Buon compleanno, Kate Moss!

Zigomi pronunciati, labbra a cuore e quel sorriso, semplicemente inimitabile: Kate Moss spegne oggi 42 candeline. Volto storico della moda, icona di stile tra le più copiate, la supermodella è uno dei nomi più celebri del fashion biz. Apparsa sulla copertina di oltre 300 riviste, apprezzata universalmente per il suo stile, che le ha fatto ottenere numerosi riconoscimenti, tra cui quello del Consiglio degli stilisti d’America, che l’ha inserita nella lista delle donne meglio vestite nel mondo, Kate Moss è una vera leggenda vivente.

All’anagrafe Katherine Ann Moss, la modella è nata a Croydon, un sobborgo di Londra, il 16 gennaio 1974. Sua madre Linda fa la barista, mentre il padre Peter è un agente di viaggi. Kate viene scoperta in un aeroporto di New York all’età di 14 anni, dalla fondatrice dell’agenzia di moda Storm, Sarah Doukas. La giovane non rientra in nessuno dei canoni vigenti nella moda: bassa (non arriva a sfiorare il metro e settanta) e ossuta, Kate appare lontana anni luce dai fisici statuari di Claudia Schiffer, Naomi Campbell e Cindy Crawford, le supermodelle degli anni Novanta, perfette ed irraggiungibili. Farle ottenere un contratto sembra una battaglia persa in partenza, ma Sarah Doukas di talenti ne ha visti passare molti ed è convinta che quella smilza ragazza farà strada.

Il primo shoot risale al 1990: è la rivista inglese The Face ad offrire alla nuova modella un servizio fotografico ambientato in una spiaggia a sud di Londra. Incredibilmente le foto ottengono un successo insperato e Kate Moss diviene un volto noto. Considerata un’icona alternativa per il suo aspetto, non conforme ai diktat dell’epoca, Kate Moss viene associata al movimento grunge.

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Kate Moss è nata a Croydon, vicino Londra, il 16 gennaio 1974
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La modella viene scoperta a New York da Sarah Doukas, fondatrice dell’agenzia di moda Storm
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Non arrivando al metro e settanta, inizialmente Kate Moss venne considerata troppo bassa per sfilare

 

Ma è con la celebre campagna pubblicitaria per Calvin Klein che la modella ottiene la fama internazionale. Scatti bollenti al fianco di Mark Wahlberg immortalano la nuova top seminuda: il fisico acerbo ritratto in topless, le pose ammiccanti e la bellezza acqua e sapone sdoganano Kate Moss come il nuovo volto della moda. Siamo negli anni Novanta, l’epoca d’oro delle supermodelle, algide nella loro perfezione, svettanti su fisici tonici e volti perfetti. Tutto questo venne cancellato dall’avvento di Kate Moss: la rivoluzione Kate fece sì che la nuova modella, bassa e piena di difetti rispetto all’ideale di perfezione allora vigente, si imponesse e spazzasse via ogni residuo del passato. Spartiacque tra le supermodelle e le nuove top, dai fisici sempre più esili, il fenomeno Kate Moss ha portata storica senza precedenti: il fattore preponderante è la personalità, quel particolare lampo negli occhi che fa la differenza in foto, rendendo la Moss un personaggio unico, dall’espressività capace di superare le barriere della carta patinata. Considerata capostipite delle modelle anoressiche, il suo fisico acerbo suscitò aspre critiche e polemiche.

Nel 1995 le foto della campagna per il profumo Obsession di Calvin Klein divengono addirittura un caso nazionale negli States, suscitando polemiche e muovendo persino accuse di pedofilia nei confronti dello stilista americano. Dopo che il dipartimento di giustizia, su ordine dell’allora presidente Bill Clinton, avviò un’inchiesta, la campagna fu ritirata dopo appena tre settimane. Intanto la modella divenne a tutti gli effetti una top model, calcando le passerelle dell’alta moda di Parigi, New York e Milano, e ottenendo le cover dei magazine più prestigiosi, da Elle ad Harper’s Bazaar, da Vogue ad Allure. Kate Moss sfila per tutti i grandi nomi della moda, da Gucci a Versace a Burberry, da Calvin Klein a Dolce & Gabbana, fino a Chanel, Roberto Cavalli, Louis Vuitton, Missoni, Dior, Yves Saint Laurent, Stella McCartney.

 

SFOGLIA LA GALLERY:

 

Testimonial di Rimmel, Bulgari, Versace, Missoni, Balenciaga, Chanel, Burberry, è apparsa ben 24 volte sulla cover di Vogue, ottenendo copertine anche su Vanity Fair, W, The Face e su molte altre riviste patinate. Intanto anche il gossip si scatena sulle sue storie d’amore, a partire da quella con l’attore Johnny Depp. Musa di nomi del calibro di Mario Testino, Mario Sorrenti e Peter Lindbergh, che l’ha inserita nel suo libro 10 Women, nel luglio 2007 Kate Moss viene nominata dalla rivista Forbes la seconda modella di maggior successo al mondo.

Il 2005 è l’anno dello scandalo: nel settembre la rivista britannica Daily Mirror pubblica in prima pagina alcuni scatti che ritraggono la supermodella nell’atto di consumare cocaina, insieme al compagno di allora, il controverso musicista Pete Doherty. Lo scandalo è servito. L’occhio di chi legge l’articolo non può non indugiare sulla foto che ritrae la modella intenta a sniffare; la firma di quel pezzo rivela che sono ben cinque le strisce di cocaina consumate da Kate Moss in appena 40 minuti. Per la top model è il declino; quasi tutti i contratti vengono annullati. Da Stella McCartney a Chanel e Burberry, nessuno sembra più interessato a lei come testimonial. La situazione è difficile, al punto che è la stessa Kate Moss alla fine a chiedere scusa pubblicamente ai milioni di fan e di persone che si ispirano a lei: lo fa in una conferenza stampa in cui ammette pubblicamente le proprie responsabilità.

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Kate Moss in una foto di Patrick Demarchelier per Harper’s Bazaar, luglio 1993
Kate Moss, foto di Roxanne Lowit, 1995
Kate Moss, foto di Roxanne Lowit, 1995
Kate Moss in passerella per Versace, Paris Fashion Week,1996
Kate Moss in passerella per Versace, Paris Fashion Week,1996
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Kate Moss ottenne il primo servizio nel 1990

 

A schierarsi in sua difesa sono in pochi: le colleghe Naomi Campbell e Helena Christensen, l’attrice Catherine Deneuve, l’ex-fidanzato Johnny Depp e lo stilista Alexander McQueen. Christian Dior continua a volerla come volto della maison e la rivista W le dedica la cover nel novembre 2005, a soli due mesi dalla bufera mediatica scatenata dal servizio del Daily Mirror. Intanto termina anche la relazione con Doherty, che la definisce una “stalker”. La top model viene anche indagata per uso di sostanze stupefacenti. Ma Kate Moss, novella Araba fenice, risorge dalle proprie ceneri: nel novembre 2006 è lei a ricevere il riconoscimento di “modella dell’anno” dal British Fashion Awards. Lo scandalo è dietro l’angolo ma lei è tornata, più forte che mai, e i designer se la contendono: nuovi contratti includono brand del calibro di Rimmel, Agent Provocateur, Belstaff, Dior, Louis Vuitton, Roberto Cavalli, Longchamp, Stella McCartney, Bulgari, Chanel, Nikon, David Yurman, Versace, Calvin Klein Jeans e Burberry. Secondo la rivista Forbes la Moss dopo lo scandalo avrebbe triplicato i propri guadagni, divenendo ufficialmente la modella più pagata al mondo, seconda solo a Gisele Bündchen.

