Paolo Solari Bozzi cattura sguardi ed emozioni nel libro fotografico “Zambian Portraits”, in esposizione a Milano

Fino al 22 settembre alla libreria Hoepli di Milano (Via Ulrico Hoepli, 5), sarà esposta un selezione di immagini di Zambian Portraits, il nuovo libro fotografico di Paolo Solari Bozzi – edito da Skira – che segue la prima pubblicazione dell’autore (Namibia Sun Pictures, Tecklenborg 2013), e che è un’ulteriore testimonianza del suo amore per la poesia dell’Africa e dei suoi popoli.

 

Paolo Solari Bozzi© - Great East Road # 1, Zambia, 2009
Paolo Solari Bozzi© – Great East Road # 1, Zambia, 2009

 

Per quattro mesi, nel 2014, Paolo Solari Bozzi ha viaggiato a bordo del proprio fuoristrada in compagnia della moglie Antonella attraverso lo Zambia, in totale autonomia, coprendo oltre diecimila chilometri, per lo più su strade sterrate e spingendosi fino alle zone più remote e sconosciute di questo affascinante Paese, comprese le paludi del Bengweulu, dove gli abitanti non hanno quasi mai incontrato un viaggiatore europeo.

 

Paolo-Solari-Bozzi©-Great-East-Road-3-Zambia-2014
Paolo Solari Bozzi© – Great-East-Road, Zambia 2014

 

Utilizzando macchine fotografiche meccaniche di medio formato e grandangoli, Paolo ha immortalato in 122 immagini in bianco e nero – sviluppate e stampate personalmente nella sua camera oscura – le persone incontrate, nel loro naturale habitat, per lo più lavorativo. Nel tentativo di captarne lo stato d’animo, il fotografo si è concentrato sulle loro espressioni facciali, in particolare sui loro sguardi.

 

Paolo Solari Bozzi © - Kawaun Village, Zambia 2014
Paolo Solari Bozzi © – Kawaun Village, Zambia 2014

 

Dopo aver viaggiato a varie riprese nei Paesi desertici del Maghreb, Paolo Solari Bozzi si è invaghito dell’Africa Australe, a tal punto da acquistare due lodge (Sausage Tree Camp e Potato Bush Camp), situati in Zambia in un Parco Nazionale, lungo le sponde del fiume Zambesi. In Zambian Portraits, il fotografo ritrae alcuni aspetti “di un Paese meraviglioso e  sconfinato, ricco di meraviglie umane e naturali, e di cultura” come ha spiegato lui stesso.

 

Paolo Solari Bozzi © - Near Lusaka , Zambia, 2014
Paolo Solari Bozzi © – Near Lusaka , Zambia, 2014

 

Durante i 70 giorni di viaggio trascorsi in Namibia nel 2010 e nel 2012 e i 4 mesi trascorsi nel 2014 in Zambia, Paolo Solari Bozzi ha affrontato ogni scattocon quel rispetto dovuto a chi ti ospita e non, come spesso vedo fare oggi, stravolgendo la scena e “mettendola in ordine”, insomma piegando gli scenari ai dogmi imposti dalle riviste patinate”.

 

Paolo Solari Bozzi© - Munali Coffee Farm, Zambia, 2014
Paolo Solari Bozzi© – Munali Coffee Farm, Zambia, 2014

 

L’uso del bianco e nero, “s’inserisce nel lungo filone di quei grandi fotografi e registi (uno per tutti: Ingmar Bergman) che hanno scelto la profondità, il dettaglio e la magia viva della monocromia per i propri capolavori. Sono sempre stato convinto che il colore, per quanto stupendo, distragga e non possa restituire l’animo delle persone, le loro cicatrici e sofferenze, il loro amore”.

 

Zambian Portraits_1

Intervista al fotografo Pino Leone

Siamo sull’ultima spiaggia, quella dei “nuovi fotografi”, quella dei “selfie tra le gambe fronte mare”, quella dei “workshop di nudo in una fabbrica abbandonata”.
L’era del digitale ha scaravoltato (alla Parodi) la fotografia e soverchiato il buon gusto, il rigore, a volte la decenza.
Eccezioni ne esistono ancora in questa valle di lacrime, un esempio è Pino Leone, che ancora sopravvive grazie alle sue idee e forse grazie alla collocazione geografica della sua dimora.

Chi è Pino Leone? Pino Leone è un ragazzino che alle scuole medie imparava “fotografia” – Chissà in quel periodo a quanti poteva interessare la materia. Vi rispondo subito: solo 8 suoi coetanei, mentre oggi probabilmente ci sarebbe la fila come alle ore 20.30 all’Esselunga di un sabato d’estate.
Pino scattava in pellicola, ebbene, quanti “nuovi fotografi” oggi scattano in pellicola? (conoscete la risposta) ed ebbe una gran botta di fortuna, diciamolo, incontrando il grande Oliviero Toscani, che subito gli propose di andare sul set a imparare il mestiere.

