Tra vita e immaginario: il santuario creativo di Rick Owens a Concordia sulla Secchia

Tra vita e immaginario: il santuario creativo di Rick Owens a Concordia sulla Secchia

In un’intervista rilasciata per Vogue Grecia, il designer americano Rick Owens ha sostenuto che il suo obiettivo in quanto artista fosse quello di esprimersi attraverso creazioni che possedessero una componente narrativa e poetica, in grado di invadere lo spazio attraverso l’esagerazione.

Nelle sue collezioni questo spirito di magnificenza ed eccesso si manifesta attraverso l’alterazione e deformazione delle fisionomie dei suoi capi, e nelle location solenni che richiamano templi classici. L’immaginario del designer americano però non si riconosce solo nel suo brand, ma sembra essere un’ aura che pervade più aspetti della sua vita. Egli stesso ha affermato di credere nell’invenzione del proprio sé più che nel potere ineluttabile del destino, ed è con il suo stile di vita che ha inventato la propria estetica personale distintiva, immergendovisi.

Di questo immaginario ben definito e riconoscibile che esula dal mondo della moda, è testimonianza l’abitazione nel comune italiano di Concordia sulla Secchia in Emilia-Romagna. La struttura si trova accanto alla fabbrica del brand Rick Owens ed è considerata dal designer il luogo prediletto per la creazione delle sue collezioni. A testimonianza di ambiente riservato alla creatività, si può citare la presenza di una stanza con pareti di marmo travertino realizzata sul modello di una caverna, quasi a ricreare l’archetipo di un utero materno dal quale partorire nuove idee.

Oltre ad essere dedicato a momenti di creatività, l’abitazione è anche associata a periodi di disciplina e allenamento. Se in un senso pratico ciò è testimoniato dalla presenza di una grande palestra che occupa buona parte dell’appartamento, il minimalismo generale con l’assenza quasi totale di decorazioni riporta il valore ideale di questa severità. Rick Owens stesso si definisce più un eliminatore che un collezionista. La sua intenzione è ricreare un ambiente monastico utilizzando alcuni elementi distintivi come le rigide sedie di legno realizzate dall’artista futurista Giacomo Balla che ricordano, usando le parole del designer stesso, i banchi di una chiesa.

Rick Owens vive per periodi intermittenti in questa abitazione da circa vent’anni, eppure sostiene di non aver mai voluto far ridipingere i banchi del suo ufficio per conservare un senso di memoria, attraverso segni di matite sui tavoli, o piante lasciate crescere selvaggiamente sulla veranda.

Questo richiamo a realtà passate è alla base della sua estetica, che egli stesso definisce retro-futuristica e che combina materiali atavici con forme contemporanee, della quale sono emblema i vasi geometrici di bronzo e cristalli di roccia.

Accanto all’attrazione per il passato, è inoltre pervasiva la presenza della morte. A questo proposito il designer dichiara di essere stato affascinato dalle salme presenti nelle chiese italiane. Egli stesso possiede un teschio umano esposto all’interno della casa e acquistato all’asta, che funge da memento mori, promemoria della vacua vanità.

Legato alla morte e alla memoria, un sarcofago chiamato Liza è sicuramente quello che il designer definisce il suo oggetto preferito. Egli racconta come lo abbia scelto in particolare poiché diverso dalla maggioranza dei sarcofagi, che generalmente sono colorati e non riportano i segni del tempo.

La presenza del sarcofago richiama un altro tema frequente nella sua estetica, ovvero quello dell’esotismo. Emblematica è la collezione di piume di galli Onogadori, allevati nel diciasettesimo secolo in Giappone, posizionata su di una parete dell’ ufficio, e che aumenta tramite acquisti e contatti con fattorie nipponiche. 

In un’intervista tenuta dalla giornalista Sofia Tchklonia, Rick Owens ha dichiarato che “l’indifferenza è un forte elemento di seduzione“. Un’indifferenza intesa come essere flamboyant rifiutando però la bellezza classica. A tal proposito dichiara che il “voler attirare l’attenzione può essere una forma di aggressività o di gioco” e che lui nel processo creativo intende comprendere entrambi questi aspetti. Infatti se molti degli oggetti citati possono facilmente apparire sinistri e in un certo senso aggressivi nella loro esuberanza, comprendono allo stesso tempo la dimensione giocosa del processo creativo, che consiste nell’invenzione del proprio sé e del suo immaginario, come fosse esso stesso un’opera d’arte.



