L’uomo proibito e l’unicità dei rapporti umani

L’uomo proibito è un cortometraggio italiano del regista Tiziano Russo, prodotto da ABOUT DE FILM. Si tratta di un viaggio incredibile che prende avvio da una missione spaziale sino a coinvolgerne una che riguarda tutti, la vita.


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E’ pertanto il racconto di un’avventura umana di cui Andrea è il protagonista. Dopo aver contratto un virus in seguito a una missione spaziale, si ritrova ad affrontare tutte le difficoltà che comporta doversi relazionare con la figlia e la moglie, con tutte le sfumature e le sensazioni che necessariamente ne derivano. L’attenzione si concentra pertanto sulla quotidianità, in tutta la sua spontaneità. E’ un cortometraggio colmo di parole taciute, silenzi, riflessioni pensate e accennate, ma anche spazi vuoti.


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E’ dunque un’analisi attenta dei rapporti umani, dove ognuno dei personaggi ha una missione superiore: conoscere se stesso attraverso l’altro e superare i propri limiti.


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Il cortometraggio si serve di una fotografia delicata, che diviene pertanto la metafora perfetta della fragilità, quella stessa fragilità che caratterizza inevitabilmente la condizione umana e l’esistenza, e di cui spesso ce ne dimentichiamo facendone un problema.


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Nuovo trailer per Kubrick in occasione del 50° anniversario di 2001: Odissea Nello Spazio

Sullo schermo dell’ Uptown Theatre di Washington D.C., 50 anni fa veniva proiettato quello che sarebbe stato uno dei film più rinomati del grande Stanley Kubrick. Era il 2 aprile 1968 e 2001: Odissea Nello Spazio non fu particolarmente apprezzato dal pubblico e da alcuni dei critici più di spicco di quei tempi.


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Dopo tre mesi di assoluto isolamento, Kubrick ha presentato al grande schermo un progetto visionario destinato a influenzare e segnare profondamente la storia del cinema, appropriandosi della fantascienza e servendosi di innumerevoli effetti sonori e visivi.  Il regista ha commentato il suo lavoro con queste parole: “Ognuno è libero di speculare a suo gusto sul significato filosofico e allegorico del film. Io ho cercato di rappresentare un’esperienza visiva, che aggiri la comprensione per penetrare con il suo contenuto emotivo direttamente nell‘inconscio“.


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Oggigiorno, può essere interpretato come una riflessione esistenziale alla luce degli eventi che caratterizzarono profondamente il ‘68. Woody Allen ne rimase sconvolto in positivo: “La prima volta al cinema, ne restai deluso. L’ho rivisto tre o quattro mesi dopo e mi è piaciuto. Qualche anno più tardi ho pensato: sensazionale! Una delle poche volte nella vita in cui ho capito che l’artista è molto più avanti di me.”


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In occasione del Festival di Cannes 2018, il 12 maggio il capolavoro di Kubrick verrà proiettato in una versione completamente restaurata in forma analogica e in 70mm a cura del grande estimatore di Stanley, Christopher Nolan. La signora Kubrick, ha detto: “Sono lieta che 2001: Odissea nello spazio sia ridistribuito in 70mm e che Cannes abbia scelto di rendergli omaggio. Se Stanley fosse vivo oggi, ammirerebbe i lavori di Christopher Nolan. Quindi, da parte della famiglia di Stanley, ringrazio personalmente Christopher per il supporto al film”


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Intervista a Massimiliano Pugliese – fotografia cinematografica

Massimiliano Pugliese è nato a Roma nel 1970. Da anni, accanto al suo lavoro presso un ente pubblico, affianca l’attività fotografica sviluppando e realizzando progetti personali attraverso un linguaggio intimo. Grazie al suo stile fortemente autoriale, si è contraddistinto in occasione di vari concorsi fotografici. Nel 2015, il suo lavoro “Getting Lost Is Wonderful” è divenutoto una magnifica pubblicazione di Fugazine, una piccola etichetta indipendente di produzioni fotografiche.

Come nasce la sua passione per la fotografia? 

20 anni fa seguendo un po’ di amici appassionati. Capii subito, però, che tra noi c’erano alcune differenze sostanziali: loro erano più appassionati al mezzo in quanto conoscevano le macchine e gli obbiettivi migliori, io ero interessato solo al risultato. Di fronte ad una rivista di fotografia, loro leggevano i test di qualità, mentre io tendevo a guardarne le foto. Ancora oggi, quando qualcuno mi chiede un parere su una macchina fotografica, non riesco mai ad essere d’aiuto; la tecnologia mi interessa solo nel momento in cui la mia macchina diventa obsoleta e sono costretto a cambiarla.

