William Klein in mostra a Milano

Si è aperta lo scorso 17 giugno al Palazzo della Ragione di Milano la mostra “William Klein. Il mondo a modo suo”: 150 opere accompagnate da installazioni inedite, per una retrospettiva che si preannuncia già come un evento. Fotografo, artista, cineasta, designer e scrittore, William Klein è delle figure più versatili ed eclettiche della fotografia.

Moda ma non solo, nei suoi scatti iconici: immagini di strada, reportage di scorci cittadini scattati in giro tra Parigi, Roma, Tokyo, avvicinano la moda alla cronaca. Indimenticabili le sue modelle a spasso per la Città Eterna, in bilico tra futurismo e classicità. Ironia e charme senza tempo accompagnano ogni scatto.

Sarà possibile visitare la mostra fino all’11 settembre 2016: già presentata parzialmente alla Tate Modern di Londra e al FOAM di Amsterdam, l’esposizione è completata da un ricco allestimento multimediale.

Antonia tra gli specchi, Parigi. 1962
Antonia tra gli specchi, Parigi. 1962


Backstage del film "Qui êtes-vous, Polly Maggoo?", 1966
Backstage del film “Qui êtes-vous, Polly Maggoo?”, 1966


Dorothea McGowan in Capucci, Roma, 1962
Dorothea McGowan in Capucci, Roma, 1962


Nato a New York nel 1928 da una famiglia ebrea di origine ungherese, all’età di 14 anni William Klein si iscrive al City College di New York, dove studia sociologia. Si arruola poi nell’esercito e viene mandato prima in Germania e poi in Francia, dove si stabilisce definitivamente. Nel 1948 si iscrive alla Sorbona, dove studia scultura e pittura, con l’artista Fernand Léger. Le sue opere vengono esposte in diverse occasioni e proprio durante una di queste mostre il fotografo incontra Alexander Liberman, direttore artistico di Vogue, che gli offre una collaborazione.

Nel 1954 rientra a New York, per lavorare ad una sorta di diario fotografico che sarà pubblicato due anni più tardi sotto il titolo “New York” e che gli varrà il premio Nadar. In bilico tra fotografia ed etnografia, tratta i newyorchesi “come un esploratore avrebbe trattato uno zulu”, come spiega lui stesso. Successivamente vola a Roma, dove diviene assistente di Federico Fellini. Alla fine degli anni Cinquanta si avvicina al cinema realizzando diversi film. Intanto collabora attivamente per Vogue, realizzando alcuni degli scatti più famosi della storia della fotografia di moda. E proprio il mondo della moda diviene il soggetto del suo primo film, Who Are You, Polly Maggoo?, una satira declinata nei toni optical degli Swinging Sixties.

Simone D'Aillencourt, Roma, 1960
Simone D’Aillencourt, Roma, 1960


Simone D'Aillencourt e Nina Devos in abiti Capucci, Roma, 1960
Simone D’Aillencourt e Nina Devos in abiti Capucci, Roma, 1960


Simone D'Aillencourt in abito Fabiani, Roma, Vogue 1960
Simone D’Aillencourt in abito Fabiani, Roma, Vogue 1960


Simone D'Aillencourt in abito Fabiani, Roma, 1962
Simone D’Aillencourt in abito Fabiani, Roma, 1962


Mary McLaughlin in un abito Nina Ricci, Parigi, 1957
Mary McLaughlin in un abito Nina Ricci, Parigi, 1957


Negli anni Ottanta Klein torna ad occuparsi di fotografia e pubblica numerosi libri. Il suo è un approccio ironico ed ambivalente che non disdegna tecniche inusuali per la fotografia di moda e il fotogiornalismo. Considerato tra i padri della fotografia di strada, assieme a Robert Frank, fa ampio uso del grandangolo e del teleobiettivo, della luce naturale e della tecnica del mosso, rifiutando compromessi e regole preimpostate. È stato messo al venticinquesimo posto fra i cento fotografi più influenti dalla rivista Professional Photographer Magazine. Inoltre Klein ha diretto numerosi documentari ed ha prodotto oltre 250 spot televisivi. Nel 1999 è stato insignito della Medaglia del Centenario della Royal Photographic Society, di cui è anche socio onorario. Tra i volumi da lui pubblicati Retrospettiva (2002), Parigi+Klein (2006), Contacts (2008), Roma+Klein (2009), Brooklyn (2014).

(In copertina: Marie-Lise Grès davanti al Teatro dell’Opera, Parigi, Vogue, 1963)

Calendario Pirelli 2017: arriva Peter Lindbergh

È Peter Lindbergh il fotografo scelto da Pirelli per la realizzazione del nuovo Calendario Pirelli 2017. New York la location scelta per parte degli scatti. Il celebre fotografo di moda torna a firmare il calendario patinato più amato dai collezionisti.

