EXPO 2015: Viaggio statistico intorno al cibo

La statistica è una tecnica e un metodo per indagare i fenomeni collettivi o di massa, quelli che si possono misurare in base a molte osservazioni. In modo particolare si usano gli strumenti matematici e il calcolo delle probabilità, per studiare i fenomeni demografici e sociali. Oggi la statistica è una vera scienza che studia, in base a metodi matematici, fenomeni collettivi di carattere variabile.

Lo studio dei fenomeni collettivi mette in luce relazioni, regolarità, leggi che non erano inizialmente previste e forse nemmeno intuite.


La misura dei fenomeni può avere come oggetto: l’intensità di un fenomeno, le relazioni fra le intensità di due o più fenomeni, la distribuzione di un fenomeno su un territorio o su una fascia sociale, le relazioni fra le distribuzioni di due fenomeni, le relazioni fra le singole modalità delle distribuzioni di due fenomeni.

Il campo di applicazione della statistica è enorme. Basti pensare alla statistica demografica, che studia lo stato e il movimento naturale e sociale della popolazione, i censimenti, le cause di mortalità, le malattie sociali, i fenomeni migratori, la nuzialità, la natalità, le dinamiche di una singola popolazione e così via.


Nel campo che qui ci interessa, cioè il rapporto con il cibo, ogni giorno i mass media ci informano di alcune varianti e di alcune costanti nelle statistiche mondiali. Ecco alcuni degli ultimi dati, elaborati dalle Nazioni Unite e in particolare dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), dal World Food Programme (WFP) e dall’United Nations International Children’s Emergency Fund (UNICEF), osservatorio privilegiato sulla realtà dell’infanzia.

Ogni anno nel mondo muoiono di fame da 5 a 20 milioni di persone, di cui la maggior parte sono bambini. La fame deriva dal fatto di non disporre della quantità sufficiente di generi alimentari per soddisfare i bisogni nutrizionali.


I segni più evidenti della sottoalimentazione sono la perdita di peso negli adulti e la mancanza di sviluppo nei bambini. Oltre ai morti, grandissimo è il numero di persone che si ammalano per l’indebolimento del sistema immunitario: perciò l’organismo colpito non è in grado di reagire a una serie di infezioni.

I dati dell’OMS indicano che circa 1 miliardo e 300 milioni di persone, cioè statisticamente 1/3 della popolazione mondiale, viaggia verso le 1.500 calorie al giorno. Di queste il 30%, cioè 500 milioni, ha meno di 1.500 calorie.

Il problema più grande, però, consiste nel fatto che circa la metà dei cereali prodotti sulla terra vengono consumati in Occidente, non solo come alimento degli uomini ma anche per gli animali. Con la sola quantità di cereali che gli Stati Uniti e la Russia destinano al bestiame, si potrebbero nutrire un miliardo di persone.


Molte sono le cause che ostacolano o impediscono l’accesso di tanti uomini e donne all’alimentazione: il clima non sempre favorevole, l’arretratezza delle tecniche agricole, la squilibrata distribuzione delle risorse naturali nel mondo, l’instabilità politica di tanti paesi. Va notato che, sempre secondo i dati statistici dell’ONU, le carestie e le guerre provocano solo il 10% delle morti rispetto alla fame, anche se non se ne parla molto nei mezzi di comunicazione.

Molti popoli sono ancora colpiti dalla piaga della fame. È soprattutto il continente africano a essere interessato: lì si soffre una povertà praticamente cronica e molte volte gli aiuti inviati dai paesi progrediti non sono riusciti a produrre effetti di lunga durata. Basti pensare che tre anni fa, su quasi 3 milioni di persone morte per AIDS, il 79% erano africani. Il Corno d’Africa è stato definito «il cuore della disperazione», perché l’80% dei suoi abitanti soffre di gravi malattie legate alla malnutrizione e i bambini perdono i capelli, le unghie e anche il primo strato di pelle.


Sono quasi 1 miliardo le persone che soffrono la fame.


Nel 2001 il WFP ha presentato un rapporto in base al quale si afferma che nel mondo c’è cibo a sufficienza per l’intera popolazione del pianeta. Si tratta, dunque, di mettersi con impegno non tanto nella produzione degli alimenti ma nella loro distribuzione. Bisogna, perciò, sviluppare l’agricoltura nelle zone più povere, proteggere l’economie rurali, introdurre tecnologie agricole più moderne, organizzare centri di allevamento di bestiame, liberare i paesi poveri dall’indebitamento, correggere i cattivi effetti della globalizzazione (specialmente la caduta dei prezzi dei prodotti agricoli, la diffusione incontrollata delle colture industriali volute dai gruppi economici più forti).

