Secondome, galleria capitolina dedicata al design, compie dieci anni. Per celebrare l’importante traguardo è stata organizzata un’importante mostra antologica, che ne ripercorre la storia e i protagonisti. La sua fondatrice, Claudia Pignatale, architetto e appassionata di arte e design, ha fondato una struttura che negli anni si è distinta per aver organizzato numerosi progetti innovativi e aver contribuito a scoprire nuovi designer.
Una mostra collettiva ed un volume celebrano una delle gallerie più attive sulla scena romana: con sede in un elegante spazio a pochi minuti da Ponte Testaccio, la galleria si rivolge al design: dopo aver rappresentato anche un marchio con una sua produzione, Secondome ha collaborato con istituzioni del calibro de La Triennale di Milano, il New York Museum di New York e il Vitra Design Museum di Weil am Rhein.
Negli spazi della galleria è stata inaugurata la collettiva Bussare coi piedi, una mostra di inediti di designer interessanti, che si sono concentrati sulla tematica della presenza dell’oggetto come dono, come scambio e crescita. Gli artisti, tutti di età compresa tra i 30 e o 40 anni, sono 4P1b, Sam Baron, Giovanni Casellato, Matteo Cibic, Nigel Coates, Dum Dum, Henzel, Lanzavecchia+Wai, Massimo Lunardon, Coralla Maiuri, Stefano Marolla, Marco Raparelli, Servomuto, Gio Tirotto, Giorgia Zanellato e Zaven.
Cosa succede se si associa la storia dell’arte alla parodia? Ce lo insegna Museum Snapchats, una sorta di pinacoteca basata sull’ironia che raccoglie i commenti fatti dai visitatori dei musei di tutto il mondo. Un modo nuovo di imparare la storia dell’arte, che trova spazio sulla celebre app del fantasmino.
Sulla scia della geniale pagina Facebook Se i quadri potessero parlare, creata da Stefano Guerrera, autore anche di due libri, scritti dopo avere superato la soglia record di un milione di likes. Immediatezza e humour, per commenti che impreziosiscono capolavori storici dal valore inestimabile.
Grazie a Snapchat questa forma di parodia ha trovato massima diffusione: dietro a Museum Snapchats c’è perfino un intento di natura pedagogica, giacché si vorrebbe rendere popolare la storia dell’arte grazie alla sua capacità di “ammazzare la noia di una visita guidata”. Da oggi andare al museo non serve più: questa sembrerebbe essere la nuova filosofia, che trova molteplici esempi sul web, come il sito di intrattenimento Boredpanda, che ha creato una gigantesca pinacoteca comica virtuale.
Resta da chiedersi come si possa coniugare la parodia all’intento pedagogico, venendo a mancare ogni riferimento all’autore e all’anno delle opere pubblicate online: una lacuna non da poco, per un’applicazione che avrebbe potuto coniugare il lato comico a quello educativo.
Cresce l’attesa per la 15esima edizione di Art Basel Miami Beach, che si terrà dal 1 al 4 dicembre presso il Miami Beach Convention Center. La fiera più glamour a livello internazionale non si smentisce neanche per quest’edizione, la seconda curata da Noah Horowitz.
Saranno presenti oltre 269 gallerie internazionali e 4000 gli artisti che esporranno sculture, installazioni, disegni, dipinti, fotografie, stampe, film, opere in edizione limitate e arte digitale. Sono invece nove i settori in cui la manifestazione è suddivisa: Galleries, Positions, Edition, Nova, Kabinett, Public, Film, Magazines e Survey.
Largo a talk tra artisti, curatori e direttori di musei, collezionisti, scrittori e storici dell’arte. Art Basel Miami Beach e David Gryn, curatore di Artprojx and Daata Editions, presenteranno un programma serale di alcune opere in cui la musica diventa protagonista assoluta: rientrano nel progetto 28 cortometraggi con il denominatore comune “Best Dressed Chicken in Town”. E quest’anno non manca un omaggio all’Italia, con il lungometraggio dedicato a Maurizio Cattelan, Maurizio Cattelan: Be Right Back, selezionato dal curatore Marian Masone come proiezione speciale al Teatro Colony.