Peter Lindbergh, pseudonimo di Peter Brodbeck, è nato a Leszno, in Slesia, il 23 novembre 1944. Dopo essersi trasferito a Duisburg per studiare arte, nel 1978 si trasferisce a Parigi, dove scopre il suo amore per la fotografia di moda. Il bianco e nero iconico diviene la sua cifra stilistica, come certa drammaticità e pathos che lui, maestro della fotografia, riesce a riprodurre ad ogni scatto.

Negli anni Novanta entra nell’Olimpo, fotografando le top model più famose, da Christy Turlington a Kate Moss, da Naomi Campbell a Linda Evangelista, da Eva Herzigova a Cindy Crawford e Stephanie Seymour. Inoltre immortala anche dive del cinema, come Isabella Rossellini, Nastassja Kinski e Monica Bellucci. I suoi lavori sono tra i più apprezzati su Vogue, Marie Claire, Interview e Harper’s Bazaar. Tra i libri pubblicati 10 Women by Peter Lindbergh (1993) e Peter Lindbergh: Images Of Women (2004). È il fotografo dell’edizione 2009 del celebre calendario Dieux du Stade.

Carré Otis per Peter Lindbergh, Calendario Pirelli 1996
Carré Otis per Peter Lindbergh, Calendario Pirelli 1996


Tatjana Patitz per Peter Lindbergh, Calendario Pirelli 1996
Tatjana Patitz per Peter Lindbergh, Calendario Pirelli 1996


Kate Moss in uno scatto di Peter Lindbergh
Kate Moss in uno scatto di Peter Lindbergh


Per Lindbergh, 72 anni, non è la prima collaborazione con Pirelli. Il fotografo ha infatti già firmato l’edizione 1996 del calendario patinato: impossibile dimenticare le foto scattate in California a bellezze del calibro di Eva Herzigova, Carré Otis e Nastassja Kinski. Nel 2002 è di nuovo dietro l’obiettivo per il Calendario Pirelli: ad Hollywood immortala, tra le altre, le attrici Kiera Chaplin, Brittany Murphy e Mena Suvari. Infine, nel 2014, partecipa al progetto per la celebrazione dei 50 anni di The Cal, insieme a Patrick Demarchelier: realizza in quest’occasione un’immagine iconica con le top model Alessandra Ambrosio, Helena Christensen, Isabeli Fontana, Miranda Kerr, Karolina Kurkova e Alek Wek.


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Il progetto “Followers” di Marco Onofri in mostra presso Senape

Per la prima volta nel suo studio/galleria SENAPE, per la prima volta a Cesena, Marco Onofri presenta la mostra “FOLLOWERS” con le stampe 60×90, la serie di scatti già esposta in anteprima al Mia Photo Fair di Milano.

Un progetto “aperto” ed in continuo sviluppo che ci racconta cosa succede quando tra modelle e seguaci viene eliminato il computer di mezzo, lo scudo per i critici, lo spioncino per i più timidi, il mezzo dei fanatici e la finestra sul mondo per i più giovani…

Il risultato è uno strabiliante quadro dove i veri protagonisti sono proprio i FOLLOWERS che, intorno ai corpi nudi delle modelle, mostrano le loro espressività senza veli: c’è chi ride beffardo, chi si copre gli occhi, chi si masturba, chi giudica, bambini incuriositi, madri che allattano e addirittura un cane al guinzaglio che alza il muso verso la donna nuda. Sono scene di vita quotidiana che noi stessi viviamo nella penombra e che il fotografo rivela attraverso uno stile personale, fatto di luci soffuse di camere d’albergo.

Marco Onofri è un fotografo che ha esposto precedentemente i suoi lavori al Fotofever Art Fair di Parigi, alle Officine delle Zattere a Venezia, alla Romberg Arte Contemporanea di Milano e in altre prestigiose gallerie; il suo approccio alla fotografia è artistico ed ispirato alle opere di Sarah Moon e Paolo Roversi.


 

Qui alcune foto della serie “Followers”:

 

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Diversi gli aneddoti in merito al backstage: boati maschili, donne svenute per l’emozione, panettieri in tenuta da lavoro che hanno raggiunto il set dopo il turno, lo zabettìo delle ragazze, le domande imbarazzanti dei bambini, questo durante i preparativi, fino a quando l’entrata in azione del fotografo obbligava al silenzio, un silenzio meditativo.

Lo stesso Marco Onofri appare in un cameo, interpretando un se stesso “follower” di fronte ad una ragazza nuda che fuma, in una posa naturale, totalmente a suo agio nei panni che non indossa.

