico e della Corona. Nascosto tra le sete della gonna un piccolo quadrifoglio portafortuna. Hartnell aveva già disegnato l’abito da sposa di Elisabetta II nel lontano 1947.
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Summer opening dresses
C’è l’intera storia del Regno di Elisabetta, iniziato alla morte del padre, Giorgio VI, nel 1952, ma anche la storia del costume, con i suoi cambiamenti, dalle proporzioni Fifties alle stampe anni Settanta fino alle spalline tipiche degli anni Ottanta. Una sezione della mostra è dedicata gli immancabili cappellini, declinati in ogni colore e forma. Un’altra sezione riguarda invece le 267 visite ufficiali all’estero: Elisabetta II ha visitato ben 116 Paesi diversi, cercando di scegliere il capo giusto nel rispetto delle tradizioni locali. Ogni abito della mostra è accompagnato da una gigantografia della Regina, immortalata mentre indossa quello stesso outfit.
“Fashioning a Reign: 90 years of style from the Queen’s wardrobe” ha aperto i battenti lo scorso 23 luglio e sarà aperta fino al 2 ottobre 2016 a Buckingham Palace, Londra (questo il sito ufficiale della mostra: www.royalcollection.org.uk).
Bionda, bellissima ed elegante come poche: Blake Lively non è solo uno dei volti più famosi del cinema. Negli ultimi anni la protagonista di Gossip Girl è riuscita ad imporsi anche come icona di stile. Divenuta famosa grazie al ruolo di Serena van der Woodsen nella serie cult Gossip Girl, l’attrice ha in seguito collaborato con registi quali Ben Affleck ed Oliver Stone fino a Woody Allen.
Altezza svettante su un fisico da modella, Blake Lively incarna la tipica bellezza americana. Nata a Los Angeles, in California, proviene da una famiglia di attori. Ex cheerleader, il debutto nel cinema ad appena undici anni, in un film diretto dal padre Ernie. Nel 2007 arriva il successo mondiale con Gossip Girl. Nel 2010 l’incontro col collega Ryan Reynolds sul set di Lanterna Verde. Tra i due nasce una relazione che culmina in un matrimonio celebratosi nel 2012. L’attrice ha avuto dall’attore due figli.
Blake Lively ha alle spalle numerose collaborazioni con il mondo della moda. Nel 2011 Christian Louboutin le dedica un paio di scarpe; nel marzo dello stesso anno viene nominata ambasciatrice di Chanel. Nel 2012 viene scelta da Gucci come testimonial della fragranza Gucci Première e nell’ottobre dell’anno successivo diviene nuovo volto L’Orèal Paris.
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Il suo è uno stile ricercato e fresco: largo ai colori, che la giovane attrice e modella sfoggia in ogni occasione. Una palette cromatica vitaminica per outfit sempre accattivanti e copiatissimi dalle tantissime fan sparse per il mondo. Vera fashion icon, Blake Lively incarna al meglio l’American style, complice anche l’aria acqua e sapone. Largo a capispalla importanti ma anche abiti da gran soirée che l’attrice indossa nelle occasioni ufficiali e sul red carpet. Proprio come Serena van der Woodsen, il personaggio a cui deve la sua popolarità, la bionda attrice ama vestirsi in modo chic e sofisticato. Tanta femminilità e attenzione certosina per i dettagli, l’attrice è sempre impeccabile, anche quando ha sfoggiato il pancione.
Si è spenta oggi, all’età di 85 anni, Marta Marzotto. Regina incontrastata della mondanità, ex modella, stilista ed indimenticabile icona di stile, la contessa Marta Marzotto ha vissuto una vita romanzesca, ricca di eccessi, amori tormentati e talvolta scandalosi, come la relazione con il pittore Renato Guttuso, di cui fu musa. La sua è la parabola di una giovane cenerentola che dalle risaie diviene regina del jet set internazionale. Una leggenda, un’istituzione: con lei se ne va un pezzo di storia.
L’annuncio della sua scomparsa è stato dato su Twitter dalla nipote Beatrice Borromeo. «Ciao nonita mia», queste le parole della nipote, che accompagnavano la foto di una giovane e sorridente Marta Marzotto. I figli e i nipoti la ricordano come una donna allegra e generosa fino alla fine.
All’anagrafe Marta Vacondio, era nata a Reggio Emilia il 24 febbraio 1931 in una famiglia umile: il padre è un casellante delle ferrovie, la madre una mondina. I primi anni della sua vita la bella Marta li trascorre in Lomellina: è qui che, ancora giovanissima, inizia a lavorare anche lei come mondina, proprio come Silvana Mangano in “Riso amaro”. Una giovinezza difficile, che Marta Marzotto non ha mai dimenticato, restando sempre umile malgrado il successo e andando sempre fiera delle proprie origini. «Mi fasciavo le gambe con le pezze per proteggermi dalle foglie taglienti del riso e dalle punture di zanzare. Le bisce d’acqua e i topi mi sgusciavano tra i piedi nudi affondati nella melma, ero terrorizzata», così ricorderà più avanti quel periodo della sua vita.
