Il primo mandato di Roosevelt si aprì a poche settimane dall’insediamento di Hitler in Germania e dalla decisione giapponese di lasciare la Società delle Nazioni, due episodi che mostravano la fragilità degli equilibri mondiali. La crisi economica internazionale condizionò pesantemente anche la politica estera di Roosevelt.
Il primo mandato della presidenza di Roosevelt fu caratterizzato, come egli stesso programmò il giorno dell’insediamento, da una “politica di buon vicinato, quella di chi ha il massimo rispetto per se stesso e così facendo rispetta anche i diritti degli altri”.
Ciò si tradusse nella continuazione del disimpegno militare americano in America Latina, avviato dai suoi predecessori repubblicani.
La convenzione democratica, riunitasi nel giugno 1936, confermò con entusiasmo Roosevelt quale candidato alle elezioni presidenziali di quell’anno. Egli esaltò i risultati raggiunti con il New Deal e promise di continuare su quella strada. I repubblicani invece condannavano tali provvedimenti e accusavano il presidente di aver usurpato i poteri del Congresso scegliendo come candidato un repubblicano progressista, Alf Landon dal Kansas, l’unico governatore repubblicano che era riuscito a mantenere la carica nelle elezioni del 1932, vinte in maniera schiacciante dai democratici.
I toni della campagna elettorale furono spesso aspri: Roosevelt usò parole dure contro gli uomini dell’alta finanza; in cambio i repubblicani lo accusarono di essere un demagogo privo di principi morali. I risultati delle elezioni invece diedero a Roosevelt una vittoria ancora più marcata e netta di quattro anni prima: egli ottenne quasi ventotto milioni di voti (pari al 60,80%), vinse in ben 46 stati su 48 e conquistò la cifra record di 523 grandi elettori contro i soli 8 di Landon. Il partito del presidente ottenne tre quarti dei seggi al Senato e i quattro quinti della Camera dei rappresentanti. Il voto dimostrò l’appoggio del popolo americano alle politiche di Roosevelt e bocciò sonoramente l’opposizione repubblicana.
Con una mossa senza precedenti, Roosevelt cercò un terzo mandato consecutivo nel 1940.
Fino a quel momento tutti i presidenti avevano rispettato la regola non scritta stabilita da George Washington, che nel 1793 aveva rinunciato al terzo mandato affermando che troppo potere non doveva essere accentrato per troppo tempo nelle mani di un solo uomo. In seguito, nel 1951, questa regola fu resa esplicita con un emendamento costituzionale; pertanto Roosevelt rimarrà per sempre l’unico presidente ad avere svolto più di due mandati consecutivi.
Sebbene molti nel Partito Democratico vedessero che Roosevelt era già sofferente, al punto che non si era certi che potesse ricoprire un quarto mandato, non ci fu quasi discussione sul fatto che, in tempo di guerra, sarebbe stato il candidato del partito nelle elezioni del 1944.
Tenendo conto della salute di Roosevelt, convinsero il senatore del Missouri Harry Truman a formare la coppia di candidati democratici nel 1944. La coppia Roosevelt e Truman vinse le elezioni, tenutesi il 7 novembre 1944, sconfiggendo lo sfidante, il popolare repubblicano Dewey.
Nel 1941 gli interessi contrapposti del Giappone e degli Stati Uniti in Asia e nel Pacifico, specialmente in Cina, produssero una rottura delle relazioni diplomatiche al punto che la guerra sembrava inevitabile. Roosevelt finanziò largamente le spese di guerra con emissioni di titoli a lungo termine emessi dal Tesoro, i Titoli Serie E, ideati dal suo amico ed allora segretario del Tesoro degli Stati Uniti, Henry Morgenthau
Il 14 gennaio 1943 Roosevelt fu il primo presidente degli Stati Uniti a viaggiare in aereo durante la carica, con il suo volo da Miami al Marocco per incontrare Winston Churchill e discutere della seconda guerra mondiale. L’incontro si concluse il 24 gennaio. Tra il 4 e l’11 febbraio del 1945 partecipò, insieme a Stalin e Churchill, alla Conferenza di Jalta, il più famoso degli incontri nei quali fu deciso quale sarebbe stato l’assetto politico internazionale al termine della guerra.
Il suo messaggio al Congresso e alla nazione l’8 dicembre 1941, dopo l’attacco di Pearl Harbor, entrò nella storia con la frase: «Il 7 dicembre 1941 – una data che vivrà nell’infamia». Dopo questo discorso gli Stati Uniti entrarono nella seconda guerra mondiale a fianco degli Alleati.
