Tavole imbandite, tovaglie, piatti e porcellane, e, ancora, ortaggi e vivande di ogni tipo fanno capolino da lunghi abiti da sera in impalpabile chiffon di seta. Gusci di uova decorano tailleur bianchi dalle proporzioni a trapezio, in pieno stile anni Swinging Sixties, tra shift dress e stivali. La collezione haute couture Primavera/Estate 2016 di Schiaparelli incanta Parigi, tra ironia e suggestioni surrealiste.
Una sfilata all’insegna dell’originalità, che ha visto un inedito mix di spunti variegati. Il risultato sfiora la genialità, tra fiori e piante che sbucano da tailleurini bon ton, ed altri elementi floreali che decorano lunghi abiti da dea, in cui farfalle volano tra drappeggi e ricami. Eleganza nelle maxi gonne plissettate che completano bluse con fiocco, e dolcezza quasi infantile nelle stampe. Ricami traforati e crochet avvolgono abiti da gran soirée, mentre sul candido bianco di tailleur e lunghi abiti compaiono posate e servizi di argenteria. Il direttore creativo della celebre maison di alta moda, Betrand Guyot, celebra la gioia e l’eleganza dell’atto del nutrirsi, tra uova a la coque e teiere.
Un mood di ispirazione vagamente provenzale, nei tessuti che ricordano le tovaglie, si arricchisce di elementi surrealisti, quali aragoste, conchiglie, cuori e labbra. Colpisce la ricercatezza di ogni dettaglio, fino alle scarpe, i cui tacchi rappresentano i baccelli dei piselli, ma in chiave 3D. Ironia protagonista assoluta di questa sfilata, insieme alla gioia di vivere insita nel cibo, come la stessa Elsa Schiaparelli affermava nel lontano 1954. Un ricettario illustrato di sofisticata eleganza, nelle stampe caleidoscopiche ispirate a Louise Bourgeois, mentre le aragoste omaggiano la celebre collaborazione tra la couturier e Salvador Dalí, che risale al lontano 1937.
Nel front row dell’apprezzatissimo défilé spiccano nomi del calibro di Carla Bruni Sarkozy, Michelle Yeoh, Christian Louboutin, Olivia Palermo, Kate Bosworth e Daphne Guinness, ma anche Pier Paolo Piccioli e Maria Grazia Chiuri, i direttori creativi di Valentino. La palette cromatica predilige tanto bianco, ma anche i toni del giallo e dell’arancio, che vengono sublimati in stampe e fantasie di ispirazione culinaria, per una sfilata tra le più apprezzate.
La prima sfilata di Dior senza Raf Simons mostra il volto di una maison forte, che apparentemente non risente del fulmineo abbandono del direttore creativo belga.
Si, solo in apparenza, perché sembra chiaro come il team creativo capeggiato da Lucie Meier e Serge Ruffieux si sia ispirato all’ultima collezione presentata dal designer, riproponendo le sovrapposizioni asimmetriche dei capi e, in linea generale, alla linea stessa degli abiti.
Avendo avuto abbastanza tempo per ricompattare il gruppo di lavoro, la collezione Haute Couture estate2016 Christian Dior appare dunque un continuum del progetto di Simons, rielaborata in chiave più moderna e audace. L’atteso cambio di rotta stilistico non è stato concretizzato, forse rimandato.
Il défilé, presentato al centro del Musée Rodin in una scenografia composta da giochi di specchi è giovane e porta il peso di una tradizione stilistica davvero onerosa.
La collezione è dedicata alla donna parigina dei nostri giorni, elegantemente naturale, sicura di sé, moderna.
Si parte dalla classica giacca Bar rivisitata nei volumi, rendendola attuale; portata chiusa o aperta, color cammello o semplicemente nera. Si veste di mughetti in3D. Ha una fisionomia couture, ma può essere indossata anche abbinata ad un semplice jeans. È la trasformazione della maison Dior, sempre più vicina al prêt-à-porter.
La superstizione di Monsieur Dior aleggia sui charm indossati su collane o molto semplicemente ricamati sugli abiti e, l’animalier tema tanto caro al couturier, viene dosato in piccole dosi come per omaggiare il ricordo del fondatore della maison.
Una spallina “scivolata” rende audace un abito dai volumi over con sexy scollo oblò sul dietro.
