Cosa significa la vera devozione, il professarsi affiliati ad un credo, cosa richiede la vera devozione. Le stazioni della fede, del regista Dietrich Brüggemann, rientra tra quei film che pur attenendosi stretti ad una tesi, quindi facendo campeggiare, su gli altri, l’aspetto della lucidità deduttiva implacabile, denominatore comune del cinema nordico, non si irrigidisce in un teorema monotono familiare al pubblico. È, invece, un esercizio di conseguenze che solo in apparenza, causa un pigro fraintendimento, sembra collocarsi nella frequentata polemica laica, sedicente illuminata, sui deleteri risvolti anche macabri degli estremismi religiosi. Fosse altrimenti sarebbe una lagnanza esterrefatta, seppur tagliente quanto una arringa magistrale, la quale, di traverso, invogli comunque la moderazione, come terapia universale coscienziosa. Sarebbe solo una opportuna dieta bilanciata del fare, cui è affezionato il tollerante senso comune. Saremmo solo riconfermati nel sospetto che ogni esagerazione, il contrario, appunto, di ogni suggerita moderazione, è fautrice di mali riprovevoli, che il rimedio privilegiato sta solo nel regolare qualche registro, andato magari fuori fase.
Maria, è una adolescente, una devota, in procinto, in una sorta di conto alla rovescia stritolante, di ricevere la cresima. Con questo sacramento ci si riconferma sudditi del regno celeste cristiano, come a ribadire, maturati, la prima affiliazione avvenuta nel battesimo, che ci registra, senza un qualche consenso, nell’anagrafe beata del Signore. La cresima è l’inizio, invece, del consenso, dell’età ragionevole del credente. Fin da subito le premesse gettate sono chiare. Chi vuole essere grato al Signore, da cui per controparte riceve la salvezza dalla morte categorica, deve atteggiarsi, e l’uso di uno specialistico linguaggio marziale non è casuale, a bravo soldato che rimugini, pregando semmai, i propri indelebili compiti centrali. Far prevalere, quindi, le schiere dei giusti contro il nemico pubblico numero uno della fede, ossia il Tentatore, pronto a distoglierci dalla via virtuosa, per sprofondarci nel baratro disintegrante del peccato. A un soldato, è risaputo, serve una guerra per stabilire il punteggio del proprio valore, per distinguersi, e il sacrificio, preferibilmente della vita, offerto alla causa è l’apice della sua personale gloria. Maria, di certo, è irretita in una sorveglianza angosciosa, da parte della madre, stridula fanatica picchiettata d’isteria volubile, è di certo inserita in una invisibile struttura militare religiosa. Ci sono ordini declamati, Non fare questo e quest’altro che il nemico è in agguato, pronto a sfigurare la tua fedeltà al precetto di purezza. Ci sono superiori forgiati alla difesa del culto, i sacerdoti, che ti rimettono in pista nella purificazione ottusa del confessionale. Maria, però, non è solo la vittima di un regime dispotico di credenze opprimenti, che si fanno, di certo, sentire nella fragilità tormentata dell’adolescente in sboccio genitale. È, soprattutto, un soldato che svolge coerente il proprio compito, attenendosi a quei comandi, gli unici, che diano senso al sacrificio, che sia della libertà carnale non è decisivo.
Il film è solo all’apparenza la cronaca infelice di una ragazza vessata, fino allo sfinimento c’è da dire, dal fardello di una angusta rete di ossessi, cui deve piegare, per debolezza, il collo. Il martirio di Maria è la denuncia astratta, e per questo non faziosa, di ogni religione, in cui ogni forma di moderazione è solo un miraggio ipocrita, per chi la professi, una imperdonabile miopia critica, per chi la solleciti. Acquisire la vita eterna, in un patto d’intenti siglato col creatore, significa sempre due cose, congiunte con adesivo teologico. Che la mescolanza di bene e male, in cui sguazza il maligno, ed è la Terra che calpestiamo, deve finire, si chiama Giorno del Giudizio, perché, altrimenti, lo stesso creatore sarebbe poco credibile, ne va della sua onnipotenza. Che ci sono dei comandi cui sottostare, come obbedienti soldati sul fronte, i comandamenti possono essere un buon esempio, che se eseguiti con scrupolo portano ad una vittoria senza eguali, a meritare il Paradiso dagli infiniti piaceri leciti. Ma per quanto reclamata la fine del mondo non giunge, si rimanda a date da destinare, come nel cattolicesimo moribondo, o la si congiura sulle rotte internazionali, come nell’Islam insorto, che con tutta la sua ferocia plateale osservata è solo la religione nel suo umore apocalittico più coerente.
Maria non concedendosi la gioia contorta di un terrorista esplosivo, convinto di trascinare nelle fiamme della redenzione, sacrificandosi, il mondo malato, l’Occidente blasfemo nel caso, ancora, dell’Islam, non può far altro che sacrificarsi, togliendo il disturbo, e così facilitare il lavoro di pulizia dell’eterno.