Quando gli chiedo in quale tipo di “follower” si riconosce, risponde:

“Amo la naturalezza, non le pose imposte – sono affascinato dalle donne sicure di sé perché sento, in fondo, che “non c’è presa di coscienza senza dolore” – citando Carl Gustav Jung-.

 

 

Qui alcune foto del backstage scattate da Marta Tomassetti:



 

Le foto dell’evento presso lo studio/galleria Senape, Cesena:

 

(reportage di Marco Montanari)

 

Tutto su “Followers” alla pagina Facebook

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MIA PHOTO FAIR 2016 – IN MOSTRA LA FOTOGRAFIA D’AUTORE

Stefania Sammarro: fotografia come sottrazione

Stefania Sammarro nasce a Cosenza, nel 1988. Si laurea in Dams con indirizzo cinema presso l’Unical, dove consegue il Master in “Tradizione e innovazione nell’editoria”.

Si avvicina alla fotografia in punta di piedi, frequentando alcuni corsi e workshop in Italia. La passione per quest’ arte, diventa sempre più viscerale, fino a che non diventa la sua primaria necessità di vita.

 

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Le sue fotografie, compaiono sul canale Photo Vogue di Vogue Italia e sono state ammesse, nel 2013, anche all’Art + Commerce di New York. Dopo aver vinto il Sony World Photography nella categoria “Youth”, nel 2015 espone nella Crypt Gallery di Londra.

 

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Il 3 marzo 2016, attraverso l’associazione Art Study Space, espone al Museo del Presente di Rende (CS): la personale che la vede protagonista, racconta tutto il percorso dell’artista, ricco di ispirazioni.

In occasione dell’esposizione, Stefania Sammarro, presenta al pubblico il suo libro Oblivion edito da Falco Editore.

 

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Fotografia come arte contemporanea. L’atto fotografico, narrazione visiva, il corpo e l’oggetto.
Fotografia come sottrazione.

Ania, è il personaggio capace di creare un mondo grazie ai suoi scatti. Un mondo che è altro da ciò che vediamo tutti i giorni e, al tempo stesso, lo rivela sotto uno sguardo incantato e nostalgico, desiderante e infante, inquieto e sognante. Il percorso di Ania è infatti quello di una disegnatrice; per lei la macchina fotografica è uno strumento attraverso il quale la realtà viene ridisegnata secondo le direttrici di uno sguardo.

 

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Ma questo non significa coprire o velare, al contrario. Attraverso le sue fotografie noi attraversiamo questo mondo sospeso, riconoscendo desideri e inquietudini, pensieri e ossessioni. Il mondo è lì, riconoscibile e irriconoscibile allo stesso tempo. il mondo in uno sguardo. Ma è un mondo abitato da corpi particolari, caratterizzato da luoghi misteriosi, da gesti ed espressioni non comuni.

È questo mondo che è possibile esplorare, scorrendo le immagini come fotogrammi di un film.

 

 

Photo Courtesy Stefania Sammarro

 

Herb Ritts in mostra a Milano

Il Palazzo della Ragione Fotografia di Milano ospita i lavori del grande fotografo Herb Ritts, in una mostra imperdibile. “Herb Ritts. In Equilibrio” è la prima grande retrospettiva dedicata al fotografo nella città di Milano. Una selezione degli scatti più iconici, in mostra dal 20 febbraio fino al 5 giugno 2016.

Corpi sinuosi dalle forme plastiche, immense distese di spiagge bianche, volti velati e lunghe vesti nere mosse dal vento del deserto; quel bianco e nero così unico, capace di passare con estrema nonchalance dal reportage alla foto patinata; e, ancora, l’Africa, immortalata con i suoi profumi, le sue suggestioni e la sua essenza più primordiale. Herb Ritts è stato uno dei principali esponenti della fotografia internazionale. Definire la sua estetica entro un solo ambito è impresa difficile: sublime interprete degli anni Novanta, nessuno come lui riuscì ad immortalare le top model, contribuendo alla loro fama.

Oniriche come vestali, struggenti nella loro perfezione, le sue supermodelle indossano Versace e Ferré, in un momento storico irripetibile per il fashion biz. Protagonista della moda ma anche mirabile ritrattista della Hollywood più patinata, Herb Ritts ha immortalato personaggi del calibro di Michael Jackson, Madonna, David Bowie, Johnny Depp, Jack Nicholson.