Successivamente lavora come apprendista sarta e all’inizio degli anni Cinquanta debutta come mannequin, dapprima presso la sartoria delle sorelle Aguzzi, a Milano, prima di creare una propria griffe grazie ad un senso senso innato per lo stile. E sarà proprio grazie alla moda che la bella Marta nei primi anni Cinquanta conoscerà il conte Umberto Marzotto, vicentino di Valdagno, industriale laniero e tessile. Dopo due anni di fidanzamento i due convolano a nozze il 18 dicembre 1954. Dalla loro unione, durata 15 anni, nasceranno cinque figli: Paola (nata nel 1955, madre di Beatrice e Carlo Borromeo), Annalisa (nata nel 1957 e morta nel 1989 a causa della fibrosi cistica), Vittorio Emanuele (nato nel 1960), Maria Diamante (nata nel 1963) e Matteo (nato nel 1966).
Ma Marta è uno spirito libero; ribelle per natura, ripudia le convenzioni e non riesce a restare fedele al marito. L’incontro con Renato Guttuso sarà la miccia che farà esplodere il suo matrimonio. I due si incontrano nel salotto dei Marchi, a Milano. Tra lei e il pittore nasce una passione fortissima; Marta ne diviene la musa prediletta e viene ritratta in molte delle sue opere, come nella celebre serie delle Cartoline, 37 disegni che immortalano una donna seducente. L’amore tra i due durerà 20 anni. Poi arriverà Lucio Magri, all’epoca segretario del Partito di unità proletaria per il comunismo: la relazione tra i due durò 10 anni e lei lo definì «un rivoluzionario da salotto».
Anche dopo aver divorziato dal conte Umberto Marzotto, Marta continua ad usare il cognome dell’ex marito. Intanto è divenuta una vera leggenda. Incarnazione emblematica dello stile gypset, animatrice di salotti, donna di mondo ed imprenditrice, e ancora stilista e disegnatrice di gioielli, Marta Marzotto è stata una delle più copiate icone di stile. Irriverente come nessuna, amante della vita, il suo stile prediligeva i caftani, capo simbolo del suo guardaroba: dall’animalier alle stampe floreali, la sua eleganza rispecchiava la sua vita e la sua passione per i viaggi, come il suo gusto per l’avventura.
Dopo aver lavorato a lungo come mannequin Marta Marzotto creò diverse linee di abbigliamento ed accessori che portavano il suo nome. Abiti e accessori unici, per un’eleganza sontuosa e un po’ zingara, caratterizzata da un riuscito mix di elementi chic e popolari. E così era anche il suo stile, ricco di contraddizioni, caleidoscopici caftani tribali che lei mixava magistralmente a zibellini e gioielli importanti: croci, cammei e bracciali dal sapore etnico impreziosivano il caftano, passepartout declinato in chiave extra lusso ma anche casual, il suo capo preferito in assoluto, che le valse l’appellativo di “regina dei caftani”. Gioielli come monili preziosi per uno stile gipsy che, grazie a Marta Marzotto, si è imposto nel mondo.
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Marta con Matteo Marzotto – Vogue Italia, dicembre 1970. Foto di Elisabetta Catalano
Marta Marzotto su Vogue Italia, 1967, foto di Elisabetta Catalano
Marta Marzotto in una foto del 1969
Modella, stilista e protagonista del jet-set internazionale
Una vita piena di passione, quella di Marta Marzotto
Marta Marzotto negli anni Settanta
Un altro caftano indossato da Marta Marzotto
La contessa era conosciuta come “la regina dei caftani”
Uno scatto di Marta Marzotto
Marta Marzotto con colbacco e gioielli etnici
Lo stile etnico prediletto da Marta Marzotto
La contessa Marta Marzotto
Marta Marzotto (Foto: Getty Images)
La contessa in uno dei suoi amati caftani
Marta Marzotto da giovane
Marta Marzotto ritratta da Helmut Newton nel suo giardino accanto al ritratto realizzato da Renato Guttuso, Roma, 1986
Marta Marzotto in uno scatto di Marco Glaviano
Marta Marzotto (Foto: Marieclaire)
Marta Marzotto (Foto: Vogue.it)
Marta Marzotto (Foto: Vogue.it)
Marta Marzotto (Foto: Vogue.it)
Marta Marzotto (Foto: Vogue.it)
Marta Marzotto (Foto: Vogue.it)
Marta Marzotto su Vogue Italia, marzo 1973
Marta Marzotto (Foto: Vogue.it)
Marta Marzotto (Foto: Vogue.it)
Marta Marzotto al matrimonio della nipote Beatrice Borromeo
Marta Marzotto
La contessa con uno dei suoi amati caftani
Un ritratto di Marta Marzotto
Marta Marzotto, Giorgio Pavone e Gioconda Crivelli, Vogue Italia, settembre 1967, foto di Giacomo Alexis
Donna bellissima e dalla personalità scoppiettante, conquistò centinaia di copertine e fu immortalata anche da Helmut Newton. Dal suo salotto romano con vista su Piazza di Spagna passarono intellettuali e politici, tra cui Moravia, Dario Bellezza, Sandro Penna, Alberto Arbasino. E la Città Eterna la salvò dalla depressione, dopo la morte della figlia Annalisa, scomparsa prematuramente a cause della fibrosi cistica.