Con la sua prima Zenit, il povero ragazzino cadde in una trappola tesa dal fratello: un corso di fotografa nell’esercito, tra carri armati, motori, reportage di esercitazioni alla “Full metal jacket” di Kubrick. Un inganno per calmare lo spirito ribelle di chi, alla fine, a briglie sciolte, prenderà la sua strada, ma fregato dal suo stesso sangue si spara 9 anni e mezzo tra maschiacci e parolacce.

Pino Leone, in semi-isolamento, nella sua camera oscura di 300 mq, sviluppa ritratti e la voglia di continuare con la fotografia. Le agenzie notano il suo tratto pulito, il suo bianco e nero secco, deciso e finalmente stacca il cordone ombelicale da quello che finora era stato il suo “laboratorio-sperimentale”.

La fortuna bussa alla sua porta in veste di amico – un designer di abiti da sposa – lui fa “clic” e finisce sulle pagine di Vogue. E come tutte le fortune, arrivano insieme colorate di numeri: è il 1991 , 128 pagine di pubblicità, 3 sale posa per 1 studio a noleggio e ben 7 assistenti. La moda è la sua nuova compagna.

10368955_10152565420332551_9207415124848531167_o
Gai Mattiolo Spose ADV


PIANURASTUDIO ADV Fall:Winter 2014-15 NYC
PIANURASTUDIO ADV Fall/Winter 2014-15 NYC


11391346_10152960368107551_6654648650201403493_n
Antonella Salvucci fotografata da Pino Leone


10005824_10151990925112551_3168508501609411142_o
Happy Easter


Roma, Parigi, Milano, tra cataloghi, sfilate, pubblicità, è tutto leggero eppure così solido da dover dire “No” ad alcune offerte.
Ora, Pino Leone, ha ottenuto quello che desiderava. Cosa? La Libertà! La libertà di scegliere COSA fotografare. Ed inizia il suo linguaggio espressivo: il nudo.

Tutto va a pari passo con l’ascesa della moda, apre un’agenzia a Roma dove lavora in simbiosi con la sua compagna Sara, una Roma lontana dalle competizioni meneghine, lontana dagli “sgambetti” e dai preventivi da “calende greche”.

fashion files magazine
Fashion Files Magazine


10608262_10152380380367551_4423795432514611065_o
uno scatto di Pino Leone


10301181_10152238731802551_1395251508473677254_n
uno scatto di Pino Leone


WOLF Magazine issue 2
WOLF Magazine issue 2


wolf
Wolf Magazine


kory
Kory


10687877_10152421566922551_1227838827267517722_o
Roxana


 

Quando gli chiedo se apprezza qualche giovane fotografo mi risponde secco “Non ho tempo per sfogliare il lavoro degli altri, non sono in competizione con nessuno e con tutti i miei amici fotografi c’è un rapporto di stima reciproco”.

Non stento a credergli – Pino è il tipo di persona cui è facile volergli bene – la nostra intervista si è consumata al tavolo di un grazioso ristorante romano, sorseggiando del buon vino, mentre Sara (sua compagna e collaboratrice) racconta del loro orto con la sigaretta in mano e lui fantastica, con l’entusiasmo di un bambino, su una vita alle Seychelles tra rocce, spiagge bianche e fitte foreste. Il luogo delle sue fotografie.

Fotografi preferiti: Helmut Newton – Richard Avedon- Horst P. Horst

 

11722494_10153027907817551_8315535743855469030_o
Marie Claire Russia Luglio 2015


10372886_10152260901862551_2651547814259488806_o
VANESSA HESSLER


10495003_10152290326157551_4343312523858125594_o
beauty by Pino Leone


1781180_10151916163672551_1493215359_o
da un editoriale di Pino Leone

 

The soloist of Performance Art

La macchina infernale delle settimane della moda donna, al via tra pochi giorni, è in fermento per la collaborazione che vedrà la “madre” dell’arte performativa mettersi al servizio del brand Givenchy , per la prima volta sulle passerelle della Grande Mela.

Storica amica del direttore creativo, Riccardo Tisci, a lei sarà affidata la direzione artistica del fashion show.
Indiscrezioni svelano che sarà un tributo alla famiglia e all’amore, nel segno della passionalità e del crudo realismo a cui l’artista ci ha abituati.
E per celebrare tale evento di attualità, D-Art dedica alla performer serba un editoriale fotografico, ripercorrendone i lavori da solista che hanno fatto la storia, dal 1973 al 1976 e dal 1989 a oggi. In ogni performance, dove il corpo diventa soggetto e medium, vengono esplorati i limiti fisici e mentali resistendo al dolore, all’esaurimento e alla pericolosità, unicamente per cercare una trasformazione emotiva e spirituale.