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Pose plastiche e corpi scultorei rappresentano l’emblema della fotografia di Herb Ritts


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Herb Ritts nacque a Los Angeles il 13 agosto 1952 da una facoltosa famiglia ebrea


Nato a Los Angeles il 13 agosto 1952 da una facoltosa famiglia ebrea, Herbert Ritts Jr. è stato fotografo e regista. Il più grande di quattro figli, Herb crebbe nel lusso di una villa di ben 27 stanze. All’età di dieci anni gli viene regalata la sua prima fotocamera, una Kodak. Dopo aver studiato Storia dell’Arte ed Economia alla prestigiosa University High School e dopo alcuni tentativi falliti di fare strada nel mondo del rock, nel 1974 conseguì la laurea al Bard College di New Tork. Tornato a Losa Angeles, fece coming out sulla propria omosessualità. Iniziò intanto a prendere lezioni di fotografia.

I primi soggetti ritratti furono i suoi amici. Se vivi ad Hollywood e nella tua cerchia di amicizie spiccano nomi del calibro di Richard Gere il successo è nel tuo destino. È il 1978 quando Herb scatta delle foto a Richard Gere durante una gita nel deserto di San Bernardino: i due giovani si fermarono in una stazione di servizio per cambiare una ruota forata e mentre Richard sostituiva la ruota Herb immortalò l’attore in scatti sensuali in jeans e canottiera. Fu così che nacque un mito: quelle foto nate in maniera del tutto improvvisata furono usate per promuovere il film American Gigolò del 1980 e comparvero come cover di riviste del calibro di Newsweek, Vogue, Esquire e Mademoiselle.

Naomi Campbell, Hollywood, 1991
Naomi Campbell, Hollywood, 1991


Helena Christensen, Malibu, 1996
Helena Christensen, Malibu, 1996


Ad Herb Ritts vennero commissionati lavori da Franco Zeffirelli, Andy Warhol e dalla rivista L’Uomo Vogue. Nel 1979 ritrasse Brooke Shields per Mademoiselle, mentre l’anno successivo ottenne la cover di Elle. Fu presentato a Bruce Weber dal modello Matt Collins, mentre Franca Sozzani, direttrice di Vogue Italia, gli fece subito un contratto. Il resto è storia: in breve Ritts si impose come uno dei maggiori fotografi glamour, entrando di diritto nell’Olimpo della moda. La sua era un’estetica particolare, che traeva ispirazione dalla Grecia classica, per le sue celebri foto in bianco e nero. Spesso si trattava di nudi, maschili e femminili, tra pose plastiche e corpi scultorei.


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“Per me, un ritratto è qualcosa attraverso il quale percepisci le persone, le loro qualità interiori, ciò che le fa essere quello che realmente sono”, diceva il grande fotografo, i cui scatti furono pubblicati sulle maggiori riviste del mondo, da Elle ad Harper’s Bazaar, da Rolling Stone a Vanity Fair. Firmò le campagne pubblicitarie di brand del calibro di Giorgio Armani, Gianni Versace, Calvin Klein, Chanel, Gianfranco Ferré e molti altri e ritrasse personalità illustri, tra cui Karl Lagerfeld, Harrison Ford, Jodie Foster, Sylvester Stallone, Kofi Annan, Arnold Schwarzenegger, Julia Roberts, Isabella Rossellini, Robert De Niro, Jennifer Aniston, John Travolta e molti, molti altri. Sua è inoltre la regia di alcuni videoclip di Madonna e Michael Jackson.

Stephanie Seymour, Cindy Crawford, Christy Turlington, Tatjana Patitz e Naomi Campbell, Hollywood 1989
Stephanie Seymour, Cindy Crawford, Christy Turlington, Tatjana Patitz e Naomi Campbell, Hollywood 1989


Laetitia Casta per il Calendario Pirelli, Malibu, 1998
Laetitia Casta per il Calendario Pirelli, Malibu, 1998


Dopo una lunga e sfolgorante carriera, il fotografo si spense a Los Angeles il 26 dicembre 2002 per complicazioni derivate da una polmonite, dopo aver contratto il virus dell’HIV all’inizio del 1989. Impegnato nella causa per combattere l’AIDS, Ritts contribuì a diverse organizzazioni di beneficenza fra le quali amfAR, Elizabeth Taylor AIDS Foundation, Project Angel Food, Focus on AIDS.


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In mostra a Parigi Fashion Forward: uno sguardo su tre secoli di moda

Erika Albonetti fotografata da David Glauso

C’è, nell’assenza di colore, la più grande espressione di un’immagine, che permette di concentrarsi sui particolari, sui dettagli, sui contrasti di luci ed ombre.

E’ così che un fascio di luce mette in risalto gli occhi, i movimenti delle mani o che un vetro appannato diventi la finestra aperta all’osservatore – nelle foto di David Glauso.