Nella vita patinata di Marta Marzotto c’è stata anche una diatriba giudiziaria: la contessa venne infatti condannata in primo grado dal Tribunale di Varese a otto anni di carcere con il beneficio della condizionale per aver riprodotto alcuni quadri che la ritraevano e alcune serigrafie di Renato Guttuso, senza averne titolo. Tuttavia nel 2011 venne assolta con formula piena dalla Corte d’Appello di Milano.
Contraria alla chirurgia plastica, Marta Marzotto andava fiera delle proprie rughe e definiva orgogliosamente il proprio viso “una faccia da squaw”. Indimenticabili i suoi party esclusivi tra Roma, Cortina e Milano. Eccentrica eppure democratica, sorridente e genuina, indimenticabile fu la festa a cui invitò nel suo yacht in Costa Smeralda i vu’ cumprà della costa, che si presentarono dopo aver ricevuto regolare invito indossando i loro costumi tradizionali. Di Marta Marzotto ricorderemo la simpatia e l’umiltà di chi, al di là del lifestyle e della vita lussuosa, è sempre rimasta una donna semplice e genuina.
Bionda, bella e blasonata, Bianca Brandolini D’Adda è una delle it girl più amate. Classe 1987, esperienze da modella in curriculum, grazie al suo stile sofisticato e fresco la giovane socialite si è imposta come una delle icone d’eleganza contemporanee. Nelle sue vene scorre sangue blu, dal momento che Bianca è figlia della Principessa Georgina de Faucigny-Lucinge et Coligny e nipote dell’indimenticabile avvocato Gianni Agnelli.
Balzata agli onori delle cronache per la sua storia d’amore con Lapo Elkann, è poi stata scelta come musa da Dolce & Gabbana, prestando il volto a numerose campagne pubblicitarie del brand. Successivamente la sua carriera da modella è decollata, e tante sono state le collaborazioni illustri, da Sergio Rossi a Cartier.
Il suo stile eclettico e moderno coniuga l’eleganza effortlessy-chic della giovane rampolla ad un tocco di modernità. Attrice e designer (ha firmato una linea di costumi da bagno per Osklen), Bianca Brandolini D’Adda non smette di incantare per la sua bellezza.
Altezza svettante su un fisico atletico, lunghi capelli biondi e sorriso da copertina, il suo stile è versatile e accattivante. Influencer ed icona contemporanea, la vediamo nei front row delle sfilate più importanti e negli eventi più esclusivi. Tante le cover ottenute, grazie ad una fotogenia unica.
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Bianca Brandolini D’Adda in Dolce & Gabbana
Bianca Brandolini D’Adda alla sfilata Valentino P/E 2016, Parigi
(Foto Vogue)
Nel guardaroba dell’icona di stile non mancano camicie fluide e skinny jeans
Eclettica e moderna
Nude look nero per la it girl
Bellissima e fotogenica, Bianca Brandolini D’Adda lavora da anni come modella
Pellicce e sovrapposizioni
Acqua e sapone ma sempre sofisticata
Uno stile fresco e giovane per la socialite italiana
Bianca Brandolini D’Adda alla sfilata Giambattista Valli Primavera/Estate 2013, Parigi (Photo by Julien Hekimian/WireImage)
(Photo by Jacopo Raule/Getty Images)
Compongono il suo guardaroba camicie fluide e pantaloni skinny, ma anche capi da gran soirée: quando non veste Dolce & Gabbana, la bionda socialite apprezza le stampe patchwork e le sovrapposizioni. Largo ad un animalier rivisitato e a maxi gonne dal mood Seventies, che la bella Bianca indossa con sandali flat. Bellissima ed acqua e sapone in total white, la giovane it girl alterna sapientemente un’eleganza gipsy a suggestioni couture. La classe non è acqua, ça va sans dire.
Spegne oggi 71 candeline Debbie Harry, celebre frontwoman dei “Blondie” ed indimenticabile icona di stile. Zigomi alti, capelli biondi, fisico statuario e sex appeal da vendere, la cantante statunitense ha incarnato lo stile degli anni Settanta ed Ottanta, sdoganando in particolare lo stile punk.
Un’infanzia travagliata per Angela Tremble: questo il nome con cui la madre biologica la abbandona; poi la piccola, nata a Miami il primo luglio 1945, viene adottata dai coniugi Richard e Catherine Harry, originari del New Jersey, e viene ribattezzata Deborah Ann Harry.
Appena ventenne, la bellissima Deborah vola a New York, dove lavora come estetista, modella e coniglietta di Playboy. Avvenente e dotata di una notevole estensione vocale, entra nel gruppo “Wind in the Willows” e nelle “Stilettoes”. Tra succinti abiti scuri e croci al collo, diviene antesignana dello stile punk. Nel 1974 insieme al compagno Christopher Stein fonda i “Blondie”. Performer carismatica ed eclettica, Debbie Harry colleziona album di successo insieme alla celebre band newyorkese: indimenticabili le hit “Heart of glass”, “Atomic”, “Call Me”, “Maria”.
Caschetto biondo platino e rossetto rosso, Debbie Harry diviene icona della musica e della moda, lavora come attrice e viene immortalata sulle maggiori riviste patinate. Alta appena un metro e sessanta, le curve e il carisma la sdoganano come un sex symbol internazionale. Immortalata da Andy Warhol, diviene musa dello stilista Stephen Sprouse, di cui ha indossato in esclusiva le creazioni. Sono in tanti ad immortalare la sua bellezza, da Robert Mapplethorpe a Richard Avedon.