Così ritroviamo il gioco del coltello di Rythm10; l’offrirsi agli spettatori che, con strumenti di qualsiasi foggia, potevano abusare della sua presenza fisica in Rythm0; le bruciature della stella a cinque punte, elemento simbolo della performance Rhythm 5 e la gestualità di spazzolarsi infinitamente i capelli alla ricerca della perfezione, sino a rasentare la follia, di Art must be beautiful. Freeing the body, Freeing the memory e Freeing the voice ricordano, invece, le opere performative estreme che hanno fatto scivolare la Abramovic in uno stato di totale incoscienza. Nella prima muovendo senza sosta il proprio corpo, avvolgendo il capo in una sciarpa nera; nella seconda risucchiando parole dalla propria mente fino a dimenticarle e nella terza urlando fino a restare senza voce. Si arriva a Dragon Heads, dove la performer si è esibita con cinque pitoni sul suo corpo e all’interattiva The Artist is present, quando ha salutato e condiviso le emozioni con il pubblico per tutta la durata della sua personale al Moma di New York.

E’il desiderio di condivisione del Metodo Abramovic a far nascere il MAI (Marina Abramovic Institute), un istituto statunitense unico al mondo, in grado di formare e supportare l’arte performativa. Un luogo dove vengono promosse collaborazioni nel segno dell’arte, della scienza e della cultura, all’ interno di un programma ricco di seminari e workshop. Il MAI è, inoltre, la sede dove vengono insegnati una serie di esercizi, studiati e messi a punto nel corso della carriera quarantennale della poliedrica artista.
Colei che viene riconosciuta democraticamente per le profonde analisi sociologiche e psichiche, senza disdegnare collaborazioni con il mondo della moda, una delle più intense e patinate delle arti.

Photographer Miriam De Nicolò
Fashion Editor Alessia Caliendo
Make Up Michael Mic
Hair Tavin Liu
Model Yifei Li, Women Model Management Milan
Graphic Designer Maria Lombardi
Fashion assistants Caterina Castello, Federica Masci

Tunica e pantaloni over Malloni  Slip on Superstar Adidas
Tunica e pantaloni over Malloni
Slip on Superstar Adidas

 

Giacca tuta training Adidas
Giacca tuta training Adidas

 

Abito lungo Marta Martino
Abito lungo Marta Martino

 

Camicione rigato Lucio Vanotti
Camicione rigato Lucio Vanotti

 

Pantaloni in lana Lucio Vanotti
Pantaloni in lana Lucio Vanotti

 

Abito in pelle Trussardi Stola copricapo Malloni
Abito in pelle Trussardi
Stola copricapo Malloni

 

Tunica e gonna longuette Malloni Stivaletti sportivi Fratelli Rossetti
Tunica e gonna longuette Malloni
Stivaletti sportivi Fratelli Rossetti

 

Felpa a costine Ilaria Nistri Felpa a costine Ilaria Nistri Abito strutturato Marta Martino
Felpa a costine La Roque 
Abito strutturato Marta Martino

Gli anni Sessanta secondo Henry Clarke

Uno dei maestri della fotografia del Novecento, precursore dell’emancipazione della donna e autore di scatti passati alla storia: tutto questo è stato Henry Clarke, uno tra i fotografi più prolifici e longevi, le cui foto sono state testimoni di quattro decenni, dagli anni Cinquanta fino ai primi anni Ottanta.

Tanti i generi sperimentati dal genio di Clarke: miriadi di scatti di moda e ritratti di personaggi celebri, il fotografo americano è stato arbiter elegantiae della moda italiana, francese e americana.

Nato nel 1918 in California, a Los Angeles, da immigrati irlandesi, Clarke cresce in un periodo attraversato da numerose correnti culturali. L’esperienza della guerra fa da spartiacque tra il vecchio e il nuovo. Il giovane Henry si avvicina alla fotografia di moda nel 1948, dapprima a New York e poi trasferendosi a Parigi.

image
Marina Schiano, 1968


image
Ancora la Schiano, 1968


image
Editha Dussler in Paulina Trige, 1966


L’immaginario collettivo di quegli anni era dominato dai due fotografi di Vogue Cecil Beaton e Horst P. Horst, entrambi fautori di un’estetica quantomai radicata nella tradizione. Ma si avvertiva sempre più l’esigenza di un cambio di prospettiva, che auspicava un ritorno ad una fotografia più radicata nella realtà. Lo stesso Clarke studiò le foto di Beaton, Horst ed Irving Penn, ma familiarizzò con una macchina fotografica più piccola, la Rolleiflex, a suo avviso capace di portare l’auspicato cambiamento di prospettiva.

image
Lauren Hutton in un caftano dorato Thea Porter, Vogue UK, dicembre 1969


image
Simone d’Aillencourt, 1966


image
Wilhelmina Cooper davanti alla dea Maishasur Mardini in un abito Madame Grès, Jodhour, India, dicembre 1964


image
La modella Samantha Jones in un caftano dalle stampe optical Livio de Simone, India, giugno 1967


image
La modella Samantha Jones davanti al tempio dei guerrieri Chichén Itzá, Messico, 1968


image
Modelle davanti le rovine di Xochicalco, fuori da Guernavaca, in abiti che ricordano i pepli greci, 1968


image
Samantha Jones in Emilio Pucci, 1967


Clarke fu allievo del vero rivoluzionario della fotografia di quegli anni, Alexey Brodovitch, presso la New School for Social Research. Fu qui che Clarke imparò forse la lezione più importante: come unire la fantasia che serve alla moda con l’energia tipica del reportage. Nel Dopoguerra imperversava uno stile ancora classico e fortemente radicato nella tradizione. Erano gli anni del New Look di Christian Dior, ma si avvertiva sempre più l’esigenza di dare voce ad un nuovo tipo di donna. Life Magazine aveva tristemente testimoniato il conflitto belli o con drammatici reportage fotografici dalle zone di guerra, ma Vogue continuava a commissionare lavori brillanti a Cecil Beaton, relegando la moda in un mondo che appariva talvolta ovattato e lontano dalla realtà.

