Oltre il design: l’eredità di Gaetano Pesce nell’arte e nell’architettura contemporanea
All’età di 84 anni ci lascia Gaetano Pesce. Designer, architetto, scultore, urbanista, una personalità difficilmente inquadrabile in categorie rigide, che ha fatto proprio dell’elisione delle barriere una sua marca identitaria.
Di madre veneziana e padre fiorentino, Pesce studia Architettura all’università di Venezia alla fine degli anni ’50, in pieno periodo modernista. Alimentato da forte curiosità, è stato un ricercatore di novità costante, che ha deciso di esprimersi solo qualora possedesse un messaggio da veicolare, poiché, come egli stesso ha dichiarato,“quando si parla troppo il rischio è quello di ripetersi”.
Ha dimostrato grande capacità visionaria con la realizzazione di strutture come la maestosa Organic Building ad Osaka, ultimata nel 1993, precorritrice dell’architettura eco-compatibile. Come quest’ultima, in generale le sue opere trasmettono un forte valore simbolico e narrativo. Infatti Pesce “non accetta che un oggetto sia muto”, ma ha bisogno che questo parli alla gente. Un oggetto può essere la sua funzione e allo stesso tempo esprimere una posizione ideologica. E questa carica comunicativa è ciò che ha animato le sue idee architettoniche e di design, in tutto il suo percorso.
È esempio di un creare che veicola messaggi, oltre a funzioni, la Bahia House in Brasile: essa racchiude nel suo aspetto le istanze della cultura del luogo in cui è immersa, “una cultura legata al colore, alla danza, al canto”; o la famosa poltrona Up5, realizzata nel 1969, chiamata anche Big Mama e ispirata ad una antica dea della fertilità: assieme ad essa è stato realizzato un poggiapiedi a cui è legata con una catena, simbolo dell’oppressione riservata alla donna nei secoli.
L’importanza dell’innovazione nell’arte è una colonna portante della concezione creativa di Pesce. Egli sosteneva che un grande problema dell’istruzione odierna è che “gli insegnanti educano in base a ciò che hanno imparato quando erano giovani” ignorando ciò che conta nel presente per il futuro. E il futuro “è fatto di diversità”. Non a caso Pesce ha vissuto per buona parte della sua vita a New York: questa per lui è una città “fatta di frammenti”, priva di ripetizioni anche nei suoi abitanti, costituiti principalmente da minoranze. Questo amalgama eterogeneo è secondo lui essenziale per comprendere il nostro tempo.
A tal proposito confessa che il suo lavoro consiste proprio “nell’ intuire quello che il tempo sta comunicando oggi e cercare di trasmetterlo attraverso le sue creazioni”. E quello che i nostri giorni ci stanno insegnando è la “liquidità” di un periodo in cui i valori scompaiono e ci si trova a cambiare idea sul mondo quanto mai rapidamente.
Seppur disorientante “è proprio questa fluidità a costituire la bellezza del nostro presente”, perché “una vita statica è orribile, è come morire prima del tempo” e “e se rivivi ogni giorno lo stesso giorno, allora hai vissuto un solo giorno”.
I suoi lavori sono stati esposti nei maggiori musei di tutto il mondo, dal Louvre di Parigi al Moma di New York in mostre con le quali ha cercato “un nuovo modo di esporre, un nuovo modo di provocare e suscitare emozioni, perché sono le emozioni che ci aprono verso la novità”. Quello di Gaetano Pesce è stato, ed è, un lavoro ottimistico che cerca per l’avvenire “qualcosa di migliore, di più buono, di più vitale”.