Molte delle sue immagini sembrano ispirarsi al cinema. Ci sono dei film, in particolare, che hanno ispirato alcuni dei suoi progetti?

Assolutamente sì, il cinema è una grande fonte di ispirazione. Mi affascina il lavoro di registi quali Lynch e Tarkovskij tra i classici, Refn e Park Chan Wook tra i contemporanei. Se dovessi però scegliere un film direi “Lasciami entrare” del regista svedese Tomas Alfredson. Dopo averlo visto ho capito quanto per me fosse necessario lavorare su quelle che sono le mie “ossessioni”. Mi innamorai di alcune sequenze notturne del film, non riuscivo a togliermele dalla testa; allora cercai di capire dove il regista le avesse girate. Era il quartiere Blackeberg di Stoccolma. Sono stato lì varie volte ed anche a febbraio di quest’anno: è stata la mia decima volta. Da tutti questi viaggi ne è uscito solo un lavoro, ormai abbastanza vecchiotto (2011), che ho chiamato “Let the right one in”, come il titolo in inglese del film. E’ un lavoro in bianco e nero analogico, lontano dal mio stile attuale nella forma ma non nelle atmosfere. Nel mio penultimo lavoro “Getting lost is wonderful”, pubblicato come terzo numero di Fugazine, un’etichetta indipendente di produzioni fotografiche, la serie di foto è intervallata da quattro citazioni prese da film che mi hanno ispirato. Insomma sì, in un modo o nell’altro, il cinema è sempre presente.

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Ci sono dei fotografi che hanno influito particolarmente sulla sua formazione?

Sulla mia formazione non so, ma ce ne sono molti di cui sono stato e sono un grande fan. Ovviamente all’inizio i fotografi più classici e famosi, soprattutto quelli della Magnum, poi nel corso degli anni ho trovato quelli più vicini alle mie corde. Ne elenco qualcuno, ma ce ne sarebbero centinaia: Gregory Crewdson, Todd Hido, Bill Henson. Ho adorato i nudi di Mona Kuhn, i ritratti di Laura Pannack, la follia di Roger Ballen, le atmosfere di Katrin Koenning.

Le sue immagini variano dai toni più scuri a quelli più tenui. In entrambi i casi, i colori
sono funzionali all’atmosfera che desidera catturare. Qual è l’elemento a cui presta
maggiore attenzione mentre fotografa?



E’ una domanda difficile. Direi che le mie foto più che variare sono o molto scure o molto chiare, più spesso scure. Per molti, questo è dovuto al mio carattere un po’ tenebroso e crepuscolare. Io vorrei che nelle mie foto ci fosse sempre qualcosa di indefinito, un qualcosa che costringa le persone a soffermarsi un po’ di più mentre le guardano.

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Quanto conta la tecnica nella sua personale fotografia?

Vorrei contasse di più. Mi spiego meglio: ho studiato fotografia all’Istituto Superiore di fotografia di Roma, ma a quel tempo (ormai quasi 15 anni fa) ero più interessato al reportage ed ho forse trascurato cose che allora mi interessavano meno, come l’utilizzo dei flash e del banco ottico. Ora vorrei avere maggiori capacità nella gestione delle luci, perché sono più consapevole di quanto siano importanti in questo lavoro.


Come si approccia, in genere, per l’elaborazione di un progetto?

Come ho già detto i lavori che realizzo nascono dalle mie ossessioni. Quando penso e ripenso ad una cosa, capisco che è il momento di lavorarci sopra. All’inizio lavoravo sui luoghi, ad esempio le spiagge dello sbarco in Normandia, Stoccolma, una spiaggia di surfisti vicino Roma. Nel corso del tempo, sono diventato meno descrittivo e più astratto. Io mi definivo addirittura anti-narrativo, anche se recentemente, parlando con un curatore, mi è stato detto che le mie foto sono tutto fuorché non narrative. Di questa cosa, comunque, me ne curo poco soprattutto perché non sarei capace di fare una fotografia diversa: non sarei sincero con me stesso e con chi guarda.

Swedish Landscape

Crede di aver trovato il suo linguaggio personale o di esserne ancora lontano?

Peccherò un po’ di presunzione, ma credo di sì. Anzi, è una delle mie poche sicurezze. Di questo trovo conferma negli altri, spesso mi viene detto che le mie fotografie sono sempre riconoscibili. E’ il più grande complimento che mi si possa fare.