Le reti metalliche (già viste nella passata collezione autunno/inverno 15-16) vestono i seni nudi delle modelle e le ruches movimentano linee affusolate. Infine, Un vedo non vedo osé ci regala una diva anni venti esageratamente hot.
Ci sono donne che nobilitano la moda, conferendole quel tocco di magia che è da sempre prerogativa assoluta del glamour più autentico. Nan Kempner ha fatto della propria vita una parabola vissuta all’insegna dell’eleganza: socialite, protagonista indiscussa del jet set, avida collezionista di capi haute couture ed insuperata icona di stile, Nan Kempner nacque a San Francisco il 24 luglio del 1930.
All’anagrafe Nan Field Schlesinger, la futura icona di eleganza nasce in una famiglia benestante: il padre Albert “Speed” Schlesinger possiede la più grande concessionaria di automobili della California. Esile fin da giovanissima, Nan non possiede una bellezza da copertina, nonostante sia atletica e tonica. È lo stesso padre a consigliarle di puntare su altro, dicendole testualmente: “Con quel viso non ce la farai mai, faresti bene ad essere interessante”. Ed infatti è proprio sul carisma che la giovane punta lungo tutto il corso della propria vita.
Figlia unica, fu sua madre ad iniziarla alle meraviglie della moda. A suo dire la madre vestiva divinamente: fu da quest’ultima che la ragazzina apprese le regole fondamentali che diedero vita a quel suo stile che sarebbe in seguito divenuto iconico. Sua madre le insegnò che vi erano solo tre colori —il rosso, il nero e il grigio— e che i tacchi alti sarebbero dovuti divenire i suoi migliori amici. Contemporaneamente all’amore per la moda nacque nella giovane l’ossessione per la linea: Nan iniziò a stare in dieta all’età di 12 anni senza smettere mai nel corso della sua vita, ed iniziò a fumare all’età di 14. Dopo aver frequentato la Hamlin School di San Francisco, Nan Kempner si iscrisse al Connecticut College for Women dove studiò per un anno storia dell’arte, ma senza conseguire il diploma. Poi si trasferì per un anno a Parigi, dove frequentò la Sorbona e un corso di pittura tenuto dal maestro Fernand Léger. Ma quest’ultimo, resosi conto di quanto la giovane fosse negata, le restituì indietro il denaro.
Dopo aver lavorato come volontaria presso il Museo delle arti di San Francisco, nel 1952 convolò a nozze con Thomas Lenox Kempner. Dall’unione nacquero tre figli. Galeotto fu il primo incontro tra i due, con il marito che notò come prima cosa la minigonna Dior indossata dalla giovane. Un primo appuntamento al Monkey Bar di New York City in cui i due non smisero di scambiarsi insulti per una notte intera, come la stessa socialite raccontò più volte, diede vita ad una grande passione. Dopo aver vissuto a Londra per un breve periodo, i Kempner si trasferiscono nella Grande Mela: qui Nan sfodera doti imprenditoriali notevoli: in trent’anni la sua attività riesce ad incrementare i fondi del Memorial Sloan-Kettering Cancer Center fino ai 75.000.000 di dollari.
Nel privato la Kempner colleziona capi di alta moda: la sua è una passione iniziata quando era ancora una ragazzina. Il suo archivio privato si arricchisce nel tempo di capi preziosi ed esclusivi, fino a divenire per proporzioni una delle più ricche collezioni private del Paese, con pezzi tra i più iconici e rappresentativi del 20esimo secolo. Spiccano capi di designer del calibro di Valentino, Karl Lagerfeld per Chanel, Mainbocher, Christian Dior, oltre agli stilisti prediletti dall’icona di stile, Bill Blass e Yves Saint Laurent, di cui si contano oltre 300 pezzi. Considerata una vera e propria autorità tra le più preparate nel settore moda, Nan Kempner era una habitué delle sfilate: si dice che in 55 anni abbia perso solo una settimana della moda, a seguito della scomparsa di suo padre. In un’intervista rilasciata al The Independent of London nel 1994 dichiarò di essersi persa solo una delle ultime 63 sfilate di Yves Saint Laurent, di cui fu musa storica ed amica.
