Continua la collaborazione tra Altaroma e il Coin Excelsior con le splendide collezioni dei 7 talentuosi designer
Il successo di Premium contemporary department store Coin Excelsior non si ferma, e così dopo le due precedenti edizioni all’interno di Altaroma, si presenta puntuale anche quest’anno con la sua terza edizione, ospitando i 7 talentuosi designer scelti tramite un’attenta selezione e provenienti per la maggiore dal colorato e glamourissimo mondo di Altaroma.
Una realtà ormai ben consolidata quella tra Altaroma e Coin Excelsior, incentrata unicamente sullo sviluppo a sostegno dei giovani talenti, divenendo un vero e proprio palcoscenico accessibile a tutti per le collezioni di questi talentuosi designer.
Ghisellini
Adriano Franchi, Direttore generale di Altaroma afferma: “Con questa partnership Altaroma conferma il suo ruolo determinante nell’ampliamento delle opportunità di mercato per i talenti emergenti favorendo, grazie alla collaborazione con Coin Excelsior, un link immediato e concreto tra le nuove leve e le realtà commerciali leader della distribuzione a livello nazionale”.
Le collezioni di accessori e ready-to-wear dei designer saranno inoltre protagoniste delle quattro inedite vetrine dall’effetto “Magic Mirror”.
L72
Petriglia
Avanblanc
Catherine Dè Medici 1533
Al Premium Contemporary Department Store Coin Excelsior, in Via Cola di Rienzo a Roma, esporranno le collezioni Spring/Summer 2016 di: Avanblanc, Catherine de’ Medici 1533, Elena Ghisellini, Federica Berardelli, Giancarlo Petriglia, L72 e Quattromani, che ha presentato inoltre con una splendida sfilata – performance Fall/Winter 2016- 2017.
Le collezioni sono acquistabili presso il Coin Excelsior anche nelle settimane successive!
In ESCLUSIVA per i lettori di D-Art il MAKING OF delle sfilate più belle.
A sfilate della Moda Uomo concluse vi trasportiamo alla scoperta di ciò che avvenuto dietro le quinte.
Uno show dietro lo show dove truccatori, hairstylist, vestieristi e modelli sono nel massimo dell’operatività al servizio del brand. E’ una danza che affascina l’operatore che interviene sollecito ai fini di riportarne i contenuti per i nostri lettori.
A inaugurare tale filone è il backstage del fashion show di Lucio Vanotti, designer scelto da Giorgio Armani in qualità di talento up and coming in grado di meritare l’ambitissima sfilata presso l’Armani Teatro.
Solenne il debutto in linea con l’identità del marchio. L’austerità dell’ abito visto come uniforme, l’alienazione e il distacco dal caos terreno, l’ascetismo estetico a favore di una bellezza cruda e grottesca, presenti nuovamente in collezione, non hanno deluso i suoi estimatori.
Le righe orizzontali sono il leitmotiv che accompagna i corpi svuotati e alleggeriti di ogni vezzo.
No gender per i completi sartoriali, anche versione pijama, i cappotti vestaglia e le coperte militari in qualità di tuniche, elaborati in panno di lana, spigati, velluto 100 righe, cotone garzato e felpa.
A completare la marzialità dei look stivaletti con suole slipper per calcare il suolo di nuovi e inesplorati pianeti del puro essere.
Si è spenta nella sua abitazione di Milano, all’età di 90 anni, Mariuccia Mandelli, in arte Krizia. A dare la notizia dell’improvviso malore, fatale alla celebre designer, il cda di M.K.K. spa.
Nata a Bergamo il 31 gennaio del 1935, Krizia si affermò ben presto divenendo protagonista indiscussa della moda italiana. Il caschetto scuro, il sorriso ironico e lo sguardo curioso, impossibile non conoscere Mariuccia Mandelli: quel nome scelto dall’ultimo Dialogo di Platone, perfetto per designare la sua moda concettuale e architettonica. Mariuccia Mandelli era figlia di un’Italia abituata a lavorare sodo e a fare sacrifici: un’attitudine per il taglio e cucito coltivata con grande disciplina, sullo sfondo del dopoguerra e con un padre intento a dissipare il patrimonio familiare per i suoi vizi; poi gli studi in Svizzera e quella cattedra come insegnante a cui la giovane rinunciò in nome della moda, per aprire un laboratorio a Milano, con l’amica Flora Dolci. Linee pulite ed essenziali caratterizzarono quei primi capi sperimentali.
Nel 1957 la giovane designer si distinse nell’ambito di un’esposizione al SAMIA (Salone mercato internazionale dell’abbigliamento), attirando l’attenzione anche di Elsa Robiola, celebre firma del giornalismo di moda italiano. Nel 1964 presentò una sua collezione a Palazzo Pitti, a Firenze, ottenendo il premio “Critica della moda”. Se inizialmente Mariuccia Mandelli vendeva le sue creazioni ai negozi, fu grazie all’obiettivo di Elsa Haerter, fotografa della rivista Grazia, che il suo nome cominciò a girare nei negozi più importanti. Le sue collezioni degli anni Sessanta prediligono i contrasti, come il bianco e nero optical, e la minigonna, che in Italia fu sdoganata anche grazie a lei, sulla scia di Mary Quant.