Come si pone verso l’errore?

Spesso il mio problema sta a monte dell’errore: essendo conscio di alcune carenze tecniche, a volte preferisco non scattare. Questo mi succede soprattutto nei ritratti, dove sento di dover comunque dimostrare qualcosa al soggetto fotografato. Quindi, in linea di massima, preferisco fotografare persone che conosco bene, tant’è che i soggetti delle mie foto sono quasi tutti amici che “schiavizzo” regolarmente.

Let the right one in

Dove si dirige attualmente la sua fotografia?

Spero continui nel solco di quello che ho fatto negli ultimi anni. Ogni tanto penso che dovrei cimentarmi in qualcosa di più facile comprensione, una storia più classica e dai contorni più definiti; ma come ho detto, voglio cercare di fare una fotografia più sincera possibile specialmente perché, ultimamente, di fotografia non sincera, nei testi e nelle motivazioni, ne vedo parecchia.

Cosa vorrebbe, invece, non fotografare?

Senza dubbio i matrimoni. Troppo stress!

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Le immagini di Massimiliano Pugliese, sfruttando la gamma dei toni più scuri fino a quelli più tenui, catturano delicatamente l’atmosfera dei soggetti ritratti. Il silenzio è assordante e gli osservatori lo possono ben percepire a partire da pochi elementi: le onde increspate del mare, i tronchi quasi allineati di un bosco, la vegetazione folta e solitaria in assenza di fauna. I soggetti umani sono spesso e volentieri assenti, e quando compaiono, sono ritratti di sfuggita, vaghi, e avvolti dalla bellezza della natura circostante. Lo sguardo del fotografo non è mai invadente, ma quasi impercettibile, nel pieno rispetto dei pensieri e delle loro storie personali.

http://www.massimilianopugliese.com/

Mostra del cinema di Venezia 74: applausi per «The Leisure Seeker» di Paolo Virzì

E’ stato presentato il 3 Settembre alla 74^ Mostra del cinema di Venezia il primo film italiano in concorso: «The Leisure Seeker» di Paolo Virzì.

Dopo “La Pazza Gioia” il regista livornese racconta la storia commovente dei due coniugi Ella e John che si amano nella malattia fino alla fine delle loro vite. In occasione della prima proiezione, Virzì e i due interpreti stranieri (l’inglese Helen Mirren e il canadese Donald Sutherland) si sono aggiudicati intensi e lunghi applausi.

John è un ex professore di letteratura e un grande appassionato dello scrittore Ernest Hemingway, affetto da un Alzheimer destinato progressivamente ad aggravarsi. La moglie, Ella, è affetta invece da un grave cancro allo stadio terminale. I due scelgono di avventurarsi in un lungo viaggio segreto verso Key West, dirigendosi verso la casa dello scrittore che John aveva tanto adorato ai tempi dell’insegnamento.

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Il film, che si apre con l’immagine della campagna presidenziale, è anche la raffigurazione dell’attuale America: un Paese in cui Ella e John stentano a riconoscersi. Esso è al tempo stesso la metafora della fuga da un destino doloroso. L’anziana coppia sceglie il divertimento e l’avventura alle cure ospedaliere. Il loro ultimo viaggio rappresenta dunque la scelta della libertà e della dignità, anche negli ultimi istanti di vita e nella malattia. L’avventura prosegue poi per la Route 1 sulla East Coast degli States e termina a Key West.

Tra le parole e i lunghi silenzi, tra il dipinto della condizione attuale e i ricordi, il regista è riuscito a mettere alla luce con grande sensibilità una tematica così delicata come l’anzianità.

The Leisure Seeker è per Paolo Virzì il primo film girato interamente in America, in lingua inglese e s’ispira all’omonimo romanzo di Michael Zadoorian.
L’uscita al cinema è prevista per il 25 gennaio 2018.

ALTAROMA 2017 – PASSATO E FUTURO IN PASSERELLA

Rani Zakhem torna a sfilare sulle passerelle di AltaRoma all’insegna delloStudio 54, dei colori, dei ricami e della audacia.  La palette è una costante mutazione di colori, dal giallo al bluette, che si susseguono negli abiti in organza di seta, chiffon, tulle o raso prezioso.
La donna di Rani Zakhem è una donna coraggiosa che si mette in mostra senza mai essere volgare.