Kate Moss ritratta da Mert & Marcus
Kate Moss ritratta da Mert & Marcus
Kate Moss ritratta da Peter Lindbergh per Harper's Bazaar, marzo 2010
Kate Moss ritratta da Peter Lindbergh per Harper’s Bazaar, marzo 2010
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Kate Moss per Playboy, foto di Mert & Marcus, 2014
Kate Moss, foto di Mario Testino
Kate Moss in uno scatto di Mario Testino
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La top model britannica è considerata un’icona di stile
Kate Moss su Vogue Paris luglio 2010 fotografata da Mario Sorrenti
Kate Moss su Vogue Paris luglio 2010 fotografata da Mario Sorrenti

 

Nel 2014, al compimento dei 40 anni, la top model si è regalata un servizio senza veli per la celebre rivista Playboy, in cui ammicca come coniglietta. Le foto, realizzate da Mert Alas e Marcus Piggott, celebrano il 60º anniversario della rivista. Una rinnovata consapevolezza sul volto e un fisico cui il trascorrere del tempo ha regalato una nuova sensualità nell’esplosione di curve sinuose, Kate Moss appare oggi ancora più bella. Icona di stile dal gusto raro, capace di passare con disinvoltura dallo stile bohémien all’eleganza più sofisticata, onnipresente nelle classifiche delle donne meglio vestite al mondo, Kate Moss è stata anche stilista per la catena britannica Toshop, per cui ha firmato nel 2007 una collezione in esclusiva, mostrandosi come manichino umano nelle vetrine di Oxford al lancio della linea recante il suo nome.

Dopo la fine del matrimonio con il chitarrista dei The Kills Jamie Hince, sposato nel 2011, oggi la modella appare serena e in forma smagliante. Qualche chilo in più che non ne offusca minimamente la straordinaria bellezza, Kate Moss sorride nelle foto che la ritraggono accanto alla figlia Lila Grace, nata nel 2002 dalla relazione con Jefferson Hack, editore della rivista Dazed & Confused.

Icona di stile tra le più apprezzate al mondo, i suoi look ispirano quotidianamente milioni di donne: amante del boho-chic, ha indossato spesso capi vintage. Forte di un fisico capace di esaltare qualsiasi mise, la modella incanta ad ogni uscita pubblica.

 

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Auguri, Carla Bruni

JF LONDON ALLA MILANO MODA UOMO

Sabato 16 gennaio nella sala Puccini del Grand Hotel et de Milan, in occasione della Milano Fashion Week, JF LONDON presenta la nuova collezione uomo f|w 16-17 e una capsule donna.

Riferimenti alla trasgressione, con un tocco punk-rock per una collezione in cui domina il tema bondage, senza perdere di vista l’eleganza estrema determinata dall’utilizzo di pellami e accessori lussuosi.

Su una collezione total back irrompono i colori della notte come il rubino, il viola, il blu elettrico anche in versione laminata e l’oro.

Per l’uomo proposti modelli dal carattere forte che rimandano al mondo dei bikers, dettagli come zip, cinghie e fibbie, metallerie in evidenza, non solo per gli anfibi ma anche per i modelli più classici e per le sneakers.

La collezione donna è un mix di femminilità carica di accessori, le calzature sono scultoree, altezze da capogiro e dettagli preziosissimi.

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Class and style, where to find them?

A differenza delle giacche che compongono un abito, sempre con la necessità di adattarsi con i pantaloni, scarpe e cintura, nel guardaroba di un uomo elegante, e di una donna, c’é un indumento che è indispensabile: la giacca.

Con la loro libertà di esistere in carriera solista, si possono trovare nelle lunghezze più diverse, modelli e stampe, la giacca non è solo un capo di abbigliamento, ma anche un formidabile jolly, che si adatta sia agli stili raffinati che casual.

Tra i diversi design e stampe c’é la giacca a scacchi, che non è un semplice capo nel guardaroba maschile, ma un pezzo di tendenza e di stile, che ci riporta indietro nel passato, mescolando l’originalità e l’eleganza della sartoria italiana con gli stili contemporanei.

Stiamo vivendo una progressiva rinascita della giacca a scacchi, si tratta di un progresso lento ma costante nel campo della moda degli ultimi tempi. Una vera e propria tendenza con la giacca caratterizzata dai loro diversi design e tessuti, e per questo inverno europeo la lana si sta rivelando la vera regina, compresa la produzione di giacche di altissima qualità.

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La giacca è ampiamente utilizzata in occasioni importanti che richiedono un tocco di lusso, ma anche nella nostra routine quotidiana possiamo usare senza paura e abbinare con un look diverso per le più diverse circostanze e occasioni, un vero e proprio Must have, che ti dà una linea di eleganza combinata ad un tocco casual e di classe. Per alcuni, un altro motivo per la scelta di una giacca è che di solito ci fanno sembrare più alti e snelli.

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È possibile combinare in molti modi una giacca, non solo per le occasioni speciali, un buon consiglio, che io stesso lo seguo, è quello di utilizzare con jeans e un paio di scarpe di stile classico, siete sicuri di avere un look raffinato e naturale, uno stile che emanerà fiducia e sicurezza.

Ricordate che il modo di vestirsi parla molto di sé e aiuta la cosiddetta prima impressione, e come diciamo sempre, ne abbiamo solo una.


Giacca:
Zara


Jeans:
Diesel


Camicia:
David Naman


Maglione:
Versace


Scarpe:
David Naman


Orologio:
Bulgari


Anello:
Cartier


Occhiali:
Parafina Co


Borsa:
Collezione privata


Pochette:
David Naman


Photos:
Cries Lands

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copertina

 

Unlike the jackets that compose a suit, always with the need to fit in the conversation with the pants, shoes and even the belt, in the wardrobe of a stylish men, and also women, there is a peace that’s impossible not to be found, the Blazer.


With their freedom to exist in “solo career”, can be found in the most diverse lengths, models and prints, the blazer is not just a piece of clothing, but a formidable wild card, fits from the cults to the casual styles.


Among the different designs and prints is the checkered blazer, which is not a unique garment in the male wardrobe, but a trend and style piece, which takes us back in the past, mixing originality and elegance of Italian tailoring with contemporary styles.


We are experiencing a gradual resurgence of checkered blazer, it is a slow but steady progress in the fashion of recent times. One of the real trends of the moment characterized by their different costumes and fabrics, and for this European winter wool is proving that is the true Queen from the season, including the production of extremely high quality blazers, with audacious modeling without losing the smell of history and glory that they always carry on.


The blazer is widely used on important occasions that call for a certain pomp, but even in our daily routine we can use without fear and match with different looks for the most different circumstances and occasions, a real must have, which gives you a line of elegance combined with that casual touch of class. For some, another Top for choosing a blazer is that their models usually make people look taller and thin.


You can combine in many ways a blazer, not just for special occasions, a good tip, which I myself do, is to use it with jeans and a pair of classic style shoes, you’re sure to have a look refined and natural, style passing confidence and security. Remember that the way you dress says a lot about you and help that so-called first impression, and as we always say, we only have one chance to make a good first impression.

Nan Kempner: icona dello stile newyorkese

Ci sono donne che nobilitano la moda, conferendole quel tocco di magia che è da sempre prerogativa assoluta del glamour più autentico. Nan Kempner ha fatto della propria vita una parabola vissuta all’insegna dell’eleganza: socialite, protagonista indiscussa del jet set, avida collezionista di capi haute couture ed insuperata icona di stile, Nan Kempner nacque a San Francisco il 24 luglio del 1930.

All’anagrafe Nan Field Schlesinger, la futura icona di eleganza nasce in una famiglia benestante: il padre Albert “Speed” Schlesinger possiede la più grande concessionaria di automobili della California. Esile fin da giovanissima, Nan non possiede una bellezza da copertina, nonostante sia atletica e tonica. È lo stesso padre a consigliarle di puntare su altro, dicendole testualmente: “Con quel viso non ce la farai mai, faresti bene ad essere interessante”. Ed infatti è proprio sul carisma che la giovane punta lungo tutto il corso della propria vita.

Figlia unica, fu sua madre ad iniziarla alle meraviglie della moda. A suo dire la madre vestiva divinamente: fu da quest’ultima che la ragazzina apprese le regole fondamentali che diedero vita a quel suo stile che sarebbe in seguito divenuto iconico. Sua madre le insegnò che vi erano solo tre colori —il rosso, il nero e il grigio— e che i tacchi alti sarebbero dovuti divenire i suoi migliori amici. Contemporaneamente all’amore per la moda nacque nella giovane l’ossessione per la linea: Nan iniziò a stare in dieta all’età di 12 anni senza smettere mai nel corso della sua vita, ed iniziò a fumare all’età di 14. Dopo aver frequentato la Hamlin School di San Francisco, Nan Kempner si iscrisse al Connecticut College for Women dove studiò per un anno storia dell’arte, ma senza conseguire il diploma. Poi si trasferì per un anno a Parigi, dove frequentò la Sorbona e un corso di pittura tenuto dal maestro Fernand Léger. Ma quest’ultimo, resosi conto di quanto la giovane fosse negata, le restituì indietro il denaro.