Maria Mandelli, in arte Krizia, nacque a Bergamo il 31 gennaio 1935
Appassionata di moda fin da giovanissima, studiò in Svizzera
Per la moda rinunciò ad una cattedra come insegnante
Krizia fu nominata Commendatore della Repubblica Italiana
Un ritratto di Mariuccia Mandelli
Il ritratto eseguito da Andy Warhol
La designer accanto al suo ritratto eseguito da Warhol
La collezione “La Voliera”, del 1980
Krizia, Autunno/Inverno 1983, foto di Albert Watson, Vogue UK settembre 1983
Krizia Autunno 1988
ADV Krizia, 1989
Krizia su Vogue America, Dicembre 1986. Foto di Giovanni Gastel
Krizia su Vogue America, Maggio 1987. foto di Giovanni Gastel
Krizia, Vogue America ottobre 1987. Foto di Giovanni Gastel
Krizia, Vogue America, dicembre 1987. Foto di Giovanni Gastel
Krizia su Harper’s Bazaar, foto di Annie Leibovitz, modella Honor Fraser, marzo 1994
Krizia, Autunno/Inverno 1995, foto di Patrick Demarchelier, modella Shalom Harlow
Krizia Autunno/Inverno 1997-’98, Angela Lindvall ritratta da Paolo Roversi
Dopo le nozze con Aldo Pinto, celebrate in Giamaica nel 1965, crea la collezione Kriziamaglia, e nel 1971 si aggiudica il premio “Tiberio d’oro” grazie ad un paio di hot pants ad alto tasso di sensualità.
Da lì la conquista del mercato internazionale con il suo brand: Krizia propone uno stile eccentrico ma sofisticato, specchio dello stile degli anni Ottanta. I materiali innovativi, come il sughero, la gomma e l’anguilla, e le forme insolite delle sue creazioni le valgono il soprannome di “Crazy Krizia”, assegnatole dalla stampa americana. Acclamata dai mercati esteri, amata tra le altre da Marella Agnelli e Lady Diana, la consacrazione avviene con un ritratto firmato Andy Warhol: Mariuccia Mandelli brilla nel firmamento della moda mondiale, dimostrando doti imprenditoriali notevoli, oltre ad un talento senza pari. Negli anni Ottanta il suo prêt-à-porter è salutato con clamore, mentre la stilista firma una linea uomo che ottenne grande successo; indimenticabili le maglie con gli animali, mentre nel 1980 arriva la prima fragranza firmata Krizia. Nel 1986 la stilista ottiene la massima onorificenza italiana, divenendo Commendatore della Repubblica Italiana, unica donna accanto a nomi del calibro di Giorgio Armani, Gianfranco Ferré, Valentino Garavani e Gianni Versace.
Gli anni Novanta la vedono indagata nel maxi processo Mani Pulite, con l’accusa di aver pagato delle tangenti, ma segue la piena assoluzione nel 1998. Recenti le collaborazioni della designer con Alber Elbaz, Jean-Paul Knott, Giambattista Valli, mentre nel 2014 il marchio fu rilevato dal gruppo cinese Shenzhen Marisfrolg Fashion. La stilista si è spenta improvvisamente nella serata di ieri nella sua abitazione milanese, accanto al marito Aldo Pinto. A gennaio avrebbe compiuto 91 anni. Dichiaratasi sempre di sinistra, Mariuccia Mandelli auspicava l’avvento di una generazione di giovani talenti e -schietta come sempre- non perdeva occasione per evidenziare la mancanza di umiltà che caratterizzava diversi addetti ai lavori. Con lei scompare un tassello fondamentale della moda italiana.
Ormai è ufficiale: Beyoncé firmerà una linea in esclusiva per Topshop. La catena low cost inglese e la regina della musica hanno confermato l’inedita collaborazione, che si preannuncia un riuscito esperimento stilistico.
La cantante si improvvisa designer di una linea dall’appeal sporty-chic che sarà in vendita da aprile 2016, secondo indiscrezioni. Parkwood Topshop Athletic Ltd., questo il nome della linea sportiva disegnata da Beyoncé, sarà molto più che una collezione stagionale: pare infatti che la linea diventerà fissa nei store della catena inglese.
Curve da capogiro e una grande passione per la moda, la bella Beyoncé ci stupirà con il suo sportswear: declinata in top, leggings, sneakers, i capi saranno adatti per molteplici attività sportive, dalla danza alla corsa.
Disponibile in 25 paesi, Stati Uniti ed Europa inclusi, Topshop non è nuovo a esperimenti di questo tipo: indimenticabile la collezione disegnata da Kate Moss per il brand low cost. Adesso tocca alla ex delle Destiny’s Child conferire un tocco di stile e di femminilità all’abbigliamento sportivo.
Lusso, eccessi, charme: quando si sente il nome di Gloria Vanderbilt queste sono alcune delle immagini che vengono subito alla mente. Ereditiera di un’immensa fortuna, socialite tra le più brillanti del suo tempo, musa, icona di stile, artista e, ancora, modella e designer, Gloria Vanderbilt ha incarnato la quintessenza dello stile e della bellezza, rappresentando per oltre mezzo secolo uno dei volti più conosciuti del jet set internazionale.