RANI ZAKHEM -  (ph) S. Dragone / Luca Sorrentino
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Dopo le sfilate di alta moda autunno-inverno 2017 /2018 della Haute Couture di Parigi, Antonio Grimaldi apre le porte del suo nuovo atelier, presentando la sua collezione nella suggestiva scenografia di Palazzo Besso a Largo di Torre Argentina. la sua proposta è quella di sottolineare forme e pregi della donna.


“Vivo e lavoro a Roma, Palazzo Besso è la mia seconda casa e sono felice di festeggiare l’apertura del nuovo atelier nella Capitale. In questa città sono nato professionalmente e qui ho imparato l’arte della Couture e i segreti dell’alta moda” dichiara Antonio Grimaldi.


ANTONIO GRIMALDI - (ph) S. Olivieri / Luca Sorrentino
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L’Accademia Koefia ha presentato una collezione realizzata dai 46 studenti del terzo anno ispirata alla “STRADA”: ai suoi stili, ai suoi ritmi e i suoi artisti circensi di Felliniana memoria. Tema dominante è il Denim che, personalizzato, ricamato, dipinto e mixato con altri materiali, crea un filo conduttore tra le storie raccontate in passerella.


I blue jeans vengono contaminati da preziosi dettagli, accostamenti di tessuti come il tulle, la seta oltre a molteplici trattamenti.
La strada narra, anche oggi, il grande circo della vita e del quotidiano, come quello di Roma: città eterna, amata e maledetta. Un racconto che parla di lei, dei suoi usi e costumi perché, in fondo si sa, tutte le strade portano a Roma.


ACCADEMIA KOEFIA - (ph) S. Dragone / Luca Sorrentino
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ALTAROMA 2017 – NON SOLO ALTA MODA

Continuano le sfilate nella capitale…

Sylvio Giardina presenta la sua collezione autunno / inverno 2018 ispirata allo sconosciuto mondo degli insetti. I tessuti della collezione sono stati disegnatI partendo da una ispirazione geometrica Art Deco con preziosi ricami a filo. Particolare attenzione ai singoli dettagli di ogni abito che richiamavano ali di insetti immaginari, per questo capolavoro Sylvio ha saputo osare ed usare benissimo l’accostammo di tessuti e colori come il velluto, broccato, tulle e organza.


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Sylvio Giardina – (ph) A. Luciani – G. Palma / Luca Sorrentino

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Dopo alcuni anni lontano dalle passerelle Renato Balestra fa il suo ritorno raggiante, nel suo splendido giardino del suo atelier a Roma, presentando la collezione Autunno/inverno 17/18 l’alta moda che gioca sulle trasparenze e sulla sensualità femminile, facendo sentire le donne come delle vere regine.


Renato Balestra - (ph) S. Dragone / Luca Sorrentino
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Per la collezione REWIND autunno / inverno 2018 di Sabrina Persechino, è stato il movimento dell’acqua ad ispirarla, illustrando e interpretando questo fenomeno fisico sulle sue creazioni tramite colori e forme. Collezione che risalta la silhouette femminile in maniera delicata ed elegante.


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Figlio di Antonio Marras, Efisio Rocco Marras diventato direttore creativo della linea nel 2007, lancia nello stesso anno come alternativa una collezione più accessibile alla linea del suo fondatore, I’M ISOLA MARRAS la linea contemporary della famiglia. Efisio Marras racconta: “la nuova I’M Isola Marras rappresenterà per le giovani generazioni uno spazio illimitato dove creatività e nuove idee si incontrano”.


La collezione primavera / estate è ispirata a Mathilda Lindo, l’eroina del film Lèeon di Luc Besson e ai manga di Masamune Shirow, presentando diversi pezzi contrastanti e all’avanguardia, creando un mondo dove gli ideali romantici della gioventù incontrano l’estetica punk underground.


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ALTAROMA – ALTA MODA

Dal 6 al 9 Luglio la città eterna splenderà di stile, glamour e alta moda, accogliendo non solo i brand già affermati ma anche giovani talenti, in un continuo rimando tra passato, presente, futuro.


In questi giorni saranno presentate le tendenze per le collezioni primavera / estate e autunno / inverno 2018, oltre a premiazioni e concorsi importanti. Da non sottovalutare anche la presenza del cinema, della musica e dell’arte.


Per questa edizione le proposte sono state la leggerezza e la raffinatezza abbinate a una palette di colori vivaci mescolati con quelli più tenui.