image
Fotografie come opere d’arte


image
Henry Clarke viaggiò in moltissime parti del mondo per il suo lavoro, come l’Iran


image
I bellissimi paesaggi dell’Iran ritratti da Henry Clarke in foto suggestive


image
Scatti unici a metà tra moda e reportage


image
Marisa Berenson spicca in una foto scattata in Iran


image
Editha Dussler ritratta come una dea tra le rovine romane di Palmira, Siria


image
Isfahan, Iran, Vogue dicembre 1969


image
Marisa Berenson in un caftano dorato Tina Leser, 1967


image
Ancora la Berenson in caftano Halston, 1969


image
Le meravigliose stampe Emilio Pucci, 1966


image
Editha Dussler, Vogue giugno 1966


image
Veruschka, Vogue 1 Dicembre 1966


image
Editha Dussler su una spiaggia deserta, Vogue 1 Dicembre 1966


image
Sempre la Dussler, Vogue 1 dicembre 1966


image
Veruschka in tunica Pauline Trigére, Marocco 1964


La suggestiva location di Petra, 1965
La suggestiva location di Petra, 1965


image
Isa Stoppi per Vogue UK 1966


Una prima rivoluzione iniziò con Irving Penn e  Richard Avedon, che portarono il reportage all’interno della fotografia di moda. Clarke iniziò a scattare foto per stilisti celebri, tra cui Dior, Fath, Balenciaga e Chanel. Le sue foto degli anni Cinquanta sono state spesso paragonate al lavoro di Irving Penn per quanto concerne il concetto di eleganza femminile; ma in Clarke manca quel particolare rigore formale e tecnico, come sostenne Nancy Hall-Duncan. In quel periodo egli stesso si fece promotore del risveglio culturale e stilistico dell’America e dell’Europa, coi suoi celebri scatti per riviste del calibro di Femina, Harper’s Bazaar e Vogue, e coi suoi ritratti di personaggi celebri, come Anna Magnani, Coco Chanel, Truman Capote, Cary Grant, Monica Vitti e Sophia Loren.

image
Veruschka in Jean Louis, 1965


image
Veruschka posa per Vogue, 2 aprile 1972


image
Barbara Carrera, foto del 1971


image
Castello San Nicola L’Arena, vicino Palermo, Vogue 1 dicembre 1967


image
La modella Barbara Bach fotografata a Villa Trabia, Palermo, in un abito Leslie Fay, Vogue 1 dicembre 1967


image
Veruschka in Valentino, 1 novembre 1966


Dalla metà degli anni Cinquanta firmò per David Libermann un contratto di esclusiva per le edizioni francese, americana e britannica di Vogue e iniziò a fare numerosi viaggi che lo portarono in giro per il mondo: Messico, Brasile, Spagna, Portogallo, Turchia, India, Iran, Siria ed Italia.
Ma è il decennio successivo che lo consacra al mito: grazie a Diana Vreeland, editor di Vogue, in questi anni Clarke ha ritratto magistralmente la donna moderna. Questa è la parte forse più interessante e più sottovalutata del suo lavoro, ossia l’essere riuscito, per primo, a ritrarre e testimoniare la portata storica della rivoluzione dei costumi sessuali che stava per avere luogo in quegli stessi anni.

image
Veruschka in Emilio Pucci in un editoriale voluto da Diana Vreeland, ambientato sulle rive del Tanganica, Tanzania, Vogue 1 gennaio 1965


image
Veruschka in una villa a sud di Roma, con un caftano giallo e una pashmina Ken Scott, novembre 1965


image
Istanbul, Turchia, Vogue dicembre 1966


image
Cherry Nelms in top e gonna Brigance fotografata in Portogallo, Vogue giugno 1952


image
Ancora Sherry “Cherry” Nelms a Olhao, Portogallo, con un bikini Calypso, Vogue giugno 1952