Habitué del mitico Studio 54, modella ritratta da fotografi del calibro di Richard Avedon, Gordon Parks, Louise Dahl-Wolfe, Horst P. Horst e Francesco Scavullo, negli anni Settanta, dopo una vita consacrata all’arte e alla bellezza, declinata in ogni sua forma, divenne fashion designer. Il lancio della sua linea vedeva il cigno, simbolo di candore, come logo. Occhiali, profumi e una linea di abbigliamento di cui ancora ricordiamo i celebri jeans: il nome di Gloria Vanderbilt è stato sinonimo di stile per oltre trent’anni.
Gloria Laura Vanderbilt è nata a New York il 20 febbraio 1924 da Reginald Claypoole Vanderbilt e dalla sua seconda moglie Gloria Morgan. Bellissima già da neonata, fu battezzata come cattolica. Alla morte del padre, avvenuta quando la piccola ha appena 18 mesi, Gloria eredita un patrimonio immenso, stimato in circa 5 milioni di dollari.
Durante la sua infanzia frequenti sono i viaggi da e per Parigi, con la madre e l’amatissima governante Emma Sullivan Kieslich. Un ruolo importante nell’infanzia della piccola fu rivestito dalla sorella gemella della madre, Thelma, che fu amante del Principe di Galles. La madre di Gloria ha le mani bucate, e ciò rappresenta un pericolo per la gestione dell’immenso patrimonio di cui la piccola Gloria non può beneficiare fino alla maggiore età: è per questo che interviene Gertrude Vanderbilt Whitney, zia di Gloria dal ramo paterno. Appassionata di scultura e filantropa, Whitney chiese la custodia della nipote, scatenando un processo che all’epoca destò notevole scalpore. La giovane Gloria si trovò così, ancora bambina, a dover testimoniare davanti ad una giuria, nella posizione forse più traumatica per una bambina: quella di dover scegliere tra la madre e la zia. Alla fine fu quest’ultima ad avere la meglio: la piccola Gloria crebbe nel lusso della residenza di Gertrude, divisa tra Long Island e New York. La storia del processo divenne anche il tema della miniserie trasmessa nel 1982 dalla BBC“Little Gloria…Happy at Last”, che ottenne ben sei Emmy e un Golden Globe.
Gloria Vanderbilt divenne una fanciulla bellissima: occhi a mandorla e labbra carnose su un viso perfetto la resero adatta a posare come modella per numerosi magazine. Apparve su Vogue, Town & Country, Life Magazine e Harper’s Bazaar. Brillante negli studi, frequentò le migliori scuole, fino alla Art Students League di New York, dove sviluppò un notevole talento artistico. Al compimento della maggiore età, quando poté finalmente impadronirsi dell’immenso patrimonio ereditato dal padre, Gloria tagliò completamente fuori la madre, pur non smettendo mai di supportarla economicamente, facendola vivere in una lussuosa residenza a Beverly Hills, dove la donna morì nel 1965.
La bella Gloria studiò recitazione alla Neighborhood Playhouse con Sanford Meisner come maestro. Dotata di un immenso talento artistico, presto si impose come pittrice, dando anche numerose mostre. I suoi dipinti furono acquistati, a partire dal 1968, da Hallmark Cards e da Bloomcraft e Gloria iniziò a dipingere con successo ceramiche e oggetti per la casa. Simbolo del lifestyle e del lusso coniugato allo stile, il suo appartamento di New York è stato a lungo rappresentato dai principali magazine di interior design: piastrelle patchwork e un’eleganza che si traduce in maestosa opulenza, la lussuosa residenza è stata location di alcuni degli scatti più celebri che ritraggono la socialite.
La sua carriera nella moda è iniziata negli anni Settanta, dapprima con il marchio Glentex, per cui disegnò una linea di sciarpe. Nel 1976 il designer indiano Mohan Murjani le propose di lanciare una linea di jeans usando il suo nome come logo. Più stretti di quelli che si usavano all’epoca, i jeans firmati Gloria Vanderbilt furono un successo senza precedenti: seguiti da una linea di abbigliamento e profumi, ben presto il logo col nome della socialite divenne sinonimo di lusso e qualità, che oltrepassò i limiti della moda fino a comprendere liquori e accessori di vario tipo. I diritti sui jeans furono poi acquistati nel 2002 dal gruppo Jones Apparel. Dal 1982 al 2002 L’Oréal lanciò otto fragranze col nome di Gloria Vanderbilt. Nel 1978 la Vanderbilt lanciò la propria compagnia, GV Ltd., con sede a New York. Nel corso degli anni Ottanta accusò i suoi partner e il suo avvocato di frode e, dopo un lungo processo, vinse la causa. I suoi jeans attillati rappresentano ancora oggi un autentico must have: tanti sono i siti di moda vintage che propongono modelli ormai rari e preziosi.