Nan Kempner in Yves Saint Laurent, foto di Francesco Scavullo per Vogue, 1974.
Nan Kempner in Yves Saint Laurent, foto di Francesco Scavullo per Vogue, 1974
ca. January 1974, New York, New York, USA --- Socialite Nan Kempner wearing camel hair coat and cuffed plain-front pants by Yves Saint Laurent, with cashmere sweater and chain belt with tiger eye by Halston; a beret, and holding a long print silk scarf, --- Image by © CondÈ Nast Archive/Corbis
Nan Kempner in cappotto e pantaloni Yves Saint Laurent e maglione Halston. New York, gennaio 1974, foto Corbis

Nan Kempner wearing a Christian Lacroix Evening Jacket and vintage Yves Saint Laurent skirt
Nan Kempner in Christian Lacroix


Dopo aver lavorato come volontaria presso il Museo delle arti di San Francisco, nel 1952 convolò a nozze con Thomas Lenox Kempner. Dall’unione nacquero tre figli. Galeotto fu il primo incontro tra i due, con il marito che notò come prima cosa la minigonna Dior indossata dalla giovane. Un primo appuntamento al Monkey Bar di New York City in cui i due non smisero di scambiarsi insulti per una notte intera, come la stessa socialite raccontò più volte, diede vita ad una grande passione. Dopo aver vissuto a Londra per un breve periodo, i Kempner si trasferiscono nella Grande Mela: qui Nan sfodera doti imprenditoriali notevoli: in trent’anni la sua attività riesce ad incrementare i fondi del Memorial Sloan-Kettering Cancer Center fino ai 75.000.000 di dollari.

Nel privato la Kempner colleziona capi di alta moda: la sua è una passione iniziata quando era ancora una ragazzina. Il suo archivio privato si arricchisce nel tempo di capi preziosi ed esclusivi, fino a divenire per proporzioni una delle più ricche collezioni private del Paese, con pezzi tra i più iconici e rappresentativi del 20esimo secolo. Spiccano capi di designer del calibro di Valentino, Karl Lagerfeld per Chanel, Mainbocher, Christian Dior, oltre agli stilisti prediletti dall’icona di stile, Bill Blass e Yves Saint Laurent, di cui si contano oltre 300 pezzi. Considerata una vera e propria autorità tra le più preparate nel settore moda, Nan Kempner era una habitué delle sfilate: si dice che in 55 anni abbia perso solo una settimana della moda, a seguito della scomparsa di suo padre. In un’intervista rilasciata al The Independent of London nel 1994 dichiarò di essersi persa solo una delle ultime 63 sfilate di Yves Saint Laurent, di cui fu musa storica ed amica.

Durante il corso della sua vita, letteralmente dedicata alla moda e allo stile declinato in ogni sua forma, Nan Kempner lavorò come contributing editor per Vogue Paris, fashion editor per Harper’s Bazaar, designer consultant per Tiffany & Co. nonché come rappresentante internazionale della celebre casa d’aste Christie’s. Inoltre l’icona di stile impartì occasionalmente lezioni di moda presso il Metropolitan Museum of Art e la New York University. Ritratta da Andy Warhol nel 1973, immortalata sulle riviste patinate con i suoi outfit sempre eccentrici e sofisticati, Nan Kempner è stata anche autrice del volume “R.S.V.P.: Menus for Entertaining From People Who Really Know How”, edito da Clarkson Potter, i cui proventi furono interamente devoluti in beneficenza. Si, perché Nan Kempner è stata anche una grande filantropa, generosa come poche e sempre in prima linea nelle opere di charity. Incarnazione dello chic newyorkese, regina dei party e degli eventi più esclusivi, illuminò la scena della Grande Mela per oltre quarant’anni con il suo stile inimitabile. Celebri le parole con cui si espresse un monolite della moda del calibro di Diana Vreeland, secondo la quale “In America non ci sono donne chic. L’unica eccezione è Nan Kempner”. Valentino Garavani ne ammirava l’eleganza con cui riusciva ad indossare i suoi capi, con quel fisico tonico e scolpito. L’icona di stile ispirò la coniazione del termine “social X-ray” utilizzato all’interno del romanzo Il falò delle vanità di Tom Wolfe.

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Nan Kempner nel suo appartamento di Park Avenue, foto di Rose Hartman-Globe Photos
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Nan Kempner in Yves Saint Laurent, 1983
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Nan Kempner è stata una socialite, collezionista di moda e icona di stile
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La socialite è nata a San Francisco il 24 luglio 1930
Nan Kempner e Valentino Garavani
Nan Kempner e Valentino Garavani

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Nan Kempner è stata una delle più grandi collezioniste di capi haute couture


Fashionista ante litteram, Nan Kempner comprò il suo primo abito Dior quando la madre la portò nella sede della storica maison a Parigi, nel 1958. Si tramanda l’aneddoto secondo cui la ragazzina, sprovvista del denaro sufficiente per acquistare quel capo —un abito bianco con cappotto coordinato— scoppiò in un pianto disperato e continuò a singhiozzare finché non attirò l’attenzione d un giovane dai grandi occhiali. Trattavasi di Yves Saint Laurent, giovane assistente di monsieur Christian Dior. La ragazzina continuò a piangere finché l’addetto alle vendite non abbassò il prezzo del capo per renderlo più vicino al suo budget. Avida collezionista di moda, Nan Kempner sviluppò in seguito una vera e propria ossessione per i capi di Yves Saint Laurent, Valentino ed Oscar de la Renta. Cominciata nel corso degli anni Sessanta, la sua passione per lo shopping non trovò mai fine nei successivi cinquant’anni. Frizzante, deliziosamente frivola, Nan Kempner conquistava chiunque con la propria personalità, emblema di quella fetta della popolazione femminile che attraverso la moda riesce a sognare e ad emozionarsi. “Dico sempre a tutti che voglio essere seppellita nuda perché deve senza dubbio esserci un negozio nel luogo in cui andrò”, dichiarava nel 1972 al magazine Women’s Wear Daily. Socialite tra le più apprezzate, protagonista indiscussa dei party più esclusivi, dichiarò che “non si sarebbe persa per niente al mondo neanche l’opening di una porta”. Autoironica come poche, raccontò che non sapendo che occupazione dichiarare nei documenti, non sentendosi abbastanza ricca da considerarsi una vera filantropa e non amando definirsi una socialite, scrisse semplicemente “casalinga”.

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Nan Kempner lavorò come contributing editor per Vogue Paris, fashion editor per Harper’s Bazaar e designer consultant per Tiffany & Co.
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L’icona di stile davanti al suo celeberrimo armadio
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Un particolare dell’immenso guardaroba di Nan Kempner
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La sala da pranzo di Nan Kempner, arredata da Michael Taylor
Nan Kempner's Library with L'Enfance d'Icare (1960), René Magritte, and Gabhan O'Keefe Sofa, New York City, March 1998.
Particolare dell’appartamento di Nan Kempner con L’Enfance d’Icare di René Magritte e divano di Gabhan O’Keefe, New York City, Marzo 1998
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Nan Kempner nella sua camera da letto arredata da Michael Taylor. Foto di Derry Moore per Architectural Digest
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Particolare dell’appartamento della socialite

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Nan Kempner è stata icona di stile e musa di Yves Saint Laurent. Foto Getty Images


Definita da Yves Saint Laurent ‘la plus chic du monde’, lo stile di Nan Kempner era improntato ad una grande ricercatezza e ad una certosina cura del dettaglio. Amante del mix & match, l’icona di stile si dilettava nel creare outfit bizzarri ed eccentrici, mixando tra loro pezzi variegati. Lo stile secondo Nan Kempner consisteva nel riuscire ad esprimere la propria individualità e nell’abilità di mixare i capi. Celebre la sua propensione allo styling e alle sovrapposizioni, anche le più audaci, come quando riusciva ad indossare mirabilmente il più classico dei tailleur Yves Saint Laurent con un paio di jeans boyfriend.