image
Cherry Nelms a Palermo, gennaio 1955


image
Abito in seta Bonnie Cashin, 1952


image
Moyra Swan in total look Anne Klein e cappello Cerruti, Spagna, 1969


image
Abito gipsy di Donald Brooks, Spagna 1969


image
Editha Dussler a Göreme, Turchia, abito di Chester Weinberg, dicembre 1966


image
Viviane, 1974


image
Altro scatto ambientato in Cappadocia, Göreme, Vogue 1 dicembre 1966


Le foto di Clarke degli anni Sessanta hanno per protagonista una donna moderna, che viaggia in tutto il mondo, indipendente, autosufficiente, sicura di sé. Scatti a colori ricchi di suggestioni etniche, con location mozzafiato. La sua donna è una dea indiana vestita di sari e caftani preziosi, una sacerdotessa che danza per raccogliere il favore degli dei. Cosmopolitismo ante litteram nelle sue foto che ritraggono donne gipsy, vestite secondo i costumi e le tradizioni dei singoli Paesi. Styling elaborati per nuove dee del sole, o zingare extra lusso che girano il mondo cavalcando un mulo, o ancora donne dall’eleganza moderna e rivoluzionaria, ritratte in costumi da bagno Emilio Pucci. Amante del barocco siciliano, celebri sono i suoi scatti ambientati a Palermo, Monreale e Bagheria. Su consiglio della contessa Consuelo Crespi, editor di Vogue US, scattò spesso in antichi palazzi della Capitale, come in quello di Cy Twombly. Suggestive le sue foto all’Eur, ad Ostia, ma anche in Turchia, Iran, tra le rovine di Argira, in Messico tra i templi maya ed aztechi e in Portogallo. Foto come reportage etnografici, con una partecipazione talvolta attiva della popolazione locale, come nello scatto con Isa Stoppi tra gli indios. Capolavori di una modernità impensabile per l’epoca.

L’arte azteca e amerindia, suggestioni indios e rovine di templi induisti diventano protagoniste e si rivelano le location più idonee per dar vita ad insuperabili capolavori di stile. In questo periodo Clarke ritrae modelle del calibro di Veruschka, Marisa Berenson, Benedetta Barzini, Marina Schiano, Isa Stoppi, Simone d’Aillencourt. Un cambio generazionale notevole, per un fotografo che aveva iniziato invece negli anni Cinquanta, ritraendo una femminilità assolutamente diversa. Proporzioni, set, outfits e location: tutto è in mirabile equilibrio nei suoi scatti, vere e proprie opere d’arte.

image
La modella Isa Stoppi


image
Marisa Berenson in Sardegna indossa un costume Pucci, 1967


image
Un altro scatto con la Berenson nelle coste della Sardegna, 1967


image
Benedetta Barzini in Emilio Pucci, 1968


image
Veruschka in Givenchy, 1966


image
Marisa Berenson e Benedetta Barzini nella casa romana di Cy Twombly in abiti Valentino, 1968


Nonostante i numerosissimi viaggi, Clarke restò per tutta la vita residente a Parigi, e morì nel sud della Francia nel 1996. Una retrospettiva sul suo lavoro fu allestita al Musée Galliera di Parigi tra l’ottobre 2002 e il marzo del 2003.

L’arte fotografica di Louise Dahl-Wolfe

Ci sono fotografie che travalicano gli stessi confini dell’industria del fashion per abbracciare invece un concetto molto più universale, quello dell’arte.

È sicuramente il caso delle foto di Louise Dahl-Wolfe, che tradiscono un’intrinseca perfezione che merita di essere conosciuta ed approfondita.

Louise Emma Augusta Dahl nasce il 19 novembre 1895 a San Francisco da genitori emigrati negli Stati Uniti della Norvegia. Nel 1914 iniziò i suoi studi presso la California School of Fine Arts (oggi San Francisco Institute of Art). Per i sei anni seguenti ampliò gli orizzonti dello studio della fotografia apprendendo nozioni di anatomia e pittura.

Natalie in cappotto Grès, Kairouan, Tunisia, 1950
Natalie in cappotto Grès, Kairouan, Tunisia, 1950
Tunisia, 1950
Tunisia, 1950

Deserto del Mojave, California, Harper's Bazaar, maggio 1948
Deserto del Mojave, California, Harper’s Bazaar, maggio 1948




Successivamente studiò Design ed architettura presso la prestigiosa Columbia University. Nel 1928 convolò a nozze con lo scultore Meyer Wolfe, che allestì i set di molte delle sue foto più famose.

La sua arte fotografica, estremamente all’avanguardia per l’epoca, vedeva una predilezione per la luce naturale e le location esterne come pure per la ritrattistica. Furono ritratti da lei personaggi celebri, da Mae West al poeta W. H. Auden, da Cecil Beaton ad Orson Welles.

Jessica Taft, Trinidad, 1957
Jessica Taft, Trinidad, 1957
Mary Sykes, Escambron Beach Club, Porto Rico, Harper's Bazaar Dicembre 1938
Mary Sykes, Escambron Beach Club, Porto Rico, Harper’s Bazaar Dicembre 1938

Jean Patchett a Granada, Spagna, 1953
Jean Patchett a Granada, Spagna, 1953




Braccio destro di Diana Vreeland nella redazione del celebre magazine Harper’s Bazaar, è sua la foto di copertina del numero di marzo 1943, che vede una ancora acerba Lauren Bacall, appena scoperta dal lungimirante occhio della Vreeland. Tra le sue modelle preferite Mary Jane Russell, che si stima compaia nel trenta per cento dell’intero patrimonio fotografico lasciatoci da Louise Dahl-Wolfe.