Autrice di quattro memoriali e di tre romanzi, contributor del New York Times, di Vanity Fair ed Elle, nel 2001 la Vanderbilt ha inaugurato la sua mostra d’arte dal titolo “Dream Boxes” presso il Southern Vermont Arts Center di Manchester. Un successo di pubblico e critica, la mostra è stata seguita nel 2007 da un’altra esposizione. Inoltre Gloria Vanderbilt ha fatto molto parlare di sé per il suo ultimo romanzo, dal titolo “Ossessione: un racconto erotico”. Recensito dal New York Times come il “libro più piccante mai scritto da una ottuagenaria”, trattasi di fatto di un libro a luci rosse, i cui protagonisti fanno ampio uso di fruste, corde di seta, insieme ad ortaggi vari, usati in metodi assolutamente non convenzionali.
La bella ereditiera non smette di sorprenderci. D’altronde, come ogni icona che si rispetti, anche la Vanderbilt non si è fatta mancare una vita sentimentale alquanto tumultuosa: appena diciassettenne sbarcò ad Hollywood, dove convolò a nozze con l’agente Pat DiCicco, nel 1941. Ma il matrimonio lampo fu seguito, appena quattro anni dopo, da un divorzio, in cui l’ereditiera dichiarò di essere stata vittima di violenze e abusi da parte del marito. Nel 1945 Gloria sposò il conduttore Leopold Stokowski. Nel 1956 il terzo matrimonio, con il regista Sidney Lumet. Infine, il quarto ed ultimo matrimonio, con l’autore Wyatt Emory Cooper, celebrato nel dicembre 1963. La coppia ebbe due figli, Carter Vanderbilt Cooper, morto suicida nel 1988, dopo essersi lanciato dal quattordicesimo piano dell’appartamento di famiglia, e il giornalista della CNN Anderson Hays Cooper. Wyatt Cooper, forse l’unico amore della sua vita, morì nel 1978.
Gloria Vanderbilt mantenne sempre una relazione fatta di stima ed affetto reciproco col fotografo Gordon Parks, fino alla morte di quest’ultimo, avvenuta nel 2006. Inoltre ebbe relazioni con Marlon Brando, Frank Sinatra, Howard Hughes. Truman Capote rivelò di essersi ispirato a lei per il celebre personaggio di Holly Golightly, protagonista dell’indimenticabile romanzo Colazione da Tiffany. Grande amica di Diane von Fürstenberg e della commediografa Kathy Griffin, al compimento del suo novantesimo compleanno, il 20 febbraio del 2014, le collezioni dei suoi dipinti sono state esposte nella galleria di 1stdibs presso il New York Design Center. Oggi la celebre icona appare completamente diversa, a causa di una serie di interventi di chirurgia estetica. Il suo nome resta però legato ad un periodo storico forse ineguagliabile, quanto a stile ed eleganza. Per nostalgici doc.
Se ne andava quattro anni fa una delle più famose icone di stile del Novecento. Musa storica di Yves Saint Laurent e protagonista indiscussa della moda dagli anni Sessanta in poi, Loulou de la Falaise è stata l’icona fashion più famosa dagli anni Sessanta ai giorni nostri.
Musa per antonomasia della Rive Gauche di monsieur Yves, incarnò la quintessenza dello stile bohémien divenendo a sua volta una brillante designer di gioielli. All’anagrafe Louise Vava Lucia Henriette le Bailly de la Falaise, Loulou nacque in Inghilterra il 4 maggio 1948 dalla modella anglo-irlandese Maxime Birley, amata da Cecil Beaton, e dal marchese Alain de La Falaise, grande intellettuale.
Battezzata con il profumo Shoking di Elsa Schiaparelli anziché con l’acqua benedetta, come lei stessa dichiarò, Loulou ebbe un’infanzia travagliata: le numerose relazioni extraconiugali della madre portarono i genitori al divorzio e quest’ultima perse la custodia dei due figli, Loulou e Alexis, che furono affidati a delle case famiglia.
Nelle vene di Loulou scorreva sangue inglese, irlandese e francese: ribelle per natura, la piccola venne espulsa da ben tre scuole, in Sussex, a Gstaad e a New York. Ma è nella Grande Mela che inizia per la giovane una carriera che la porterà a divenire una delle maggiori icone di stile mai esistite. Le sue gambe chilometriche e il suo charme androgino incantano la celebre editor Diana Vreeland che la ingaggia come modella facendola ritrarre da nomi del calibro di Richard Avedon e Irving Penn. Tuttavia la personalità scoppiettante della giovane le rende presto odioso il lavoro di modella: Loulou ha troppo da dire per amare quella professione fatta di pura immagine. La giovane vola quindi alla volta di Londra, dove inizia a lavorare per Queen Magazine. Ad appena 18 anni convola a nozze con l’aristocratico irlandese esperto di storia dell’arte Desmond FitzGerald, da cui divorzierà nel 1970.
Nella cornice di Carnaby Street nel 1968, anno passato alla storia, sarebbe avvenuto secondo le fonti più attendibili il primo incontro tra Loulou de la Falaise e Yves Saint Laurent. Erano gli anni della Swinging London, e da lì in poi prese il via la più grande rivoluzione culturale del Novecento. “Più eri giovane e più autorità avevi, nella Londra di allora”, affermò più avanti l’icona di stile, ricordando quel periodo della sua vita.