Model: Erika Albonetti

Photographer: David Glauso


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I migliori backstage di Milano Moda Donna: Anteprima

I grafismi anni ’60 tornano sulla passerelle milanesi grazie ad Anteprima che immagina la sua donna icona come una moderna Jackie ‘O


La nostalgica collezione di Anteprima conduce con teatralità al fascino del ricordo. Evocativo è anche il profumo dei petali di rosa da cui ha estrapolato le cromie e le scelte tattili in fatto di tessuti: sete preziose e cashmere. La silhouette è classica e si concede il lusso di ispirarsi all’icona di stile per eccellenza, Jackie ‘O.



Infatti, le forme a trapezio, tanto amate e indossate dalla Kennedy Onassis, vengono avvolte da cardigan e da lunghi cappotti di stampo military, accessoriate da scenografiche calzature e guanti in pelle.
Un nuovo modo di interpretare il passato con gli occhi del presente.


Fashion editor: Alessia Caliendo
Video and photo: Christian Michele Michelsanti














“Scultura fotografica”: la nuova tecnica inventata da Nick Knight

Avete mai sentito parlare di “Scultura fotografica”? Questa tecnica è stata inventata dal fotografo londinese Nick Knight ed ha del particolare: i corpi cambiano materia divenendo irrimediabilmente turgidi come se mutassero la loro natura facendosi marmorei.

La tecnica è stata spiegata dal diretto interessato al sito CNN Style: “La scultura fotografica inizia con una scansione 3-D del soggetto e finisce con una scultura fisica stampata o sinterizzata a partire dai dati dello scan.” Per essere più chiari, “L’oggetto viene creato usando tutti i linguaggi della fotografia. È ritoccato esattamente come un’immagine fotografica, in Photoshop. Nel realizzarlo utilizzo tutte le mie capacità di fotografo, con la differenza che il risultato finale è tangibile.

 

Lady Gaga fotografata da Nick Knight (fonte anothermag.com)
Lady Gaga fotografata da Nick Knight (fonte anothermag.com)

 

 

La “scultura fotografica” punta sul supporto delle tecnologie, sulla capacità di creare toni chiaroscurali e sull’abilità creativa del fotografo.

La prima a sperimentare tale tecnica è stata la top Model Kate Moss immortalata seminuda a metà tra il Cristo in Croce e un angelo in redenzione.

 

Naomi Campbell immortalata da Nick Knight (fonte super.selected)
Naomi Campbell immortalata da Nick Knight (fonte super.selected)

 

 

Lo stesso Knight spiega la scelta di questa posa ponendo l’attenzione sulla similitudine seppur blasfema tra icone della moda e icone religiose entrambe adorate da milioni di persone seppur in epoche differenti. Rincara ancora la dose sostenendo che il popolo sente il bisogno di venerare liberamente qualcuno senza dover  far riferimento ai dogmi religiosi soprattutto in un periodo non proprio roseo per la Chiesa.

Nick Knight è un fotografo di moda molto stimato. A lui si sono affidate artiste e modelle di fama internazionale come Lady Gaga e Naomi Campbell.

Mi chiamo Vivian Maier e questa è la mia storia

Mi chiamo Vivian Maier, sono nata a New York il 1º febbraio 1926. Mio padre Charles Maier aveva origini austriache, mia madre, Maria Jaussaud, francesi. I miei genitori si conobbero proprio a New York, papà lavorava in una drogheria, mamma era da poco giunta in America, avendo lasciato Saint-Julien-en-Champsaur. Si sposarono nel 1919, un giorno di un piacevole maggio e nel 1920 nacque mio fratello William Charles, a cui diedero, sei anni dopo, una sorella, Vivian. Io. 


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Poi i miei decisero di lasciarsi e non ne ho mai compreso il motivo, il senso di una famiglia è stare insieme. Unita. Per sempre. Invece William andò dai nonni, io rimasi con mamma e insieme trovammo ospitalità nel Bronx, da una sua amica, Jeanne Bertrand, francese anche lei. Jeanne era fotografa per professione e quell’incontro fu per me determinante: mi trasmise la sua passione, che finì per divenire anche la mia. Noi tre, insieme, andammo in Francia, tornammo dove mamma era nata. Lì trascorsi un bel pezzo di vita, la mia infanzia “consapevole”, lì giocavo con le altre bambine, lì parlavo la loro lingua. Ma poi mamma decise di tornare a New York, prendemmo una nave enorme e per giorni le onde ci cullarono, alleviando la tristezza. Ancora una volta radici che venivano sradicate. Io poi ci andai ancora in Francia, una volta a 24 anni, forse 25. Mi era stata lasciata in eredità qualcosa di cui non ricordo, ma era molto importante che la vendessi. Quei giorni mi servirono per “amare” ancora quella terra e un pezzo di famiglia che abitava sempre lì.