Come si diceva prima, sono soprattutto i bambini le vittime di questo «sterminio per fame». L’UNICEF ha calcolato che ogni anno 11 milioni di bambini muoiono per cause facilmente prevedibili, mentre molti altri sono colpiti dalla miseria fin dalla nascita e sono costretti a lavorare in condizioni assolutamente disumane: bambini-soldato, vittime di sfruttamento sessuale e forse anche di trapianti abusivi di organi. Oltre 600 milioni, sotto i 5 anni, devono sopravvivere con meno di 1 dollaro al giorno; 200 milioni sono affetti da rachitismo per malnutrizione; 110 milioni non vanno a scuola; 170 milioni sono sottopeso; 2 milioni muoiono per malattie legati al consumo di acqua non potabile; ogni minuto 6 ragazzi sotto i 25 anni vengono infettati dall’HIV.


Più di 1 miliardo di persone continua a non avere accesso all’acqua potabile e 1/3 della popolazione mondiale non dispone di servizi igienici, soprattutto in Cina, Congo, Etiopia, India.


Certamente dei passi avanti sono stati compiuti. Le statistiche ONU, infatti, ci informano che:

· nel 1980 i morti per fame furono 41 milioni;

· nel 1990 furono 35 milioni;

· nel 2000 furono 24 milioni.

Molto, dunque, si potrà e si dovrà fare anche in futuro.

Purtroppo alcune statistiche evidenziano la grande diseguaglianza che continua a regnare nel mondo:

· 9 miliardi di euro: la cifra necessaria per garantire acqua potabile e impianti sanitari in tutto il mondo;

· 11 miliardi di euro: cifra spesa in Europa nel mercato del gelato;

· 13 miliardi di euro: cifra necessaria per garantire condizioni di salute e alimentazione in tutto il mondo;

· 17 miliardi di euro: cifra spesa in Europa e Stati Uniti per gli animali domestici.


Questi dati mettono in risalto che il problema dell’accesso al cibo non è tanto una questione economica ma culturale e politica.

EXPO 2015: Viaggio economico e giuridico intorno al cibo

L’alimentazione è una necessità fisiologica fondamentale. Perciò, oltre al profilo individuale, il regime alimentare di un popolo è indice del suo livello economico.

Il fabbisogno alimentare viene espresso in calorie e varia a seconda dell’età, del peso, del sesso, della salute, del lavoro, del clima, del metabolismo e delle abitudini alimentari. La caloria è l’unità usata per indicare il contenuto energetico dei vari alimenti e il fabbisogno energetico dell’organismo umano per mantenere il suo bilancio organico. In genere il fabbisogno energetico essenziale per un adulto si calcola in duemila calorie al giorno.


Sul problema fisiologico si innesta quello economico.

Le voci principali per definire un progetto di politica economica sono:

a. le risorse naturali di un territorio: i prodotti forniti dal suolo sono sufficienti per gli abitanti anche in vista del futuro; oppure bisognerà far ricorso ad accordi internazionali, rapporti con i mercati esteri a volte anche per delle convenienze più che veri e propri bisogni;

b. la sua posizione geografica;

c. l’economia agricola e industriale;

d. la demografia;

e. eventi straordinari: carestie, terremoti, …


C’è un aumento complessivo di generi alimentari molto intenso dopo la II Guerra Mondiale. Il patrimonio zootecnico si arricchisce e la produzione di carne raggiunge delle cifre mai viste prima. Forte è l’incremento dei consumi, nonostante alcune crisi ricorrenti, al punto che s’incomincia a parlare di “consumismo” come una nuova ideologia, che sostituisce sia il capitalismo sia soprattutto il comunismo.