MORFOSIS ha aperto le danze, brand finalista di “who is the next? 2008”, nato dalla creatività e maestria di Alessandra Cappiello. Che ci ha portato in un mondo di abiti con colori vivaci mescolati con quelli più sobrie, per una collezione sofisticata e incisiva.
Vediamo i colori come il rosa e il blu che sfiorano gli oro, rame e argento, mentre il verde, il giallo e il viola che si sposano con le combinazioni di neri e bianchi.


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MORFOSIS – (ph) S. Dragone / L. Sorrentino

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Torna a sfilare sulle passerelle della città eterna MOI MULTIPLE brand della designer Anna Francesca Ceccon, presentando la sua collezione primavera / estate 2018 “Plus-que-parfait”.
Una collezione vivace di effetto solare ispirata negli anni ’60 ma allo stesso tempo contemporaneo. MOI MULTIPLE propone accostamenti inediti tra arancio, pesca, cedrata, rosa e il verde tiffany con dettagli come l’argento e l’oro e pezzi che possono essere abbinati con diversi looks.


MOI MULTIPLE - (ph) S. Dragone / L. Sorrentino
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Per concludere la giornata è scesa in passerella la purezza, la sensualità e un’eleganza semplificata e raffinata di GRETA BOLDONI. Lo fa sovvertendo i codici stilistici, intersecando abbigliamento di ispirazione clericale e outerwear tecnico, sartorialità e sportswear, dove semplice magliette lavorate con carré in bava di nylon con effetti trasparenti e l’abito lungo diventa un capo da giorno.
Il must have della collezione sono i ricami che conferiscono un raffinato tocco etnico.
I capi sono tutti adatti per una passeggiata in città dopo il lavoro a concludere con un aperitivo con gli amici.


GRETA BOLDINI - (ph) F. Fior / L. Sorrentino
GRETA BOLDINI – (ph) F. Fior / L. Sorrentino

GRETA BOLDINI - (ph) F. Fior / L. Sorrentino
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ELISABETTA PELLINI: L’EQUILIBRIO DEI SOGNI, TRA CINEMA E REALTA’

Una domenica mattina a Milano, tra la frenesia della MFW ed una pausa caffè al tavolino di un bar, dove incontri per una chiacchierata a tu per tu la bellissima Elisabetta Pellini, volto noto del cinema e della televisione. Sguardo limpido, dolcezza infinita ed una semplicità disarmante per parlare di se, dei suoi lavori in uscita e di alcuni sogni che partono dal profondo per andare lontano, molto lontano..

Elisabetta a Milano per la MFW. Come è andata? 
“Qui ho le mie origini e ogni volta che ritorno è sempre un grande piacere ritrovare le persone care, i luoghi vissuti. Milano è una città che vive di un battito suo e mai come durante la settimana della moda ne senti le pulsazione e l’energia. Sono stata invitata ad alcune sfilate che mi hanno molto colpito per la matrice comune del volere riportare la donna ad una femminilità vera, senza spacchi o scollature ma semplice e pulita, proprio come sono state le proposte di Emporio Armani, Elisabetta Franchi con la sua collezione ispirata ad Evita Peron ed agli anni 40 o Laura Biagiotti che celebra una donna charment, vestita di bianco, rosso o colori tenui”.


Qual è il tuo ideale di femminilità?
“Femminilità va a braccetto con il concetto di eleganza ovvero riuscire ad  essere sensuali pur mantenendo la semplicità. Tradotto in poche parole: non è un abito che fa diventare una donna sexy ma il contrario”. 


In tema di moda anche la tua famiglia era nel settore ma la tua via è stata un’altra…
“Sì, fino a qualche anno fa erano proprietari di una pelleria e da li ho ereditato la mia passione. Ma il mio amore è sempre stato il cinema, fin da piccola. Del resto crescere con papà che ogni minuto ci rendeva protagonisti delle sue foto non ha certo aiutato (sorride..). Scherzi a parte, realmente il ruolo di papà, il suo amore per i viaggi, per la fotografia e soprattutto per il cinema (non a caso realizzò due documentari cult negli anni 70) mi trasmisero un fascino verso questo mondo al quale non ho saputo resistere. Il principio fu la danza classica a 7 anni: l’impegno era massimo e tutto girava intorno al saggio per il quale mi allenavo duramente anche un anno intero. Così fu anche quando entrai nel mondo del cinema, il meccanismo è lo stesso”. 