Ebbene, raggiunsi New York nel 1951, e con il mio gruzzolo acquistai una Rolleiflex, una macchina fotografica eccezionale. Avevo urgenza di immortalare cose, persone, luoghi. Quindi mi spostai nel Nordamerica. Dovevo viaggiare,  dovevo conoscere. Lo feci, nulla mi rendeva più viva. Ma avevo bisogno di soldi, la fotografia era la mia fiamma, ma non il mio cibo. Allora raggiunsi Chicago e qui fui assunta dai coniugi Gensburg come bambinaia, dovevo badare ai loro tre ragazzi, John, Lane e Matthew. Lane mi adorava, le sembravo una tata magica. E in effetti, io compivo qualcosa di magico, in un piccolo bagno della loro casa, che era divenuto per me un luogo prezioso: sviluppavo le mie foto. Quegli anni furono prolifici; andavo nei parchi coi “miei” bambini e scattavo, passeggiavo per le strade e scattavo, andavo a fare la spesa, a svolgere delle commissioni, andavo a pensare, andavo a leggere e scattavo. Una volta, ero sull’autobus, guardavo fuori dal finestrino e d’un tratto vidi una donna di una bellezza sofisticata, portava una collana di perle, aveva delle sopracciglia perfette per un volto perfetto, indossava un soprabito elegante, guardava in un punto, ma sembrava fosse persa. Rubai quello sguardo.


Port Street


Un altro giorno, invece, ero diretta al mercato della frutta, avevo davvero voglia di frutta… ma mentre camminavo mi superò una coppia, lui portava una cintura in pelle intrecciata, lei era vestita all’ultima moda… un abito a righe, la vita segnata, un bracciale. Ad un tratto lui le prese la mano. Quel gesto mi toccò, mi rapì, lo desideravo. Forse per me. Allora lo volli, me lo portai a casa. E mi dimenticai della frutta.


New York, 1954


Ma riecco la brama di luoghi sconosciuti… L’avevo messa a tacere nel frattempo, ora chiedeva di essere soddisfatta. Di nuovo. Era il 1959. Dissi ai Gensburg che avrei dovuto lasciare Chicago per qualche mese, forse accennai loro di una parente ammalata, in Francia… non so. Di certo non avrebbero potuto capire… Comunque ci sarei andata in Francia, certo, ma prima visitai le Filippine, la Thailandia, lo Yemen, l’India, l’Egitto. Fu meraviglioso. Culture a me ignote, popoli lontani, mari e foreste e templi e storie. Dio mio, quanta bellezza. Quando tornai a Chicago, lavorai ancora per i Gensburg, ma presto i miei bambini furono adulti e non ebbero più bisogno di me. Separazione. Mia mamma morì nel ’75. Separazione. Ero sola. Perché i legami importanti finiscono. Sempre. Sopraggiunge la crescita. O la morte. O la fine di un amore, come fu per mamma e papà. Continuai a fare la governante anche in seguito. E continuavo a fotografare. Fu la volta della bambina bionda, con la testa piena di riccioli e un sacco di lacrime a rigarle il volto. Volevo raccontare la sua innocenza e la libertà che solo i piccoli posseggono (per esempio di piangere disperatamente, per strada, non curandosi dello sbalordimento degli altri).



Ma sapete, i bimbi possono essere anche consapevoli. E seducenti. Lo vedete questo ragazzino qui sotto? Quando si accorse che volevo ritrarlo, beh, si mise in posa. Capelli impomatati, maniche risvoltate, atteggiamento da duro. E sguardo ammiccante. Sembrava che volesse dire: “Ehi, signora, ce l’ha con me?”.Un ragazzino che giocava a fare il grande. Lo adorai. E subito perpetuai un pezzo della sua infanzia.



Ovunque lavorassi, portavo con me il mio materiale, le mie foto, i mie negativi. Era tutto quello che possedevo. Lo feci anche quando mi presi cura di Chiara (Bayleander), un’adolescente con handicap mentale. Volli molto bene a Chiara, provai un grande dolore per la sua malattia, lei non sapeva in che mondo straordinario vivesse. Io sì. Per questo usai la fotografia, per immortalare l’incanto di tutto quanto mi circondava. Non m’interessavano le grandi imprese o i grandi uomini, io volevo ricordare per sempre la normalità, la quotidianità degli sconosciuti. La mia era così semplice. E solitaria. Scattai delle foto anche a me stessa. Chissà come mai. Forse che presagivo che avreste voluto conoscermi un giorno? Ad ogni modo sono felice che il signor John Maloof abbia ritrovato il mio materiale e che organizzi mostre che ripercorrano la mia attività. Io non avrei saputo farlo. E la fama non m’interessava poi molto. E sono grata a voi, che apprezzate. Ma sappiate che facevo esattamente quello che fate voi oggi. Andavo per strada e puntavo il mio obbiettivo alla vita.


