L’aria vispa e sbarazzina, i capelli alla garçonne, la vita a dir poco rocambolesca: Maxime de la Falaise è stata un’icona fashion, trendsetter tra Londra, Parigi e New Tork e sublime incarnazione dello stile bohémien. Mannequin durante gli anni Cinquanta, matriarca di una lunga generazione di modelle, stilista, e, ancora, critica gastronomica ed interior designer: con una carriera così versatile, la mannequin si impone di diritto come una delle personalità più affascinanti del Novecento.
Immortalata da fotografi del calibro di Richard Avedon, Georges Dambier, Gordon Parks, Cecil Beaton e Horst P. Horst, fu musa di Elsa Schiaparelli e di Yves Saint Laurent. Tutto in lei faceva tendenza: dai suoi look, all’insegna di una disinvolta eleganza, alla sua casa, arredata in stile shabby-chic. Nel 2004 l’Independent la definì una delle più grandi icone di stile viventi, ma già l’amico Cecil Beaton nei lontani anni Cinquanta l’aveva eletta “l’unica inglese veramente chic della sua generazione”.
Maxine Birley (questo il suo nome all’anagrafe) nacque in una famiglia di artisti il 25 giugno 1922 a West Dean, nel West Sussex. Suo padre era Sir Oswald Birley, famoso ritrattista dalla fine dell’età edoardiana che aveva immortalato personalità del calibro di Sir Winston Churchill, la regina Elisabetta II e altri membri della famiglia reale. Oswald, dopo aver prestato servizio nella Prima Guerra Mondiale, aveva sposato una bellissima quanto eccentrica artista irlandese, molto più giovane di lui, Rhoda Lecky Pike.
I Birley erano bohémien di lusso, proprietari di un appartamento nell’elitario sobborgo di Hampstead, a nord di Londra, il cui interior design era stato curato da Clough Williams-Ellis. Più tardi i coniugi acquistarono anche la magnifica residenza di Charleston Manor, nell’East Sussex, che Rhoda riuscì a recuperare dallo stato di rovina in cui versava e che si dice sia stata costruita nell’Undicesimo secolo per il coppiere di Guglielmo il Conquistatore. Mentre Oswald ritraeva nobili, politici e artisti, Rhoda si occupava di giardinaggio e organizzava cene lussuose. La coppia ebbe due figli, Maxine e il fratello minore Mark (futuro fondatore del nighclub Annabel’s). I bambini crebbero in solitudine, spesso abbandonati dai genitori, perennemente in viaggio tra India e Sud-est asiatico, Messico e Stati Uniti. La piccola Maxine viveva a Wexford con i nonni irlandesi e spesso, in assenza della madre, rubava i capi eccentrici del suo guardaroba, che prediligeva capi di stile orientale uniti a pezzi haute couture firmati Elsa Schiaparelli. Nelle memorie che inizierà a scrivere poco prima della sua morte, Maxime de la Falaise ricorderà la madre come un’eccentrica lady irlandese che nutriva le sue rose con un misto di aragosta e cognac.
Chiusa, di indole solitaria e spesso nervosa, allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale la giovane Maxine decise di unirsi al Women’s Royal Naval Service ma alla fine fu reclutata dal Bletchley Park, dal momento che parlava francese. “Il khaki non mi stava poi così bene, a differenza del blu”, dirà più avanti a proposito delle uniformi delle due diverse milizie. Ma quell’esperienza sarà poi ricordata con sgomento dall’icona di stile. I quartier generali erano sporchi e freddi, la continua tensione danneggiò la sua salute al punto che la giovane sviluppò una grave forma di cleptomania, rubando qualsiasi cosa brillasse. “I miei amici capirono che ero impazzita”, ricordò, “e guardavano nella mia borsa per riprendersi ciò che apparteneva loro”. Successivamente Maxine fece ritorna a Londra ma i suoi genitori le dissero che non c’era più posto per lei in quella casa e la spedirono in America, nella speranza che trovasse un marito benestante in grado di provvedere a lei.
A New York la giovane ottenne un lavoro per Vogue ed iniziò una relazione con un fotografo che lavorava per la celebre testata. Ma fu durante un party che conobbe il conte Alain Le Bailly de la Falaise, più vecchio di lei di venti anni, di cui divenne la seconda moglie con un matrimonio celebrato il 18 giugno 1946. Scrittore e traduttore, La Falaise era il fratello minore di Henry de la Falaise, regista e terzo marito di Gloria Swanson, e il figlio della medaglia d’oro olimpica nella scherma Louis Venant Gabriel Le Bailly de La Falaise.