Nan Kempner fu tra le prime donne ad abbracciare il trend del menswear. Non particolarmente amante dei vezzi femminili, cercava sempre di aggiungere un tocco maschile anche alla mise più sexy. Emblema vivente della massima “less is more”, non era raro vederla indossare la domenica la sua uniforme tipica, composta da un paio di Levi’s 501, una camicia bianca e una maglia indossata sulle spalle. Presenza fissa della Hall of Fame dell’International Best-Dressed List ideata nel 1940 da Eleanor Lambert, in un’intervista a Town & Country del 1999, alla domanda postale da Annette Tapert su come avrebbe descritto il proprio stile, Nan Kempner rispose senza esitazioni “artificiosamente rilassato”. Lo shopping rimase sempre la sua passione più grande: fino alla veneranda età di 72 anni la socialite era solita acquistare delle minigonne, che indossava in spiaggia con bikini Etro e poncho. Casual e minimal-chic, l’icona fu tra le prime a sdoganare la chirurgia plastica. Vanitosa e primadonna nell’animo, adorava fare le sue entrate ad effetto, attirare l’attenzione ed essere fotografata. Perennemente in viaggio tra Londra, Parigi, Gstaad, Venezia, San Francisco e Los Angeles, non si perdeva una sfilata né un party, e adorava sciare e prendere il sole.

Spendeva in abiti “più di quanto avrebbe dovuto e meno di quanto avrebbe voluto”, perfettamente a suo agio nel suo fisico atletico, frutto di duri allenamenti che avevano luogo quotidianamente nella palestra che fece costruire all’interno del suo appartamento e che le permettevano di entrare perfettamente nei capi di sfilata, indossati dalle mannequin. Amante della bellezza in ogni sua forma, nel suo appartamento il lusso era la parola d’ordine: la vediamo indugiare dinanzi alla sua incredibile cabina armadio, che farebbe impallidire la fashion victim più sfegatata, oppure nei fasti dei saloni, impreziositi da una deliziosa carta da parati francese dipinta a mano, tra preziosissimi quadri di René Magritte, antichi bric-à-brac provenienti dalla Cina, collezioni di libri d’arte e bassorilievi in bronzo realizzati da Robert Graham.

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La socialite ha incarnato la quintessenza dello chic newyorkese
NEW YORK - 1985:  Socialite Nan Kempner attends Rizzoli Book party for Marella Agnelli in circa 1985 in New York City, New York. (Photo by Rose Hartman/Getty Images)
Nan Kempner a New York, 1985 (Foto di Rose Hartman/Getty Images)
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Lo stile di Nan Kempner prediligeva il mix & match e le sovrapposizioni
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Nan Kempner fu autrice di “R.S.V.P.: Menus for Entertaining From People Who Really Know How”, edito da Clarkson Potter
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Ironica ed eccentrica, Nan Kempner fu definita da Yves Saint Laurent “la donna più chic del mondo”
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La socialite in compagnia di Andy Warhol

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Nan Kempner e Bill Blass


Nan Kempner si è spenta il 3 luglio del 2005 all’età di 74 anni, per enfisema polmonare. Fumatrice incallita, trascorse gli ultimi anni della propria vita in condizioni critiche, respirando con l’aiuto di una bombola di ossigeno. Due mesi dopo la sua scomparsa la sua famiglia ha organizzato una commemorazione in suo onore presso la sede di Christie’s, a cui presero parte oltre 500 suoi amici. Nel dicembre 2006 il Costume Institute del Metropolitan Museum of Art ha inaugurato una mostra dedicata alla smisurata collezione di capi haute couture dell’icona di stile. Nan Kempner: American Chic era composta da oltre 75 outfit, tra cui capi Galliano per Dior, Lagerfeld per Fendi, Ungaro, Jean Paul Gaultier e Lanvin. La mostra si è poi spostata al Fine Arts Museums di San Francisco.

Tantissimi sono gli aneddoti che ci svelano una donna ironica e dalla personalità scoppiettante; a partire da quella volta in cui, nel corso degli anni Sessanta, Nan Kempner decise di indossare una tuta pantaloni per una cena al ristorante La Côte Basque, in barba al dresscode della serata, che vietava espressamente alle donne l’uso dei pantaloni. Quando le fu negato l’ingresso, lei tolse i pantaloni e disse sprezzante a Madame Henriette, “Spero che questo le piaccia di più”. Indossò quindi il top come un vestito e sfoderò una adorabile nonchalance. Audace e sofisticata, sfoggiava savoir faire e self-confidence, convinta com’era che “Non è cosa indossi, ma come lo indossi”. Una grande lezione di stile. Meditate.

Alessandra Garcia-Lorido: bellezza curvy

È la figlia dell’attore Andy Garcia e dal padre ha ereditato un sex appeal indiscutibile. Labbra carnose, sguardo profondo e una cascata di capelli scuri: Alessandra Garcia-Lorido si è affermata negli ultimi anni come una delle più richieste modelle curvy.

Classe 1991, nata a Los Angeles, la ragazza sfoggia un aspetto latino e una bellezza rara. Felice del rapporto sano con le proprie curve, Alessandra non teme di esaltare la propria bellezza. Sì, perché le forme non sono mai state tanto fashion: tante sono le modelle curvy ad aver fatto carriera, basti pensare ad Elisa D’Ospina, bellezza made in Italy.

Un contratto con la prestigiosa agenzia IMG di New York e un grande seguito sui social network, Alessandra Garcia-Lorido dimostra come anche indossare una taglia 48 possa essere sinonimo di bellezza. La modella è una dei quattro figli dell’attore hollywoodiano Andy Garcia e della produttrice Marivi Lorido. Apparsa recentemente in un editoriale a tema natalizio ad alto tasso erotico nella rivista SLINK Magazine, Alessandra posa in lingerie sfoggiando delle curve da capogiro.

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Alessandra Garcia-Lorido è una modella curvy
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La modella posa per Glamour Italia, dicembre 2014

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Classe 1991, Alessandra Garcia-Lorido è una dei quattro figli di Andy Garcia


Come ha dichiarato alla rivista People, la modella è fiera delle proprie curve e ritiene che tutte le donne possano essere sexy. Alle spalle servizi di moda per magazine del calibro di Vogue Italia e Glamour, la top model ci farà ancora parlare di sé.

Cronache vintage – Viaggio fra le acconciature e i belletti del ventesimo secolo

E siamo giunti alla seconda parte del mio racconto sulle acconciature, il make-up e i look dello scorso ventesimo secolo. Vi avevo lasciati promettendovi di informarvi sui miei boccoli… ebbene, i riccioli saranno durati al massimo mezz’ora, poi si sono ammosciati, come il mio entusiasmo!


Ma bando alle ciance! Volete sapere com’erano le donne negli anni ’50? Finte, naturalmente! Ombretto verde ghiaccio, matita per occhi verde muschio e rimmel color rame era un esempio di trucco prediletto; e ancora, ombretti azzurri, argentati, matite blu o viola, labbra arancioni. Pareva che le signore si fossero lanciate a tutta birra nella valigetta dei cosmetici. Peraltro, questi ultimi non garantivano ancora un risultato “naturale”, con la conseguenza che i loro visi più che acconciati sembravano mascherati. Ma all’epoca tutto questo era percepito come il massimo della meraviglia, il loro aspetto era artificiale e le donne comunicavano un solo messaggio certo non detto, ma chiarissimo: “non mi toccare”. I mariti ignoravano come fossero le loro donne realmente e andava bene così. E se il trucco cambiava a ogni occasione, stessa cosa accadeva per i capelli, i parrucchieri divennero i migliori amici delle donne, e questi cotonavano le chiome delle clienti con così tanta lacca che sul finire degli anni ’50 queste ultime avevano in testa dei nidi di rondine modello Zia Ietta. Completavano il tutto collane di perle, gioielli vistosi, cappellini-decoro ad ornare i corpi generosi delle borghesi del tempo, perché tutto in quegli anni doveva essere prospero.


Gina Lollobrigida
Gina Lollobrigida


Negli anni Sessanta le cose si evolsero incredibilmente, e menomale (si sarà capito che non amo particolarmente i ’50). Intanto, il modello imperante non fu più quello della donna  formosa, che anzi lasciò il posto ad una fanciulla dal corpo gracile e infantile, come quello della giovanissima Twiggy, la “dolly bird” inglese che tra braccia, fondoschiena e gambe sarà pesata al massimo 45 chili (tipo mia madre a 20 anni, le odio!). Il make-up osservava come punto focale lo sguardo, per cui gli occhi venivano truccati con tanta matita e il mascara passato un numero di volte tale da ottenere l’effetto “cerbiatta”. I capelli, alla “paggio”, ricordavano le pettinature dei Beatles (non a caso, a Londra, Mary Quant, l’inventrice della minigonna, si fece tagliare i capelli da Vidal Sassoon, il quale ideò per lei il bob a cinque punte, da quel momento in poi i-m-i-t-a-t-i-s-s-i-m-o).