La fotografa influenzò le opere di Richard Avedon e Irving Penn. Uno dei suoi assistenti fu il celebre fotografo Milton H. Greene, famoso per avere immortalato Marilyn Monroe.

Evelyn Tripp a Gioia del Colle, Puglia. 1955
Evelyn Tripp a Gioia del Colle, Puglia. 1955
1956
1956

Uno scatto per Harper's Bazaar, 1947
Uno scatto per Harper’s Bazaar, 1947




La Dahl-Wolfe lavorò per Harper’s Bazaar dal 1936 al 1958, membro dello staff composto da Carmel Snow (editor), Alexey Brodovitch (Art director) e la già citata Diana Vreeland come fashion editor. Immenso è il patrimonio prodotto: 86 copertine, 600 foto a colori ed innumerevoli scatti in bianco e nero.

Tantissimi furono i viaggi di lavoro, che testimoniano ancora una volta l’importanza che la location -meglio se esotica- rivestiva secondo la Dahl-Wolfe. Molte sono le fotografie in cui protagonista è la carta geografica: una mappa, nascosta in un angolo del set o in mano alla modella, sia che indossasse sontuosi abiti da sera o semplici costumi da bagno. Quasi un talismano, o un monito a ricordare quanta eleganza ci sia nell’apprendere nuove culture e nel visitare nuovi angoli del pianeta.

Harper's Bazaar, Agosto 1949
Harper’s Bazaar, Agosto 1949
Jean Patchett con mappa, Granada, Spagna, 1953
Jean Patchett con mappa, Granada, Spagna, 1953
Ritorna la mappa, "firma" della fotografa
Mary Jane Russell, una delle modelle più amate dalla fotografa
Ancora Mary Jane Russell
Ancora Mary Jane Russell

Ritorna la carta geografica
Ritorna la carta geografica, “firma” della Dahl-Wolfe




Dal 1958 fino al suo ritiro, due anni più tardi, lavorò per Vogue, Sports Illustrated e altri magazine. Morì di polmonite nel 1989. Dieci anni dopo, nel 1999, la sua opera fu raccolta in un documentario dal titolo “Louise Dahl-Wolfe: Painting with Light”. Ed è proprio così, i suoi scatti ricordano spesso dei ritratti, sapientemente creati grazie ad un uso magistrale della luce. Quel che più colpisce è la modernità di certi suoi scatti, semplici eppure di grande effetto.



Atmosfere esotiche in molti dei suoi scatti, come questo, del 1950
Atmosfere esotiche in molti dei suoi scatti, come questo, del 1950
Scatto per Harper's Bazaar
Scatto per Harper’s Bazaar
Ancora Harper's Bazaar
Ancora Harper’s Bazaar
Scatto molto raro, per Harper's Bazaar Maggio 1946
Scatto molto raro, per Harper’s Bazaar Maggio 1946
Editoriale moda per Harper's Bazaar con le carte da gioco, Agosto 1953
Editoriale moda per Harper’s Bazaar con le carte da gioco, Agosto 1953
Un'altra foto tratta dallo stesso editoriale
Un’altra foto tratta dallo stesso editoriale
Una delle tante cover per Harper's Bazaar
Una delle tante cover per Harper’s Bazaar
L'incredibile modernità nell'uso della luce
L’incredibile modernità nell’uso della luce
Lady Margaret Strickland con turbante, 1938
Lady Margaret Strickland con turbante, 1938

Suzy Brewster, Miami, Florida, 1941
Suzy Brewster, Miami, Florida, 1941




Una donna dalla personalità molto forte, che lasciò il suo posto nella redazione di Harper’s Bazaar quando alla Vreeland subentrò un nuovo fashion editor, che tentò -senza successo- di cambiare lo stile delle sue foto. I suoi scatti restano ancora oggi un insuperato capolavoro di stile. Per veri intenditori.

Peter Beard. Quando la moda è safari.

Talent scout di modelle del calibro di Iman, conoscitore ed amante dell’Africa, scrittore e saggista nonché artista visionario, Peter Beard è uno dei personaggi più affascinanti e carismatici della fotografia di moda.

Nato nel 1938 a New York, laureato presso l’università di Yale, i primi viaggi nel continente africano risalgono al 1955 e al 1960. Innamorato dell’Africa, coi suoi colori e le sue suggestioni, Beard diverrà uno degli artisti più capaci di esaltarne la bellezza. Trasferitosi in Kenya dopo la laurea, divenne amico di Karen Blixen. Grazie alla sua arte fotografica la moda ha iniziato ad esaltare le indescrivibili bellezze offerte dalle location del continente africano.

