Roosevelt 1941 – Il giorno dell’infamia

Il primo mandato di Roosevelt si aprì a poche settimane dall’insediamento di Hitler in Germania e dalla decisione giapponese di lasciare la Società delle Nazioni, due episodi che mostravano la fragilità degli equilibri mondiali. La crisi economica internazionale condizionò pesantemente anche la politica estera di Roosevelt.
Il primo mandato della presidenza di Roosevelt fu caratterizzato, come egli stesso programmò il giorno dell’insediamento, da una “politica di buon vicinato, quella di chi ha il massimo rispetto per se stesso e così facendo rispetta anche i diritti degli altri”.
Ciò si tradusse nella continuazione del disimpegno militare americano in America Latina, avviato dai suoi predecessori repubblicani.


La convenzione democratica, riunitasi nel giugno 1936, confermò con entusiasmo Roosevelt quale candidato alle elezioni presidenziali di quell’anno. Egli esaltò i risultati raggiunti con il New Deal e promise di continuare su quella strada. I repubblicani invece condannavano tali provvedimenti e accusavano il presidente di aver usurpato i poteri del Congresso scegliendo come candidato un repubblicano progressista, Alf Landon dal Kansas, l’unico governatore repubblicano che era riuscito a mantenere la carica nelle elezioni del 1932, vinte in maniera schiacciante dai democratici.
I toni della campagna elettorale furono spesso aspri: Roosevelt usò parole dure contro gli uomini dell’alta finanza; in cambio i repubblicani lo accusarono di essere un demagogo privo di principi morali. I risultati delle elezioni invece diedero a Roosevelt una vittoria ancora più marcata e netta di quattro anni prima: egli ottenne quasi ventotto milioni di voti (pari al 60,80%), vinse in ben 46 stati su 48 e conquistò la cifra record di 523 grandi elettori contro i soli 8 di Landon. Il partito del presidente ottenne tre quarti dei seggi al Senato e i quattro quinti della Camera dei rappresentanti. Il voto dimostrò l’appoggio del popolo americano alle politiche di Roosevelt e bocciò sonoramente l’opposizione repubblicana.


Con una mossa senza precedenti, Roosevelt cercò un terzo mandato consecutivo nel 1940.
Fino a quel momento tutti i presidenti avevano rispettato la regola non scritta stabilita da George Washington, che nel 1793 aveva rinunciato al terzo mandato affermando che troppo potere non doveva essere accentrato per troppo tempo nelle mani di un solo uomo. In seguito, nel 1951, questa regola fu resa esplicita con un emendamento costituzionale; pertanto Roosevelt rimarrà per sempre l’unico presidente ad avere svolto più di due mandati consecutivi.
Sebbene molti nel Partito Democratico vedessero che Roosevelt era già sofferente, al punto che non si era certi che potesse ricoprire un quarto mandato, non ci fu quasi discussione sul fatto che, in tempo di guerra, sarebbe stato il candidato del partito nelle elezioni del 1944.
Tenendo conto della salute di Roosevelt, convinsero il senatore del Missouri Harry Truman a formare la coppia di candidati democratici nel 1944. La coppia Roosevelt e Truman vinse le elezioni, tenutesi il 7 novembre 1944, sconfiggendo lo sfidante, il popolare repubblicano Dewey.
Nel 1941 gli interessi contrapposti del Giappone e degli Stati Uniti in Asia e nel Pacifico, specialmente in Cina, produssero una rottura delle relazioni diplomatiche al punto che la guerra sembrava inevitabile. Roosevelt finanziò largamente le spese di guerra con emissioni di titoli a lungo termine emessi dal Tesoro, i Titoli Serie E, ideati dal suo amico ed allora segretario del Tesoro degli Stati Uniti, Henry Morgenthau