Incoraggiato dal partner storico Pierre Bergé, Saint Laurent aveva iniziato a disegnare collezioni di prêt-à-porter e aveva da poco aperto la sua mitica boutique sulla Rive Gauche, seguita da un’altra boutique, inaugurata a Londra nel 1969. In quest’ultima impresa il couturier era appoggiato da Betty Catroux e da Loulou, entrambe sue modelle e muse. All’epoca Loulou aveva 21 anni e già un divorzio alle spalle.
Il suo stile rappresenta la quintessenza del boho-chic, con una predilezione per accessori vintage e gioielli etnici. Innamoratosi del suo charme, Yves la vuole al suo fianco a Parigi. Il ruolo che Loulou dovrà ricoprire è indefinito: è così che in breve l’icona di stile si ritrova a disegnare gli accessori e gioielli per le collezioni della celebre maison. Il suo look androgino avrebbe ispirato la collezione di Yves Saint Laurent del 1966, con protagonista il celebre smoking. Il genio creativo del couturier carpì a lungo ispirazioni dal guardaroba eclettico ed originale di Loulou. “Una settimana era una novella Desdemona in velluto porpora e corona di fiori e la settimana dopo era una Marlene Dietrich”: con queste parole monsieur Yves descriveva lo stile dell’amica. Un’amicizia che segnò per sempre le loro vite: sarà Yves a disegnare per Loulou l’abito da sposa per il suo secondo matrimonio con Thadée Klossowski de Rola, figlio del celebre pittore Balthus, celebrato nel 1977 con una cerimonia indiana organizzata dallo stesso couturier nella cornice di Chalet des île del bois de Boulogne, poco distante da Parigi. Loulou appariva raggiante in un turbante di piume, lunghe collane folk e pantofoline stile indiano. Dal matrimonio nacque la figlia Anna. Più che una musa, termine che l’icona non perse mai occasione di bistrattare apertamente, Loulou de la Falaise fu per oltre quarant’anni spalla destra e intima amica di Yves Saint Laurent.
Al ritiro di Saint Laurent, nel 2002, dopo oltre trent’anni trascorsi a disegnare accessori e gioielli per le sue collezioni, Loulou lanciò la propria linea di abbigliamento, che comprendeva prêt-à-porter, gioielli e accessori. Dettagli di stile per veri intenditori, nelle sue collezioni si trovava il migliore tweed inglese; i pantaloni ricordavano la linea di quelli usati dai marinai francesi, mentre completavano il look sofisticate bluse di seta e cappotti profilati di pelliccia. La sua è una clientela di élite, innamorata in primis del suo stile, che Loulou riesce magistralmente a traferire ai suoi gioielli. Loulou de la Falaise disegnò anche porcellane e vasi per Asiatides e gioielli per la boutique di Yves Saint Laurent ubicata nei Giardini di Majorelle a Marrakech, e aprì due negozi a Parigi, uno dei quali fu progettato dal fratello Alexis. Celebre il suo appartamento parigino e la sua casa in Normandia, arredati con gusto boho-chic. Lo charme parigino dell’icona di stile è stato celebrato nel libro Loulou de la Falaise (Ed. Rizzoli Usa), corredato da oltre 400 fotografie di nomi come Helmut Newton e Richard Avedon, Steven Meisel e Bettina Rheims. La designer si è spenta il 5 novembre 2011, ad appena 63 anni, nell’ospedale di Gisors, in Francia, a causa di un male incurabile. Tenuta segreta fino all’ultimo, la malattia ha posto fine prematuramente alla vita della più famosa icona della moda degli anni Settanta. Uno stile indimenticabile, che ancora oggi rivive nella Rive Gauche.
Non si può mai star tranquilli, è proprio il caso di dirlo: dopo l’inaspettato divorzio tra Raf Simons e Dior tocca ora a Lanvin creare scalpore.
Aber Elbaz, dopo quattordici anni alla direzione creativa della celebre maison francese, ha lasciato il suo incarico.
A dare per primo la notizia è stato il sito Women’s Wear Daily: secondo rumours fidati, il designer israeliano avrebbe maturato la decisione di abbandonare la maison a causa degli ormai insormontabili contrasti con la dirigenza aziendale del marchio, in primis con Shaw-Lan Wang e Michèle Huiban, CEO di Lanvin.
Una riunione straordinaria convocata questo pomeriggio tra i vertici del brand e i dipendenti avrebbe visto Elbaz fare già le valigie e lasciare il suo studio in Rue du Faubourg Saint-Honoré. Ora riflettori puntati sul suo successore.
Certo è che questi divorzi in seno alle maison più autorevoli del panorama internazionale non sono passati inosservati agli occhi degli addetti ai lavori. Se è vero che la moda è una tra le più nobili forme d’arte, assai difficile appare talora il connubio tra le strategie di marketing e le ispirazioni -mutevoli e assolutamente scevre dalle logiche di mercato- dei loro direttori creativi. Una piccola rivoluzione che sta suscitando clamore nel fashion biz, ma che auspichiamo possa magari riportare le case di moda a riscoprire la propria essenza più autentica.
