Bologna è come una donna sincera, con i seni morbidi, il sorriso aperto, i modi semplici e il fare bonario. Non si nasconde, non recita, è buona come le sue infinite e caotiche trattorie.
Ci da’ sempre l’occasione di arricchirci di quelle sensazioni profonde che non danno né i quadri nè gli oggetti, ma la vita stessa. Le potete percepire nei vicoli natalizi che agitano la città, tra la folla allegra in cerca di regali, i turisti appaesati, nelle osterie tradizionali dove l’oste si premura che stiate bene, abbiate mangiato meglio e vi siate riparati dal freddo invernale con un buon piatto di cappelletti in brodo.
Forse ci somigliano un po’ tutti se queste piccole coccole ci alleviano i dolori, e in queste piccole gentilezze, Bologna ci regala degli appuntamenti assolutamente da non perdere, quattro tappe in città da raggiungere a piedi.
LA MOSTRA DI VIVIAN MAIER
A PALAZZO PALLAVICINI
Dal 07 settembre 2023 al 28 gennaio 2024 in via San Felice 24
La mostra di Vivian Maier a Palazzo Pallavicini ci racconta l’architettura urbana tra New York e Chicago negli anni ’50-’60, l’eleganza delle auto e dei costumi, le abitudini e le mode.
La “bambinaia fotografa”, così l’hanno soprannominata quando le sue pellicole furono ritrovate in scatoloni nascosti e accumulati in un box dimenticato, ci svela tutta la bellezza della stranezza, negli scatti delle periferie abitate da prostitute, senzatetto, giganti buoni che guardano una vetrina insieme ad un amico “ordinario”, tanto da ricordare Diane Arbus e la sua ricerca amorevole dei “freak“.
La strada era il suo teatro di posa, non c’è immagine che risulti banale, ogni composizione è scelta per caratterizzare il soggetto, un dettaglio, un gesto, una coppia che si tiene per mano, un bianco che offre delle monetine ad un nero, un edicolante assonato, una coppia di amiche con un collo di pelliccia in volpe un poco macabro, un’elegante signora che guarda lontano. Tutto ci parla con intensità della sua visione del mondo; lo fa senza giudicare, avvicina solo un poco lo sguardo attraverso la sua macchina fotografica, per farci guardare meglio, ma sempre con estrema delicatezza.
Anche nei tagli netti, Vivian Mayer riesce a cogliere il cuore del momento, come nella foto datata 18 settembre 1962 dove una bambina di bianco vestita tiene per la gonna la madre dal tubino nero e le décolleté a spillo. La Mayer qui sceglie di tagliare i volti e concentrarsi sul bianco candido della piccina e il nero serioso della donna, mettendosi all’altezza dei più deboli, di chi necessita di attenzioni e conserva ancora la purezza dell’età.
Credo che con l’avvento del colore e l’utilizzo della Leica (siamo nei ’70), Vivian Maier abbia forse un po’ perso quell’intensità e quella crudezza dei primi tempi in bianco e nero; forse qualcosa è cambiato anche nella sua vita, anche se sul suo conto sappiamo poco o nulla, a parte il suo mestiere di bambinaia che le permetteva di acquistare pellicole e viaggiare parecchio insieme alle famiglie, e che era diventata un’accumulatrice seriale di giornali che trattavano tematiche sociali, politiche, ma soprattutto di cronaca nera. Pile e pile di quotidiani furono ritrovati nelle stanze dove viveva, e altrettante scene del crimine furono immortalate nelle sue fotografie e nei brevi video che in questa mostra troverete.
Il lavoro di Vivian Maier rimane comunque un mistero, qualcuno ancora pensa che sia una trovata di marketing fatta dallo scavatore d’oro di questa artista meravigliosa, ma i suoi autoritratti ci parlano di una donna in carne ed ossa, che ha rinunciato alla maternità per dedicarsi tutta una vita ai bambini degli altri, e che con grande generosità ci ha regalato immagini di un’epoca che possiamo vivere attraverso i suoi occhi, di una New York degli invisibili, di una street photography che ha potenza, ironia, evocazione, allusione, come quel profilo d’uomo col cappello nero, che tiene in mano un giornale da cui si legge solo “Killers”.
GUERCINO
Pinacoteca Nazionale di Bologna
28 ottobre 2023 -11 febbraio 2024
Dopo quasi un secolo di studi dedicati alla figura di Giovanni Francesco Barbieri detto il Guercino, l’esposizione della Pinacoteca Nazionale di Bologna intende fare luce sulle straordinarie doti imprenditoriali, tecniche e organizzative che, sin dalle prime fasi della sua attività, lo portarono a strutturare un atelier prolifico, caratterizzato da complesse dinamiche professionali che rispondevano alle esigenze del collezionismo e del mercato artistico.
Nato a Cento nel 1591, il Guercino studiò dapprima con Benedetto Gennari senior e poi completò la sua formazione tra Modena e Bologna, entrando in contatto con specialisti della pittura murale e con rinomati esponenti della scuola bolognese, tra cui Ludovico Carracci col quale ebbe un rapporto di reciproca stima. Dopo il soggiorno a Roma (1621-1623) su invito di papa Gregorio XV Ludovisi, che ne ammirava le straordinarie abilità di decoratore e la maniera sprezzante e robusta, la fama del Guercino crebbe e, con essa, anche la mole di lavoro che lo portò a organizzare il suo studio come un’azienda familiare e a disciplinare il lavoro dei suoi assistenti, tra i quali vi erano i Gennari e il fratello Paolo Antonio, ognuno con un preciso compito, artistico o gestionale.