Sotto l’aspetto economico è molto importante l’industria alimentare, cioè la trasformazione dei prodotti naturali in generi di consumo più o meno immediato. Le materie prime vengono trasformate in prodotti ormai con criteri industriali, sia utilizzando le macchine che organizzando tutte le fasi del processo. Vediamo così sorgere e svilupparsi industrie interessate a:


a. cereali: la produzione della farina, la pastificazione, il riso, i dolci;

b. latte e derivati: industria del latte, conservazione, produzione di latte in polvere, industria casearia, formaggi, creme, yogurt;

c. materie grasse di origine animale e vegetale: burro, olio d’oliva e di semi;

d. carni: insaccate, inscatolate, …;

e. pesce: conservazione per congelamento, essiccamento, sott’olio, ecc.;

f. prodotti ortofrutticoli: tutto l’ambito della frutta e degli ortaggi, i succhi di frutta, …;

g. vino e derivati: produzione di vini da pasto, vini speciali, aceto, grappa, prodotti alcolici;

h. zuccheri: estrazione dalla bietola, fabbrica di dolci, gelati, marmellate;

i. bevande: acque minerali, birra, aranciata, ecc.


In questo elenco, che potrebbe ancora continua, si nota comunque lo sforzo dell’industria di raggiungere due obiettivi principali: la riduzione dei costi e il consumo di massa.

Varie leggi sanitarie favoriscono la vigilanza sui generi alimentari, basandosi sui concetti fondamentali di lealtà commerciale e di pubblica incolumità. Leggi della macellazione, ad esempio, prevedono che l’abbattimento degli animali va fatto con determinati metodi, in luoghi adeguati ed evitando il più possibile la sofferenza degli animali stessi.

Le norme di legge tendono a evitare un’alimentazione nociva alla salute. Sono norme che proibiscono di contraffare e adulterare gli alimenti e disposizioni che prescrivono delle cautele. L’autorità pubblica ha il potere di ispezionare fabbriche, botteghe, negozi, di prelevare campioni per sottoporli ad analisi, procedere al sequestro e alla distruzione di merci. Controllo importante è quello di tipo doganale, allo scopo di evitare che siano introdotti nel territorio nazionale delle merci non compatibili con le norme d’igiene pubblica.


Un alimento è genuino quando corrisponde per natura, sostanza e qualità al nome sotto il quale è indicato. C’è una differenza tra alterazione e adulterazione degli alimenti: la prima è involontaria, la seconda di solito è intenzionale. Miscele e addizioni producono dei surrogati non sempre adeguati a una sana alimentazione.

Oggi c’è il grande tema degli organismi geneticamente modificati, sui quali è in atto un acceso dibattito.

Un altro argomento che interessa l’opinione pubblica è la gestione dell’acqua. È evidente che l’acqua è un bene essenziale alla vita, perciò ognuno ha diritto di accedere a essa: l’acqua è di tutti. Essa, però, a differenza della luce, se viene utilizzata da uno non è disponibile ad essere usata anche da altri. Inoltre, nel panorama mondiale di oggi, le risorse idriche subiscono un’utilizzazione sconosciuta nei secoli precedenti, a causa dell’accresciuto numero della popolazione, della densità degli agglomerati urbani, dell’emissione di gas che riscaldano l’ambiente e della deforestazione. Perciò la realizzazione concreta di esercitare il diritto all’acqua oggi appare problematico. L’ideale sarebbe la disponibilità effettiva per tutti. Ma assistiamo alla privatizzazione delle risorse idriche da parte d’imprese che operano per conseguire un profitto economico.

I tentativi di riforma si concentrano su alcuni punti: accorpamento dei servizi, tariffe che incoraggino gli investimenti, evitare il monopolio di una singola impresa, controllo da parte di un’istituzione indipendente. Siccome molti di questi passaggi sono affidati alle regioni, non tutte le aree sono organizzate allo stesso livello.


L’aspetto che maggiormente interessa le forze politiche, il dibattito parlamentare e l’opinione pubblica è quello dell’affidamento: si nota una tendenza alla liberalizzazione, cioè ad affidare la gestione delle risorse idriche ai privati; ma c’è anche una controtendenza che preferisce le aziende pubbliche. La competizione tra le varie industrie pubbliche o private dovrebbe avvenire non in base a principi astratti, ma sul concetto di efficienza: i requisiti del servizio, l’operatore più affidabile, vigilanza ed eventuali sanzioni.

C’è, tuttavia, una norma che è alla base di ogni ulteriore intervento legislativo. La norma è stata stabilita dall’ONU nel 2001 ed è un articolo del Patto Internazionale sui diritti economici, sociali e culturali: «Gli Stati parti del presente patto, riconoscendo il diritto fondamentale di ogni individuo alla libertà dalla fame, adotteranno, individualmente e attraverso la cooperazione internazionale, tutte le misure, e fra queste anche programmi concreti, che siano necessarie per assicurare un’equa distribuzione delle risorse alimentari mondiali in relazione ai bisogni».