La notizia è arrivata come un fulmine a ciel sereno: Raf Simons lascia la direzione creativa di Christian Dior. È Sidney Toledano, CEO della celebre maison francese, a darne conferma in un comunicato stampa diffuso questo pomeriggio. Lo stilista belga avrebbe motivato la sua scelta affermando di volere concentrarsi sulla sua linea e sulle sue passioni.
Direttore creativo di Dior dallo scorso 2012, Simons subentrò a John Galliano, licenziato per le sue affermazioni antisemite. Un fatturato in continua crescita per la storica maison, grazie anche all’operato di Simons.
Si chiude quindi con la collezione Primavera/Estate 2016, appena presentata a Parigi, la parentesi Raf Simons per Christian Dior. Adesso ci si interroga su chi prenderà il suo posto: tra i nomi più papabili sembra ci siano Riccardo Tisci, direttore creativo di Givenchy, e Phoebe Philo, attualmente alla guida di Céline.
Viviamo in un’epoca in cui tutto è pubblico e alla luce del sole. Tutto è concesso, si può vedere e nulla rimane segreto, nemmeno quello che indossi sotto i vestiti.
Stars come Rihanna sono state grandi fan della moda trasparente, lei stessa è stata pure bannata da Instagram per averci fatto vedere troppo…
Il vedo-non vedo adesso è di tendenza sulle passarelle e nei giornali, e sembra lo ritroveremo ancora, date le nuove collezione estive.
Sappiamo tutti che le sfilate sono dei veri e propri show, una specie di mondo surreale. Nel mondo reale ovviamente un look trasparente è difficile da portare, ma allora in che modo riproporli dalla passerella alla vita reale?
Prima di tutto occorre un bel po’ di coraggio, e se accostata nella maniera giusta la trasparenza può essere molto fine e chic.
Anzitutto si potrebbe iniziare con il paneling, ad esempio unire una blusa con un mini top sotto e/o una giacca sopra, una blusa con le maniche trasparenti o un vestitino cocktail con zone trasparenti o che ne dite di una gonna trasparente con una mini sotto? Le combinazione sono infinite…
Ma prima di tutto dovrete fare un piccolo investimento in un negozio di intimo e acquistare tanta bella lingerie – necessaria per questo look!
Nelle prossime stagioni la moda vuole scoprirci e lasciar vedere un po’ di pelle; io dico “se non puoi batterli, unisciti a loro ma solamente alle tue regole”😉
Love B
ENGLISH VERSION
We live in an era where everything is public and out in the open…Everything is out there for everyone to see and nothing is a secret anymore, not even what you wear underneath your clothes. Big stars like Rihanna have been fans of the sheer trend and even got banned of Instagram because of sharing too much info.
We’ve been seeing the transparency/sheer trend for a while now on the runways and in the magazines, and it seems it won’t be going anywhere according to the new summer collections.
But we all know that the runway shows are called shows for a reason, they are some kind of fantasy world. In real life this transparency look is a bit harder to pull off, ‘cause I definitely wouldn’t suggest anyone to wear the sheer trends without anything underneath like they do on the runways..So how can we bring it from the runway to real life?
First of all you’ll definitely be needing some guts, but if done in the right way the sheer trend can be very classy and chic.
You could work with paneling..And single pieces…For example: a sheer blouse with a little top underneath and/or a jacket on top,
a blouse with just see through sleeves or a cute cocktail dress with sheer paneling, or what about a sheer skirt with a mini underneath?
The combinations are endless….
But one thing is for sure you need to drop by the lingerie store and invest in some nice underwear because you will be needing them with this look.
In the upcoming seasons they want us to be showing some skin, I say if you can’t beat’em then join em..but only under your own conditions;)
Love B
Long sheer dress and fur jacket @MARCO BOLOGNA
Lingerie @INTIMISSIMI
Boots @ZARA
Ci sono nomi che, oltre ad aver reso la moda italiana famosa in tutto il mondo, le hanno conferito una magia ed uno charme talmente unici ed irripetibili da essere ricordati in eterno. La storia di Emilio Pucci è ricca di nobiltà e di avventura, sullo sfondo di una Firenze patrizia fino alla conquista degli States e all’affermazione della maison italiana nel mondo.
Emilio Pucci, marchese di Barsento, nacque a Napoli il 20 novembre 1914 dalla nobile famiglia fiorentina dei Pucci. Provetto sciatore, nel 1934 viene selezionato dalla squadra nazionale olimpica italiana di sci e partecipa alle Olimpiadi invernali del 1936.
Il giovane Emilio coltiva la passione per lo sci e per la pittura. Dopo aver vinto una borsa di studio presso il Reed College, nell’Oregon, dove avrebbe dovuto continuare i suoi allenamenti nello sci, sorprende tutti disegnando l’uniforme della squadra. I suoi primi bozzetti nascono così, in modo del tutto spontaneo e casuale, ma rivelano un genio ed un estro sorprendenti.