Chicago, 16 Giugno 1956



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Viviana Maier si spense il 21 aprile del 2009, in una casa di cura a Highland Park. Qui la sistemarono i Gensburg, i quali ignoravano che nel frattempo tutto il suo materiale fotografico, conservato in un box, era stato messo all’asta, a causa di alcuni affitti non pagati. Fu John Maloof, figlio di un rigattiere, ad acquistare tutto, nel 2007, e capì di avere fra le mani un tesoro. Che decise di condividere con tutti noi.


La mostra “Vivian Maier. Una fotografa ritrovata” è in corso allo spazio Forma e ci rimarrà fino al 31 gennaio.


Sul sito tutte le info.

Pirelli 2016: il carisma è glamour

Dimenticatevi modelle dai fisici statuari svestite e in pose ammiccanti, come anche effetti speciali e location esclusive: il Calendario Pirelli 2016 segna una nuova era dell’estetica contemporanea, che punta tutto sul carisma di 13 donne straordinarie.

Atmosfere intimiste negli scatti di Annie Leibovitz, firma della 43°edizione del mitico “The Cal”, presentato oggi a Londra. Non nuova a prestare il suo occhio e il suo obiettivo al calendario patinato per eccellenza, la Leibovitz aveva già firmato l’edizione del 2000: anche in quel caso non aveva deluso le aspettative, presentando un lavoro originale e improntato sull’avanguardia artistica. Protagoniste di quell’edizione furono le danzatrici del corpo di ballo del coreografo Mark Morris. Unica modella d’eccezione era la burrosa Laetitia Casta.

L’edizione 2016 del Pirelli, i cui scatti sono stati realizzati lo scorso luglio a New York, vede protagonista indiscussa la personalità, spesso grande incognita in un mondo improntato all’immagine. Le modelle selezionate per l’occasione non sono più top model patinate ma donne che hanno puntato più sulla propria intelligenza che sul fisico, segnando traguardi d’eccellenza nel mondo del lavoro. Una sfida contro i canoni vigenti propinatici quotidianamente dalla pubblicità e dai media, che lascia auspicare l’avvento di un’epoca in cui la bellezza torni ad essere specchio della personalità individuale. Saturi di una perfezione irraggiungibile e spesso plastificata, i nuovi esteti preferiscono rifugiarsi nei porti più sicuri del carisma: o ce l’hai o non ce l’hai, quel quid che rende unici ed affascinanti travalica i canoni imposti dalla società odierna. Bando a ogni concezione del bello che imponga il raggiungimento di determinati standard, “The Cal” 2016 sdogana la bellezza naturale, senza limiti di taglia o anagrafici.





Posano così in un raffinato bianco e nero nomi che non hanno certo bisogno di presentazioni, a partire da Patti Smith, 68 anni, guru della musica New Wave e protagonista indiscussa, sempre fieramente controcorrente, degli anni Settanta; Yoko Ono, oggi 82enne, storica compagna e musa del genio John Lennon; Kathleen Kennedy, 62 anni, produttrice americana nonché socia di Steven Spielberg, Agnes Gund, 77 anni, collezionista d’arte e presidente del MOMA di New York, ritratta insieme alla nipote Sadie in scatti pregni di amore. Posa come una dea Serena Williams: la 33enne regina del tennis viene ritratta come un Atlantide in gonnella, in scatti di rara poesia che esaltano ogni fibra dei muscoli del suo fisico tonico. Posa in déshabillé, indossando solo la consueta ironia e una grande classe, l’attrice comica Amy Schumer: la sua bellezza curvy diviene emblema della nuova bellezza alla base del Pirelli 2016.

Le foto di Annie Leibovitz non smettono di emozionare: la fotografa statunitense riesce a raffigurare l’anima del soggetto che si trova davanti. Il risultato è sorprendente: scatti che trasmettono intatta la forza e il carisma di ognuna delle protagoniste del calendario. Tra queste anche Fran Lebowitz, 64 anni, paladina dei diritti dei fumatori; l’attrice Yao Chen, prima ambasciatrice cinese dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR); la 43enne Ava DuVernay, regista del film candidato agli Oscar del 2015 “Selma-La strada per la libertà”; Mellody Hobson, presidente di Ariel Investments, impegnata in progetti filantropici nella città di Chicago; l’artista iraniana Shirin Neshat e, infine, la diciannovenne Tavi Gevinson, blogger di Style Rookie, secondo Forbes una delle trenta donne under 30 più importanti del mondo dei media.