La manifestazione ospiterà diverse collezioni, come “Design Miami,” “The Haitian Cultural Arts Alliance,” “The Margulies Collection at the Warehouse,” “de la Cruz Collection,” the “Rubell Family Collection”. Inoltre, come di consueto Art Basel Miami Beach si caratterizza anche quest’anno per diverse fiere satellite, in cui trovano spazio artisti emergenti, per un evento che strizza l’occhio anche al futuro del design.
“Retrospettiva a luce solida” è il titolo della monografica che celebra l’arte di Fabio Mauri: un percorso che si snoda negli spazi del Madre di Napoli e che vedrà esposte oltre cento opere, installazioni, azioni e documenti.
Una mostra esclusiva, organizzata in stretta collaborazione con lo Studio Fabio Mauri: dal 26 novembre 2016 al 6 marzo 2017 la città partenopea renderà omaggio al genio di Fabio Mauri (Roma, 1926-2009), esponente di spicco delle neo-avanguardie della seconda metà del XX secolo.
L’esposizione, a cura di Laura Cherubini e Andrea Villani, si snoda in un interessante percorso che ospita le opere con cui l’artista esplora la comunicazione di massa non disdegnando di fare ricorso anche ad un’estetica pop. Dal terzo piano del polo museale una sezione che culmina nella serie degli Schermi (anni Cinquanta-Settanta) e in alcune proiezioni, da quelle in 16mm degli anni Settanta su corpi ed oggetti (vari esemplari di Senza e Senza ideologia, la ricostruzione di Intellettuale-Pasolini), fino alle più recenti su supporto digitale e di impianto ambientale.
Performance di Fabio Mauri, 1988. (Foto: Elisabetta Catalano)
La seconda sezione dell’esposizione si sviluppa al piano terra nella sala Re_PUBBLICA MADRE e presso le tre sale del mezzanino. Qui si intende celebrare la matrice performativa e teatrale della ricerca dell’artista, con una selezione delle più importanti azioni di Mauri, presentate attraverso materiali documentari e alcune componenti “sceniche”.
La terza sezione della mostra, che si sviluppa nella Sala delle Colonne, al primo piano dell’edificio museale, è incentrata sulla presentazione inedita dell’integrale corpus delle maquette architettoniche, che ricostruiscono i percorsi espositivi delle principali mostre dell’artista. La “luce solida” che dà il titolo alla mostra si riferisce alla luce proiettata dalla lampadine con i raggi solidificati, grazie alle quali Mauri riusciva a conferire una consistenza quasi fisica al raggio che congiunge proiettore e schermo cinematografico, nel tentativo di fornire una dimensione reale anche al pensiero e all’immaginario. Una mostra imperdibile per celebrare il genio di un artista indimenticabile.
Milano omaggia i 90 anni di Arnaldo Pomodoro con una straordinaria antologica che racconterà il percorso artistico del Maestro dal 1955 ad oggi. Cuore dell’esposizione sarà la Sala delle Cariatidi di Palazzo Reale ma saranno coinvolte anche numerose sedi espositive dal prestigio internazionale.
La mostra, ideata e prodotta dalla Fondazione Arnaldo Pomodoro e Palazzo Reale con la collaborazione di Mondo Mostre Skira, è curata da Ada Masoero. Dal 30 novembre 2016 al 5 febbraio 2017 sarà possibile ripercorrere le tappe fondamentali della carriera del grande scultore, in un percorso di trenta opere scelte dallo stesso artista, per rivivere gli oltre sessant’anni di carriera di Pomodoro.