Ovvero?
“La preparazione per interpretare un personaggio deve essere molto profonda, devi entrare in quel personaggio, lo devi sentire tuo, lo devi analizzare quasi come a creare una sorta di “amico” che in parte ti porterai appresso per tutta la vita”. Allo stesso modo sarà anche molto forte la sensazione dell’abbandono quando il copione si sarà concluso. Per fare tutto questo ovviamente ci vogliono determinazione, preparazione e una grande passione”. 


Piccolo e grande schermo ti hanno vista interpretare tantissimi personaggi. Qual è il ruolo che hai amato di più?
“Tutti perché come dicevo prima diventano quasi degli amici per me. E’ stato così con Laura delle “Tre Rose di Eva” oppure Anna Ronco per “Provaci ancora Prof!” così come una grande empatia l’ho creata con il personaggio del film in uscita i prima di marzo “La mia famiglia a soqquadro” nel quale interpreto una donna che abbandona la sua veste di “casalinga”per una carriera nella moda, diventa magra ed attraente e vi sarà un avvicinamento all’uomo del quale è sempre stata innamorata (interpreto da Marco Cocci) a sua volta sposato e con figli. E da qui “mio figlio” che invidiava le famiglie degli altri compagni in quanto convito di tanti vantaggi nell’aver i genitori divorziati capirà come ciò non corrisponde alla realtà. Un film intelligente, uno spaccato perfetto della società moderna”.


 A tal proposito qual è il tuo pensiero? 
“Io sono stata fortunata perché la mia famiglia era un po’ come quella del mulino bianco, con due genitori che si sono amati tantissimo e che hanno trasmesso a noi figli dei valori fondamentali. Sono però consapevole che non sempre può andare così: capita che due persone si separino, anche per terze persone, ma la cosa più importante è che non scordino mai le loro responsabilità come madre e padre. Non è giusto che due persone stiano insieme per forza, facendo poi ricadere sui figli le loro guerre”. 


Oltre a “La mia famiglia a soqquadro” hai altri lavori in uscita?
“Sì, i primi di marzo arriva nelle sale “Gomorroide”nel quale interpreto l’esilarante parte di una moglie isterica tradita dal marito, una milanese in trasferta a Napoli, autrice di scene esilaranti che sono sicura faranno sorridere. Inoltre a breve vedrete in onda la fiction “Sorelle” di Cinzia Th Torrini, un thriller melo nella quale ho interpreta un ruolo piccolo ma fondamentale per lo svolgersi della trama. Un vero e proprio giallo con sfondo romantico diretto da una grande donna e regista che non lascia nulla al caso ma curando ogni dettaglio crea dei lavori magnifici. Lavorare per lei è stato un vero onore…”. 


Oltre a Cinzia Th Torrini sei stata diretta da molti registi nella tua carriera. Un ricordo tra tutti al quale sei più legata?
“Ve ne sono tantissimi in quanto ogni volta che sono su un set cerco di creare una famiglia, tessendo poi con tutto il cast e la produzione dei legami che permettano di generare la giusta empatia anche per la realizzazione del film. Quindi da Vanzina, a Salvatores, Ozpetek che dopo uno spot girato sotto la sua direzione mi ha voluto in un suo film, con tutti questi grandi Maestri del cinema italiano ho un ricordo speciale. E oltre a loro ho sempre un pensiero per Vincenzo Verdecchi, regista delle “Tre Rose di Eva” che purtroppo ci ha lasciato: una persona gioiosa, che amava la vita, dal quale ho imparato tantissimo”.  


Oltre al cinema nella tua carriera annoveri anche molte esperienze televisive come “Miss Buona Domenica” e altre ancora. Torneresti al piccolo schermo?
“Il mio grande amore è e resterà il cinema ma se dovessi ricevere una proposta potrei valutarla. Presentare è una cosa che ho sempre fatto, ma preferisco allontanarmi da me stessa, recitare piuttosto che presentarmi in prima persona. Se devo essere me stessa preferirlo esserlo con gli amici e con chi mi circonda, accettando le critiche per un’interpretazione più che come persona”.


Un sogno?
“Ne ho tantissimi ma sono superstiziosa per cui preferisco non rivelarli. Dirò quello generale che è di trovare serenità e felicità nei tanti sali e scendi che la vita ci riserva, dettati spesso dalla perdita delle persone care che abbiamo accanto. Questa è una delle cose con il quale sto ancora cercando di trovare il mio equilibrio che contrasti la mia parte più sensibile ed emotiva che quando sei attore serve ma va gestita nel modo migliore. E per gli altri sogni più grandi…incrociamo le dita”.