Schiva e riservata nella vita privata, di lei si sa davvero poco. Pare sia una grande amante dei gatti. Inoltre la sua vita sentimentale è stata da sempre oggetto del gossip: dopo la fine della sua relazione con Stein, nel 1989, la cantante ha ammesso di avere frequentato anche delle donne. Paladina della battaglia contro la discriminazione sessuale e pioniera della battaglia per i diritti gay, celebre è la sua frase: “Being hot never hurts!”, “Essere sexy non fa mai male”.
Certe donne rifuggono con ogni mezzo dagli schemi di un’esistenza banale e riescono nell’arduo compito di forgiare la propria vita secondo i propri parametri e la propria personale gerarchia di valori: la marchesa Casati è stata una figura quasi mitologica, ribelle ad ogni diktat, anticonformista ed iconica. La sua immagine continua ad ispirare intere generazioni, come anche la sua vita, ricca di fasti, onori ma anche ombre e zone grigie: voleva essere un’opera d’arte vivente, Luisa Casati Stampa di Soncino, ed è certamente riuscita nel suo intento, manifesto dichiarato di una vita degna del miglior romanzo decadente.
Considerata l’antesignana del dandismo in gonnella, la Divina Marchesa incarnava alla perfezione il prototipo della dark lady: enigmatica, misteriosa, a tratti inquietante, sempre seducente, amava indugiare sul suo lato oscuro, dai ménage à trois di cui era protagonista, secondo i rumours dell’epoca, accanto a Gabriele D’Annunzio ed Eleonora Duse, a quella sua irresistibile quanto primordiale attrazione per il proibito, che si esprimeva nell’amore per l’occultismo e per il travestimento. Non solo l’adesione alle mode del momento, ma un’esigenza naturale, per lei: il lato torbido di Luisa Amman era estremamente sviluppato e costituirà forse la somma del suo fascino. L’esprit du temps della Belle Époque fa da sfondo alla clamorosa affermazione del suo stile, entrato nel mito.
Luisa Adele Rosa Maria Amman nacque a Milano il 23 gennaio 1881 da una facoltosa famiglia di industriali di origine austriaca: il padre Alberto Amman è un produttore di cotone a cui Umberto I conferisce il titolo comitale, la madre Lucia Bressi era originaria di Vienna. L’infanzia della piccola Luisa, indole timida e fantasia galoppante, trascorre all’insegna della solitudine, tra precettori privati e un amore viscerale per le arti figurative. Rimasta orfana di entrambi i genitori, viene affidata alle cure di uno zio, insieme alla sorella maggiore Francesca. Appena adolescente Ginetta, come viene chiamata affettuosamente, è già la più ricca ereditiera d’Italia. Ma alla ragazza la prospettiva di una vita ordinaria, seppur agiata, appare quasi insostenibile; lei, che era stata iniziata dalla madre alle storie che vedevano protagoniste donne eccentriche come la contessa di Castiglione, Cristina di Belgiojoso, Sarah Bernhardt ed Elisabetta d’Austria, ha già le idee chiare: la sua vita sarà romanzesca. “Bisogna fare la propria vita come si fa un’opera d’arte. Bisogna che la vita di un uomo di intelletto sia opera di lui. La superiorità vera, è tutta qui”: con premesse come queste, c’era da aspettarsi un’esistenza avventurosa.
Altezza svettante su un fisico androgino, i grandi occhi verdi spiccano sull’incarnato eburneo e su un sorriso sibillino: la bellezza di Luisa è sui generis rispetto agli standard dell’epoca e reca in sé un tocco noir e un fascino sulfureo. Occhi bistrato neri con pupilla dilatata ad hoc tramite colliri al gusto di belladonna e frangetta irriverente, appare onirica, quasi spettrale nelle foto di Man Ray, medusa dall’allure intramontabile ed icona di stile per antonomasia.
Nel 1900, appena diciannovenne, convola a nozze con il marchese Camillo Casati Stampa di Soncino, che aveva conosciuto durante un ballo a cui presenziava la crème della società milanese. L’anno seguente nasce la loro unica figlia, Cristina, nome scelto in onore della Principessa di Belgiojoso. Ma il matrimonio sta stretto all’animo inquieto della marchesa, che strega col proprio fascino il Vate per eccellenza del Decadentismo, Gabriele D’Annunzio, di cui sarà amante e musa. Il primo incontro tra i due avviene durante una caccia alla volpe organizzata dal marito di Luisa: subito scatta il coup de foudre e i due iniziano una relazione destinata a destare scalpore. Fu proprio Luisa ad ispirare al poeta il personaggio di Isabella Inghirami in “Forse che sì forse che no”. D’Annunzio la soprannomina Coré, come Persefone, la Regina degli Inferi. E difatti l’universo della marchesa non è poi così lontano dalle tetre atmosfere dell’Ade: le testimonianze di chi la conobbe, come anche la descrizione delle sue abitudini e delle sue dimore, ci parlano di una donna dall’immagine quasi diabolica. Capricciosa femme fatale, perennemente in viaggio tra gli eventi del jet set internazionale, la mente persa nei fumi dell’oppio, la megalomania e le ossessioni riguardanti la propria immagine: la divina Marchesa sembrava incarnare alla perfezione l’ideale femminile del Vate, che ne adorava il trucco disfatto e l’ambiguità sessuale. “Adoro i capricci di questa donna. Quando cerco di immergermi nel suo mondo sento il suo profumo e vedo le sfumature del suo trucco disfatto”, queste le parole con cui il poeta descriveva il suo sentimento per lei.