Twiggy
Twiggy


Ma sul finire degli anni ’60 si impose via via il movimento hippy e con esso uno stile di vita votato alla natura. Uomini e donne cominciarono a vestirsi in maniera semplice, riciclando abiti dismessi e usando stoffe naturali e trucco e capelli si semplificarono molto: chiome lunghe e sciolte per uomini e donne. Insomma, se durante i primi ’60 ragazzi e ragazze portavano capelli corti, tagliati e pettinati allo stesso modo, ora accadeva lo stesso, ma nella direzione del look selvaggio e UNISEX.


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Françoise Hardy


Giungiamo agli anni ’70 e posso finalmente affermare che con loro moda ed estetica si complicarono al punto che il bello non fu più univoco, e non fu più condiviso unanimemente dalla società. La prima metà del decennio fu dominata da quella voglia di naturalezza con cui si era chiuso il precedente; tuttavia la semplicità non avrebbe comportato una mancanza di cura, al contrario, tutto sarebbe stato perfetto. I capelli sempre puliti e lucenti, con eleganti scalature e mèches (tecnica creata con lo scopo di dare l’effetto “corro sul bagnasciuga e il sole mi schiarisce i capelli”); la pelle A-A-BBRONZATISSIMA, (grazie alle vacanze al mare o ad un ottimo autoabbronzante); il corpo tonico, snello, sano (grazie al jogging, all’aerobica e ad una alimentazione rigorosa).


Jane Birkin
Jane Birkin


Ma la sera, oh, la sera dimenticate pure tutta questa essenzialità, e immaginate lustrini, paillettes, trucchi pazzi, boa e abitini in lycra e lattex: questa era la mise tipo da STUDIO 54!


Lauren Hutton
Lauren Hutton


E naturalmente non tardò neppure a sopraggiungere qualcuno che dissacrasse tutto questo: benvenuti miei cari PUNK! Donne e uomini con molto lattice addosso e t-shirt strappate, ma anche tanto nudi e con innumerevoli anelli e spille alle orecchie e al naso e creste fluo e poi borchie e scritte pornografiche e infine trucchi nerissimi, si aggiravano per le città con lo scopo di SCANDALIZZARE (la mia adorata Vivienne Westwood, dalla sua boutique Sex a Londra, dettava legge).


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Donne che imposero la loro presenza nella società, che lavoravano e ottenevano successi professionali, che fecerosentire la loro voce spodestando gradualmente gli uomini di potere, come avrebbero mai potuto farlo senza delle belle spalle imbottite e dei tailleur-powerbusiness che sembrava volessero esclamare: “levati di mezzo, bello, o ti do un colpo di spallina!”. Negli ani ’80, il culto per il corpo non tramontò, anzi, si evolse in una vera e propria febbre del fitness, ma le donne tornarono ad essere prosperose e non rachitiche come in passato. Chi non godeva di un seno naturalmente florido, ricorreva alla chirurgia, strumento che non venne disdegnato neppure per i ritocchini al viso (che proprio in questo periodo cominciarono a divenire di uso comune). Insomma, fra chirurgia estetica e prodotti anti-aging, il trucco non servì più a correggere ma a esaltare: cosmetici naturali, make-up trasparente e/o, quando le tasche lo consentivano, permanente.


Antonia Dell'Atte, Giorgio Armani, A/I 1984-85 , foto di Aldo Fallai
Antonia Dell’Atte, Giorgio Armani, A/I 1984-85 , foto di Aldo Fallai


I capelli o venivano asciugati naturalmente o, al contrario, finivano sotto i caschi dei parrucchieri per uscirne cotonati che manco Ivana Trump e, cosa terribile, con frange molto gonfie (la chioma con l’effetto frisé e la frangia liscia era un altro must e questo vi sconsiglierei di riproporlo, ecco!)


Cindy Crawford
Cindy Crawford


Bene, amichette, siamo giunte alla conclusione di questo percorso a spasso fra bigodini, creme “forever-young” e boccoli fluenti. Avete deciso cosa sarete a Capodanno? Io ho optato per un abito rosso fuoco, dalle spalline larghe come gli anni’80 esigevano, mi farò fare delle onde che esalteranno le punte più chiare come gli anni’70 imponevano e stenderò un sacco di rimmel come gli anni ’60 ordinavano. Il risultato sarà o una contaminazione pazzesca o un esilarante delirio! Staremo a vedere!

Lo stile di Anna Wintour

Il suo è il caschetto più celebre della moda, la posizione che occupa è la più ambita e prestigiosa per antonomasia e lei incarna da sempre il personaggio più amato e temuto del fashion biz. Il proverbiale sguardo obliquo che incuterebbe soggezione anche alla fashion editor più navigata, quel sarcasmo al vetriolo, l’alone che la circonda è quello di una diva patinata: sì, perché su Anna Wintour sono stati scritti anche dei libri, a partire da quello che è poi divenuto il film cult Il diavolo veste Prada.

Nata a Londra il 3 novembre 1949, dal 1988 Anna Wintour è alla direzione della Bibbia della moda, Vogue America. Una carriera nel giornalismo di moda iniziata ad appena sedici anni: furono questi gli esordi di una donna che il successo lo aveva scritto nel DNA o, più semplicemente, nel carattere, ambizioso e freddo come pochi. Si racconta che quando Anna Wintour si presentò al colloquio per essere assunta da Vogue, Grace Mirabella, all’epoca direttrice della celebre testata, le chiese a quale posto ambisse. Lei rispose gelida, “il suo”. Già, perché le doti che occorrono per fare una simile carriera partono da qui: occorre essere all’occorrenza spietati, calcolatori e disciplinati, parola chiave che in molti tendono a dimenticare. Simbolo della moda a livello mondiale, dopo i fasti di Diana Vreeland si è aperta ufficialmente l’era di Anna Wintour.

Temuta e riverita, odiata e venerata, presenza fissa dei front-row delle sfilate, la Wintour è molto amica di Franca Sozzani, direttrice di Vogue Italia. Il carattere della giornalista britannica ha ispirato alla sua ex assistente Lauren Weisberger (sebbene quest’ultima non abbia mai dato conferma ufficiale) il bestseller Il diavolo veste Prada, scritto nel 2003 e poi diventato un film cult. Celebre l’interpretazione di Meryl Streep nei panni di Miranda Priestley, personaggio modellato ad immagine e somiglianza di Anna Wintour. Impossibile dimenticare le maniere brusche e il tono saccente con cui si rivolgeva alla timida ed insicura assistente Andrea Sachs, interpretata da Anne Hathaway. Secondo rumours il direttore di Vogue America non avrebbe assolutamente gradito il film incentrato sul romanzo della Weisberger e avrebbe addirittura intimato molti designer di non prendervi parte. Inoltre è chiaramente ispirato alla Wintour il look del personaggio di Fey Sommers nella serie televisiva Ugly Betty.

Anna Wintour ritratta da Ellen von Unwerth per Interview,1993
Anna Wintour ritratta da Ellen von Unwerth per Interview, 1993
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Anna Wintour è nata a Londra il 3 novembre 1949

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Dal 1988 la giornalista britannica è alla direzione di Vogue America


La direttrice di Vogue America è da sempre al centro di infinite polemiche: nota per favorire gli stilisti americani, tra i suoi protetti spiccano John Galliano, Marc Jacobs e Plum Sykes, un’assistente di Vogue diventata poi scrittrice di successo, contesa dall’élite modaiola di New York. Nella sua lista dei magnifici sette del fashion system spicca solo un nome italiano ed è quello di Miuccia Prada: vediamo spesso la Wintour indossare le sue creazioni.

Anna Wintour è protagonista del documentario The September Issue, che descrive il lavoro che sta dietro la pubblicazione del numero di settembre di Vogue, considerato il più importante dell’anno. Il documentario è opera del regista R. J. Cutler ed è stato premiato al Sundance Film Festival.

Spietata nei confronti delle persone in sovrappeso, la Wintour è spesso attaccata per le sue posizioni ferme e rigide. Pare che anche la celebre Ophrah Winfrey sia stata costretta a perdere ben venti chili per apparire sulla copertina di Vogue America. La stessa Grace Coddington, fashion editor sottoposta alla Wintour nella redazione del magazine, avrebbe ammesso che i canoni estetici della sua direttrice nel selezionare modelle e celebrities da fotografare sono obiettivamente estremi.