Dal 1642 fino alla morte avvenuta nel 1666 il Guercino visse con i suoi familiari nella grande casa studio di via Sant’Alò 3, in cui l’abitazione privata e gli spazi professionali coincidevano.
In una delle sale, sotto una grande teca, è esposto il Libro dei conti (1629-1666), uno strumento insostituibile nello studio del Guercino, che consente di ricostruire con precisione l’attività dell’artista tra il 1629 e il 1666, anno della sua scomparsa. Grazie al prezioso registro è possibile mettere a fuoco la clientela dello studio, la tipologia delle opere prodotte – oltre che dal Guercino anche dal fratello Paolo Antonio Barbieri – e le variazioni dei prezzi nel corso degli anni. L’ultima nota, stesa da Benedetto Gennari il 22 dicembre 1666 ricorda la scomparsa del celebre pittore e la sua importante eredità: “II Sig. Zio Giovanni Francesco Barbieri terminò i suoi giorni, e le sue gloriose fatiche lasciando in tutte le Città d’Italia, et anche fuori memoria eterna della sua Virtù, come della sua bontà e delle sue facoltà ne lasciò Heredi noi Benedetto, e cesare Gennari suoi nipoti”.
Di particolare pregio, il dipinto “Ortolana” del 1655, ci introduce al tema delle specializzazioni praticate nello studio: Paolo Antonio è l’autore del brano di natura morta, con i commestibili investiti da un lume che ne rivela le consistenze e indugia sul sottile pulviscolo delle prugne, riverse accanto alla stadera della venditrice, che fu eseguita in un secondo momento dal Guercino. La tela è ricordata in termini elogiativi da Carlo Cesare Malvasia (1678), che informa della sua originaria collocazione nella villa suburbana dei Ludovisi a Roma, dove giunse dopo essere stata acquistata dal marchese Achille Albergati nel 1655.
Il dipinto “San Giovanni Evangelista” del 1653 circa raffigura il santo mentre sorregge un calice da cui esce un serpente, rievoca l’episodio secondo cui l’apostolo avrebbe bevuto del vino avvelenato rimanendone incolume. La luce, proveniente da destra, illumina i lineamenti delicati del giovane e produce riflessi sulla lamina dorata del calice che acquista un efficace effetto prospettico. Gli allievi del Guercino riproporranno, in quadri da stanza e mezze figure, la partecipazione emotiva e l’intimo raccoglimento espressi in questo dipinto, esposto per la prima volta in un museo.
Santa Maria Maddalena e San Paolo Eremita rispettivamente del 1652-1655 erano parte di una serie di quattro dipinti che il Guercino, secondo quanto tramanda Carlo Cesare Malvasia, che avrebbe eseguito per arredare la sua casa bolognese in via Sant’Alò. Esemplari dell’attività tarda, le opere testimoniano il perdurare dell’interesse per il paesaggio a cui il pittore concede un ruolo predominante. I toni accesi e contrastati della fase giovanile si trasformano in delicate tonalità pastello, testimonianza del rinnovato interesse classicista stimolato dall’incontro con la pittura di Guido Reni, il cui approfondimento avvenne col trasferimento del Guercino a Bologna nel 1642.
IRIDE
Via Caduti di Cefalonia, 2/d
C’è una parte del nostro corpo che vede ma che noi non possiamo guardare realmente da vicino. I nostri occhi. Che osservano e indagano, ma che lo specchio non riporta fedelmente. Di questo misterioso mondo che è l’iride,
nello studio Limbo Gallery di Bologna, sito in via Caduti di Cefalonia, potrete ottenere l’immagine ingrandita, nelle sue infinite sfumature, colori che non avreste immaginato, figure astratte e lapilli, aurore boreali, crateri e lune. L’iride diventa una vera e propria opera d’arte, e con un piccolo servizio aggiuntivo, potrete richiedere anche la lettura ad una iridologa legata al progetto; sì perchè se è vero il detto che “gli occhi non mentono”, l’esperta leggerà lo stato di salute dei vostri organi interni, fegato, reni, stomaco etc. e alcuni tratti del vostro carattere, similmente allo studio della fisiognomica.
OPERA UNICA
Via Caduti di Cefalonia, 2/d
In Via Caduti nel centro storico di Bologna, Marco Onofri ha fondato il progetto “Opera Unica“.
Non solo per nostalgici, Opera Unica è un bellissimo regalo che potrete fare a voi stessi o alla vostra famiglia, un ritratto intimo in bianco e nero, una foto stampata che vi racconta senza filtri, attraverso gli occhi di un fotografo che fa della gentilezza la sua firma. Marco Onofri riesce davvero a catturare quel tratto che cercate di nascondere e che in fondo, come spesso succede, vi rende invece speciali, unici. Uno sguardo malinconico, un sorriso spontaneo, un accenno di timidezza, Opera Unica sarà il ritratto onesto e fedele a voi stessi, che potrete portarvi a casa subito, scegliendo i diversi tipi di stampa.
Da Opera Unica i ritratti di famiglia accolgono anche i vostri amici a quattro zampe, simpatici cagnetti pelosi che negli scatti ricordano le ironiche immagini di Elliott Erwitt, il grande fotografo statunitense che ci ha lasciato il mese scorso. Momenti di grande ilarità, divertimento e grande commozione, da Opera Unica vivrete un’esperienza, unica.