Nel 1910 Luisa Casati si trasferì a Venezia, dove acquistò l’abbandonato Palazzo Venier dei Leoni, affacciato sul Canal Grande, oggi sede del museo Peggy Guggenheim. Ed è proprio nei giardini di quella che sarà la sua residenza fino al 1924 che Luisa tocca l’apice della sua mondanità e del suo prestigio. La Serenissima non era mai stata così glamour, tra balli in cui la Marchesa esibisce nelle sue dimore lacchè di colore usati quasi alla stregua di schiavi indigeni, sullo sfondo di una Piazza San Marco usata come pista da ballo: si balla il tango, alla corte di Luisa, ballo che intanto era stato proibito nella Capitale per ordine papale. Intanto il suo matrimonio è da tempo naufragato e nel 1914 arriva la separazione dal Marchese Camillo Casati Stampa.
Mecenate e musa di artisti, la Marchesa vive tra opulenza sfrenata ed eccessi di ogni sorta, a partire dagli animali esotici di cui ama circondarsi: usa boa costrittori come collane e porta al guinzaglio scimmie, pavoni e levrieri, come quello con cui la immortala Giovanni Boldini. Eccentrica e fieramente sopra le righe, non era raro incontrarla per le calli veneziane in piena notte, nuda sotto un ampio mantello di pelliccia, mentre portava al guinzaglio il suo amato ghepardo: è così che la immortala Erté. Stupire è la parola d’ordine, nonché il fil rouge di un’intera esistenza. Jean Cocteau disse di lei: “Aveva saputo crearsi un ‘tipo’ all’estremo. Non si trattava più di piacere o non piacere, o tantomeno di stupire. Si trattava di sbalordire”.
Il suo stile spazia dai fasti della Belle Époque, tra pizzi e broccati, alle suggestioni orientaleggianti di capi unici, creati appositamente per lei dai più grandi couturier dell’epoca: largo a pepli e tuniche plissé, suggestioni maschili, copricapi svettanti alternati a turbanti d’ispirazione Twenties, tripudio di animalier e piume all over, con una predilezione per il black and white e per lunghissimi fili di perle. Poi il gusto per le masquerade: la ritroviamo quindi vestita di piume d’airone, o, ancora, con una coda di pavone in testa e il sangue di un pollo appena sgozzato che le scorre lungo il braccio. Camaleontica, la sua visione della moda è istrionica e teatrale, non solo un vezzo ma uno strumento per dare vita ad una vera e propria catarsi, che le permette di impersonare le donne che tanto aveva amato, come Elisabetta d’Austria, salvo poi calarsi anche nei panni di Arlecchino e Cesare Borgia. La marchesa divenne una delle forze motrici dell’haute couture del Ventesimo secolo ed investì esorbitanti cifre di denaro per acquistare le migliori stoffe e i materiali più pregiati. Paul Poiret, Mariano Fortuny, Jean Patou, Léon Bakst sono solo alcuni dei nomi che la vestirono. Celebre il costume passato alla storia come “Queen of the Night” disegnato per lei da Bakst nel 1922, indossato dalla marchesa ad un ballo in maschera a Parigi: furono necessari oltre tre mesi per completare l’abito, interamente ricoperto da una cascata di diamanti. In un’altra occasione, la marchesa si presentò vestita come il martire cristiano San Sebastiano, con un’armatura in metallo con tanto di frecce che si sarebbe dovuta illuminare, grazie ad un presa elettrica a cui era attaccata. Ma un corto circuito quasi la uccise e fu costretta a lasciare il party a metà serata. Tra i gioielli preferiti dalla Marchesa quelli di René Lalique e Cartier, maison a cui ispirò la celebre pantera.
Nel 1919 un’epidemia di influenza spagnola le porta via l’amatissima sorella Francesca. Nello stesso anno lei si trasferisce nella Villa San Michele di Capri, inquilina dello psichiatra svedese Axel Munthe. Nel 1923 decide di acquistare una casa a Parigi: è il sontuoso Palais Rose, da lei soprannominato Palais du Rêve, maniero appartenuto a Robert de Montesquiou. Intanto si rende conto con non poco stupore che le sue risorse finanziarie stanno per esaurirsi. Edonista ed incapace di rinunciare alle innumerevoli manie che facevano ormai parte del suo modus vivendi, inizia a collezionare oggetti appartenuti alla Contessa di Castiglione, eroina della sua infanzia. Nel 1924 prende parte a Les Bals du Grand Prix proprio vestita dalla celebre contessa. Nello stesso anno ottiene a Budapest il divorzio dal marito, entrando nella storia, in quanto prima donna divorziata italiana della chiesa cattolica.