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Ma le polemiche non finiscono qui: la Wintour non ha mai nascosto il suo amore per le pellicce, attirandosi il malcontento di numerosi gruppi di animalisti, che più volte le hanno lanciato addosso vernice, uova e quant’altro. Accusata da molti stilisti italiani di privilegiare sfacciatamente la moda americana a danno di quella italiana, la Wintour ha più volte preteso (e spesso ottenuto) che i giorni della settimana della moda milanese venissero ridotti da sette a cinque. Ma ogni guerra ha i suoi combattenti: dichiaratamente schierati contro lo strapotere della Wintour sono stati Roberto Cavalli e Krizia, recentemente scomparsa, ma anche Giorgio Armani.

Apparentemente rigida e snob, nella vita privata la Wintour ha alle spalle un matrimonio fallito, con lo psichiatra David Shaffer, da cui sono nati i due figli Charles e Katherine (detta Bee), che la giornalista ha più volte tentato invano di convincere a lavorare nell’ambito moda. Intima amica di Ralph Lauren e Diane von Fürstenberg, pare che la giornalista conduca una routine giornaliera molto metodica, che prevede sveglia prestissimo al mattino, pasti estremamente ridotti e una passione per i cappuccini bollenti. La Wintour, per contratto dalla Condé Nast (la casa editrice che gestisce Vogue), ha uno stipendio annuo che supera i 2.000.000 di dollari, oltre ad avere un autista personale e –dulcis in fundo– un budget annuale di 200.000 dollari interamente destinato a coprire le spese di abbigliamento. Il sogno di ogni fashion victim, insomma.

La giornalista nel front row della sfilata Erdem
La giornalista nel front row della sfilata Erdem

Anna Wintour alla New York Fashion Week 2016
Anna Wintour alla New York Fashion Week 2016


Lo stile prediletto dall’algida giornalista prevede cappottini e tailleur dall’appeal bon ton; e se da giovane la celebre direttrice di Vogue non lesinava in lustrini e paillettes, oggi appare più sobria. Largo a stampe all over e gonne plissettate passepartout, sotto gli occhiali da sole e il caschetto d’ordinanza. Spesso in pelliccia -rigorosamente Fendi, Dior o Chanel– la Wintour sfoggia spesso capi firmati Prada, come nel titolo del film a lei dedicato. Ça va sans dire.


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Cronache vintage – Viaggio fra le acconciature e i belletti del ventesimo secolo

Sono sicurissima che molte di voi saranno andate dal parrucchiere ieri, o dall’estetista, o da Sephora, per ravvivare il colore ai capelli o per darci un taglio netto (non solo alla chioma, ma pure all’anno che sta per terminare), per sistemare le sopracciglia incolte, per acquistare un rossetto rosso da baci appassionati. Non lo avete ancora fatto? Brave! Approfitterete della mia cronistoria a spasso fra le acconciature e i look dell’ultimo secolo e deciderete così se essere, per il prossimo party di Capodanno, una vaporosa e truccatissima donna eighties style o una moderna Jean Harlow platinata! Questa prima parte è dedicata al periodo che va dal 1900 agli anni ’40 (la prossima settimana saprete il resto, quindi leggete attentamente e attendete ansiosamente!).


Dunque, tanto per cominciare, apprendo che durante il primo decennio del 1900 le donne della buona borghesia portavano anelli ai capezzoli (per procurarsi un effetto eccitante da sfregamento, che distraeva il corpo soffocato nel busto da tutte le sue pene). Mi direte che non c’entra nulla con i trucchi e belletti… esatto, è una curiosità che vi ho fornito e che molto stride con l’aspetto di quel decennio: le fanciulle da marito insieme alla pelle diafana, con annesse venuzze violacee accentuate dal trucco, il vitino, e il profumo alla lavanda, portavano capelli ondulati, morbidamente raccolti, con aggiunta di toupet, se necessario: la parola d’ordine era INNOCENZA!


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Isadora Duncan


Poi venne la guerra e i mariti al fronte dovevano essere assolutamente certi che le loro donne avessero un comportamento retto e ineccepibile, che non si curassero delle inutili civetterie, che apparissero pulite e compite. Fortunatamente la guerra volse al termine e sul finire del 1920 la donna da virtuosa divenne pericolosa e ambigua. Accorciò i capelli, per portarli alla maschietta, mise del kajal  intorno agli occhi, truccò di rosso intenso la bocca, “esotizzò” il suo aspetto, per divenire una femme fatale dal gusto orientale.


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Gloria Swanson


E giungiamo ai gloriosi anni ’20, siore e siori, e questo periodo è tra i miei più amati! Ormai i capelli alla maschietta erano un must, e nonostante gli uomini non condividessero, le signore imponevano il nuovo taglio burlandosi di loro con candide bugie (“caro, ho bruciato i capelli con la lampada a olio!”). E poi occhi bistrati, viso molto truccato, cipria in gran quantità, fard tamponato anche in pubblico: atteggiamento sconveniente, ma irresistibilmente chic! E poi lui, il rimmel (resistente all’acqua, peraltro). Fu creato nel 1921 da Elizabeth Arden, la professionista della bellezza (nonostante Helena Rubinstein ne rivendicasse l’invenzione), che volle tutte con ciglia lunghissime per sguardi ammaliatori. E infine, Coco Chanel, colei che inventò il tubino nero, introdusse l’uso del jersey e dei pantaloni, amava i gioielli purché fossero tassativamente finti, ebbene ruppe con il passato ancora una volta, quando dimostrò che “abbronzata è bello”! Se ne andava al mare a Biarritz e si faceva baciare dal sole: solo i poveri non potevano permetterselo, per cui avere la pelle colorata divenne cool nonché UPPER CLASS!


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Louise Brooks


Gli anni ’30 si potrebbe sintetizzare con questa frase: “La bellezza non è un dono, è abitudine”. Ad affermarla fu Germane Monteil, che nel 1935 fondò la sua casa cosmetica e convertì le sue clienti alla filosofia del “benessere”: il trucco non era sufficiente, da solo, a fornire un bell’aspetto, bisognava applicare sul viso creme da giorno e da notte, seguire un’alimentazione sana, praticare sport. Più in generale, in questo periodo, la donna doveva essere magra ma non efebica, femminile pur non impiegando strati di trucco (come si era usato precedentemente), abbronzata, naturale, curata. I capelli si allungarono almeno fino al mento, morbide onde incorniciano il viso. Le donne comuni guardavano alle dive del cinema, al loro incarnato perfetto, alle loro sopracciglia dall’arcata minuziosamente disegnata, ai loro soffici capelli biondissimi.


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Jean Jarlow


Bene, siamo arrivati ai ’40 e io sono felice di annunciarvi che ormai il trucco è per le donne come il tabacco per gli uomini: INDISPENSABILE. C’è una guerra in corso? E allora, che le fanciulle tutte siano piacevoli, curate, dall’aspetto accogliente e femminile. E attenzione, non è più il caso di apparire provocanti e frivole, gli uomini esigono per le loro fidanzate e mogli un’immagine matura e sensuale, in altre parole rassicurante.


Naturalmente non era facile reperire cosmetici in Europa, a differenza che in America, dove Elizabeth Arden ideò per le donne lavoratrici la BUSY WOMAN’S BEAUTY BOX, dove ci trovavi la cipria, il rossetto, lo specchietto, la crema detergente, insomma tutti quei prodotti con cui potevi “restaurarti” in ogni situazione. Le europee dovettero accontentarsi del lucido per stivali che usarono come rimmel o della crema da scarpe per colorare le sopracciglia. Scaltre queste ragazze!


E le chiome, in mancanza di un parrucchiere che non sempre ci si poteva permettere, venivano raccolte in quello che fu battezzato come “elmo”: i capelli erano portati tutti sù ed elegantemente fasciati attorno al capo. Una sorta di moderno grande “cocco”. In alternativa, si ricorreva allo chignon, nodo attorcigliato sulla nuca inventato dal parrucchiere Guillaume nel 1944 per Balenciaga (lo li porto spesso così, mi fanno sentire una ballerina metropolitana!). Altrimenti si ricorreva al turbante, per nascondere sotto a stoffe fantasiose i capelli non sempre curati.


