Colori pastello, linea iperfemminile e design accattivante: si chiama Inside Bag ed è la nuova borsa culto di Prada. Come un gioco di matrioske, Prada Inside Bag nasconde al suo interno un’inattesa sorpresa: una borsa gemella, in un’altra tonalità cromatica.
Un simpatico escamotage ideato dallo storico brand per la nuova it bag, che è già uno dei più amati fashion trend per l’ Autunno/Inverno 2015-2016. Chi non ha avuto nel proprio guardaroba una borsa Prada questa stagione può fare il bis.
Tonalità cromatiche classiche, nel rispetto del design e della tradizione italiani si coniugano ad abbinamenti ton sur ton per un accessorio da non perdere assolutamente. Un must have tra i più ambiti per la stagione autunnale, che completa una collezione all’insegna del colore fluo e di suggestioni Sixties.
Innovazione tecnologica e creatività permettono ai maestri artigiani della maison di unire la borsa esterna al suo doppio interno attraverso un meccanismo d’avanguardia, mediante due soffietti privi di struttura interna. Morbida pelle, colori accattivanti e giovanili, la nuova it bag vanta già tra le sue fan la top model Elisa Sednaoui e le attrici Valeria Golino e Kate Bosworth.
Chi ha vissuto negli anni Settanta non può non ricordare i suoi capi. Linee pulite ed essenziali si uniscono al glam tipico degli anni Settanta, per capi che divengono emblema di un’epoca. Roy Halston Frowick nasce nel 1932 a Des Moines, Iowa. Già nella prima infanzia crea abiti per la madre e la sorella e ben presto inizia a disegnare cappelli.
Nel 1952 si trasferisce a Chicago, dove frequenta un corso serale presso la School of the Art Institute e contemporaneamente lavora come visual merchandiser per mantenersi agli studi.
L’anno seguente, nel 1953, inizia la sua attività di creatore di cappelli, riscuotendo grande clamore: Kim Novak, Deborah Kerr e Gloria Swanson sono solo alcune delle star che indossano le sue creazioni. Nel 1957, dopo avere inaugurato la sua prima boutique, si trasferisce a New York, dove inizia a lavorare per la celebre stilista Lilly Daché. Nel giro di un anno viene nominato co-designer della maison, incarico che lascia per passare alla Bergdorf Goodman.
Halston balzò agli onori della cronaca per aver disegnato il cappellino indossato da Jackie Kennedy alla cerimonia di insediamento alla Casa Bianca del marito, nel 1961. Inoltre amarono i suoi cappelli personalità del calibro di Rita Hayworth, Diana Vreeland e Marlene Dietrich.
Definito da Newsweek come il designer più interessante d’America, nel 1966 passò dalla creazione di cappelli alla creazione di abiti, inaugurando la sua prima boutique in Madison Avenue nel 1968. L’anno seguente, nel 1969, lanciò la sua prima linea di prêt-à-porter, Halston Limited.
Come egli stesso dichiarò in un’intervista rilasciata a Vogue, ciò che più gli stava a cuore, nella creazione dei capi, era la funzionalità. Odiava tutto ciò che non fosse funzionale, come fiocchi o cuciture inutili; le sue collezioni fin dal principio si distinsero per un minimalismo funzionale. Si trattava di capi eleganti e sexy ma dalle linee semplici e pulite.
Nel 1972 brevettò l’Ultra suede, un particolare tessuto facilmente lavabile anche in lavatrice, comodo e perfettamente adattabile alla silhouette. Il suo halter dress, ideato due anni più tardi, è entrato nei dizionari di moda: quando parliamo di scollatura all’americana, parliamo di Halston, che ne fu l’inventore. La sua donna era una sirena della disco glam di fine anni Settanta. I suoi abiti, perfetti per un party in piscina, erano la perfetta incarnazione del mito americano. Colori caldi come il bronzo, l’oro, l’argento, il fucsia, il blu elettrico e tessuti come il cachemire, il jersey e la seta.