(fonti immagini Tumblr, 10magazine, Pinterest, foto cover J.Teller)

Gabriele Pellerone: come trasformare il tatuaggio in opera d’arte

La storia del tatuaggio ha origini molto antiche ed è stato impiegato presso moltissime culture, in realtà la sua origine è da attribuirsi ad altri significati che vanno ben oltre il senso estetico.
La sua scoperta si deve al capitano James Cook nel 1744, che rientrando da un viaggio nell’oceano Pacifico portò con sé il principe indigeno “OMAI”, il cui scopo era di far conoscere al mondo occidentale un’arte sconosciuta.
Da quel momento il tatuaggio prese piede ovunque, e se da una parte c’era chi li discriminava, dall’altra maturò una crescente voglia da parte del popolo di recarsi in luoghi lontani laddove potevano farsi tatuare dai grandi maestri.


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I significati da attribuire al tatuaggio oggi sono svariati, e diversi da quelli realizzati nel passato.
Negli ultimi anni il tatuaggio ha subito una metamorfosi in vera e propria forma d’arte, trasformando la pelle in tele da dipingere, tutto questo può avvenire solo per mano di un abile Tattoo Artist.
Rinchiuso in un angolo dal mondo artistico per molto tempo, il tatuaggio rappresenta uno dei più antichi supporti dell’atto creativo, e solo negli ultimi anni ha visto la sua rinascita.
Così come i muri nell’epoca primordiale, anche il corpo a un certo punto ha sentito la necessità di vestirsi con un abito nuovo, incarnando la fluidità di una vita che ruota intorno all’arte e ai ritmi dell’esistenza.


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Un mix tra inchiostro e pezzi di pelle che solo un bravo Tattoo Artist è in grado di fare, una pura forma artistica che unisce altissima manualità e antiche tradizioni.
Il tatuaggio non più visto dunque come espressione malevola associata a soggetti ai margini della società o a una vita disagiata, bensì opera d’arte che viene fuori da abili mani.
Il rapporto tra arte e tatuaggio nasce dall’esigenza di avere un confronto diretto con la pittura; ma è quando quest’ultima che si avvicina al tatuaggio attraverso la testimonianza delle Antropometrie di un grande artista come Yves Klein (ad esempio), che avviene la magia.


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Yayoi Kusama


L’ago impregnatosi di colore dalla tavolozza dell’artista, si trasforma in pennello per lasciare un segno, trasformando l’opera in dimensione segnica.
Altre testimonianze sullo stretto rapporto fra il mondo artistico e quello del tatuaggio, arriva dalle performance degli anni sessanta di Yayoi Kusama (una dimensione però legata al ricordo quella di Kusama poiché i corpi erano poi lavati), la quale si divertiva a ricoprire i corpi con dei divertenti pois, gli stessi con cui sono oggi rivestite le ormai celebri borse Louis Vuitton.


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Yves Klein “Antropometrie”


A differenza della pittura (anche se il supporto si degrada nel tempo), nel tatuaggio l’opera si scontra con due temporalità: nel soggetto tatuato il tatuaggio è per sempre, nella storia dell’arte l’opera vie solo sotto forma di riproduzione.
Il cambiamento più significativo si è verificato non all’esterno, bensì all’interno del mondo del tatuaggio e in particolar modo collegato alla figura del tatuatore.
In passato il Tattoo Artist eseguiva il disegno commissionatogli, oggi il rapporto tra artista e committente è mutato in un dialogo quasi ai limiti della psicologia, mantenendo uno stretto rapporto con la storia dell’arte in quanto valore artistico e introspettivo.
Grazie a questa mutazione i Tattoo Artist (una comunità sempre in continua crescita) hanno potuto mostrare al mondo intero il proprio talento artistico, sviluppando una moltitudine di stili dal tratto estremamente creativo e personale.
Proprio come ha fatto Gabriele Pellerone, prodigioso talento di Reggio Calabria specializzato nel tatuaggio realistico e ritrattistica, che dall’età di 20 anni dopo aver acquistato una piccola macchinetta ha fatto della sua passione un vero e proprio lavoro.
Una passione trasmessagli dalla madre quella di Gabriele, che dall’età di 3 anni inizia a disegnare senza più fermarsi.
Oggi è considerato uno dei maggiori esponenti del tatuaggio realistico in Italia e i suoi tatuaggi sono considerati ormai opere d’arte, il suo studio – L’Arte del Tatuaggio – è ritenuto uno dei più tecnologici e all’avanguardia, grazie anche al rispetto dei canoni d’igiene e sicurezza del settore.