Firma del calendario Pirelli del 2009, un’edizione unica ambientata in Botswana, i suoi scatti sono un connubio di arte e natura. Immagini forti, che sembrano in movimento e donne ritratte nel loro lato più selvaggio, come feline pronte ad attaccare, indomite ribelli forti della propria sensualità.

image

image

Calendario Pirelli 2009, Botswana. Modella Daria Werbowy

Un occhio ed un gusto unico, capace di esaltare la ricercata eleganza e al contempo la naturale bellezza, celebri sono gli scatti con Veruschka e la stessa Iman. Altre collaborazioni celebri furono con Andy Wahrol, Truman Capote e Francis Bacon.

image

Personaggio chiave della fotografia, i suoi scatti ampliano la mera definizione di fotografia di moda per abbracciare invece un’arte a trecentosessanta gradi.

Immagini come patchwork al confine tra arte visiva e reportage, scorci da cartolina e un occhio che si riconosce anche quando travalica il continente africano. Una personalità capace di ammaliare. Come i suoi diari fotografici, vere perle da custodire gelosamente.

image

Vivian Maier, la bambinaia fotografa

Vivian Maier era una bambinaia con l’ossessione della fotografia. Una bambinaia con una Rolleiflex al collo, che preferiva portare i bambini in periferia tra le prostitute anziché al parcogiochi.

Vivian Maier aveva deciso di fare la bambinaia, perché era l’unico mestiere in grado di lasciarle molto tempo a disposizione per fotografare “la strada”, chi l’ha conosciuta la descrive come una donna schiva, introversa, paranoica, collazionatrice compulsiva di notizie macabre, una donna che metteva in guardia le bambine dagli uomini, forse una bambina abusata, certo una donna morta in solitudine.

Le sue fotografie vengono scoperte molto tempo dopo la sua morte, abbandonate in scatole chiuse in un garage, rullini ancora da sviluppare – a centinaia. Ed esplode la scoperta Maier!

Un talento innato, tutta la fragilità dell’anima umano, una tenerezza con risvolti di generosità e dolcezza; un’osservatrice acuta la Maier, che ha fatto della fotografia la sua unica ragione di vita.

Quando un delinquente veniva arrestato, lei c’era, quando trovavano un cadavere, lei era lì sul luogo del delitto, onnipresente come un fantasma, non si perdeva un solo istante di quelle vite estranee, ogni minuto passato a frugare nella quotidianità altrui, piuttosto che parlare della propria. Di Vivien Maier non si sa nulla, rimangono solo i suoi autoritratti – a volte sono solo riflessi attraverso un vetro o figure sulfuree che appaiono sui vassoi d’argento di una vetrina.

Ombre, presenze, la sua figura slanciata e imponente, tra la folla che si rimpicciolisce in lontananza, una presenza scomoda, destinata al successo solo dopo la morte.

Undated, New York, NY
Undated, New York, NY
Undated, Milwaukee, Wisconsin
Undated, Milwaukee, Wisconsin
Undated, New York, NY
Undated, New York, NY
Undated, Chicago, IL
Undated, Chicago, IL
Undated, Chicago, IL
Undated, Chicago, IL
Undated
Undated
1959, Grenoble, France
1959, Grenoble, France
Undated, New York, NY
Undated, New York, NY
Undated, New York, NY
Undated, New York, NY
Undated, New York, NY
Undated, New York, NY
1950s, Canada
1950s, Canada
1953, New York, NY
1953, New York, NY
November 1953, New York, NY
November 1953, New York, NY
Fall 1953, New York, NY
Fall 1953, New York, NY
Christmas Eve 1953, East 78th Street & 3rd Avenue, New York, NY
Christmas Eve 1953, East 78th Street & 3rd Avenue, New York, NY
1954, New York, NY
1954, New York, NY
March 18, 1955, New York, NY
March 18, 1955, New York, NY
September 24, 1959, New York, NY
September 24, 1959, New York, NY
1961
1961
December 21, 1961. Chicago, IL
December 21, 1961. Chicago, IL


Autoritratti: 

 

Potrebbe interessarti anche:

La fotografia di Eugenio Recuenco

La fotografia di Eugenio Recuenco

Eugenio Recuenco è un fotografo e regista spagnolo di fama internazionale il cui genere si differenzia dagli altri in quanto “pittorico” e cinematografico. Non a caso Recuenco studiò pittura all’Università ed egli stesso afferma: “L’uso dei colori e delle luci sulle mie foto, sono le stesse che utilizzerei per i miei quadri”.

La sua teatralità, ironia e cupidigia nei lavori lo rende unico nel suo genere e riconoscibile: luci rembrantiane, mostri, personaggi da circo sono le figure che predilige.

Numerose le serie che ripercorrono le favole, reinterpretandole o film a cui il fotografo si ispira liberamente. Il suo background culturale è senza dubbio la sua forza, oltre alla sofisticata ricerca di costumi di scena e location suggestive.