A rappresentare il mondo della moda la bellissima Natalia Vodianova. Oggi tra le top model più pagate al mondo, la splendida russa, classe 1982, ha un passato da vera Cenerentola del fashion biz: scoperta ancora adolescente mentre vendeva frutta al mercato di Gorkij, grazie alla sua bellezza è riuscita a costruirsi un impero. Rimasta umile e spontanea nonostante il successo che l’ha travolta, la modella è oggi ambasciatrice dell’organizzazione filantropica Naked Heart Russia, da lei fondata.

Inoltre è stato presentato oggi anche il sito web del Calendario Pirelli: www.pirellicalendar.com.
Al suo interno gli appassionati del mitico calendario troveranno chicche in esclusiva, come le foto del backstage dell’ultima edizione, insieme a scatti inediti e materiale d’archivio, per ripercorrere le tappe di quello che, oltre ad un manifesto di pura estetica, è stato anche testimone privilegiato della storia del costume di oltre mezzo secolo, dal 1963 ad oggi.

Niente nudi integrali nel Pirelli 2016: precisa scelta stilistica che rispetta la tradizione già inaugurata dalle edizioni 2002, 2008 e 2013. La donna del 2016 raffigurata dal Calendario più famoso al mondo è una donna vera e genuina, forte della sua unicità sia a livello estetico che a livello professionale: per un neo femminismo.


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Mostra “Dissoluzione Duomo”, il simbolo di Milano che scompare

Desideravo fermare tutte le cose belle che mi si presentavano davanti, e finalmente questo desiderio è stato soddisfatto” – citava Julia Margaret Cameron, nota fotografa inglese esponente del pittorialismo.

Pare che Giuseppe Di Piazza abbia la stessa attitudine al bello, con la sola differenza che anziché “fermare” le cose, le faccia “sparire”!

Nella sua personale fotografica “Dissoluzione Duomo“, esposta alla galleria Still (via Balilla, 36 Milano) conclusasi il 12 novembre, Di Piazza, come un moderno Houdini, fa letteralmente scomparire il simbolo di Milano: il Duomo.

Cosa ci sia dietro questo gesto, sta a chi l’arte la riceve scoprirlo, non è certo compito dell’autore, che invece lascia molte domande. Lo spettatore quindi, il lettore di queste immagini vede, attraverso una serie di scatti e di aperture progressive a mano libera, un’ondata di luce, un’apparizione che genera una sparizione. La storia di Milano che si sgretola per mano della natura, per opera della luce stessa.
Quanto in queste fotografie c’è di vero, quanto di morale e provocatorio?

Giuseppe Di Piazza racconta di aver avuto l’idea durante una soleggiata giornata meneghina, mentre era in motorino, un pomeriggio di primavera: “Straordinaria l’intensità e il colore di quella luce, voltandomi verso il Duomo, lo vidi inondato da un chiarore così bianco da farlo svanire“.

A. Dissoluzione-Duomo-totale
Dissoluzione Duomo – totale sequenza di scatti


Il Duomo, simbolo per eccellenza di Milano, è la prima cosa che cerchi quando ti alzi al mattino e l’ultima su cui lo sguardo si posa la sera. Si dice che il Duomo di Milano venga solo dopo San Pietro in Vaticano. Non riesco a capire come possa essere secondo a qualsiasi altra opera eseguita dalla mano dell’uomo”  – Mark Twain



Cos’è “Dissoluzione Duomo“? Il seme, il frutto, il fiore che rappresenta l’immensa storia del colosso milanese? Una Chiesa seconda solo a San Pietro in Vaticano, misteriosa quanto ambigua, di una magnificenza e bellezza che tutto il mondo invidia. O è forse l’amore che un siciliano trapiantato a Milano dimostra per la sua nuova casa? L’amore fotografico che imbandisce tutte le arti e porta a consacrare e sconsacrare, saccheggiare e donare, denunciare e conservare tutto quello che il nostro occhio vede?

Giuseppe Di Piazza, noto giornalista, scrittore e fotografo italiano, ci prende per il naso con questo giochetto irrisolto, forse una provocazione voluta – la dissoluzione del Duomo – blasfemia o premonizione?

A voi la risposta.

Oltre all’opera “Dissoluzione Duomo”, Giuseppe Di Piazza ha esposto 100 pezzi unici 20×30, istantanee ritoccate con pastelli ad olio, delle vedute meneghine da lui rivisitate.