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Il cast di “Gomorroide” in uscita al cinema


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“È solo la fine del mondo”: torna al cinema il genio di Dolan

Xavier Dolan torna al cinema con un melodramma a tinte cupe: enfant prodige del cinema contemporaneo, il giovanissimo regista canadese (classe 1989) mette in scena un dramma familiare basato sull’opera teatrale di Jean-Luc Lagarce. In 90 struggenti minuti ambientati in un interno familiare si consuma un dramma dell’incomunicabilità.

Traendo ispirazione dalla tragica parabola familiare di Jean-Luc Lagarce, celebre regista morto a soli 38 anni, cinque anni dopo aver messo in scena la sua pièce più riuscita, intitolata “Giusto Alla Fine Del Mondo”, Dolan ci fa rivivere in prima persona lo stesso conflitto interiore che si consuma nell’animo di Jean-Luc, trasfigurato qui nel protagonista Louis, magistralmente interpretato da Gaspard Ulliel. “Non accetto un ruolo se non mi commuove”, ha dichiarato l’attore e modello, che, dopo aver vestito i panni di monsieur Yves Saint Laurent nella pellicola di Bertrand Bonello, nel 2014, in questo film si distingue per una prova attoriale encomiabile.

Lucido e sagace, il regista si sente perfettamente a suo agio nel ruolo di deus ex machina, tanto da farci provare fin dalle prime scene del film il tragico senso del non ritorno, chiave di volta dell’intera trama, che accompagna il protagonista nella sua visita alla famiglia, dopo dodici anni di lontananza. Louis ha avuto tutto dalla vita: dopo aver abbandonato gli angusti confini della provincia, per lui si sono spalancate le porte del successo, accompagnato dall’amore, vissuto liberamente, al riparo dalla barriera omofoba intrisa di atavici pregiudizi che caratterizza certe realtà.

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Gaspard Ulliel in una scena del film


Ma, come spesso accade, dietro alla patina glamour che caratterizza l’esistenza di chi ce l’ha fatta, si celano dolori e sofferenze indicibili. Nel caso del giovane scrittore, è la vita che se ne va: dopo aver contratto l’AIDS, il giovane Louis fa ritorno a casa per comunicare ai suoi familiari la sua morte imminente. Ma quel che doveva essere un addio, si consuma in un silenzio assordante in cui affiora in superficie un caleidoscopio di rancori e frustrazioni, gelosie e umane debolezze di quei familiari rispetto ai quali il giovane Louis si è sempre intimamente sentito un estraneo. Lo spettatore viene trascinato in un vortice di sentimenti contrastanti. Umano, troppo umano il fratello (interpretato da Vincent Cassel), che ammette i propri complessi di inferiorità rispetto al talentuoso Louis; innocente ed ancora acerba la sorella minore (interpretata da Léa Seydoux), che per lui prova un’autentica venerazione mista a timore reverenziale. Magistrale l’interpretazione di Marion Cotillard, la sola ad incarnare qualche residua traccia di umana pietas: naïf ed impacciata quanto basta, la cognata di Louis si troverà ad essere suo malgrado testimone unica di un addio che non verrà mai pronunciato. Louis ne esce tramortito, sconfitto, sporcato: infine, libero. Anche di volare via verso il proprio destino.

Renato Casaro in mostra a Cremona

È stata inaugurata lo scorso 3 dicembre nelle sale espositive di Santa Maria della Pietà a Cremona la personale dedicata all’arte di Renato Casaro. La mostra, allestita nell’ambito di ‘CIAK – Mostra internazionale di illustratori contemporanei’, celebra il maestro dell’illustrazione cinematografica con oltre mille locandine realizzate nel corso degli anni.

‘Per un pugno di colori’ -questo il titolo della mostra- ripercorre la lunga carriera dell’artista, nato a Treviso nel 1935, considerato uno dei più grandi realizzatori di illustrazioni per manifesti cinematografici. L’artista ha firmato le locandine dei film più famosi, dalle commedie di Luciano Salce e dai film di Bud Spencer e Terence Hill, fino ai capolavori firmati Bertolucci e Monicelli: un successo anche all’estero per Casaro, che ha disegnato anche per i film con Arnold Schwarzenegger e Sylvester Stallone e per pellicole entrate nella storia, per la regia di Claude Lelouch, Francis Ford Coppola, Luc Besson e Franco Zeffirelli.