Tutto questo non interessava ovviamente le stelle del cinema, che esibivano capelli lunghi, sciolti e ondulati. Queste venivano spesso imitate dalle donne “comuni”, con la conseguenza che in qualche fabbrica bellica non di rado i capelli di alcune si impigliassero nei macchinari. Chi bella voleva apparire, i capelli nelle macchine doveva infilare!


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Veronica Lake


Bene, mie care bambole, siamo giunte al termine di questa prima parte dedicata alla bellezza e all’immagine del nostro ultimo glorioso secolo. Io ora prendo il phon e la mia spazzola per le onde e m’ingegno per assomigliare a una star del cinema hollywoodiano (e naturalmente vi aggiornerò sui risultati!).

Auguri, Carla Bruni

Compie oggi 48 anni Carla Bruni. Ex Première Dame della Repubblica francese, top model e cantautrice di successo. Impossibile dimenticare la sua falcata altera, presenza immancabile delle passerelle anni Novanta. Gli occhi da gatta, gli zigomi pronunciati e quell’aria aristocratica: Carla Bruni è stata una delle modelle più famose in assoluto. Sono gli anni in cui le supermodelle sono regine assolute della moda, vere e proprie dive venerate da stilisti e media: lei sfila per tutti, da Chanel a Versace all’amico Yves Saint Laurent, di cui chiude i défilé, posa accanto a Naomi Campbell e Linda Evangelista, colleziona cover e uomini. Sempre con quell’aria un po’ così, la proverbiale puzza sotto il naso è l’elemento che la caratterizza, ma sotto la gelida facciata ribolle un vulcano.

Carla Gilberta Bruni Tedeschi è nata a Torino il 23 dicembre 1967 in una ricca famiglia di origine ebraica da tempo convertitasi al cattolicesimo. La futura Première Dame trascorre la sua infanzia in un castello: è il maniero di Castagneto Po, recentemente venduto dalla mannequin allo sceicco arabo Al-Walid bin Talal.

La bella Carla ha una sorella, Valeria Bruni Tedeschi, che diventerà attrice impegnata, e un fratello, Virginio, morto di AIDS. Quando Carla ha appena sette anni, la famiglia si trasferisce a Parigi: sono gli anni di piombo, e il timore di un rapimento da parte delle Brigate Rosse appare fondato, dal momento che il nonno di Carla, Vittorio Bruni Tedeschi, era stato il fondatore della CEAT, la seconda industria italiana della gomma dopo la Pirelli.

Carla Bruni è stata una delle supermodelle più pagate degli anni Novanta
Carla Bruni è stata una delle supermodelle più pagate degli anni Novanta
Carla Bruni è nata a Torino il 23 dicembre 1967
Carla Bruni è nata a Torino il 23 dicembre 1967

La top model è ex Première Dame della Repubblica francese e cantautrice di successo
La top model è ex Première Dame della Repubblica francese e cantautrice di successo


Carla riceve un’educazione da alto-borghese: gli studi nella scuola privata in Svizzera, poi la Sorbona, dove si studia architettura. Ma nella metà degli anni Ottanta la ragazza inizia a sfilare come modella. Sempre più richiesta, negli anni Novanta entra nell’Olimpo delle supermodelle più pagate al mondo. Sfila per nomi del calibro di Christian Dior, Paco Rabanne, Sonia Rykiel, Christian Lacroix, Karl Lagerfeld, John Galliano, Yves Saint-Laurent, Chanel, Versace, e arriva a guadagnare 7,5 milioni di dollari all’anno. Nel 1997 mette da parte l’attività di modella per iniziare una carriera come cantautrice. Il primo album Quelqu’un m’a dit è del 2002: chitarra e voce suadente, la nuova Carla ottiene il favore del pubblico che sembra adorare quel suo stile bohémien e quelle ballate dal piglio malinconico ed intimista. La classe non le manca neppure quando appare struccata con la chitarra sottobraccio nei concerti dal vivo.

La sua vita privata è da sempre al centro del gossip: definita spesso alla stregua di una glaciale arrampicatrice, le sue relazioni hanno fatto scandalo, a partire dalla storia con il filosofo francese Raphaël Enthoven, conosciuto quando la Bruni frequenta il padre di quest’ultimo, Jean-Paul Enthoven: Raphaël, all’epoca sposato con la scrittrice Justine Lévy, figlia del noto filosofo Bernard-Henri Lévy, perse la testa per la top model e pose fine al proprio matrimonio. La relazione ispirò alla Lévy il libro Rien de grave, dove la scrittrice traccia un ritratto al vetriolo della Bruni, che le ispira il personaggio di Paula, modella priva di scrupoli e più volte ricorsa al bisturi per migliorare la propria immagine. Da Raphaël Enthoven Carla Bruni ha avuto nel 2001 il primo figlio, Aurélien.


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Il 2007 è l’anno del coupe de foudre per Nicolas Sarkozy: questa volta la top model ha fatto centro, facendo capitolare nientepopodimenoché il Presidente della Repubblica francese. I due vengono paparazzati su tutti i giornali come la nuova coppia da sogno, fino al matrimonio, celebrato il 2 febbraio 2008 al Palazzo dell’Eliseo. Per lui sono le terze nozze, per lei è la vera svolta, perché Carla il potere lo ama da sempre. L’ex top model appare semplicemente perfetta nel nuovo ruolo di Première Dame: impeccabile ad ogni evento ufficiale, dagli incontri con Michelle Obama e la Regina Elisabetta II, evento in cui la top model sfoggia un’indimenticabile mise firmata Christian Dior che ci ha riportati indietro ad un glorioso passato in cui l’eleganza era all’ordine del giorno. Carla Bruni appare raggiante nella sua nuova veste, per cui sembra essersi preparata per tutta una vita, come affermano i maligni. Da Nicolas Sarkozy nel 2011 ha la figlia Giulia.

Su Carla Bruni sono stati scritti numerosi libri, nei quali ad essere maggiormente indagato è proprio il suo rapporto con gli uomini. Definita spesso una mantide religiosa, descritta come una donna fredda e calcolatrice, la top model per sua stessa ammissione è una materialista ipercontrollata che studia a tavolino la propria immagin: il ritratto di una donna cui certamente manca ogni margine di spontaneità. Ma ella stessa nasce in una famiglia altolocata ed intellettuale, ragione questa che spiega molto bene l’intima corrispondenza amorosa verso uomini di un certo spessore.

Carla Bruni in uno scatto di Ellen von Unwerth
Carla Bruni in uno scatto di Ellen von Unwerth

La top model in passerella per Yves Saint Laurent
La top model in passerella per Yves Saint Laurent


Impegnata politicamente, dopo essersi dichiarata di sinistra per una vita ammette con deliziosa nonchalance di aver cambiato idea; nominata nel 2008 ambasciatrice mondiale dell’Unicef per la protezione delle madri e dei neonati contro l’Aids, l’anno seguente crea la Fondation Carla Bruni-Sarkozy, nata per promuovere il sapere anche tra le persone svantaggiate. Particolarmente sensibile al tema della lotta all’AIDS data la prematura scomparsa del fratello Virginio, morto nel 2006 a causa del virus, la top model nel 2010 lancia la campagna internazionale Born HIV Free, per sensibilizzare l’opinione pubblica circa la possibilità di eliminare la trasmissione del virus HIV da madre a figlio entro il 2015. Sempre nel 2010 viene inserita dalla rivista Forbes al 35º posto nella lista delle donne più potenti del mondo. Glaciale e al tempo stesso sensuale, lei non perde occasione di vantarsi del proprio lato b, che a suo dire rasenterebbe la perfezione.

Amata ed odiata, è stata perfino fatta oggetto di insulti ed incitazioni ad ucciderla a seguito della sua campagna a favore di Sakineh Mohammadi Ashtiani, condannata alla lapidazione per adulterio e omicidio in Iran. Mentre la sua carriera di cantautrice prosegue con grande successo, partecipa con un cameo al film di Woody Allen Midnight in Paris. Circolano nello stesso periodo rumours insistenti secondo i quali la ex top model avrebbe avuto un ruolo nell’estradizione del famoso terrorista Cesare Battisti, dopo essersi impegnata attivamente, secondo il Time, per impedire l’estradizione dalla Francia all’Italia della brigatista Marina Petrella, già condannata in Italia all’ergastolo per un omicidio e vari attentati. Nessuno è profeta in patria, si sa: e se la Bruni dichiara di essere felice di aver lasciato l’Italia, Cossiga ribatte dicendo che anche gli italiani sono felici di essersi liberati di lei. Resta la deliziosa imitazione di Fiorello e il testo di una canzone che canta più o meno così: “Meno male che c’è Carla Bruni”.