Il 14 gennaio 1943 Roosevelt fu il primo presidente degli Stati Uniti a viaggiare in aereo durante la carica, con il suo volo da Miami al Marocco per incontrare Winston Churchill e discutere della seconda guerra mondiale. L’incontro si concluse il 24 gennaio. Tra il 4 e l’11 febbraio del 1945 partecipò, insieme a Stalin e Churchill, alla Conferenza di Jalta, il più famoso degli incontri nei quali fu deciso quale sarebbe stato l’assetto politico internazionale al termine della guerra.
Il suo messaggio al Congresso e alla nazione l’8 dicembre 1941, dopo l’attacco di Pearl Harbor, entrò nella storia con la frase: «Il 7 dicembre 1941 – una data che vivrà nell’infamia». Dopo questo discorso gli Stati Uniti entrarono nella seconda guerra mondiale a fianco degli Alleati.
Nel 2000 il fotografo Robert Stinnett, dopo un lungo lavoro di ricerca, ha riproposto la teoria della cospirazione architettata da Roosevelt e i suoi collaboratori per indurre i giapponesi ad attaccare Pearl Harbor; le tesi di Stinnett in sintesi sono che Roosevelt avrebbe applicato un piano per provocare l’attacco giapponese contro gli Stati Uniti e che all’ammiraglio Kimmel sarebbe stato impedito di condurre esercitazioni che avrebbero fatto scoprire la flotta giapponese in arrivo, flotta che in realtà, secondo Stinnett, non avrebbe mantenuto il silenzio radio e, anzi, i suoi messaggi sarebbero stati intercettati e decifrati dai servizi statunitensi. Il lavoro di Stinnett è stato tuttavia fortemente criticato da altri studiosi, che lo hanno smentito in vari modi, e le sue deduzioni sono state ritenute non esatte.


I servizi segreti britannici e dell’FBI avevano delle informative su possibili attacchi a quasi tutte le installazioni militari statunitensi (sabotaggi, attacchi aerei o navali, spionaggio) attribuite alle potenze dell’Asse o all’URSS (percepita già dai servizi informativi dell’FBI come la maggiore minaccia).
La possibilità di un attacco a Pearl Harbor arrivò a John Edgar Hoover, l’allora direttore dell’FBI, attraverso dei contatti informali con i servizi segreti britannici, che passarono agli USA il loro agente Dušan Popov, al servizio dei tedeschi ma in realtà doppiogiochista schierato con gli Alleati. Popov informò i suoi superiori sull’attenzione mostrata dai giapponesi verso l’attacco di Taranto e le installazioni militari alle Hawaii.


In ogni caso l’FBI non ritenne Popov affidabile e non prese in considerazione le sue soffiate, ostinandosi inoltre a non collaborare con i servizi segreti britannici. Subito dopo l’attacco Hoover si accorse di aver commesso un grave errore, diventando uno dei registi occulti delle teorie cospirative contro Roosevelt in modo da creare una cortina di nebbia attorno alla propria negligenza.




Ieri, 7 dicembre 1941 – una data che resterà segnata dall’infamia – gli Stati Uniti d’America sono stati improvvisamente e deliberatamente attaccati da forze aeree e navali dell’Impero del Giappone.
Gli Stati Uniti con loro erano in pace e su sollecitazione Giapponese, eravamo ancora in fase di colloquio, col loro governo e con l’imperatore, per mantenere questo status nel area Pacifica.
In realtà, un’ora dopo squadroni aerei giapponesi aveva iniziato i bombardamenti sull’isola americana di Oahu, l’Ambasciatore giapponese negli Stati Uniti e il suo collega hanno consegnato al nostro Segretario di Stato una risposta formale ad un recente messaggio americano. Sebbene questa risposta affermava che sembrava inutile proseguire i negoziati diplomatici in corso, non conteneva alcuna minaccia o accenno di guerra o attacco armato.


Verrà ricordato che la distanza delle Hawaii dal Giappone rende evidente che l’attacco sia stato deliberatamente programmato molti giorni o addirittura settimane fa. Nel contempo il governo giapponese ha intenzionalmente cercato di ingannare gli Stati Uniti con false dichiarazioni e espressioni di speranza a favore di una pace duratura.
L’attacco di ieri sulle isole hawaiane ha causato gravi danni alle navali americane e alle forze militari. Mi spiace dirvi che molti americani hanno perso la vita.