Durante il corso della sua vita, letteralmente dedicata alla moda e allo stile declinato in ogni sua forma, Nan Kempner lavorò come contributing editor per Vogue Paris, fashion editor per Harper’s Bazaar, designer consultant per Tiffany & Co. nonché come rappresentante internazionale della celebre casa d’aste Christie’s. Inoltre l’icona di stile impartì occasionalmente lezioni di moda presso il Metropolitan Museum of Art e la New York University. Ritratta da Andy Warhol nel 1973, immortalata sulle riviste patinate con i suoi outfit sempre eccentrici e sofisticati, Nan Kempner è stata anche autrice del volume “R.S.V.P.: Menus for Entertaining From People Who Really Know How”, edito da Clarkson Potter, i cui proventi furono interamente devoluti in beneficenza. Si, perché Nan Kempner è stata anche una grande filantropa, generosa come poche e sempre in prima linea nelle opere di charity. Incarnazione dello chic newyorkese, regina dei party e degli eventi più esclusivi, illuminò la scena della Grande Mela per oltre quarant’anni con il suo stile inimitabile. Celebri le parole con cui si espresse un monolite della moda del calibro di Diana Vreeland, secondo la quale “In America non ci sono donne chic. L’unica eccezione è Nan Kempner”. Valentino Garavani ne ammirava l’eleganza con cui riusciva ad indossare i suoi capi, con quel fisico tonico e scolpito. L’icona di stile ispirò la coniazione del termine “social X-ray” utilizzato all’interno del romanzo Il falò delle vanità di Tom Wolfe.
Fashionista ante litteram, Nan Kempner comprò il suo primo abito Dior quando la madre la portò nella sede della storica maison a Parigi, nel 1958. Si tramanda l’aneddoto secondo cui la ragazzina, sprovvista del denaro sufficiente per acquistare quel capo —un abito bianco con cappotto coordinato— scoppiò in un pianto disperato e continuò a singhiozzare finché non attirò l’attenzione d un giovane dai grandi occhiali. Trattavasi di Yves Saint Laurent, giovane assistente di monsieur Christian Dior. La ragazzina continuò a piangere finché l’addetto alle vendite non abbassò il prezzo del capo per renderlo più vicino al suo budget. Avida collezionista di moda, Nan Kempner sviluppò in seguito una vera e propria ossessione per i capi di Yves Saint Laurent, Valentino ed Oscar de la Renta. Cominciata nel corso degli anni Sessanta, la sua passione per lo shopping non trovò mai fine nei successivi cinquant’anni. Frizzante, deliziosamente frivola, Nan Kempner conquistava chiunque con la propria personalità, emblema di quella fetta della popolazione femminile che attraverso la moda riesce a sognare e ad emozionarsi. “Dico sempre a tutti che voglio essere seppellita nuda perché deve senza dubbio esserci un negozio nel luogo in cui andrò”, dichiarava nel 1972 al magazine Women’s Wear Daily. Socialite tra le più apprezzate, protagonista indiscussa dei party più esclusivi, dichiarò che “non si sarebbe persa per niente al mondo neanche l’opening di una porta”. Autoironica come poche, raccontò che non sapendo che occupazione dichiarare nei documenti, non sentendosi abbastanza ricca da considerarsi una vera filantropa e non amando definirsi una socialite, scrisse semplicemente “casalinga”.
Definita da Yves Saint Laurent ‘la plus chic du monde’, lo stile di Nan Kempner era improntato ad una grande ricercatezza e ad una certosina cura del dettaglio. Amante del mix & match, l’icona di stile si dilettava nel creare outfit bizzarri ed eccentrici, mixando tra loro pezzi variegati. Lo stile secondo Nan Kempner consisteva nel riuscire ad esprimere la propria individualità e nell’abilità di mixare i capi. Celebre la sua propensione allo styling e alle sovrapposizioni, anche le più audaci, come quando riusciva ad indossare mirabilmente il più classico dei tailleur Yves Saint Laurent con un paio di jeans boyfriend.
Nan Kempner fu tra le prime donne ad abbracciare il trend del menswear. Non particolarmente amante dei vezzi femminili, cercava sempre di aggiungere un tocco maschile anche alla mise più sexy. Emblema vivente della massima “less is more”, non era raro vederla indossare la domenica la sua uniforme tipica, composta da un paio di Levi’s 501, una camicia bianca e una maglia indossata sulle spalle. Presenza fissa della Hall of Fame dell’International Best-Dressed List ideata nel 1940 da Eleanor Lambert, in un’intervista a Town & Country del 1999, alla domanda postale da Annette Tapert su come avrebbe descritto il proprio stile, Nan Kempner rispose senza esitazioni “artificiosamente rilassato”. Lo shopping rimase sempre la sua passione più grande: fino alla veneranda età di 72 anni la socialite era solita acquistare delle minigonne, che indossava in spiaggia con bikini Etro e poncho. Casual e minimal-chic, l’icona fu tra le prime a sdoganare la chirurgia plastica. Vanitosa e primadonna nell’animo, adorava fare le sue entrate ad effetto, attirare l’attenzione ed essere fotografata. Perennemente in viaggio tra Londra, Parigi, Gstaad, Venezia, San Francisco e Los Angeles, non si perdeva una sfilata né un party, e adorava sciare e prendere il sole.