Dopo aver concluso un master in scienze sociali negli States, l’eclettico aristocratico non torna in Italia ma si imbarca su una vecchia nave e parte per un improvvisato giro del mondo, impresa che paga cara al suo rientro in patria, dove viene accusato dalle autorità militari di renitenza alla leva.
Prima di avvicinarsi alla moda il marchese fu un grande sportivo: dopo essersi arruolato nella Regia Aeronautica nel 1938, lavorò come istruttore di sci al Sestriere. Rientrato nella sua Firenze, avviene l’incontro che segna la sua vita, con la moda, di cui l’inconsapevole designer cambierà il corso. Anche in questo campo, la fortuna di Emilio Pucci proviene ancora una volta dal mondo dello sport, oltre che da un indescrivibile talento come disegnatore di bozzetti: dopo aver creato, quasi per gioco, una tenuta da sci per un’amica, nel 1947, viene immortalato con quest’ultima dalla fotografa di moda Toni Frissell sul numero di dicembre di Harper’s Bazaar. Quella tuta da sci improvvisata dai colori fluo colpisce l’attenzione dei media e diventa must have ante litteram della moda invernale.
L’aristocratico dal gusto innato viene incoraggiato dall’inaspettato successo a proseguire sulla strada della moda: è Capri la location scelta per aprire la sua prima boutique, nel 1950. La personalità e l’originalità pagano sempre, e quei colori brillanti su stampe dai motivi così particolari rappresentano fin da subito qualcosa di assolutamente inedito nel panorama della moda italiana e mondiale. Pioniere della moda italiana e perspicace trendsetter, il marchese partecipa l’anno seguente, nel febbraio del 1951, alla prima sfilata di moda mai organizzata in Italia, realizzata grazie a Giovanni Battista Giorgini a Firenze, nella mirabile location di Villa Torrigiani.
Emilio Pucci si impone in brevissimo tempo come uno dei protagonisti più amati delle passerelle fiorentine. Le sue creazioni, dalle fantasie optical e dalle cromie esplosive, unite alla cura nella scelta di tessuti pregiati, sdoganano in breve lo stilista anche all’estero: “The Prince of Prints”, il principe delle stampe, è il nome assegnatogli dalla stampa anglosassone. Nel 1954 avviene una prima consacrazione ufficiale in America, con l’assegnazione del prestigioso Neiman-Marcus Award. Mentre la moda guarda sempre più a Parigi, all’Haute Couture di nomi come Christian Dior e al suo New Look dal gusto classico, Emilio Pucci crea una nuova concezione dello stile, che privilegia la comodità e le stampe.
Capostipite di quello che oggi viene chiamato Sportswear, la libertà sembra essere ciò che più gli preme, per capi drappeggiati e morbidi in tessuti come la seta, l’organza, la gabardine e la mussoline. Definito da Giovanni Sartori “un grande cavaliere antico”, Pucci scglie come suo quartier generale per la sua casa di moda Palazzo Pucci in via de’ Pucci: è la sua Firenze ad ispirarlo, e l’antico palazzo nobiliare è ancora oggi sede della maison. Suggestive e pregne di un gusto indimenticabile, le foto scattate sul tetto del palazzo di famiglia, forse simbolo per antonomasia del gusto del marchese e della sua visione dell’eleganza. Innumerevoli saranno le modelle ad indossare capi Emilio Pucci: celebri le foto scattate da Henry Clarke e Gian Paolo Barbieri, con modelle del calibro di Marisa Berenson e Benedetta Barzini, solo per citarne alcune. Tute dal sapore etnico, pigiama palazzo che ricordano l’Oriente, e ancora turbanti e dettagli che profumano di terre lontane: lo stile Emilio Pucci affascina con un mix di storia e ricercatezza, per capi sofisticati come pochi.
Dopo aver brevettato nel 1960 “emilioform”, un tessuto leggero composto da helanca mixata a shantung di seta, nel 1966 Pucci lanciò il suo primo profumo, Vivara. Nel 1956 creò una delle sue collezioni più celebri, ispirata alla Sicilia, rappresentata mirabilmente da indimenticabili scatti ambientati a Monreale; l’anno seguente fu il Palio di Siena ad ispirarlo, e nel 1959 le opere del Botticelli. Nel 1967 portò le sue sfilate nel palazzo di famiglia, e nello stesso periodo disegnò le uniformi per le hostess della Braniff International Airways. Avanti rispetto ai tempi, la collezione, denominata Gemini 4, vede un mood da space oddity, ed è seguita dalla creazione del logo per la missione speciale della NASA denominata Apollo 15. In Italia disegnò le divise dei Vigli urbani, con i fatidici elmetti ovali sulla divisa blu dai lunghi guanti bianchi: inoltre si dilettò con la moda maschile, con la creazione di fragranze e con la produzione di ceramiche per la casa.
I capi colorati di Emilio Pucci andarono letteralmente a ruba nei grandi magazzini Saks, dando origine ad una vera e propria Puccimania. Un gusto innato per il colore ed una capacità unica come disegnatore, le sue creazioni avevano un quid che le differenziava da tutte le altre: l’allegria ed un approccio artistico alla moda, nella sua ricerca certosina per la creazione di stampe originali.