La Triennale di Milano e la Fondazione Arnaldo Pomodoro ospiteranno quattro progetti “visionari” che indagano il dialogo tra l’opera scultorea, l’architettura e lo spazio circostante. Opere che si sviluppano dal genio del visionario Pomodoro per farsi paesaggio urbano: dal Simposio di Minoa a Marsala al Carapace, la Cantina delle Tenute Lunelli a Bevagna, in Umbria (presentati in Triennale, con la cura di Aldo Colonetti) fino al monumento di Pietrarubbia e al progetto per il nuovo Cimitero di Urbino (in Fondazione, con la cura di Ada Masoero).
E ad essere indagata sarà anche la grande passione del Maestro per il teatro, attraverso sedici teatrini ospitati al Museo Poldi Pezzoli nella Sala del Collezionista: un omaggio al lavoro di Pomodoro per il palcoscenico svolto tra il 1982 e il 2009. Si potrà inoltre riscoprire la Sala delle Armi, da lui progettata nel 2000. Un suggestivo itinerario artistico che collega più punti della città, a partire da Piazza Meda con il Grande disco, scelto dai milanesi come simbolo della città, fino a Largo Greppi, con Torre a spirale collocata di fronte al Piccolo Teatro.
Ha aperto i battenti a Roma lo scorso 24 ottobre la mostra “David Bowie & Masayoshi Sukita: Heroes”. Dopo il grande successo ottenuto a Bologna, Alba e La Spezia, anche nella Capitale viene celebrato il genio del fotografo giapponese Masayoshi Sukita, maggiore ispiratore e ritrattista del Duca Bianco.
Alla The Sign Gallery fino al 19 novembre sarà possibile ammirare le immagini più iconiche che hanno caratterizzato il lungo sodalizio artistico tra David Bowie e il maestro Sukita: pochi sono riusciti a cogliere l’essenza dell’icona del glam rock in scatti unici ed emozionanti, come Sukita ha fatto per anni. In esposizione le più famose immagini tratte dagli archivi londinesi: trattasi soprattutto di ritratti, realizzati tra Londra, New York e il Giappone tra il 1972 e il 1973.
Un sodalizio artistico e una grande amicizia ha legato i due. Correva l’anno 1972 quando Sukita, vicino alla Factory di Andy Warhol, arriva a Londra. Rimasto folgorato dal carisma di Bowie, restò legato per tutta la vita all’artista. Tanti gli scatti iconici che hanno immortalato le diverse fasi della produzione artistica del Duca Bianco: dal servizio di Heroes, del 1977, ai resoconti di viaggio in Giappone, durante gli anni Ottanta, fino agli scatti più recenti, realizzati tra il 1989 e il 2022 per la promozione dell’album Heathen.
La bellezza efebica e l’espressività di Bowie sono state catturate in scatti dall’intensità rara dal grande fotografo giapponese. La mostra è aperta fino al 19 novembre nella location di Thesign Gallery di via Piemonte 125/a, a Roma. L’ingresso è libero.
Oggetto di culto e accessorio tra i più iconici in assoluto, la Lady Dior si tinge ora di inedite stampe, grazie ad un progetto che vede la celebre maison di moda francese collaborare con l’artista inglese Marc Quinn: il risultato è una limited edition che vede la celebre it bag interpretata da sette diversi artisti. Stampe ardite, cromie accese, trompe d’oeil e nuance fluo per un colpo d’occhio sensazionale: non saranno disponibili più di 100 modelli di ogni versione.
Largo a stampe floreali, tessuti iridescenti, petali, orchidee, stampe optical e veri e propri quadri d’autore: la Lady Dior vieen reinterpretata dall’occhio di sette artisti, provenienti da Gran Bretagna e Stati Uniti: si va dal fotografo Matther Porter, che si ispira al design automobilistico, con grafiche in bianco e nero, al creativo britannico Mat Collishaw, che ripropone pattern naturalistici tra ali di farfalle e suggestioni pastello.