EXPO 2015 Viaggio pedagogico intorno al cibo

I figli dipendono per lungo tempo dai genitori. Ciò influisce sull’educazione alimentare dei piccoli, ma i gusti e le scelte giovanili condizionano anche il mondo degli adulti.

Non tutto ciò che siamo in grado di mangiare viene mangiato. È necessaria la ricerca di un equilibrio.


Anche nell’educazione dei bambini il simbolo del pane è molto importante. Forse oggi lo è un po’ di meno nella società consumistica e sempre più abituata al fast food, ma fino a pochi anni fa si baciava il pezzo di pane che cadeva a terra: era ritenuto un oggetto sacro, fonte di vita. Il semplice fatto che questa abitudine oggi è scomparsa ci fa capire che nella nostra alimentazione i condizionamenti sociali e culturali sono molto importanti. Inoltre c’è una grande massa d’informazioni, non sempre corrette o non sempre adatte a tutti gli organismi, alle quali facciamo ricorso nella speranza di trovare un buon orientamento per la vita.


Oggi esiste una vera e propria scienza dell’alimentazione, formata da tre parti:

a. la fisiologia dell’alimentazione: lo studio dei meccanismi e dei processi mediante i quali i fattori nutritivi dei cibi vengono modificati e usati dall’organismo;

b. la fisiopatologia dell’alimentazione: lo studio delle alterazioni e dei disturbi della nutrizione, le insufficienze caloriche, gli squilibri fra i componenti dell’alimentazione;

c. la dietetica clinica: lo studio delle leggi generali dell’alimentazione dell’uomo malato, indicazioni e controindicazioni.


Prendiamo un esempio frequente nella società occidentale, quello dell’eccesso alimentare: vediamo che si produce una perturbazione metabolica, alla quale fa seguito l’obesità, l’aumento del colesterolo, le alterazioni della glicemia e l’ipertensione arteriosa. Ma sono state identificate molte altre relazioni tra la cattiva alimentazione e la patologia: mancanza di vitamine, comparsa dell’anemia, deficienze di accrescimento e di sviluppo dei bambini, diabete, gotta, epatiti croniche e così via.

L’educazione dovrà concentrarsi soprattutto nella prevenzione. Infatti oggi il cibo, se in molte zone della terra scarseggia, nel mondo occidentale è sovrabbondante rispetto al necessario. In questo ambiente sviluppato, negli ultimi anni si sono manifestate soprattutto due tipi di disturbi legati all’alimentazione: l’anoressia e la bulimia.


La prima si presenta come una perdita di peso dovuta alla volontà e come rifiuto di assumere cibi nella quantità sufficiente. In questa scelta molto importante è l’aspetto psicologico, per cui si evidenzia una distorsione dell’immagine corporea, la paura di ingrassare, la depressione dell’umore, insonnia, aggressività, isolamento sociale, scarsa capacità di concentrazione. Il sottopeso e le conseguenze negative sono immediatamente percepibili. Si può giungere perfino alla morte, qualche volta anche per suicidio: sembra, infatti, che l’anoressia sia la seconda causa di mortalità negli adolescenti dopo la tossicodipendenza.


La bulimia, invece, ha il percorso inverso: il paziente assume una grande quantità di cibo in un tempo molto breve. Ci troviamo in presenza di una totale perdita di autocontrollo, perché il soggetto interessato avverte di non essere capace di fermarsi né di scegliere tra i vari cibi. Egli inoltre prova un senso di vergogna.

Ci sono naturalmente anche altre patologie legate all’alimentazione o alla dieta. Un notevole influsso sembra che venga esercitato dai mass-media, che propongono continuamente modelli non facilmente eguagliabili oppure tipi di diete che promettono benessere immediato e permanente.


È necessario attivare una vera educazione alimentare. Infatti non basta la terapia farmacologia, ma occorre cambiare i nostri comportamenti se essi risultano dannosi per l’organismo. La ricerca di uno stile di vita sano e corretto è la migliore prevenzione e la migliore cura dei disturbi legati all’alimentazione; ma essa richiede una buona motivazione e una certa perseveranza.