Spendeva in abiti “più di quanto avrebbe dovuto e meno di quanto avrebbe voluto”, perfettamente a suo agio nel suo fisico atletico, frutto di duri allenamenti che avevano luogo quotidianamente nella palestra che fece costruire all’interno del suo appartamento e che le permettevano di entrare perfettamente nei capi di sfilata, indossati dalle mannequin. Amante della bellezza in ogni sua forma, nel suo appartamento il lusso era la parola d’ordine: la vediamo indugiare dinanzi alla sua incredibile cabina armadio, che farebbe impallidire la fashion victim più sfegatata, oppure nei fasti dei saloni, impreziositi da una deliziosa carta da parati francese dipinta a mano, tra preziosissimi quadri di René Magritte, antichi bric-à-brac provenienti dalla Cina, collezioni di libri d’arte e bassorilievi in bronzo realizzati da Robert Graham.
Nan Kempner si è spenta il 3 luglio del 2005 all’età di 74 anni, per enfisema polmonare. Fumatrice incallita, trascorse gli ultimi anni della propria vita in condizioni critiche, respirando con l’aiuto di una bombola di ossigeno. Due mesi dopo la sua scomparsa la sua famiglia ha organizzato una commemorazione in suo onore presso la sede di Christie’s, a cui presero parte oltre 500 suoi amici. Nel dicembre 2006 il Costume Institute del Metropolitan Museum of Art ha inaugurato una mostra dedicata alla smisurata collezione di capi haute couture dell’icona di stile. Nan Kempner: American Chic era composta da oltre 75 outfit, tra cui capi Galliano per Dior, Lagerfeld per Fendi, Ungaro, Jean Paul Gaultier e Lanvin. La mostra si è poi spostata al Fine Arts Museums di San Francisco.
Tantissimi sono gli aneddoti che ci svelano una donna ironica e dalla personalità scoppiettante; a partire da quella volta in cui, nel corso degli anni Sessanta, Nan Kempner decise di indossare una tuta pantaloni per una cena al ristorante La Côte Basque, in barba al dresscode della serata, che vietava espressamente alle donne l’uso dei pantaloni. Quando le fu negato l’ingresso, lei tolse i pantaloni e disse sprezzante a Madame Henriette, “Spero che questo le piaccia di più”. Indossò quindi il top come un vestito e sfoderò una adorabile nonchalance. Audace e sofisticata, sfoggiava savoir faire e self-confidence, convinta com’era che “Non è cosa indossi, ma come lo indossi”. Una grande lezione di stile. Meditate.
Dopo l’amarcord attraverso le emozioni suscitate da John Galliano per Christian Diorqui, D-Art, in occasione del decennale del designer italiano per la maison di moda francese, vi conduce, grazie a 5 video, nel ricordo delle sfilate più memorabili.
Ci si aspettava un designer con una forte impronta italiana, ricco di positivismo e opulenza quando, circa dieci anni fa, Riccardo Tisci debuttò sulle passerelle parigine dell’Haute Couture, lasciando tutti senza fiato.
La Maison Givenchy stava fallendo e l’unica ancora di salvezza era risollevarne le sorti affidandosi a un talento che stava proiettando la sua personale visione sul mondo.
Scoperto alla settimana della moda milanese, nell’autunno 2004, Tisci decise di portare in passerella il lato oscuro della moda, sperimentando materiali innovati e volumi decostruiti, ricchi di riferimenti al mondo dell’arte sacrale e al gotico grottesco. Un anticipatore di tendenze in grado di spianare la strada a quello che sarebbe stato il trend degli anni a seguire.