Non manca l’estro creativo di Jason Martin, che declina la celebre it bag in un’inedita versione 3D. Ian Davenport fa dell’iconica borsa culto la propria tela su cui dipinge magistralmente col suo tocco unico. Chris Martin si ispira alla sua opera Frog 1.
SFOGLIA LA GALLERY:
Daniel Gordon
Jason Martin per Dior
(Photo courtesy Dior)
Ian Davenport
Marc Quinn
Matt Collishaw
Matthew Porter
Chris Martin
Il progetto, che ha visto la luce solo pochi mesi fa, è gia divenuto virale su internet, dove spopolano le foto delle borsette con l’hashtag di riferimento #DiorLadyArt. L’idea, partorita dalla mente dell’eclettico Marc Quinn, è nata in concomitanza con l’inaugurazione della boutique Dior a Londra. Le borse dipinte dai sette artisti saranno in vendita nelle boutiqye di Miami, a Los Angeles, in Corea, in Cina, a Londra, Dubai, Parigi. Inoltre l’iconico accessorio sarà esposto in un’installazione durante la Art Basel di Miami, dal prossimo 29 novembre.
E’ stato inaugurato ieri a Locate Triulzi Scalo Milano, primo “Citystyle” del Made in Italy. La nuova cittadella dello shopping realizzata da Promos e Lonati Group sorge nell’area un tempo occupata da Saiwa. All’inaugurazione presenti le autorità, in primis il sindaco di Milano Beppe Sala.
Ben centotrenta negozi tra moda, design, food e arte alle porte di Milano, per il primo design district d’Italia: un’opera costata oltre 200 milioni di euro che, secondo le stime, dovrebbe creare 1.500 posti di lavoro, tra dipendenti diretti e indiretti. I primi negozi aperti, 130, si stendono su una superficie di 30mila metri quadri, e sono destinati a diventare 300 su 60mila metri quadri.
“Il valore che c’è in questo territorio, nella città metropolitana di Milano, è una valore immenso rispetto al quale abbiamo ottenuto ancora poco ma possiamo ottenere di più”, queste le parole di Sala. Presente anche uno spazio dedicato anche all’arte, con Scalo Arte, che coniuga lo Street art district, con i graffiti firmati da writer nazionali e internazionali e le immagini del fotografo Settimio Benedusi, e Scalo Art Pavillions, due spazi espositivi permanenti in cui, a cadenza semestrale, saranno ospitate le opere dei giovani artisti italiani.
È stata inaugurata lo scorso 21 ottobre a Palazzo Ducale a Genova la mostra “Warhol. Pop Society”: una retrospettiva dedicata all’indimenticabile artista americano a trent’anni esatti dalla sua scomparsa. La mostra, che sarà aperta al pubblico fino al 26 febbraio 2017, è curata da Luca Beatrice e prodotta e organizzata da Palazzo Ducale Fondazione per la Cultura di Genova e da 24 ORE Cultura – Gruppo 24 Ore.
Sono esposte circa 170 opere tra tele, disegni, polaroid, sculture e oggetti provenienti da collezioni private, musei e fondazioni pubbliche e private italiane e straniere. Un percorso tematico che si snoda attorno al disegno, alle icone di Warhol, alle sue celebri polaroid, ai ritratti e al cinema.
Nato a Pittsburgh il 6 agosto 1928 e morto a New York il 22 febbraio 1987, Warhol è stato protagonista assoluto dell’arte contemporanea. Nessuno più di lui ha saputo intuire i cambiamenti avvenuti nella società. Nella sua Factory tante le arti prodotte, dal cinema alla musica rock, in un’avanguardia mai sperimentata prima.
La locandina della mostra a Palazzo Ducale
In mostra le serigrafie di Marilyn e i ritratti di personalità del calibro di Mick Jagger, Liza Minnelli, Man Ray, Gianni Agnelli, Giorgio Armani. Sono inoltre esposte oltre 90 delle celebri polaroid con cui Warhol immortalava le sue icone predilette e i suoi amici.