La terapia dietetica va regolata sulla massa corporea, sull’entità del soprappeso e su eventuali complicanze che ogni paziente può presentare. Lo scopo fondamentale di ogni dieta è quello di ridurre l’apporto calorico rispetto al fabbisogno quotidiano. Ciò si ottiene con il consumo di latte e yogurt, carni magre, pesce e legumi (che hanno contenuto proteico), cereali e frutta (per i carboidrati), verdure, acqua e fibre; sono da sconsigliarsi le bevande alcoliche e quelle zuccherate, come pure vanno evitate quelle diete che escludono per lunghi periodi alcuni tipi di alimenti, come le diete a base di sola verdura o solo frutta, ecc.


In definitiva, un’alimentazione sana deve essere:

a. varia: orientata a soddisfare tutte le esigenze nutrizionali dell’organismo;

b. moderata: non esagerata nella quantità;

c. completa: soddisfare anche il gusto;

d. nutriente: facilitare l’assimilazione.

Occorre mettere insieme i cibi, abbinandoli tra loro e diversificando le scelte.

Va tenuto presente anche una constatazione elementare: il mangiare non è un’azione staccata dalla vita; perciò va collegata con le altre attività, fra le quali è di grande importanza l’attività motoria, ed è opportuno ripartire il fabbisogno energetico in tutto l’arco della giornata.


Una giusta educazione prende atto dei principali errori alimentari dei ragazzi (e, purtroppo, anche degli adulti, che poi li trasmettono ai ragazzi): c’è un eccesso di calorie rispetto al consumo energetico, molte volte si salta la prima colazione, non si ripartiscono bene i tempi così che ci sono troppi momenti vuoti e altri pieni di eccessi, ci si abitua a consumare disordinatamente merendine e patatine anche senza sentirne il bisogno, si diffonde l’uso di bevande troppo ricche di zuccheri e anche di bevande alcoliche, si svolge una vita troppo sedentaria e lontana da spazi all’aria aperta.

È chiaro che qualsiasi intervento pedagogico non deve essere portatore di ansie e di preoccupazioni, ma deve tendere a un risultato da conseguire in un clima sereno e collaborativo. A tal fine può essere utile coinvolgere i ragazzi nel fare la spesa, nel preparare i cibi e apparecchiare la tavola e così via. La cosa più importante è che i ragazzi non associno l’idea di assunzione del cibo con quella di tensione psicologica.

EXPO 2015 Viaggio psicologico intorno al cibo

holyseeNell’esperienza dell’alimentazione, s’intrecciano diverse esigenze. Tra gli studiosi si notano due tendenze principali.


La prima mette in risalto il fatto che le abitudini alimentari si spiegano non tanto per i loro valori materiali o per le necessità legate alla sopravvivenza, ma per un bisogno di appartenenza a una collettività. Il cibo, in tal modo, è un segno di condivisione della vita che un gruppo sociale mette in moto: in quest’ottica, il grande antropologo Claude Lévi Strauss dice che «il cibo deve essere “buono da pensare” o, meglio, “buono da comunicare” più che “buono da mangiare”». Perciò attraverso il cibo si comunicano valori quali il potere, la ricchezza, la spiritualità, l’incontro con la divinità; oppure, al contrario, miseria, povertà, malattia, solitudine.


La seconda interpretazione vede nelle scelte alimentari anzitutto una motivazione pratica e un’esigenza gustativa. Infatti il riconoscimento del cibo, anche negli animali, avviene mediante i sensi: anzitutto il gusto, poi l’odorato, la vista, il tatto e, in misura minore, l’udito. Ciò accade anche nell’uomo, che, inoltre, vi aggiunge l’importantissima funzione della memoria.


Il sistema alimentare è un complesso sistema di valori, formato da bisogni e da simboli. Un esempio illuminante è il simbolo del pane, come elemento primario che dà nutrimento. “Guadagnarsi il pane” significa svolgere una vita dignitosa.


A tale proposito, va notato lo stretto rapporto tra alimentazione e psicologia. Prendiamo il caso di un ragazzo sovrappeso. Questi, di solito, a tavola assume molte calorie durante i pasti principali, tende a mangiare fuori pasto durante tutto il giorno e assume molte bevande zuccherate e fa poca attività fisica. L’eccessivo apporto calorico non viene smaltito dall’organismo e si accumula sotto forma di grasso.