Attento alle fondamentali norme da rispettare per la buona riuscita di un tatuaggio, l’artista realizza ogni opera sul corpo con speciali strumenti che agiscono sullo strato superficiale della pelle, cui all’interno sono inseriti dei pigmenti che non contengono nikel con aghi realizzati in acciaio chirurgico.
Grazie a questi fondamentali accorgimenti e all’uso di strumenti professionali, Gabriele riesce a operare sulla pelle dei disegni che manterranno la perfetta brillantezza e la massima cicatrizzazione, favorendone la buona riuscita che rimarrà inalterata nel tempo.
Oggi Gabriele trasforma parti di pelle in opere d’arte, ottenendo ampi consensi e successi dal mondo intero, partecipando a diverse convention e a mutare i sogni in realtà, come quello di realizzare il primo box di aghi che porta la sua firma.


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Determinato e caparbio, Gabriele, non si è dato mai per vinto e in un mondo di grandi ha saputo ritagliarsi il suo angolo di successo, scelto tra 300 tatuatori di fama mondiale qualche tempo fa, ha anche partecipato al Tattoo Convention Expo, tenutosi al New York Empire State.
Apparso in numerose interviste in tv, riviste di settore e convention, si divide tra Italia ed Europa per partecipare a svariati seminari dedicati al tatuaggio realistico e al ritratto.


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Il tatuaggio oggi ha raggiunto alti livelli e Gabriele contento e soddisfatto di questa mutazione, testimonia nelle grandi convention a fianco di altri grandi il riconoscimento del tatuaggio come nuova forma di arte contemporanea.
“Il tatuaggio non è moda, è arte. Il realismo è la massima forma di espressione del tatuaggio”.
(Gabriele Pellerone)


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Photo credit: Gabriele Pellerone – Artslife – Palermo Tattoo Convention

Genio e anticonformismo: Balthus in scena alle Scuderie del Quirinale

Geniale, aspro, accademico e anticonformista allo stesso tempo, inclassificabile, questi alcuni degli aggettivi che possiamo usare per tentare di definire un artista come Balthus, che a 15 anni dalla sua scomparsa, in una mostra di enorme spessore per quantità di opere e del racconto attraverso le stesse, lo celebra in una mostra dislocata fra due location, le Scuderie del Quirinale e Villa Medici a Roma.
L’esibizione, visitabile fino al 31 gennaio e curata dall’illustre storica dell’arte Cécile Debray, ci regala una retrospettiva necessaria e ricchissima del pittore di origine polacca, la cui arte fu profondamente influenzata anche dall’arte italiana, in particolare quella rinascimentale ma anche dal periodo delle avanguardie in cui Balthus maturò.

Le chat de la Méditerranée (1949)
Le chat de la Méditerranée (1949)


Presso le Scuderie del Quirinale la mostra ci regala quasi 150 opere d’arte, disegni, fotografie, provenienti dai più importanti musei del mondo e da collezioni private. Dal MoMa di New York infatti, arriva il primo grande capolavoro riconosciuto da pubblico e critica, La Rue (La via), dipinto risalente al 1933, nel quale si intravedono chiarezza compositiva e capacità narrativa, ma anche una rappresentazione incisiva delle figure dipinte, tipiche dell’arte moderna.

L’arte di Balthus è di fatto inclassificabile, indefinibile, perché ora tendente all’accademismo classico, ora proiettata verso una chiave metafisica, surrealista, avanguardista. Già negli anni 30’ il critico Antonin Artaud definì la sua pittura come “una rivoluzione incontestabilmente rivolta contro il surrealismo, ma anche contro l’accademismo in tutte le sue forme. La pittura rivoluzionaria di Balthus riscopre una sorte di misteriosa tradizione”.

paesaggio balthus
paesaggio balthus


Il percorso espositivo, ampio e organizzato in modo cronologico, si sviluppa attorno a delle tematiche quali l’eredità rinascimentale, l’infanzia, l’influenza letterarie ove ritroviamo splendide rappresentazioni, disegni, e bozzetti ispirati a “Cime Tempestose” di Emily Bronte o a “Le avventure di Alice nel paese delle meraviglie” di Lewis Carroll. Non mancano poi dipinti che sembrano quasi essere precursori dello stile cubista, come ad esempio il dipinto “Grande paesaggio con l’albero” (1960), realizzato durante il suo periodo a Chassy, che fu prolifico e momento di ampie sperimentazioni.

L’universo balthusiano davvero ricco e ampio, ci porta dipinto dopo dipinto a ripercorrere in un’unica esposizione, stili e filoni diversi, dal surrealismo, al classicismo, dal cubismo al pointillisme, dal metafisico al ritorno alla tradizione. Un ‘esposizione e un’esperienza unica, eclettica, imperdibile, che cerca di ripercorre e definire il discorso pittorico di un autore che ha pochi termini di paragone nel panorama dell’arte moderna.