La melanconia, la forte religiosità, l’infanzia segnata dalla perdita del padre e l’aura della femminilità che pervade le sue giornate, grazie alle otto sorelle, mix esplosivo e fonte ispirazionale costante. Il designer è riconosciuto anche per l’italianismo soffuso, mai invadente, che, però, ha sempre celato una critica al panorama politico e sociale.
E’stato lui stesso a sdoganare il fenomeno “no gender” iniziando, anni orsono, a giocare con l’ambiguità e la varietà razziale.
Sin dalla sua prima collezione, 8:30, The Procession, elaborata come progetto finale per la Central Saint Martins School di Londra, frequentata grazie a una borsa di studio, ha, inoltre, denotato una forte sensibilità per il mondo delle arti.
Proprio per questo motivo, sceglie da sempre la collaborazione di Marina Abramović, Antony Hegarty, Vanessa Beecroft e Erykah Badu.
E grazie alla sue forte identità, i riconoscimenti da parte del mondo dello spettacolo sono cresciuti a dismisura. Maria Carla Boscono, Madonna e Donatella Versace che, nonostante fosse una concorrente, ha posato per una delle ultime campagne Givenchy, solo alcune delle sue estimatrici.
La moda di Tisci, inoltre, è democratica. Basti pensare che, dieci anni dopo il suo ingresso nell’ufficio stile, è diventata anche social: 1200 gli inviti estesi alla gente comune per la sfilata celebrazione a New York, lo scorso 11 settembre.
Una notizia che spiana la strada all’excursus attraverso i 5 show evento che, in questi anni, hanno fatto breccia nella collettività:
Un video inedito per ricordare il debutto per la casa di moda con l’Haute Couture Primavera/Estate 2006.
Il leitmotiv è il leopardato. Una giungla pagana, quella di Tisci, che bandisce la religiosità portando in passerella, per la prima volta, un transgender: Lea T.
Con l’utilizzo dell’iconografia neo gotica dà il via a uno dei trend dell’ultima decade.
E’ Path McGrath, make up artist di fama mondiale, a celarsi dietro ai volti tribali visti in passerella. Una scelta stilistica che, tutt’oggi, identifica gli show Givenchy.
Haute couture e Ready to wear si fondono in un’unica visione. E’ il percorso della casa di moda negli ultimi dieci anni. La femminilità viene mixata agli elementi del guardaroba maschile bandendo il technicolor.
Vi trasportiamo nella teatralità di cinque sfilate di Haute Couture che, grazie all’estro di Galliano, resteranno per sempre impresse nella Storia della Maison.
Mentre nel 2015 si annuncia la fine dello stile normcore, l’avvento del genderless e un vago ricordo della tendenza hipster, a suon di condivisioni su Instagram e estemporanei video su Snapchat, il ricordo vola all’enfasi e all’aura che circondavano l’universo moda appena qualche decennio fa.
La democratizzazione è in atto e la visualizzazione delle sfilate in HD rende la virtualità un effettivo passepartout per il sistema.
Facendo un passo indietro nel tempo riaccendiamo insieme la tv sintonizzata sui notiziari che ci trasportavano nel fantasmagorico mondo delle sfilate di Haute Couture parigine,legate indissolubilmente all’immaginario iconico di John Galliano per Christian Dior.
Misticismo teatrale e coinvolgimento dei sensi, davanti allo schermo si veniva trasportati in un mondo parallelo fatto di mirabolanti creature in passerella, talvolta grottesche, senza riuscire a distinguere la linea di confine tra effettiva realtà e finzione. Sin dalla produzione scolastica , presso la Central Saint Martins School di Londra,il designer si è ispirato alle arti e alla storia, tanto da ideare, come progetto di tesi, una collezione dedicata agli Incroyables, passata oramai agli annali.
Un imprinting fatto di amore per il costume trasmesso dalla madre, insegnante di flamenco, che amava fargli indossare gli abiti più stravaganti.
Tradizione che Galliano non ha perso nel corso degli anni, infatti, la ciliegina sulla torta di ogni fashion show era la sua uscita in abito da scena.
Annoverato più volte tra i migliori designer britannici, espatriato da Londra a Parigi, prima di approdare a Dior, dal 1997 al 2012, ebbe un’esperienza da Givenchy. La fine della sua carriera presso la Maison francese venne segnata da un video in cui rivelava affinità con l’antisemitismo. Collaborazione troncata e ritorno sulle passerelle solo nel gennaio di quest’anno, con la firma delle nuove collezioni Martin Margiela.