Inoltre, le navi americane sono state bersaglio di siluri in alto mare tra San Francisco e Honolulu.
Ieri il governo giapponese ha anche lanciato un attacco contro Malaya. 
La scorsa notte le forze giapponesi hanno attaccato Hong Kong. 
La scorsa notte le forze giapponesi hanno attaccato Guam. 
La scorsa notte le forze giapponesi hanno attaccato le Isole Filippine. 
Ieri sera, i giapponesi hanno attaccato Wake Island.


E questa mattina, i giapponesi hanno attaccato le Isole Midway.
Il Giappone ha dunque intrapreso un’offensiva a sorpresa estesa a tutta l’area del Pacifico. I fatti di ieri e di oggi parlano da soli. Il popolo degli Stati Uniti si è già fatto un opinione e ben comprende le implicazioni per la vita e la sicurezza della nostra nazione.
Come comandante in capo della Marina militare ho disposto che tutte le possibili misure siano prese per la nostra difesa, noi ricorderemo in quale maniera siamo stati attaccati.


Non importa quanto tempo ci dovremo prendere per superare questa invasione premeditata, il popolo americano, con la forza della ragione, vincerà con un vittoria schiacciante.
Credo di interpretare la volontà del Congresso e del popolo, quando dico che non solo ci difenderemo fino all’ultimo, ma faremo in modo che questa forma di tradimento, per noi, non sia mai più un pericolo.
L’ ostilità esiste. Non vi è alcun dubbio per il fatto che il nostro popolo, il nostro territorio e i nostri interessi siano in grave pericolo.


Con la totale fiducia nelle nostre forze armate, con l’illimitata determinazione del nostro popolo, si otterrà l’inevitabile trionfo. Così Dio ci aiuti.
Chiedo che il Congresso dichiari che, fin dall’attacco non provocato e codardo da parte del Giappone della Domenica, 7 dicembre 1941, esista uno stato di guerra tra gli Stati Uniti e l’Impero giapponese.

Il ramen più buono di Milano? Da Casa Ramen !

Dove mangiare il ramen più buono di Milano?

A Casa Ramen, in zona isola. Lo chef Luca Catalfamo ci racconta la sua storia.  

Le dichiarazioni d’amore hanno forme e sapori differenti. Il cinema, la settima arte, dichiara per gli occhi attraverso le immagini, la cucina lo fa per soddisfare tutti e cinque i sensi. E’ con la vista che apprezziamo d’impatto un piatto, la sua composizione; con l’olfatto ne possiamo valutare gli odori, che ci riportano magari a lontani ricordi; con il tatto ne confrontiamo le forme, la ruvidezza o le viscosità; con l’udito stimiamo la croccantezza del cibo, lo sfrigolìo dell’olio bollente e infine con il gusto ne stimiamo i sapori.

Luca Catalfamo, chef del ristorante Casa Ramen – che si trova nel centro di Milano in zona Isola – ha fatto la sua dichiarazione d’amore, con un atto di fedeltà …per il ramen!

Casa Ramen è ormai l’indiscusso luogo dove mangiare il ramen più buono di Milano.
In una location che conta 20 coperti totale, arredamento ridotto ai minimi termini, si trova il piatto tipico dello street food giapponese, a base di “tagliatelle stirate a mano” dentro un brodo di carne o pesce insaporito. Ogni località ha la sua ricetta, così che Luca Catalfamo ha deciso di crearne una propria: ha personalizzato il ramen cucinandolo con prodotti italiani, rendendone più delicato il sapore e tenendo alta la bandiera del made in Italy.

2
Casa Ramen


Il personale è gentile e preparato e descrive ogni piatto con cura certosina, bandite le prenotazioni che obbligano ad una lunga attesa poi ampiamente ricompensata dalla qualità del cibo e dalle specialità inserite in menu dallo chef – è ora il periodo dei panini al vapore ripieni di kakuni, cipolla in agro, arachidi tostate.

Ogni piatto raggiunge un equilibrio gustativo fatto di contrasti, contrapposizioni dove, poche volte, alcune sensazioni prevaricano su altre – è il caso del Miso on Fire costituito da brodo tonkotsu 100% maiale, mais, cavolo cinese, chashu, bamboo, cipollotto e naruto. Se non avete il palato di una roccia non osate!