All’età di 50 anni ha accumulato debiti per oltre 25 milioni di dollari: è sull’orlo del baratro, costretta a vendere il Palais con tutti gli arredi, che vengono battuti in un’asta che vede come acquirente anche Coco Chanel. La marchesa decide allora di trasferirsi in Gran Bretagna, dove risiede la figlia Cristina, neo sposa del Conte di Huntingdon e mamma della piccola Moorea. La coppia sostiene Luisa economicamente, ma per la marchesa è già iniziata irrimediabilmente la sua parabola discendente: divenuta la copia sbiadita di se stessa, la nobildonna vaga per le strade di Londra con abiti logori e veletta nera. I cosmetici, parte integrante del suo maquillage, sono ormai troppo costosi, e deve quindi ripiegare sul lucido da scarpe per disegnare il contorno occhi nero, da lei tanto amato.
Il primo giugno del 1957 arriva la morte, a causa di un’emorragia cerebrale. La marchesa viene sepolta al Brompton Cemetery con il suo mantello nero bordato di pelle di leopardo, le immancabili ciglia finte e occhi bistrati, e, ai suoi piedi, l’amato pechinese imbalsamato. La nipote sceglie i versi di Shakespeare per l’epitaffio da incidere sulla lapide. Il commiato dalla donna più iconica del Novecento è affidato alla descrizione di Cleopatra, tratta da “Antonio e Cleopatra”: «L’età non può appassirla, né l’abitudine rendere insipida la sua varietà infinita».
La marchesa nel corso della sua vita fu anche musa di alcuni esponenti storici del futurismo, come Marinetti, Depero e Boccioni. Inoltre un narcisismo senza precedenti la spinse a commissionare una mole incredibile di opere che la ritraessero: dagli scatti di Man Ray, Cecil Beaton e Adolph de Meyer ai ritratti di Giovanni Boldini, Augustus John, Kees Van Dongen, Romaine Brooks, Ignacio Zuloaga, Drian, Alastair, Giacomo Balla, Catherine Barjansky, Jacob Epstein e Alberto Martini, suo ritrattista ufficiale.
La moda le ha dedicato innumerevoli tributi: già nel 1960 il famoso designer americano Norman Norell presentava una collezione interamente basata sul ritratto della marchesa eseguito dal pittore olandese Kees van Dongen. La collezione in questione venne anche immortalata da Milton H. Greene sulla copertina di Life Magazine. Tom Ford ha definito Luisa Casati come “la prima dandy europea del Ventunesimo secolo”, dedicandole la sua collezione P/E 2004 disegnata per YSL Rive Gauche. Ma, in quella che è stata additata come la peggiore in assoluto delle collezioni dello stilista, tra le modelle mezze nude che si alternano sulla passerella, della marchesa resta solo il make up. Prima ancora, c’era stata la sfilata Dior Haute Couture P/E 1998 in cui, sullo sfondo dell’Opéra Garnier di Parigi, John Galliano si ispirava alle mise sfoggiate dalla Divina Marchesa, tra cui il celebre costume di Cesare Borgia indossato nel lontano 1925. Nel 2010 fu la volta di Karl Lagerfeld, che omaggiò la marchesa con la collezione Chanel Resort. Location scelta: il Lido di Venezia, ça va sans dire. E tante sono le donne del fashion biz ad avere reso omaggio alla figura di Luisa Casati, da Georgina Chapman, ritratta nel 2009 da Peter Lindbergh, con tanto di giaguari al seguito, a Carine Roifeld, fotografata da Lagerfeld per il New Yorker nel 2003, fino a Tilda Swinton, che nel 2010 interpreta la nobildonna in un editoriale ad alto tasso di suggestione firmato Paolo Roversi. Della Divina Marchesa restano gli innumerevoli ritratti che immortalano una donna profondamente sola. “Essere diversa significa essere soli. Non amo ciò che è ordinario. Quindi sono sola”, così diceva lei stessa, dall’alto di un’esistenza vissuta in nome dell’estetismo più sfrenato.
Spegne oggi 70 candeline Cher. Star della musica, attrice premio Oscar, icona della cultura pop e musa fashion, Cherilyn Sarkisian La Pierre, più nota come Cher, è l’ultima diva contemporanea.
Nata in California il 20 maggio 1946, Cherilyn trascorre un’infanzia disagiata. Il padre è un rifugiato armeno che lavora come camionista, la madre Jakie Jean Crouch (in arte Georgia Holt) è un’aspirante attrice e modella. Dal ramo materno la futura diva vanta origini Cherokee, Francesi e Inglesi. Quando i genitori divorziano, iniziano grandi difficoltà economiche per lei e per la madre, che dà alla luce Georganne da un’altra relazione. Le due figlie saranno poi adottate dal successivo marito della donna, Gilbert La Pierre, banchiere.
La piccola Cherilyn soffre di una grave forma di dislessia non diagnosticata, a causa della quale è costretta a lasciare la Fresno High School all’età di 16 anni. Nello stesso anno avviene a Los Angeles l’incontro con Salvatore Bono, detto Sonny: il giovane all’epoca ha 27 anni, e lavora per Phil Spector ai Gold Star Studios di Hollywood. La giovane Cher sogna già di fare l’attrice. I due fuggono insieme e vanno a convivere all’insaputa della madre della ragazza. Nel 1964 convolano a nozze e dalla loro unione, il 4 marzo 1969, nasce Chastity Bono, che nel maggio 2010 ha completato il percorso di cambio di sesso.