Qui una serie di immagini del fotografo:

 

 

440 schermata-01-2456321-alle-12-07-50 456 454 449 452 458 439 828 727 1127 1148 1316 1407 879 893 903 978 963 826 772 773 396 307 215


Il sito www.eugeniorecuenco.com

Carline, modella del mese

Model: Carline – Urban Model Management Milan
Photographer: Miriam De Nicolo’
Make-up: Manuel Montanari
Dresses: Davide Monaco

Carline, classe ’88 nata in Brasile, si racconta così:

“In Brasile è molto comune trovare concorsi di bellezza, di conseguenza ci sono molti scouters, sempre in cerca della ragazza talentuosa. Io sono stata scoperta a 12 anni; dopo il primo corso per diventare modella, dopo aver terminato gli studi e con tutto il bagaglio di timidezza, sono partita per San Paolo, la capitale della moda in Brasile. E’ stato l’inizio di un lungo viaggio tra Tokyo, Cile, Turchia, Indonesia, Thailandia, Singapore, Vietnam, e Italia, dove ora mi sono stabilita.

Una delle mie più grandi passioni è viaggiare, per fortuna questo lavoro mi permette di girare il mondo senza aver l’obbligo di fissa dimora, oggi sono in Italia, ma di mettere radici ancora non se ne parla.

L’agenzia che qui mi rappresenta è la Urban Model Management; lavorare in Italia è molto diverso che nelle altre parti del mondo, sono tutti più rilassati anche se professionisti, il lavoro non è un momento di stress a tutti i costi e gli uomini italiani sono sempre i più simpatici. Il mio compagno è uno Chef, vegano e crudista, ovviamente italiano, con cui condivido anche l’interesse della gastronomia, tra gli studi che ho terminato in Cile.
Nei miei progetti futuri c’è quello di aprire un luogo dal concetto “raw food”, dove la cura di mente e corpo si sposano. Nel frattempo mi prendo cura del mio corpo con lo yoga, zumba, pilates, e mi reco ai casting sempre in bicicletta per tenermi in allenamento.

Piatto preferito: spaghetto cacio e pepe e salsa di noci con kelp noodles
letture preferite: psicologia
paese nel mondo: Italia
cucina: asiatica

Ellen von Unwerth fotografa gli chef italiani per L’Uomo Vogue

Ellen von Unwert, la nota fotografa che immortala l’erotismo e fa del voyerismo la sua firma, stupisce per il servizio sugli chef italiani. Lo shooting è stato pubblicato su L’Uomo Vogue e ritrae i più grandi chef stellati, che ci rendono orgogliosi di appartenere a questa terra.

Sono i “ritratti della salute”, direbbero le nostre nonne, da Antonio Cannavacciuolo, Chef Patron del ristorante Hotel Villa Crespi, ora impegnatissimo in programmi televisivi dedicati alla cucina, a Carlo Cracco, chef dell’omonimo ristorante milanese, che cavalca l’onda del successo grazie al seguitissimo Master Chef Italia e parodiato da numerosi comici.

Giocosi e divertenti nelle immagini che li ritraggono insieme, ogni chef si presta poi per il singolo ritratto che forse ha un’unica pecca: la scelta del bianco e nero. Ananas, insalata, zucchine, radicchio, pomodori, caffè, privi del loro splendido colore; perché i preziosi frutti della terra, che tutto il mondo ci invidia, non hanno di buono solo il gusto, ma la bellezza e il piacere degli occhi.

E allora quel rosso El Greco del pomodoro, il giallo miele dell’ananas e della sua meravigliosa cresta verde che s’innalza tronfia, il violaceo radicchio, così trendy nelle sue sfumature dal rosso a righe bianche, e il nostro caffè napoletano con quella deliziosa schiuma color nocciola che fa “risveglio”, perché nasconderli??? Perché privarli della loro magnificenza?

E allora, cara Ellen, pitta i visi delle belle donzelle, ma prenota una tavolozza anche quando stai a tavola!

La fotografia di Franco Fontana

Franco Fontana, classe 1933, è uno dei maestri della fotografia italiana ed è un autore quotato sul mercato della fine art internazionale.

Ha all’attivo la pubblicazione di oltre 40 libri fotografici e mostre nei musei più prestigiosi del mondo; la fotografia di Franco Fontana è pittura, è composizione e geometria con un uso del colore esplosivo, brillante, una scelta stilistica che è la sua firma.

Le linee sono ben distinte, i tratti netti, le figure paesaggistiche diventano degli spazi riempiti da colore con contrasti definiti, che alle volte ricordano i quadri di De Chirico.

Quando Fontana sposta il soggetto sulla figura umana, anche i singoli dettagli, un piede, un sedere, un seno, si trasformano in curve e figure geometriche.

Qui una carrellata di immagini:

08_FrancoFontana_Landscape_Italy_1975_courtesyFondazioneMAXXI

153

2013-03-26T01-36-27_1

3330983_orig

123958044-3dca5f0e-b005-4bfd-977d-ef60e122b86e

a0118453_14374391

 

COPERTINA-Franco-Fontana-Los-Angeles-1990-Raccolta-della-fotografia-Galleria-civica-di-Modena-©-Franco-Fontana

fontana

franco-fontana-landscapes-urban-and-rural-03

franco-fontana

franco-fontana2

maxresdefault

min_Fontana_Basilicata 1978

by-Franco-Fontana