Durante la Seconda Guerra Mondiale Emilio Pucci fu ufficiale dell’Aviazione, pluridecorato con tre Medaglie d’argento al valor militare, sette di Bronzo e tre Croci di guerra al valor militare. Personalità eclettica, negli Sessanta il marchese decise di entrare in politica, col partito liberale e fu nominato Sottosegretario al Ministero dei Trasporti. Il 4 giugno del 1982 fu nominato Cavaliere del Lavoro. Il 29 novembre del 1992 il marchese si spense nella sua amata Firenze, all’età di 78 anni.
Dopo la sua scomparsa la figlia Laudomia ha ereditato la direzione del marchio, di cui ancora oggi cura l’immagine generale. Nel 1996 una grande mostra in onore del marchese è stata allestita a Pitti, mentre il suo talento così unico è stato al centro di un volume edito da Taschen. Nel 2000 il gruppo francese LVMH (Louis Vuitton) ha acquistato i diritti sul logo Emilio Pucci e sulle creazioni storiche, rendendosi protagonista di un rilancio del brand gestito in modo sapiente: è solo dalla celebrazione del glorioso passato della maison che si può ripartire, rivisitandone modelli e motivi per declinarli in collezioni nuove facendo rivivere la magnificenza dello stile Pucci nella contemporaneità. La storica maison ha visto alternarsi alla sua direzione creativa numerosi designer, da Stephan Janson e Julio Espada a Christian Lacroix, da Matthew Williamson a Peter Dundas, fino all’attuale direttore creativo Massimo Giorgetti. Con oltre 50 boutique nelle località più esclusive del mondo e un fatturato calcolato tra Italia, Stati Uniti e Giappone, la maison è ancora oggi simbolo di un’incomparabile eleganza.
Il suo nome è sinonimo di stile, i suoi outfit sono tra i più cercati in rete: Poppy Delevingne è oggi un’icona di stile contemporanea tra le più amate al mondo. It girl, socialite e modella, famosa in tutto il mondo per la sua indiscutibile eleganza, la sorella maggiore di Cara Delevingne è un personaggio tra i più influenti nel fashion biz.
Poppy Angela Delevingne nasce a Londra il 3 maggio 1986 in una famiglia blasonata come poche: figlia di Pandora Anne Stevens, personal shopper, e Charles Hamar Delevingne, costruttore edile, per via materna discende dalla famiglia dei baroni Faudel-Phillips, che annovera tra gli avi il Lord sindaco della città di Londra.
Poppy cresce a Belgravia, nel centro di Londra, e frequenta la Bedales School. Lunghi capelli biondi e altezza svettante (1,78 m), Poppy Delevingne ha lavorato a lungo come modella professionista: scoperta nel 2008 dalla fondatrice della Storm Model Management Sarah Doukas, ha al suo attivo numerose campagne pubblicitarie.
Nella sua carriera come modella, Poppy Delevingne ha prestato il suo volto a brand del calibro di Shiatzy Chen, Laura Ashley, Anya Hindmarch, Alberta Ferretti e Burberry ed ha calcato le passerelle di nomi come Julien Macdonald. Una bellezza algida eppure fresca, l’inedito ma quantomai riuscito mix, unito allo charme British e ad uno sguardo malizioso, Poppy Delevingne ha posato per Terry Richardson ed è stata il volto di Louis Vuitton per la collezione Primavera/Estate 2012.
Musa nonché amica di Matthew Williamson, la modella è stata coinquilina dell’attrice Sienna Miller, con la quale ha condiviso un appartamento a New York. Nel 2012 Poppy Delevingne si è fidanzata con James Cook, con cui è convolata a nozze nel maggio del 2014, con un doppio matrimonio e due outfit da sogno, rispettivamente Chanel Haute Couture per le nozze celebrate a Londra e un Emilio Pucci disegnato per lei da Peter Dundas, per la cerimonia hippie-chic che ha avuto luogo a Marrakesh.
Per la giovane it girl britannica, la moda non è solo una passione: nominata Young Ambassador del British Fashion Council ed ambasciatrice del brand Chanel, Poppy Delevingne in fatto di stile è una vera e propria autorità. Il suo stile capta le ultime tendenze proposte dalla moda reinterpretandole in chiave personalissima.
Una predilezione per i look boho-chic, vediamo spesso Poppy Delevingne indossare lunghi abiti stampati, dalle suggestioni Seventies. Tra i brand prediletti dall’icona di stile in pole position troviamo Valentino ed Emilio Pucci.
L’influencer inglese ha dimostrato un gusto innato capace di mixare capi haute couture e pezzi vintage: dal tailleurino bon ton Chanel al look grunge composto da fur coat e jeans a zampa d’elefante. Eclettica, raffinata ed ironica, il suo è uno stile spumeggiante e studiato fin nei minimi particolari.
Seguitissima sui social network, Poppy Delevingne è stata stylist per il matrimonio della sorella maggiore Chloé e designer. Ora dichiara di voler fare l’attrice. Uno stile tutto da copiare, per vere icone d’eleganza.