Dal conte Maxime ebbe due figli: Louise Vava Lucia Henriette Le Bailly de La Falaise (detta Loulou) e Alexis Richard Dion Oswald Le Bailly de La Falaise, e nipoti come Lucie de la Falaise, modella molto quotata negli anni Novanta.
È in questo periodo che la futura icona di stile cambiò il suo nome in Maxime, dopo il trasferimento a Parigi. Sebbene colto e affascinante, il conte non si rivelò in grado di provvedere alla famiglia, e fu lei a doversi occupare di salvaguardare le finanze. Fu così che ottenne un lavoro come mannequin e venditrice per Elsa Schiaparelli: il suo ruolo doveva essere quello di una sorta di musa che doveva incoraggiare le vendite. Il suo fisico ricordava quello della madre, i capelli erano corti e scuri, gli zigomi alti, il corpo sottile, e aveva nello sguardo una grande vivacità. Come modella ottenne un successo sempre crescente e lavorò anche per Dior. Ma Maxime era uno spirito libero e ben presto il suo matrimonio naufragò a causa delle sue numerose infedeltà. Il divorzio fu sofferto e la donna dovette combattere per ottenere la custodia dei figli, spediti in collegio tra Inghilterra, New York e Svizzera. Tra gli amanti di lei, l’ambasciatore britannico Duff Cooper e numerose liaisons. Dopo il divorzio ebbe una relazione con il regista Louis Malle, più tardi amore di Jeanne Moreau, e con il pittore Max Ernst.
Trasferitasi a New York alla fine anni Cinquanta, convolò in seconde nozze con John McKendry, curatore delle stampe e delle foto del Metropolitan Museum of Art. In questo periodo Maxime, che cambiò il suo nome in Maxime de la Falaise McKendry, iniziò a lavorare come food editor, ottenendo una rubrica su Vogue, con aforismi che fecero storia. Ma anche la relazione con McKendry nascondeva dei segreti: secondo i rumours lui perse la testa per il giovane genio della fotografia Robert Mapplethorpe mentre lei iniziò una relazione con Paul Getty III, toy boy ante litteram che aveva oltre trent’anni meno di lei. Erano gli anni in cui l’icona di stile si scatenava sulla pista della famosissima discoteca Le Jardin, a New York. Dopo ore passate a ballare insieme a Diane von Fürstenberg, Bianca Jagger, Yves Saint Laurent e Betty Catroux, alle 4 del mattino tornava a casa con un taxi indossando un cappotto e pantaloni Yves Saint Laurent o un LBD da nascondere sotto il cappotto, uniforme passepartout per imbucarsi al party più esclusivo. Amante della vita, genuina e moderna, nessuna incarnò lo spirito boho-chic meglio di lei.
McKendry morì di cirrosi epatica nel 1975 e la storia tra Maxime e John Paul Getty III naufragò. Intanto l’icona di stile si dedicava alle molteplici attività che svolse nel corso della sua vita, in primis la food editor, e poi la designer di moda (haute couture, sportswear e ready-to-wear), l’interior designer (creando mobili e tappeti) e la consulente di Yves Saint Laurent negli USA.
Il successo riscontrato dagli aforismi che pubblicava su Vogue la spinse a raccogliere le ricette inglesi e irlandesi della sua infanzia in un libro dal titolo Sette secoli di cucina inglese (Weidenfeld & Nicolson, 1973, edito da Arabella Boxer), ristampato nel 1992 da Grove Press. Inoltre curò i menu per Andy Warhol e il suo entourage. Su di lei quest’ultimo modellò l’idea per un format mai sviluppato, una sorta di reality ante litteram sul cibo. Nel 1980 scrisse Food in Vogue, con illustrazioni di suo pugno, collezionando le ricette più amate dalle celebrities. Inoltre nel 1974 il regista Paul Morrissey la scelse per il personaggio di Lady Difiore nel film horror del 1973 Blood for Dracula.
Mentre la figlia Loulou divenne musa prediletta di Yves Saint Laurent, Maxime continuava la sua brillante carriera come designer: nel corso dwlla sua vita disegnò collezioni per numerose maison, da Gérard Pipart a Chloé. Alla fine degli anni Ottanta si ritirò in una casa a Saint-Rémy-de-Provence per scrivere le sue memorie. Qui morì per cause naturali, il 30 aprile 2009, all’età di 86 anni. Il figlio Alexis la precedette, mentre la figlia Loulou morirà nel 2011 a seguito di un brutto male.
(Foto cover Getty Images)
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