Per rivivere le emozioni epidermiche, di quelle che configureranno per l’eternità come memorabili passerelle di Alta Moda, ecco un excursus esplicativo da portare impresso nella mente:
Il Dior Express attraversa la Cina e il Giappone per un viaggio attraverso le meraviglie dell’Asia e i suoi broccati.
Ispirato dall’ Antico Egitto il couturier porta in passerella il lusso estremo della Valle dei Re estrapolato dai geroglifici e dagli affreschi tombali.
In un giardino in cui rivive l’era edoardiana, tra ricami e trasparenze, si racconta la storia del centenario di Christian Dior reincarnato nella sensualità di suadenti dive.
Trasportati in un feudo medievale, con tanto di labirinto nel castello, Galliano si perde tra moderne Giovanna d’Arco e Carmina Burana.
Un salto in Oriente per raccontare la triste storia d’amore tra Madame Butterfly e il Capitano Pinkerton. Così il New Look di Christian Dior si incastra perfettamente alla tradizione giapponese fatta di origami.
Rivoluzione in casa Saint Laurent. Dopo anni di prêt-à-portersi torna all’Haute Couture. Hedi Slimane, dal 2012 a capo della direzione creativa dello storico brand francese, ha appena presentato le prime foto della nuova campagna pubblicitaria dell’esclusiva “ligne privée”. Una collezione che travalica l’haute couture: la linea si presenta come il ritorno ad una sartorialità ormai estinta.
Non ci sarà alcuna sfilata ma a beneficiare delle esclusive creazioni sarà una ristretta élite di celebrities, principalmente attori e musicisti. Si tratterà di capi sia maschili che femminili, sia da giorno che da sera.
Slimane, già dall’età di ventisette anni direttore creativo della linea YSL Rive Gauche nonché pupillo di Pierre Bergé, nel 2012 assunse le redini della maison cambiandone anche il nome, non senza una lunga scia di polemiche da parte dei “puristi”. Dopo aver radicalmente cambiato lo stile che caratterizzava la maison francese, conferendogli un’allure più moderna e metropolitana, ora si torna alle origini.
Le collezioni Haute Couture di Yves Saint Laurent hanno fatto storia: impossibile non ricordare le top models, da Carla Bruni a Claudia Schiffer e ancora Karen Mulder fino ad una prorompente Laetitia Casta in versione botticelliana.
Uno stile inconfondibile, che conferiva ad ogni donna un’aria da diva. Sofisticata, in lunghi guanti di raso e sfarzosi abiti da sera, o misteriosa, il volto nascosto sotto eleganti cappelli e tailleur dalla linea perfetta.
L’opulenza e lo charme di un’epoca felice della moda internazionale. Innumerevoli le muse di monsieur Yves, da Loulou de la Falaise a Catherine Deneuve.
Auspichiamo che tale arte possa ritornare, dalle gloriose vestigia del passato di casa Saint Laurent.
Anton Giulio Grande ha portato in scena le sue dame settecentesche alla Galleria d’Arte Benucci di Roma per la presentazione della sua Haute Couture
Uno scenario d’altri tempi per Anton Giulio Grande, lo stilista calabrese che in occasione di AltaRoma 2015 ha portato in scena dame e cortigiane avvolte da splendidi abiti monumentali che hanno fatto rivivere il ‘700 tra le sale della Galleria d’Arte Benucci di Roma.
Lo stilista ha scelto di aprire così AltaRoma per presentare la collezione Haute Couture, i visitatori si sono destreggiati tra letti a baldacchino, una moto d’epoca, specchi settecenteschi e grandi tavolate di legno intarsiate sapientemente.
Su ogni pezzo d’epoca apparivano con aria eterea e sensuale dame dal piglio malizioso che giocavano con abiti dagli spacchi e scolli generosi, tessuti leggeri, impalpabili, impreziositi da cristalli, macramè, velluti, swarovsky.
Donne fasciate da bustini, abiti in pizzo, taffetà plissettato, creazioni realizzate dalle sapienti mani dello stilista calabrese Anton Giulio Grande.
Anche il make up e i capelli sono stati curati nel minimo dettaglio, realizzando acconciature settecentesche e trucco alla Maria Antonietta di Sofia Coppola.
Una kermesse piacevole, ricca ed elegante. Uno stilista di grande talento che ha reso possibile un perfetto connubio tra modernità e tradizione in modo impeccabile.