Nel 1965 arriva per il duo di artisti il primo album e la canzone I Got You Babe diventa una hit internazionale. Lo stile dei due e il loro spirito bohémien si impongono sulla scena musicale ma non solo: i due diventano icone della cultura hippie degli anni Sessanta. Basette lui e lunghi capelli neri e pantaloni a zampa d’elefante lei, posano insieme per Vogue ed entrano nel mito.
Cher arriva per la prima volta in Italia, insieme a Sonny, nel settembre del 1966, dove assiste anche ad un’udienza di Papa Paolo VI a Castel Gandolfo, a Roma. L’anno successivo i due tornano in Italia per partecipare al Festival di Sanremo. La cantante si presenta nella gara canora in coppia con Nico Fidenco. Negli anni Settanta conducono insieme uno show televisivo che sdogana Cher come un sex symbol internazionale: i suoi outfit audaci inaugurano una nuova era dello stile. Inoltre la diva fu la prima donna a mostrare l’ombelico. Il suo stilista Bob Mackie ideò per lei degli abiti che lasciassero scoperte alcune parti del corpo.
Dopo tanti successi, la coppia divorzia nel 1975, dopo 13 anni di matrimonio. Il divorzio ha portato la cancellazione del “The Sonny and Cher Comedy Hour”. Nello stesso anno, Cher sposa Gregg Allman. Dal nuovo matrimonio, il 10 luglio 1976 nasce un figlio, Elijah Blue Allman.
Dopo il divorzio la cantante si concentra sulla propria carriera da solista e passa al cinema, nei primi anni Ottanta. Dapprima è Robert Altman a volerla in “Jimmy Dean Jimmy Dean”, poi in “Silkwood” recita accanto a Meryl Streep e ottiene la prima candidatura all’Oscar. Dopo “Le streghe di Eastwick” e “Presunto colpevole” arriva l’Oscar per “Stregata dalla luna”. Inoltre è stata premiata anche con un Golden Globe e una Palma d’oro.
SFOGLIA LA GALLERY:
Cher è anche un’icona di stile
Cher nel 1964
Vogue, 1969, foto di Richard Avedon
1966
Vogue 1976
Foto del 1966
Vogue 1966, foto di Richard Avedon
Vogue 1966
Cher su Vogue, 1966, foto di Richard Avedon
Foto di Richard Avedon
Cher, Vogue, 1974
Cher su Vogue, foto di Richard Avedon, 1974
Cher su Vogue, 1974
Foto di Arnaud de Rosnay, 1967
Foto di Arnaud de Rosnay, 1967
Cher su After Dark Magazine, 1979
Cher nel 1974
Cher nel 1980, LIFE Magazine
Foto di Herb Ritts
Foto di Harry Langdon/Getty Images
Anni Settanta
Cher nel 1971
Ritratta da Avedon per Vogue, 1972
Cher nel 1986
Foto di Harry Langdon/Getty Images)
Con Nicolas Cage in “Stregata dalla luna”, 1987
Cher e Sonny
Una giovanissima Cher
Anni Sessanta
Foto di Arnaud de Rosnay, 1967
Ritratta da Avedon per Vogue, 1972
Ritratta da Avedon per Vogue, 1972
Ritratta da Avedon per Vogue, 1972
Ritratta da Avedon per Vogue, 1972
Ritratta da Avedon per Vogue, 1972
Ritratta da Avedon per Vogue, 1972
Ritratta da Avedon per Vogue, 1972
Ritratta da Avedon per Vogue, 1972
Foto di Avedon, Vogue 1974
Vogue 1970
Foto di Richard Avedon, Vogue 1971
Foto di Richard Avedon, Vogue, 1972
Foto di Andrew MacPherson, 2010
Foto di Annie Leibovitz, Vanity Fair, 1968
Foto di David LaChapelle, 1996
Foto di Herb Ritts, Vanity Fair, 1990
Foto di Norman Jean Roy, Vanity Fair, 2010
Foto di Harry Langdon, 1978
Foto di David Kirkland, 1975
in “Stregata dalla luna” (1987)
Intanto Cher è diventata un mito: nel 1971 entra nell’International Best Dressed List, grazie ai suoi look iconici. Zigomi alti, lunghi capelli lisci e fisico tonico, la bella Cher unisce in sé il fascino dei Nativi americani e il glamour anni Settanta. Trendsetter ante litteram, la sua impronta fu decisiva per la moda anni Sessanta/Settanta. Cher diviene presenza fissa sulle cover dei magazine patinati e posa per i più grandi fotografi di moda, da Richard Avedon ad Annie Leibovitz, da Francesco Scavullo fino ad Herb Ritts. Icona amatissima dalla comunità gay, nel corso degli anni per inseguire il mito dell’eterna giovinezza si è sottoposta a numerosi interventi di chirurgia plastica.