Esposti a Cremona oltre 100 tra manifesti di film, disegni e locandine. Una sezione apposita è dedicata a Ugo Tognazzi, illustre cittadino di Cremona, con i manifesti che Casaro ha realizzato per alcuni film da lui interpretati, come ‘Amici miei’, ‘Il vizietto’ e ‘L’anatra all’arancia’. Molte opere risalgono agli anni Cinquanta, quando Casaro, ancora giovanissimo, si ispirava già ai grandi cartellonisti del passato, come Averardo Ciriello. L’esposizione sarà aperta al pubblico fino al 29 Gennaio 2017.

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Tom Ford torna al cinema con “Animali Notturni”

A sette anni dal successo della sua opera prima, A Single Man, Tom Ford torna sul grande schermo con un noir ad alto tasso di adrenalina. Animali Notturni è un film complesso, ricco di suspense e velato da nostalgici rimpianti per una vita non vissuta: i fantasmi di un passato mai dimenticato tornano prepotentemente a farsi sentire, in un vuoto esistenziale che non lascia scampo.

Prodotta e sceneggiata dal designer americano, la pellicola si ispira al romanzo Tony and Susan, scritto nel 1993 da Austin Wright. L’animale notturno del titolo è un riferimento alla protagonista, gallerista di successo prigioniera di una vita infelice: Susan Morrow (interpretata da una splendida Amy Adams) ai tempi del suo primo matrimonio con lo scrittore Edward Sheffield (Jake Gyllenhaal) era una donna genuina e spontanea. Ma oggi resta ben poco di quella ragazza, che Edward era solito chiamare “animale notturno”: la vera essenza di Susan appare ora sepolta sotto una patina vuota di apparenza e convenzioni sociali. Risposatasi con un uomo che la tradisce, dopo ben diciannove anni dalla rottura col suo primo marito, Susan riceve da quest’ultimo un pacco misterioso: è un manoscritto, forse una rivalsa da parte di quell’uomo che tanto l’aveva amata e che lei aveva tradito in modo imperdonabile.

È un film crudo, Animali Notturni, che prende per mano lo spettatore conducendolo in una inaspettata discesa negli inferi, in cui sperimentare la deflagrante potenza dell’orrore, della violenza più spietata, che tutto calpesta in modo privo di logica. Dietro un’estetica impeccabile, dinanzi alla quale lo spettatore resta quasi sopraffatto, come preda della fatidica sindrome di Stendhal, dietro alle mise sofisticate e agli smokey eyes della protagonista si cela la vendetta più crudele, che si esplica attraverso la sofferta lettura di quel manoscritto: la storia narrata sublima i rancori di vecchia memoria e funge quasi da catarsi, costringendo la protagonista a riflettere sul suo passato e ad assumersi la responsabilità delle proprie scelte. Non c’è ritorno, non c’è salvezza, ma solo un’espiazione che, pagina dopo pagina, infligge alla fredda Susan una sofferenza crescente attraverso la narrazione di scene di ordinaria follia che si consumano nella cornice del deserto del Texas.

Amy Adams e Tom Ford
Amy Adams e Tom Ford






Tom Ford si conferma arbiter elegantiae per eccellenza. Nessun particolare sfugge al suo controllo, tutto appare perfettamente bilanciato, tutto è pervaso da bellezza, a partire da Amy Adams: nessuno prima dello stilista era riuscito ad esaltare in maniera tanto potente l’allure dell’attrice. Tra i volti che non scorderemo lo sguardo enigmatico di Michael Shannon, che ci regala una toccante interpretazione nei panni del controverso sceriffo.

Brutale ed angosciante, il film è un crescendo di emozioni, fino alla sete di vendetta e di giustizia, da ottenere a qualsiasi costo. Come inghiottiti dentro una vertigine, diviene talvolta difficile distinguere la dimensione dell’onirico e quella del reale, in una successione catatonica di eventi narrati dallo scrittore. Magnificenza e sublimi virtuosismi stilistici dominano l’intera pellicola, tra incursioni fetish in cui trova spazio l’Unheimlich, il perturbante di freudiana memoria: Tom Ford diviene mirabile deus ex machina di un film potente ed affascinante in cui la bellezza diviene beffarda ingannatrice e al contempo porto sicuro in cui rifugiarsi dinanzi alla violenza. Le forme plastiche evocate dalla sceneggiatura vengono dilaniate da un’autentica crudeltà, mentre suggestioni post-apocalittiche si alternano a sublimi exploit estetici.

La locandina del film
La locandina del film