Il jet set internazionale cadde ai suoi piedi. Tra le sue più fedeli clienti troviamo Anjelica Huston, Lauren Bacall, Margaux Hemingway, Elizabeth Taylor, Bianca Jagger e Liza Minnelli.
Dal 1968 al 1973 il fatturato del brand si stima intorno ai 30 milioni di dollari. Nel 1975 Max Factor realizzò la prima fragranza col nome della maison. Secondo Vogue, Halston contribuì a rendere popolare il caftano, disegnando diversi modelli per Jackie Kennedy.
Personalità emblematica di quegli anni, Roy Halston fu assiduo frequentatore dello Studio 54 ed intimo amico di Liza Minnelli ed Andy Wahrol. Dopo una vita di eccessi, si ritirò a metà degli anni Ottanta. Nel 1988 risultò positivo al test dell’HIV e morì due anni dopo, nel 1990, per complicanze legate al virus.
Oggi resta la sua eredità. Il marchio, dopo diverse vicissitudini legate a scelte sbagliate, è stato acquistato nel 2011 da Ben Malka, già presidente del gruppo BCBG Max Azria. Halston continua ad essere sinonimo di stile e si contraddistingue ancora oggi come uno dei marchi più venduti negli Stati Uniti.
Ci sono talenti unici, che nascono una sola volta ogni secolo. È certamente il caso di Giorgio di Sant’Angelo, genio della moda a trecentosessanta gradi, che ha fortemente influenzato gli anni Sessanta e Settanta.
Designer poliedrico e progressista, stylistante litteram, visionario e ribelle, Giorgio aveva una sua personalissima visione della moda, che ancora oggi si pone come un unicum assoluto.
Sangue blu nelle sue vene, il conte Giorgio di Sant’Angelo (nome completo Jorge Alberto Imperatrice di Sant’Angelo e Ratti di Desio) nasce il 5 maggio 1933 a Firenze ma trascorre la sua infanzia nella tenuta del nonno, tra Argentina e Brasile, prima di fare ritorno in Italia all’età di 17 anni.
Dopo aver conseguito la laurea in Architettura presso l’università di Firenze, studia Design industriale a Barcelona e Storia dell’arte alla Sorbona. Artista poliedrico e dall’instancabile creatività, vince una borsa di studio che gli permette di conoscere Picasso, con cui lavora per sei mesi.
Successivamente il giovane si cimenta anche con l’animazione, sottoponendo un cartoon alla Walt Disney che, fortemente colpita dall’estro del ragazzo, gli offre uno stage. Giorgio parte quindi alla volta di Los Angeles, ma il suo inglese non eccellente lo riporta bruscamente alla realtà e lo costringe ad abbandonare l’esperienza dopo appena 15 giorni. Dopo qualche tempo si trasferisce a New York: a questo periodo risalgono le prime esperienze lavorative, come artista tessile ed interior designer.
Inizia a creare, per puro hobby, gioielli in plastica e lucite, dalle forme geometriche, che impressionano fortemente la fashion editor Catherine Murray di Montezemolo e Diana Vreeland, che lo vuole subito su Vogue. La sagace mente della Vreeland, già scopritrice di molti talenti, fiuta immediatamente il genio che ha davanti e lo assume come stylist freelance. È da questa collaborazione che nacquero perle rimaste ancora insuperate nel panorama della moda mondiale.
Nel 1966 Giorgio inizia a lavorare come designer, creando la sua prima linea di prêt-à-porter. Per la sua collezione attinge alle tradizioni culturali di diversi popoli, come quella dei nativi americani, per dar vita a capi dall’impatto fortemente scenografico. Suggestioni tratte dalle Ande, come si evince dalle stampe patchwork e dalla caratteristica lavorazione all’uncinetto. E ancora elementi rubati agli amerindi, come la lana mohair, le piume, le frange e i pellami tipici dei costumi dei nativi americani, stampe tratte dalla cultura azteca ed incas, il jersey, il mix di pattern e fiori ripresi dai costumi dei Navajo e degli Eskimo, l’opulenza di trecce e broccati di ispirazione gipsy, capolavoro indiscusso di styling.