I sapori sono sempre decisi e confortevoli, con punte di diamante – è il caso del tiramithe, un dolcetto delizioso al tè verde matcha con lamponi e sesamo nero.

4
Miso on Fire


Se per le strade giapponesi si sorseggia il brodo caldo tra una corsa e l’altra al lavoro, qui a Casa Ramen potrete sedervi comodamente sul lungo tavolo al lato della sala e fare conversazione con gli ospiti – non è raro trovare una forte percentuale di asiatici, sostenitori del ristorante.

Come in Tampopo, pellicola cinematografica di Jûzô Itami, Luca Catalfamo fa rifiorire un locale che era ormai in disuso da oltre un anno, trovato quasi per caso in zona Isola – e anche qui la protagonista è la squisita “minestra di spaghetti” – il ramen. Ci racconta la sua storia:

5
Casa Ramen si trova in via Luigi Porro Lambertenghi, 25 a Milano- zona Isola


Quando è stata la prima volta in cui hai assaggiato il ramen?

Sette anni fa, prima di allora non sapevo dell’esistenza del ramen.
Mi trovavo a New York, dove lavoravo, ero stanco e solo, camminando vidi una lunga fila fuori da Ippudo, un famoso e riconsociuto ristorante di ramen della Grande Mela. Dopo mezz’ora di attesa avevo di fronte la mia minestra calda di spaghetti, l’odore di uova, la consistenza della carne … e mi sono subito sentito a casa. Da allora è iniziata la mia ricerca ossessiva sulla ricetta del ramen.
Sono arrivato ad assaggiarne anche cinque al giorno, viaggiando tra Londra, Sidney e Giappone. Ma è a Londra che ho avuto i primi contatti con le tecniche e i segreti del piatto, perchè i proprietari del ristorante dove lavoravo erano giapponesi.

La sintesi del tuo ramen?

E’ l’insieme delle varianti assaggiate in tutto il mondo.
Tonkotsu è il brodo che più mi soddisfaceva (brodo fatto con ossa e carne di maiale cotte a lungo, servito con zenzero sotto aceto) e ho cercato di replicarlo, ma dal primo giorno di apertura ad oggi, il gusto è cambiato, tra fallimenti e sperimentazioni.

Direi grandi soddisfazioni, visto che hai aperto un ristorante anche in Giappone.

Grandi soddisfazioni, nel maggio dell’anno scorso sono stato invitato dal Museo del Ramen di Shin-Yokohama ad aprire un nuovo ristorante. E’ sempre stimolante poter parlare con dei maestri del ramen!

Quando nasce la passione per la cucina?

Ho i genitori siciliani, quindi per tradizione la domenica è sempre stata la giornata delle grandi abbuffate. Le preparazioni dei piatti richiedevano tempo, ricordo quand’ero piccolo aiutavo mia madre o mia nonna in piccole faccende, girare la besciamella, tagliare la pasta, sbattere le uova …sono gesti tornati alla memoria solo ora, perchè li vivo quotidianamente.

Il piatto della tua infanzia?

La pasta con le melanzane.

Da cliente, qual è il tuo ristorante tipo?

Un posto non troppo formale, mi piace sentirmi a mio agio, ritrovare il gusto e la semplicità nel piatto, evitando il minimalismo. L’educazione in sala è fondamentale ma senza pressione. Mi piace l’atmosfera di respiro internazionale, piatti originali, eclettici e la sensazione di stare a casa.

Progetti futuri?

Una nuova sfida personale: l’apertura di un ristorante a Milano legato alla cucina asiatica, rimanendo fedeli alla zona ma più spazioso, dove  poter ampliare il menu; ovviamente il ramen, il mio primo amore, non mancherà!

3
Ramen


Casa Ramen oggi vanta una clientela internazionale, con un picco di 60% asiatica nella stagione estiva, persone abituate a mangiare zuppe calde anche a temperature alte – le varianti estive proposte dalla casa sono senza brodo.