Con oltre cinquant’anni di carriera, Cher è entrata nella storia della musica, con oltre 100 milioni di dischi venduti nel mondo. Durante la sua carriera, oltre ad un Oscar come miglior attrice, è stata insignita anche con il Prix d’interprétation féminine a Cannes, un Grammy, un Emmy, tre Golden Globe e un People’s Choice Award per i suoi contributi nel cinema, nella musica e nella televisione.
La ritroviamo negli anni Novanta strizzata in bustier super sexy e immortalata da Herb Ritts. Tra i suoi video ad alto tasso erotico, il singolo If I Could Turn Back Time, che viene censurato da MTV. Nel 1999 arriva un successo galattico con Believe: il singolo è il più venduto da una cantante donna in Inghilterra. Nel 2005 l’artista ha concluso il suo Farewell Tour, durato tre anni.
Lunghi capelli biondi, una bellezza aristocratica e algida, Gaia Repossi è l’ultima fashion icon. La giovane erede dell’impero dei gioielli, nata a Torino nel 1986, si è imposta negli ultimi anni come icona di stile tra le più ammirate al mondo. Regina indiscussa dello street style, immortalata sui magazine patinati più prestigiosi al mondo, la bella Gaia è presenza fissa nel front row delle sfilate. La designer non smette di mietere successi e consensi, anche per i suoi look iconici. Qui un pezzo dedicato ai suoi gioielli.
Il suo è uno stile fresco ma sofisticato, futurista ma intriso di eleganza classica, in cui predominano grinta e personalità: due anni or sono grazie alla sua eleganza effortlessy-chic veniva incoronata dal Financial Times come una delle italiane più eleganti al mondo, ex aequo con la vulcanica fashion editor Giovanna Battaglia. Ma la bionda Gaia da allora ha vissuto una vera e propria escalation nel segno dello stile, che l’ha sdoganata come trendsetter dal gusto impeccabile.
La it girl, figlia del gioielliere Alberto Repossi, è cresciuta tra Montecarlo e Parigi. Dopo una laurea in Belle Arti e due master in Archeologia ed Antropologia, nel 2007 la giovane Gaia prende le redini del brand di famiglia, che rivoluziona radicalmente: la ragazza ha grinta da vendere, non si è lasciata intimorire dal bagaglio storico della maison, che ha impreziosito con tocchi dal sapore tribal e suggestioni punk.
Charme innato, la biondissima Gaia appare impeccabile anche con un semplice paio di jeans. Eleganza disinvolta che non lesina in capi vintage, che abbina con straordinario gusto a tocchi di design contemporaneo. Chanel, Céline, Alexander Wang tra i suoi designer prediletti. Pulizia, sobrietà e minimalismo caratterizzano uno stile sobrio e minimal-chic. Pantaloni capo principe del suo guardaroba, ad evidenziarne la silhouette, ma anche capi dalle proporzioni ampie e teatrali. Black and white e contrasti forti predominano la palette cromatica di un guardaroba che predilige pochi pezzi iconici e strutturati.
Gaia Repossi alterna con disinvoltura il blazer dal taglio sartoriale e dalle suggestioni vintage al tocco modernista di capi strutturati. Perfetta in camicia sartoriale, la vediamo spesso indossare capispalla in pelle e trench dall’appeal disinvolto. Lo stesso equilibrio tra passato e presente è evidente nei suoi gioielli. Tra le sue fan spiccano nomi del calibro di Emma Watson e Chloë Sevigny. Gaia vive tra Parigi e New York ed è fidanzata con un l’artista Jeremy Everett.
Ci sono film che sono entrati di diritto nell’immaginario collettivo, contribuendo a sdoganare fashion trend divenuti evergreen. Colazione da Tiffany, celebre pellicola del 1961 diretta da Blake Edwards e tratta dall’omonimo romanzo di Truman Capote, è forse il film più amato da tutte le donne: lo stile senza tempo della protagonista, Holly Golightly, mirabilmente interpretata dall’indimenticabile Audrey Hepburn, ha incantato intere generazioni.
La splendida attrice, che solo pochi giorni fa avrebbe compiuto 87 anni (qui un pezzo a lei dedicato) è stata una delle icone di stile più amate nella storia: impossibile dimenticare i fantastici outfit indossati nel film, frutto del sodalizio artistico tra Audrey Hepburn e Hubert de Givenchy, celebre stilista che veste la diva nella pellicola in questione.
Copiare lo stile iconico della protagonista di Breakfast at Tiffany’s non è così difficile: must have irrinunciabile è il tubino nero. Capo principe del guardaroba femminile, il “little black dress” (o LBD) si può indossare in tutte le occasioni, dal giorno alla sera. Audrey Hepburn nel film lo abbina a lunghi guanti neri in raso, occhiali da diva, perle all over e, dulcis in fundo, coroncina in testa. Perfetto per un look sofisticato, il LBD è un capo passepartout, che si abbina facilmente ad un trench doppiopetto dalle linee classiche e a scarpe flat o con tacco basso. Suggestioni vintage dominano l’outfit, perfetto per ogni occasione. Charme, fascino e mistero caratterizzano lo stile ispirato ad Holly Golightly: tripudio di femminilità e grazia nella scelta degli accessori, dai gioielli alle scarpe. Un look perfetto sia per il giorno che per la sera, versatile e dinamico, a seconda degli accessori da abbinare.