(Cover: Marilyn Monroe, Serigrafie di Andy Warhol, 1967)
David Bowie amava l’arte.
Non era solo la personificazione più evidente della sua arte, amava anche quella altrui.
Collezionava e sapeva collezionare quindi, lasciandoci in eredità non solo il suo genio e la sua produzione musicale, ma anche una raccolta imponente di opere britanniche moderne.
Il cantautore, morto questo 10 gennaio 2016, era protagonista assoluto del desiderio terreno di percorrere e precorrere i tempi.
Poliedrico, camaleontico, un dandy che ha fatto della sua musica un vero e proprio teatro scenico, simbolo del passaggio e della nascita di alcuni tra i più disparati generi musicali: glam-rock, punk, new wave, synth-pop, dark-gothic, neo-soul, dance.
Performer e attore della sua stessa maschera, lo si poteva amare terribilmente o odiare maniacalmente.
La sua morte ha prodotto una frattura sentita tra i suoi seguaci, nonostante sia stato il primo a spogliare i termini dello stardom, ovvero il rapporto instabile e ipocrita tra star e fan.
Questi ultimi ancora legati al suo ricordo lunatico, potranno approfittare della colonna sonora del musical Lazarus a breve in uscita.
Al suo interno tre brani inediti registrati prima di morire: When I meet you, No plan e Killing a little time.
Amava l’arte, si diceva, e ne amava soprattutto quella contemporanea africana, inglese e americana, ma non solo.
Sapeva amare anche il design italiano di Ettore Sottsass e del Gruppo Memphis.
La collezione sarà messa all’asta da Sotheby’s Londra per un valore che si aggira dalle 800 alle 2.500,000 sterline.
Tra gli artisti presenti nella collezione, compaiono diverse opere di Henry Moore, Jean-Michel Basquiat e Damien Hirst che si deduce siano stati i suoi artisti preferiti.
Matthew Collings racconta in un video l’arte di David Bowie e quella da lui raccolta e collezionata.
Un ultimo saluto, seppur carico di malinconia, al Duca Bianco.
Visionaria, eclettica, creatrice di un’arte primordiale e moderna, intensa e affascinante: nell’opera di Carla Mura innumerevoli sono le suggestioni e i riferimenti ad un mondo interiore ricco di pathos. Rimandi onirici nei pattern cromatici, virtuosismi e visioni sfocate e cesellate in una realtà ricostruita attraverso percezioni visive.
Lunghi capelli biondi su un viso pulito e su uno sguardo trasparente, la sensibilità dell’artista Carla Mura ci porta in astrazioni caleidoscopiche attraverso mondi sommersi e intarsi che tradiscono un mondo interiore pregno di spunti. Autentica, spontanea, libera da ogni forma di costrizione, la tecnica dell’artista l’ha resa illustre rappresentante dell’arte moderna, esponente di spicco della corrente aniconica contemporanea e artefice di opere versatili e poliedriche.
Nata a Cagliari nel 1973, Carla Mura inizia a dipingere nel 1998, dopo avere mosso i primi passi nell’ambito pubblicitario. Dopo appena pochi anni di attività arrivano le prime mostre ed esposizioni, dapprima nella sua terra d’origine, la Sardegna, e poi nel resto d’Italia e all’estero, dove la sua arte ottiene numerosissimi riconoscimenti. Nomi illustri tra i curatori, da Luca Beatrice ad Alessandro Riva. Non si contano gli attestati di ammirazione alla sua opera, apprezzata da Achille Bonito Oliva, Enzo Cucchi, Alberto Biasi, Ferruccio Gard, Giosetta Fioroni. Successivamente la giovane artista si trasferisce a Roma, dove vive e produce opere per dieci anni, per poi spostarsi in Veneto, sua residenza attuale.