Bisogna domandarsi anzitutto se il sovrappeso può dipendere da fattori ereditari o da disfunzioni dell’organismo. Ma ci possono essere anche delle cause di natura personale o ambientale che potrebbero influire sul comportamento del ragazzo: per esempio se il ragazzo si sente soddisfatto di sé o presenta delle insicurezze, se ha un buon rapporto con i coetanei, se ama stare in compagnia o preferisce isolarsi, se si sente accolto ben voluto a scuola, se ritiene di essere apprezzato dai professori e dai compagni oppure vive con frustrazione il contesto scolastico, se parla facilmente anche delle cose che lo preoccupano o si chiude in se stesso di fronte al dolore, se le abitudini alimentari della famiglia sono abbastanza corrette, se in casa c’è un clima di cordialità e così via.


Spesso il comportamento dei genitori è all’origine di molte disfunzioni alimentari. Quando ciò accade è perché essi rifiutano di esercitare un controllo sui figli, avendo paura di vederli tristi o temendo di essere percepiti negativamente da loro.


Se le motivazioni sono psicologiche, bisogna agire a livello di psicologia più che di numero di calorie. Si tratta di incoraggiare l’esercizio fisico: spesso i ragazzi in sovrappeso sono più lenti e goffi dei loro coetanei, per questo si rifiutano di gareggiare in competizioni sportive e ciò li conferma ancora di più in uno stile di vita sedentario. Bisogna reagire con calma, invitando il ragazzo ad attività sportive non competitive, come passeggiare in bici o nuotare. Poi indicare degli obiettivi realisticamente raggiungibili, ma in graduale progressione. Il loro superamento non solo farà bene alla forma fisica, ma contribuirà ad aumentare l’autostima, che è un fattore importantissimo per il benessere. Egli deve stare bene con se stesso per poter star bene anche con l’ambiente in cui vive. Si tratta, insomma, di prestare attenzione alla globalità della persona interessata e non solo ai chili in eccesso.


Lo stesso vale per un ragazzo che, al contrario, è troppo magro. Anche in questo caso, molte volte le ragioni di un peso inferiore alla norma sono di tipo psicologico, oltre che fisiologico o ereditario: i disagi legati alla propria immagine corporea possono determinare una profonda frustrazione. I maschi si vedono meno robusti, le ragazze meno attraenti. Le fasi d’inappetenza sono un fenomeno comune nell’età evolutiva, ma diventano preoccupanti quando si trasforma in un rifiuto consistente del cibo. Il non mangiare può diventare un modo di affermare la propria autonomia e sottrarsi almeno momentaneamente a un controllo da parte dei genitori ritenuto esagerato.


Naturalmente anche il temperamento individuale svolge la sua parte nell’assunzione del cibo. Bambini o ragazzi molto vivaci e in movimento possono mangiare di meno rispetto a coetanei placidi e tranquilli. Inoltre la quantità di energia consumata varia molto da persona a persona.


Il cibo ha un grande rapporto con tutta la sfera emozionale dell’uomo. È un’esperienza che facciamo tutti: quando abbiamo un’emozione molto forte, non riusciamo a mangiare o, al contrario, mangiamo in eccesso. Lo cantava Gianni Morandi in una canzone di alcuni anni fa, Belinda. «Bella Belinda innamorata, parla da sola con l’insalata. Non bada al piatto, ma alla finestra, scende una lacrima nella minestra»: Belinda non è attenta al piatto, cioè non riesce a mangiare, perché la sua attenzione è attratta dalla finestra in attesa di guardare il ragazzo che ama e che purtroppo sta ritardando. Durante particolari stati di tensione o di tristezza sentiamo “chiudersi lo stomaco” o, ancora, rifiutiamo certi cibi perché li leghiamo al ricordo di momenti spiacevoli della nostra vita. Altre volte mangiamo perché siamo nervosi o pieni di rabbia, o annoiati e tristi. Molte particolarità alimentari, dunque, si spiegano non solo su base biologica e fisiologica, ma anche per esperienze emotive. Quando un uomo, per motivi diversi, entra nel circolo vizioso dell’uso del cibo per esprimere degli stati emozionali, allora il meccanismo della fame e della sete subisce un forte condizionamento. Bisogna, perciò, imparare a riconoscere i segni che queste situazioni fanno emergere e a gestire con efficacia il rapporto con il cibo.