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Cronache Vintage – Quella incontenibile voglia di JEANS!

Ho acquistato il mio ventitreesimo paio di jeans. Non potevo non prenderlo. Direttamente dagli anni ’80, a vita alta, gamba a prosciutto, strettini sulla caviglia. E blu. Di un blu non troppo chiaro. Nemmeno tanto scuro. Sono completamente diversi dai penultimi jeans, quelli che ho comprato un mese fa, decade ’80, blu, di un blu non troppo chiaro ma nemmeno troppo scuro.


E va bene, d’accordo, lo ammetto: sono Chiara, ho 33 anni e ho una dipendenza da DENIM!


Ora, signori miei, è doveroso che io faccia una precisazione: con il termine “denim” si indica il tessuto (che non è necessariamente di colore blu); con la parola “jeans”, invece, si definisce il taglio (il cinque tasche, per intenderci), impiegato per il confezionamento di pantaloni dai tessuti più svariati e non necessariamente in tela. Il nostro amato denim non è altro che cotone, la cui trama è bianca o écru, tinta poi chimicamente (in passato veniva colorato con estratti di piante).


Per quanto concerne la sua origine, c’è ovviamente lo zampino di LEVI STRAUSS (americanizzazione del tedesco Löb Strauß), un giovanotto di belle speranze che nel 1853 decise di raggiungere la California per vendere i capi di abbigliamento dell’azienda di famiglia. Levi aveva con sé anche dei tendoni da carro, con cui pensò bene di realizzare un paio di pantaloni. Un gran colpo di genio|! Un minatore li indossò, li usò e si entusiasmò: il tessuto in questione era resistente e non esisteva miniera che lo avrebbe distrutto. Quel giorno nacquero i pantaloni Levi’s e in seguito, a San Francisco, venne da lui fondata la sede americana dell’azienda di famiglia, la Levi Strauss&Co. I pantaloni naturalmente vennero perfezionati, fu scelto un tessuto più confortevole, direttamente dalla città di Nimes, in Francia (da cui l’abbreviazione americana denim), dal caratteristico aspetto blu della tinta usata per la colorazione. Nel 1873, vennero aggiunti dei rivetti di rame per rinforzate le tasche (in modo che non cedessero con il peso degli attrezzi dei lavoratori) grazie ad un’idea di Jacob Davis, cliente di Strauss e proprietario di una sartoria a Reno, nel Nevada. E infine, nel 1886, arrivò il marchio di fabbrica, l’etichetta in pelle con i due cavalli che tirano un paio di pantaloni senza che riescano a romperli.


Levi's Vintage Clothing


Dunque, se oggi indossiamo giacche, pantaloni, camicie, scarpe in denim lo dobbiamo al signore crucco di cui vi ho parlato qui sopra. Ma concedetemi un momento di sano patriottismo: a Genova, qualche decennio prima che Strauss realizzasse i jeans, dei marinai crearono qualcosa di molto simile con un telo (in denim o forse di fustagno) usato per le vele delle navi. Da qui l’espressione “blues Jeans”, per il colore blu e per la derivazione genovese (jeans sta per Genes, ossia genovesi).


A questo punto, vi pongo una domanda: quanti jeans possedete voi? E in quale modello? Io non li porto sicuramente in stile fifties, con i grossi risvolti, come la giovane Liz qui sotto, dal momento che sembrerei con ogni probabilità una rosetta farcita!


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Elizabeth Taylor, anni ’50


Preferisco un modello dalla vita alta, dalla gamba regolare, magari indossato con una camicia bianca annodata in vita, come quella bellezza rara di Marilyn Monroe insegna.


Marilyn Monroe, anni ’60


Ma non disdegno neppure i 5 tasche anni ’70 (periodo molto gettonato per le sfilate di questa stagione), vita altissima, zampa, che nel mio caso associo a tacchi vertiginosi e non a gym-shoes, che invece Fara Fawcett prediligeva per ovvie ragioni di altezza e magrezza.


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Farra Fawcett


E li posseggo naturalmente anche in versione ’80, con due grossi buchi sulle ginocchia, chiarissimi, cattivissimi, che miss Ciccone avrebbe di certo apprezzato.


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Madonna, 1980


Momento iconico: Kate Moss nella campagna di Calvin Klein del 1990. Adoro quel decennio, le camicie erano larghe, i jeans stretti il giusto, la vita comoda. Il modello in questione è stato bistrattato per tanto tempo, prediligendo vite bassissime che non lasciavano nulla all’immaginazione (che volgarità!). Poi sono tornati, insieme al buongusto. Era ora.


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E degli stessi anni è anche il film Thelma&Louise, in cui le coraggiose Susan Sarandon e Geena Davis fuggono dalla routine familiare e da mariti non proprio esemplari con addosso canottiere gagliarde, sexy jeans e stivali da cowgirl (potete ammirarle in copertina).


Concludo dicendo che io li ho tutti, ma questa non è una ragione sufficiente per frenare la mia voglia di averne sempre di più. O no?

Mimi Tao: diva della moda transgender

Occhi a mandorla, lunghi capelli neri e zigomi pronunciati: a vederla così sembrerebbe una tipica bellezza orientale. Ma Mimi Tao, top model thailandese di fama internazionale, ha alle spalle una storia ben più complessa da raccontare.

Il viso dai lineamenti perfetti e dall’espressività intensa venne al mondo imprigionato suo malgrado nel corpo di un ragazzo. Phajaranat Nobantao è nato ventidue anni fa a Khon Kaen, nella Thailandia orientale, in una famiglia benestante. Insieme ai suoi fratelli è stato poi indirizzato alla vita monastica e mandato in un tempio buddista, allorché la famiglia attraversò un periodo di difficoltà economiche.

È il volto pulito di un giovane dalle labbra carnose e dallo sguardo trasparente, quello che fa capolino sotto i capelli rasati e la kesa: Phajaranat trascorre ben sei anni della sua vita nel tempio. Le giornate sono scandite solo dalla preghiera, dalla meditazione e dalle rigide regole che la vita ascetica comprende. Ma in cuor suo il giovane nutre dei grandi sogni.

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È nel buio della sua stanza che Phajaranat prende coscienza della sua vera natura: ogni sera il giovane monaco trasforma quel piccolo spazio silenzioso in una sorta di passerella immaginaria, di cui lui diviene protagonista assoluto. Truccandosi come una mannequin e trasformando la tonaca in un abito da sera, insieme ai suoi amici, gli altri monaci, si esibisce in una improvvisata sfilata di moda.

Nonostante tutti i tentativi da parte del giovane di rinnegare la propria reale essenza, questa sembra sempre tornare a galla: è dopo una grande lotta interiore che Phajarant inizia ad assecondare questo istinto e ad assumere la pillola anticoncezionale per stimolare i propri ormoni femminili. La famiglia resta scioccata dalla notizia e la madre arriva a disconoscerlo. Lui -che definisce questo come “il momento più triste di tutta la sua vita” -promette a se stesso che un giorno non solo si sarebbe fatto accettare per ciò che è realmente ma che avrebbe anche aiutato la sua famiglia.

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Inizia così la parabola che lo porta a diventare Mimi Tao. La giovane è avvenente ed elegante: inizia la sua carriera come ballerina di cabaret nei locali di Pattaya e a Bangkok. Poi avviene l’incontro decisivo per la sua vita, con la top model internazionale Rojjana “Yui” Phetkanha, che la aiuta ad emergere nel mondo della moda.

Per la prima volta Tao non si sente più rifiutata nella sua vera natura: Yui gli insegna ogni trucco del mestiere, e nell’arco di tre mesi forgia quella che si è imposta in pochissimo tempo come la nuova diva della moda asiatica.

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La modella transgender oggi è una star incontrastata: innumerevoli sono le campagne pubblicitarie a cui presta il volto e il fisico longilineo, dalle foto in lingerie -per cui è richiestissima- alle sfilate di moda. La giovane non ha più paura di nascondersi, posta orgogliosamente le foto che la ritraggono in tutta la sua bellezza e ha anche aiutato la sua famiglia sostenendola dal punto di vista economico. Contraria alle operazioni per cambiare sesso, la bella Mimi è incerta sul suo futuro, e non esclude addirittura di tornare nel monastero buddista. Intanto fotografi e sponsor sono pazzi di lei.


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