Nel 2000 il fotografo Robert Stinnett, dopo un lungo lavoro di ricerca, ha riproposto la teoria della cospirazione architettata da Roosevelt e i suoi collaboratori per indurre i giapponesi ad attaccare Pearl Harbor; le tesi di Stinnett in sintesi sono che Roosevelt avrebbe applicato un piano per provocare l’attacco giapponese contro gli Stati Uniti e che all’ammiraglio Kimmel sarebbe stato impedito di condurre esercitazioni che avrebbero fatto scoprire la flotta giapponese in arrivo, flotta che in realtà, secondo Stinnett, non avrebbe mantenuto il silenzio radio e, anzi, i suoi messaggi sarebbero stati intercettati e decifrati dai servizi statunitensi. Il lavoro di Stinnett è stato tuttavia fortemente criticato da altri studiosi, che lo hanno smentito in vari modi, e le sue deduzioni sono state ritenute non esatte.
I servizi segreti britannici e dell’FBI avevano delle informative su possibili attacchi a quasi tutte le installazioni militari statunitensi (sabotaggi, attacchi aerei o navali, spionaggio) attribuite alle potenze dell’Asse o all’URSS (percepita già dai servizi informativi dell’FBI come la maggiore minaccia).
La possibilità di un attacco a Pearl Harbor arrivò a John Edgar Hoover, l’allora direttore dell’FBI, attraverso dei contatti informali con i servizi segreti britannici, che passarono agli USA il loro agente Dušan Popov, al servizio dei tedeschi ma in realtà doppiogiochista schierato con gli Alleati. Popov informò i suoi superiori sull’attenzione mostrata dai giapponesi verso l’attacco di Taranto e le installazioni militari alle Hawaii.
In ogni caso l’FBI non ritenne Popov affidabile e non prese in considerazione le sue soffiate, ostinandosi inoltre a non collaborare con i servizi segreti britannici. Subito dopo l’attacco Hoover si accorse di aver commesso un grave errore, diventando uno dei registi occulti delle teorie cospirative contro Roosevelt in modo da creare una cortina di nebbia attorno alla propria negligenza.
Ieri, 7 dicembre 1941 – una data che resterà segnata dall’infamia – gli Stati Uniti d’America sono stati improvvisamente e deliberatamente attaccati da forze aeree e navali dell’Impero del Giappone.
Gli Stati Uniti con loro erano in pace e su sollecitazione Giapponese, eravamo ancora in fase di colloquio, col loro governo e con l’imperatore, per mantenere questo status nel area Pacifica.
In realtà, un’ora dopo squadroni aerei giapponesi aveva iniziato i bombardamenti sull’isola americana di Oahu, l’Ambasciatore giapponese negli Stati Uniti e il suo collega hanno consegnato al nostro Segretario di Stato una risposta formale ad un recente messaggio americano. Sebbene questa risposta affermava che sembrava inutile proseguire i negoziati diplomatici in corso, non conteneva alcuna minaccia o accenno di guerra o attacco armato.
Verrà ricordato che la distanza delle Hawaii dal Giappone rende evidente che l’attacco sia stato deliberatamente programmato molti giorni o addirittura settimane fa. Nel contempo il governo giapponese ha intenzionalmente cercato di ingannare gli Stati Uniti con false dichiarazioni e espressioni di speranza a favore di una pace duratura.
L’attacco di ieri sulle isole hawaiane ha causato gravi danni alle navali americane e alle forze militari. Mi spiace dirvi che molti americani hanno perso la vita.
Inoltre, le navi americane sono state bersaglio di siluri in alto mare tra San Francisco e Honolulu.
Ieri il governo giapponese ha anche lanciato un attacco contro Malaya.
La scorsa notte le forze giapponesi hanno attaccato Hong Kong.
La scorsa notte le forze giapponesi hanno attaccato Guam.
La scorsa notte le forze giapponesi hanno attaccato le Isole Filippine.
Ieri sera, i giapponesi hanno attaccato Wake Island.
E questa mattina, i giapponesi hanno attaccato le Isole Midway.
Il Giappone ha dunque intrapreso un’offensiva a sorpresa estesa a tutta l’area del Pacifico. I fatti di ieri e di oggi parlano da soli. Il popolo degli Stati Uniti si è già fatto un opinione e ben comprende le implicazioni per la vita e la sicurezza della nostra nazione.
Come comandante in capo della Marina militare ho disposto che tutte le possibili misure siano prese per la nostra difesa, noi ricorderemo in quale maniera siamo stati attaccati.
Non importa quanto tempo ci dovremo prendere per superare questa invasione premeditata, il popolo americano, con la forza della ragione, vincerà con un vittoria schiacciante.
Credo di interpretare la volontà del Congresso e del popolo, quando dico che non solo ci difenderemo fino all’ultimo, ma faremo in modo che questa forma di tradimento, per noi, non sia mai più un pericolo.
L’ ostilità esiste. Non vi è alcun dubbio per il fatto che il nostro popolo, il nostro territorio e i nostri interessi siano in grave pericolo.
Con la totale fiducia nelle nostre forze armate, con l’illimitata determinazione del nostro popolo, si otterrà l’inevitabile trionfo. Così Dio ci aiuti.
Chiedo che il Congresso dichiari che, fin dall’attacco non provocato e codardo da parte del Giappone della Domenica, 7 dicembre 1941, esista uno stato di guerra tra gli Stati Uniti e l’Impero giapponese.