Nella grande affluenza di pubblico, tra l’impiegato milanese e la ragazza alla moda, sempre più spesso curiosi e addetti al settore si fiondano nella ciotola alla ricerca del tanto decantato ramen. Tra questi, un ipotetico Anton Ego – il cinico critico gastronomico di Ratatouille – potrebbe arrivare con l’intento di rovinare la piazza, ma sono sicura, anzi ne sono certa – che ritroverà quei sapori e quegli odori in grado di regalargli ricordi sopìti, quelli della dimenticata e innocente infanzia.
Casa Ramen conquista proprio tutti !

6
Luca Catalfamo, lo chef di Casa Ramen


(testo e foto di Miriam De Nicolo’)

TIFF, Tokyo International Film Festival: dal 22 al 31 ottobre 2015 la 28ma edizione

Manca ancora un mese alla 28ma edizione del Tokyo International Film Festival (TIFF), una delle rassegne più importanti sul cinema asiatico.


LA SCORSA EDIZIONE – Nel 2014, ad aggiudicarsi il premio più importante, il Tokyo Sakura Gran Prix, era stato Heaven knows what, film drammatico di Josh e Benny Safdie sulla vita di strada dei giovani drogati di New York, tratto dal libro di Arielle Holmes Mad love in New York City. Un film iperrealistico, con uno stile quasi da documentario, sull’amore viscerale che lega Harley, interpretata dalla stessa Arielle Holmes, e Ilya, dipendenti non soltanto l’una dall’altro ma anche dall’uso dell’eroina.


GLI SPECIALI – Per quanto riguarda la 28ma edizione, in programma dal 22 al 31 ottobre 2015, nuova sezione sarà “Japan Now”, che intende valorizzare la cultura e la poliedricità del Giappone. A inaugurarla, il regista Masato Harada, che nel corso della sua lunga carriera è riuscito a cimentarsi tanto nelle tematiche sociali quanto nel puro intrattenimento. Harada era stato premiato al Blue Ribbon Awards con il suo Climber’s High (2008), basato sullo schianto di un aereo della Japan Airlines contro il monte Takamagahara, una tragedia che provocò la morte di oltre cinquecento passeggeri. Tra gli altri film del regista, che saranno proiettati al TIFF con i sottotitoli in inglese, ci saranno anche Kamikaze Taxi (1994), Chronicle of My Mother (2011), Kakekomi (2015) e The Emperor in August (2015).


Secondo pezzo forte, per tutti gli amanti del brivido, sarà una sezione intitolata “Masters of J-Horror”, dedicata a maestri giapponesi dell’horror come Hideo Nakata (regista di Dark Water e The Ring, da cui è tratto il più noto remake hollywoodiano), Takashi Shimizu (noto per Ju-on: Rancore e The Grudge, ma anche per il recente remake in live action di Kiki – Consegne a domicilio, famoso per la versione animata dello Studio Ghibli di Miyazaki e Takahata) e Kiyoshi Kurosawa (Journey To the Shore, Tokyo Sonata ma soprattutto Cure, capace di abbattere i confini di genere e fondamentale per la crescita del J-horror): i loro film saranno proiettati per tutta la notte del 28 ottobre.


Il TIFF, che nel 2014 aveva dedicato una rassegna sulla saga di Evangelion, quest’anno omaggerà il mondo di Gundam, franchise nato nel 1979 grazie al regista Yoshiyuki Tomino e prodotto dalla casa giapponese Sunrise, con uno speciale intitolato proprio “The World of Gundam”. Un evento imperdibile per tutti gli appassionati delle saghe sui robot giganti: in totale, saranno ben 26 i film in programmazione, comprendenti cortometraggi, film tv e serie animate, da quella classica, la Universal Century del 1979, fino a quelle più recenti, Gundam SEED e Gundam 00. In Giappone, Gundam è poco meno di una divinità, tanto da essere il primo anime ad aver avuto una statua a grandezza naturale di circa 18 metri, raffigurante il capostipite della saga. Lo speciale “The World of Gundam” sarà affiancato dalla proiezione del film di Akira Kurosawa Quelli che camminavano sulla coda della tigre, adattamento di una commedia kabuki che la censura giapponese accusò di aver deriso la tradizione della forma artistica. Nel secondo dopoguerra, anche le autorità americane vietarono la maggior parte delle opere di kabuki, tra cui proprio il film di Kurosawa, credendo che avrebbe promosso i valori feudali.