Un ritratto di Carla Mura
Olà fucsia, serie Metropoli, filo di cotone su legno, cm 80 x 80
I pappagalli- filo di cotone su tela, cm 50 x 50
Container- Filo di cotone su legno, cm 60 x 60
Politica- Filo di cotone su tela, cm 50 x 50
Audacia, sensibilità e sperimentazione costituiscono il fil rouge del suo lavoro, a partire dall’uso di materiali innovativi, tra cui il filo di cotone. L’amore per questo materiale nasce nel 2001, quando Carla si trova a Roma e il suo occhio vinne catturato da una rocca di filo ecru, trovata per caso in un mercato di antiquariato. L’artista si avvicina istintivamente alle nuove possibilità offerte dall’inedito materiale, mixandolo dapprima con acrilico, per poi prediligerlo ed ergerlo quasi a sua controfigura: l’artista si riconosce pienamente nel nuovo strumento, al contempo delicato e resistente. Carla Mura fiuta immediatamente le immense potenzialità del nuovo materiale, che si pone al centro della tecnica spontanea che sta alla base delle sue opere, insieme a supporti che variano dalla tela al legno, dal marmo alle pietre, dal travertino fino al plexiglass. Incroci, intarsi, nodi e grovigli ineluttabili, ghirigori estetici e ardite geometrie per composizioni astratte e libere da ogni schema, sequenze delineate solo dall’istinto dell’artista; caleidoscopiche trame di un disegno di cui solo lei, indomita e ribelle, sa tessere le trame e detiene la verità ultima. Libere interpretazioni di un disegno astratto ed indecifrabile, che si aprono talvolta in suggestioni metropolitane: è da scorci come finestre socchiuse che si intravede l’infinito, astrazioni grazie alle quali lasciare a briglia sciolta la fantasia per spiccare in voli pindarici che solo l’artista, deus ex machina della situazione, può controllare, forte del suo genio, iconoclasta della pittura e vestale di una mistica fatta di codici segreti e primigeni.
Ponte- filo di cotone su tela, cm 70 x 70
Entourage- filo di cotone su tela, cm 60 x 60
Carla Mura nasce a Cagliari nel 1973 (Foto: Facebook)
L’innovazione e la sperimentazione della sua arte, grazie a materiali poveri come il filo di cotone (Foto: Facebook)
Tantissimi i riconoscimenti ottenuti a livello nazionale ed internazionale per Carla Mura (Foto: Facebook)
Visionaria e sperimentatrice, la sua arte travalica l’uso dei tradizionali mezzi pittorici per avvalersi magistralmente di materiali poveri: ed è proprio grazie al pregiato filo di cotone, cifra stilistica delle sue opere, che l’artista Carla Mura si è imposta sulla scena artistica internazionale grazie alla grande riconoscibilità delle sue opere, che costituiscono un unicum stilistico intriso di suggestioni arcaiche e di una sensualità primordiale. Carla Mura tesse le trame di un canto antico che sembra risuonare nei meandri della psiche, un’eco misteriosa e affascinante che attraverso percezioni tattili ci prende per mano riuscendo a vincere il caos della retorica e della realtà.
Ma nelle sue opere non c’è solo questo: attraverso una sapiente opera di creazione, il genio artistico forgia una nuova visione del mondo. Gli stessi titoli di molte delle sue opere rimandano sovente al mondo dell’architettura – Windows, Light, Margine, Il palo, Container, La casa azzurra, Metropoli ecc. Il colore gioca altresì un ruolo fondamentale nella metamorfosi di codici tradizionali che vengono radicalmente rivoluzionati dai fili di tessuto di cotone, i cui riflessi cangianti creano caleidoscopici giochi di luce.
Corde e sfumature che trascendono quasi in pittura: ricorda quasi una tela espressionista il colore che si deposita a sprazzi. Visioni istintive ed immaginazione, ma anche un velo di sofferenza dietro la sua opera. Tante le combinazioni di colori, dal bianco e nero iniziale l’eclettica artista si è aperta ad un uso generoso della tavolozza, per opere uniche.