Il suo contributo più grande nonché la sua rivoluzione fu bandire le cerniere lampo e progettare per la prima volta materiali stretch, che non costringessero il corpo femminile ma che vi si adattassero perfettamente. Designer pluripremiato, fu insignito del prestigioso Coty Award per ben due volte, la prima nel 1968 e la seconda nel 1970. Nel 1967 eliminò la “di” dal suo cognome e rinunciò al titolo nobiliare. Creò ben presto una linea più economica, denominata Sant’Angelo 4U2, seguita da un’altra più attenta alle tendenze del momento, la Marjer parts.
Le sue creazioni furono apprezzate da Bianca Jagger, Faye Dunaway, Isabella Rossellini, Cher, Diana Ross e Lena Horne. Posarono per lui modelle del calibro di Veruschka, Marina Schiano ed Elsa Peretti. Lo stilista, ricordando quei primi tempi, disse che all’epoca non avevano un soldo e che le ragazze posavano per lui la notte, dopo aver trascorso tutto il giorno a lavorare.
Celebre e ancora oggi insuperato esempio di perfezione stilistica, lo shooting del 1968 per Vogue, scattato nel deserto dell’Arizona con Veruschka come modella e con la fotografia di Franco Rubartelli, all’epoca legato sentimentalmente alla modella. Ideato da Diana Vreeland, fashion editor di Vogue, ambientato nella magnifica cornice del Deserto Dipinto, in Arizona, qui il genio di Giorgio vede la consacrazione ufficiale: la fashion editor alla fine concesse ben 8 pagine a quello shooting, in cui esplose la manualità di Giorgio, che dal nulla creò degli splendidi outfits. Lì dove chiunque avrebbe visto solo un mucchio di stoffe, lui vide dei vestiti. “Faceva caldo, terribilmente caldo”, ricorda Veruschka. Ad un certo punto, fasciata dentro un outfit che ricordava una specie di sacco a pelo, la modella perse i sensi.
Lo stilista, genio ribelle ed anticonformista, si spense il 29 agosto 1989 per un cancro ai polmoni, ad appena 56 anni, lasciando però un’eredità immensa, che influenzò designer come John Galliano, Anna Sui e Marc Jacobs. Ammirato da Bill Blass, da Donna Karan per il comfort offerto dai suoi capi, Giorgio amava definirsi “un artista prestato alla moda, un ingegnere del colore e della forma”.
Genuinamente convinto che moda e arte fossero strettamente correlate, auspicava la nascita di uno studio in cui architetti e creatori di moda lavorassero fianco a fianco, sulla falsariga delle Bauhaus di Vienna di inizio Novecento. Un talento insuperabile che meriterebbe di essere ricordato più spesso dagli addetti ai lavori.
Non c’è blu senza giallo e senza arancione, e se si aggiunge del blu,
bisogna aggiungere anche del giallo e dell’arancione. Vincent van Gogh
E’ il giallo il colore tendenza di questa stagione. Il colore che illumina, il colore dello smile che accompagna i nostri messaggi, il colore dei girasoli di Van Gogh; lo ritroviamo sulla felpa SpongeBob proposta da Moschino, in versione fluo per lo smalto Givenchy, in giallo canarino per la bag firmata Manurina.
Differenti le sfumature del giallo, che tornano dal passato con la lampada-icona del designer canadese Verner Panton disegnata per l’albergo Astoria a Trondheim in Norvegia: la Topan VP6.
Moderno invece nel modello Chamomilla, frutto della collaborazione tra Lasvit e il moderno designer Philippe Starck. Chamomilla è un prezioso lampadario in vetro soffiato a mano dalle sfaccettature chiare e oro, oggetto di design, prezioso come un diamante.
Amanda Lindroth è una interior designer nata in Florida.
Il suo stile è una combinazione di memorie tra la natura delle sue origini con il glamour degli anni ’60 e ’70 di Palm Beach.
L’ispirazione arriva dai suoi numerosi viaggi in giro per l’Europa e dalle sue contaminazioni nel mondo della moda – Amanda ha lavorato in qualità di Public Relations Director per Gucci.