APERTURA E CHIUSURA – Ad aprire la nuova edizione della kermesse nipponica sarà però l’ultimo film di Robert Zemeckis, The Walk, tratto da un libro di Philippe Petit, il funambolista che il 7 agosto 1974 camminò su un filo tra le Torri Gemelle del World Trade Center. Risultato di questa folle impresa furono 45 minuti di puro brivido a oltre 400 metri di altezza. Non è però la prima volta che l’esperienza di Petit si trasforma in un film: nel 1984 era uscito il cortometraggio di Sandi Sissel, High Wire, anche se la notorietà di Petit si deve soprattutto al film di James Marsh, Man on Wire – Un uomo tra le torri, con cui nel 2009 il regista britannico si aggiudicò l’Oscar per il Miglior documentario. The Walk, distribuito dalla Warner Bros e in uscita il prossimo ottobre, sarà interpretato da Joseph Gordon-Levitt (Inception, Il cavaliere oscuro – Il Ritorno), fortemente voluto da Zemeckis. L’attore sarà affiancato da Ben Kingsley (Shinder’s List, Shutter Island, Hugo Cabret, Ender’s Game, Exodus – Dei e Re), Charlotte Le Bon (Asterix & Obelix al servizio di Sua Maestà) e James Badge Dale (The Departed, World War Z). A chiudere la rassegna ci sarà invece The Terminal, un film drammatico di Tetsuo Shinohara sull’annullamento delle emozioni e sull’importanza dei sentimenti.


I FILM IN CONCORSO – Più di 1400 titoli presentati, ma finora tre sono quelli in concorso. Il primo è Foujita di Kohei Oguri, film biografico sul pittore giapponese che visse nella Parigi degli anni Venti, famoso per i suoi nudi femminili e amico di Picasso e Modigliani. Allo scoppio della seconda guerra mondiale, Foujita coglierà l’occasione per un ritorno alle origini, nel suo amato Giappone, in un piccolo paese del nord, accanto a sua moglie. Un ritorno che gli permetterà di riscoprire il fascino della sua terra.
Secondo film selezionato è Sayonara di Koji Fukada. Tutt’altra tematica: lo scenario è un Giappone post-apocalittico contaminato dalle radiazioni. Il governo ordina ai residenti di abbandonare il paese, ma una donna e il suo androide saranno lasciati in balia della solitudine e di una morte che aleggia sempre nell’aria.
Terzo, e per ora ultimo, film in gara è The Inerasable di Yoshihiro Nakamura, in cui uno scrittore indaga su una serie di misteriosi suicidi che lo condurranno verso una verità sconcertante.


I SUCCESSI INTERNAZIONALI – All’interno della sezione “World Cinema”, e fresco del successo ottenuto alla 72ma Mostra del Cinema di Venezia, troveremo invece Everest di Baltasar Kormákur, che ha per oggetto un’altra impresa, dopo quella di Petit nel film di Zemeckis, vale a dire la scalata della vetta più alta del mondo da parte di Rob Hall (Josh Brolin) e della sua Adventure Consultants, che il 10 maggio 1996 guidarono un gruppo di dilettanti appassionati di alpinismo sul monte Everest.
Sempre ispirato a una storia vera, e in particolare a un’icona intramontabile del cinema, è Life di Anton Corbijn, film biografico sull’amicizia tra James Dean (Dane DeHann), simbolo del ribellismo giovanile anni ‘50 e reduce dalle riprese della Valle dell’Eden, e il paparazzo Dennis Stock (Robert Pattinson), che sogna di pubblicare una sua foto su una copertina di Life.
Presidente di giuria del TIFF 2015 sarà Bryan Singer (X-Men, Operazione Valchiria, Superman Returns, Il Cacciatore di Giganti).